Prologo
Durante la lettura, vi consiglio l'ascolto di questa canzone (CLICCA QUI)
L'occhio faceva male, il labbro spaccato bruciava. Sotto la pesante
tenuta verde, lividi violacei costellavano la pelle e le costole rotte
le toglievano il fiato ad ogni movimento nello strettissimo corsetto.
Immobile, in piedi di fronte alla finestra, osservava la luna
stagliarsi nel cielo, enorme ed impassibile. Stretto nella mano destra,
un consunto rosario di legno dondolava a ritmo del vento, seguendo i
movimenti pigri delle sottili e costose tende. L'ennesima fitta al
petto le tolse il respiro, costringendola a portarsi la mancina a
livello del costato, ma i suoi occhi continuavano a fissare la luna.
Non vi era un suono quella sera; i grilli e le civette sembravano
essersi ritirati, allontanati da quella magione dai muri stuccati e i pavimenti sporchi di sangue.
Sei
una traditrice, una Iscariota sorda alle parole del tuo Dio. Per quanto
a lungo vagherò ancora nelle tenebre, cieca e rinnegata?
Un colpo di
tosse la scosse, accecandola per la fitta di dolore provata al petto.
Cadde carponi, il rosario scivolato via, lontano dalle sue mani
ricoperte di graffi. Il cuore bruciava dolorosamente, e le costole
rotte non le davano pace. Chiuse gli occhi, annaspando in cerca d'aria,
la fronte ricoperta di un freddo sudore.
Per
quanto ancora dovrò soffrire per cercare perdono? Quanti altri
lividi, quante altre ferite dovrò sopportare prima di
considerare perdonati i miei errori?
Arpionò
il tappeto con le lunghe dita tremanti, trattenendo a fatica le lacrime
che le pungevano gli occhi. Era stanca. Stanca di tutti i problemi,
stanca di dover sopportare.
Pregare e basta
era come elemosinare. Nessun Dio sarebbe mai venuto in suo soccorso.
Nessun angelo avrebbe sbattuto le sue candide ali per andare da lei,
porgerle una mano e aiutarla a rialzarsi. Era sola.
Come ogni brava
governante, la cui vita era lastricata di solitudine, avrebbe fatto il
suo lavoro, indossato il bel vestito verde, applicato il lip rougue*,
acconciato i capelli e sfoderato il suo miglior sorriso. Non aveva il
diritto - nè il tempo - di lamentarsi.
Era una notte silenziosa quella.
- Cosa stai
facendo qui? - Con un movimento meccanico, la donna alzò lo
sguardo. Il suo padrone se ne stava in piedi di fronte a lei, con quel
suo viscido sorriso stampato sul volto. Si osservarono per pochi
secondi, prima che lui la colpisse al volto con forza. La governante
cadde a terra, un gemito soffocato. In pochi secondi lui le fu sopra,
le mani al colletto del suo pesante abito invernale, strappando via i
bottoni. La donna guardava dritta di fronte a sè, gli occhi
vuoti e il corpo annebbiato dal dolore. Era un bene che non sentisse le
sue luride mani percorrerle il busto, in cerca dei ganci del corsetto.
Mio Dio, mio Dio, perchè mi hai abbandonata?
Il padrone si
fermò, gli occhi sgranati. Vedeva chiaramente un'elsa spuntare
da sotto la crinolina dell'abito, ormai ridotto in pezzi.
Afferrò il lungo collo chiaro della donna, il volto stravolto
dall'ira.
- Hai forse
intenzione di uccidermi??!!! Puttana! - La donna non rispose
minimamente, continuando ad osservare impassibile il soffitto,
ignorando il fatto che lui avesse alzato nuovamente il braccio per
colpirla.
Un urlo scosse la casa da cima a fondo, fondendosi con il denso nero della notte, tingendola di rosso.
L'uomo
rotolò via, stringendosi dolorante il moncherino, urlando come
un ossesso. Silenziosa, la donna si rialzò, la spada stretta in
mano.Mugolò per le costole rotte, conquistando lentamente la
posizione eretta. Le urla del suo padrone le rimbombavano nelle
orecchie.
- Basta
così. Non vorrà svegliare sua moglie, vero mio signore? -
chiese con voce monocorde, camminando verso l'uomo. Questi
spalancò gli occhi, cercando di rialzarsi e correre via.
Inciampò, sbattendo la fronte per terra, ma non si arrese.
Gettò a terra un prezioso vaso, posto su di un tavolino, usando
la parete come appiglio e alzandosi in piedi. Iniziò a correre
verso la porta posta in fondo al corridoio. Il suo maggiordomo stava
sicuramente finendo il giro d'ispezione, poteva raggiungerlo per
chiedere aiuto. Il vino che gli scorreva in corpo sicuramente non gli
era d'aiuto, il dolore non era sufficiente per far smettere il senso di
nausea e fermare il mondo che gli girava vorticosamente attorno.
Un secondo urlo
scosse la casa quando l'uomo cadde a terra, la gamba destra mozzata. Le
sue urla continuarono, fino a sfumare in un pianto sommesso. Allora fu
possibile sentire il suono di tacchi sul pavimento, un rumore di passi
cadenzato come i secondi che scorrevano su di un orologio. Egli si
girò, il volto solcato di lacrime e reso appiccicoso dalla
saliva che colava fra i denti stretti, osservando la silhouette in
controluce.
- Mi sono
stancata di te. - Disse con voce fredda, senza tradire la minima
emozione. I singhiozzi dell'uomo si fecero più acuti, mentre
tentava di mettersi seduto.
- ASPETTA! -
urlò lui agitando la mano rimasta, osservando la spada grondante
di sangue con occhi sbarrati. - S-se mi lasci andare, prometto che ti
darò tutti i miei soldi! Ti lascerò andare via, n-non ti
denuncerò! Sparirò dalla tua vita e sarai ricca sfondata,
non dovrai più lavorare come governante! P-per favore!! -
gridò con la voce acutizzata dalla paura, allungando la mano
come a difendersi dall'improvvisa furia della donna. Questa non
rispose, il volto nascosto dalle ombre, immobile.
- I vostri sono peccati che vanno lavati via col sangue, mio signore. Non si può tornare indietro.
Più nessun suono turbò la quiete della villa.
Mentre
camminava sul sentiero selciato, si sistemò i vestiti troppo
larghi che stava indossando. I pantaloni erano larghi, le scarpe
enormi, e la giacca e la camicia che aveva indossato le cadevano
ridicolmente addosso. Poco le importava, dal momento che se ne sarebbe
presto andata, pensò pulendo il rivolo di sangue che le usciva
continuosamente dalla bocca. Le costole avevano perforato i polmoni, e
a breve il suo stesso sangue l'avrebbe soffocata. Continuò a
camminare, i corti capelli biondi iluminati dal fuoco dell'incendio e
le orecchie piene delle urla provenienti dalla casa avvolta dalle
fiamme. La mascella severa, serrata, serviva a coprire i gemiti che
avrebbe altrimenti emesso. Aveva compiuto bene il suo lavoro. Quel suo
corpo sgraziato, androgino, si sarebbe accasciato a terra, calpestato
dagli zoccoli dei cavalli e dalle ruote dei carri. Se così non
fosse stato, sarebbe stata buttata in una fossa comune, a diventare
cibo per i vermi. Nessuna benedizione, nessun funerale si sarebbe
tenuto. Nessuna croce avrebbe ornato il suo tumulo, e questo lo sapeva
bene. Cadde rovinosamente a terra, i grandi occhi marroni socchiusi.
Che morte
indecente. Se non fosse stato per gli abiti del suo padrone, sarebbe
spirata nuda. Forse, in futuro, qualcuno, a differenza sua, avrebbe avuto
modo di ribellarsi a questo destino crudele che accumunava quelli come
lei.
Mio Dio, mio Dio, perchè mi hai abbandonata?
*** *** *** *** ***
Spalancò
gli occhi, saltando su a sedere, le molle del letto che seguirono con un forte cigolio l'improvviso e convulso movimento. Era ricoperta di sudore, il respiro mozzo
come se qualcuno le avesse posto un peso sul petto. Lunghi capelli
castani coprivano spalle scoperte, che rabbrividivano per il freddo
della stanza, mentre gli occhi verdi vagavano per la stanza, come se si aspettasse di veder balzare fuori da un momento all'altro la figura di donna che le era rimasta stampata in testa. Dopo qualche secondo, si lasciò cadere nuovamente
sul cuscino, la gola arida e il cuore che batteva all'impazzata.
Un altro
sogno...? Pensò portandosi le mani al volto, massaggiando gli
occhi stanchi. Un timido raggio di luce fece capolino fra le imposte
della sua finestra, ferendo le pupille abituate al buio.
Sospirò, lasciando cadere le mani a lato del volto. Un rumore
secco di nocche sulla porta le fece girare il volto.
- è ora
di alzarsi. - la voce fredda del maggiordomo arrivò chiara alle
sue orecchie, spazzando via ogni residuo di sonno. Mugolando si
alzò a sedere, calciando via le coperte. Si prese un secondo per
respirare profondamente, cancellando gli ultimi stralci di quell'incubo
che ancora le si affacciavano alla mente.
- Arrivo Sebastian.
Angolo Autore:
Ebbene. Io su sto account sto sempre a riscrivere le mie vecchie fic. Oh beh, mi piacevano.
Questa
è la riscrittura della mia vecchia fic "White Housekeeper", con
il titolo cambiato per evitare confusione. Ci sono moltissimi motivi
per i quali ho deciso di riprendere questa fiction e riscriverla.
Primo
fra tutti, la forma era enormemente da migliorare. Confusionaria, poco
curata, infantile, sono gli aggettivi che mi vengono in mente
rileggendola.
Secondariamente,
non mi piace più il modo in cui ho reso il personaggio della
protagonista. Nella mia mente non era la persona capricciosa, infantile
e arrogante che invece ho reso; ho deciso quindi di cambiare anche
quello.
Terzo,
il modo in cui ho dipinto l'Inghilterra e gli inglesi. Ommiodio. Chiedo
ufficialmente scusa per il modo stupido in cui mi sono posta verso
questa terra, ricca di tradizioni e splendide persone. La mia era una
grandissima ignoranza mascherata da necessità di copione, e per
questo ancora chiedo scusa.
Spero che questo capitolo vi abbia interessato, e che questa nuova versione possa piacere almeno tanto quanto la vecchia.
Con affetto e veneranda saggezza,
Black Ink Velvet
PS: Mano a mano che andiamo avanti nella storia, creerò una playlist su Youtube con il soundtrack della storia.
Per questo capitolo vi ho lasciato con Silent Prayer (nella descrizione
il nome della canzone originale). L'artwork è un mio lavoro che
potete trovare su DA e Tumblr (nanasworkshop).
Buon ascolto!
|