Ripubblico
questa storia che non so come mai si fosse cancellata.
I
commenti sono molto apprezzati :)
Buona lettura!
CAPITOLO
UNO
Qualcuno
bussò alla
porta.
Merda.
Charlie
mise in pausa la sua serie tv preferita e si fermò in
ascolto di
qualsiasi rumore che potesse provenire dal corridoio. Nulla. Neanche
un respiro. Si preannunciavano guai. Fosse stato uno degli altri
ragazzi, l'avrebbe sentito anche attraverso le cuffie con la musica a
tutto volume. E la sua musica sapeva come essere
rumorosa.
Charlie
cominciò a mordicchiarsi l'interno della guancia e
guardò il letto
vuoto della sua compagna di stanza. Ovvero: non era esattamente
vuoto; prima di sgattaiolare fuori dalla finestra per andare a una
festa con gli altri, Linn aveva incantato i suoi cuscini in modo che
replicassero alla perfezione la sua figura addormentata. Sarebbe
stato necessario uno sguardo più che attento
perché qualcuno si
accorgesse che era solo una Proiezione. Peccato avessero usato quel
trucco almeno un migliaio di volte – e fossero state beccate
per
minimo la metà di esse.
Bussarono
di nuovo.
«Young,
Black, aprite la porta.»
La
voce gracchiante e autoritaria di Mrs Crane mandò Charlie
nel
panico. Senza sapere cosa fare, si alzò in piedi e
cominciò a
mordicchiare le pellicine del pollice, percorrendo a grandi passi lo
spazio ristretto tra la finestra e la porta. David
Tennant la fissava con la bocca aperta e gli occhi
spiritati
attraverso lo schermo del pc. Don't blink. Charlie
si fermò.
Cosa avrebbe fatto il Dottore al suo posto?
Improvvisando,
si tirò su il cappuccio della felpa –
perché i più duri avevano
sempre il cappuccio calato sulla testa – e aprì la
porta di uno
spiraglio. Mise la testa fuori e strizzò appena gli occhi,
abbagliata dal corridoio illuminato a giorno. Mrs Crane stava davanti
a lei, mani sui fianchi ed espressione di chi è pronto a dar
battaglia. Charlie non si vergognava neanche un po' ad ammettere a se
stessa che le faceva paura. Era una donna alta e ben piazzata;
nonostante fosse più vicina ai settanta che ai sessanta
– così le
voci dicevano – aveva folti capelli castani raccolti in una
stretta
treccia che le arrivava fino a metà schiena. Era una delle
combattenti più dotate che Charlie avesse mai conosciuto, e
sorvegliava la casa in cui vivevano come un falco pronto a piombare
sulla preda. Altro che Mrs Purr. C'era un motivo se Linn e i suoi
amici erano usciti prima che cominciassero le sue ronde notturne.
«Sì?»
chiese Charlie, cercando di sembrare innocente. Incrociò con
coraggio lo sguardo di Mrs Crane e lo tenne fermo nel suo il
più a
lungo possibile. Sentiva il cuore batterle forte e una parte di lei
temeva che la donna se ne accorgesse. Non poteva far beccare a tutti
l'ennesima punizione. C'erano già abbastanza persone che la
detestavano cordialmente.
«Dov'è
Eveline?»
«Dorme.»
Mrs
Crane la guardò per qualche secondo di troppo,
assottigliando lo
sguardo, come per decidere se crederle o meno.
Don't
blink.
«Tu
perché non sei ancora a letto?» Per un attimo,
Charlie rischiò di
scoppiare a ridere e mandare all'aria tutta la copertura.
«Sto
guardando una cosa al computer.»
Mrs
Crane arricciò le labbra e controllò l'ora sul
suo vecchio orologio
da polso. Charlie si alzò in punta di piedi per dare una
sbirciatina; era quasi l'una.
«Tra
cinque minuti voglio tutto spento, niente discussioni,»
«Sissignora.»
Poi le pose la domanda peggiore che
avesse mai potuto chiederle.
«Hai
visto Aaron?»
«Come?»
«Aaron.
Non riesco a trovarlo. A letto non c'è e nemmeno nelle aree
comuni o
in uno dei suoi soliti nascondigli.»
Un
orribile presentimento affondò nella pancia di Charlie.
«Ha
provato a guardare in frigo?» chiese, sorridendo con un
angolo della
bocca «Quel gatto ama la cioccolata. Sperando che non abbia
mangiato
quella di Jacob... lei sa come diventa Jacob quando gli mangiano la
cioccolata. Fossi in lei correrei di sotto.»
Un'ombra
passò sul volto della donna. Annuì, non
parlò e si allontanò di
fretta. Non appena ebbe svoltato l'angolo, Charlie si girò e
chiuse
la porta con un piede. Si fiondò a cercare il cellulare
sepolto
nelle coperte; quando lo trovò, scorse la lista dei contatti
alla
velocità della luce.
Uno
squillo, due squilli, tre squilli.
Quattro.
Dannazione, Linn, rispondi.
Stava
per riattaccare al settimo biiip a vuoto quando un'esplosione di
musica orribile le perforò il timpano. Voci strascicate e
sconosciute si accavallavano l'una sull'altra, mentre strani
suoni di cui Charlie non voleva scoprire la provenienza facevano da
sottofondo a... beh, al caos.
«CHARLIE!» urlò Linn
«GIÀ TI MANCO?»
Abbassare il volume del telefono non
sarebbe servito a niente, Charlie ne era certa.
«Non gridare, idiota» le bisbigliò
stizzita.
«COOOOSAAAA?
NON TI SENTO, CHARLIZE,
PARLA A VOCE PIÙ ALTA.» Il rumore della mano di
Charlie che
sbatteva contro la sua faccia sovrastò per un istante la
cacofonia
che proveniva da quell'aggeggio infernale. «ASPETTA, PROVO A
USCIRE.»
Dopodiché non si sentì altro se non eco
di musica a palla e gli sporadici insulti di Linn contro le persone
che non si levavano dalla sua strada. Lentamente, tutto si
affievolì
fino a diventare un debole ronzio di coda.
«Dio, Charlie, perché fa così freddo?
Siamo a Settembre, dovrebbe essere ancora praticamente
estate.»
Charlie non fu mai così felice di poter
riaccostare il cellulare all'orecchio senza dover temere la perdita
dell'udito.
«Forse perché sei uscita mezza nuda? Ma
non è questo il punto.»
«Sono in ascolto, mamma.»
Non
perse neanche il tempo di alzare gli occhi al cielo. Tanto l'altra
non l'avrebbe vista. Si sedette sul letto di Linn, pronta a sentire
la risposta che avrebbe posto fine alla loro vita sociale.
Guardò la
Proiezione della sua amica sovrappensiero. Era davvero identica a
Linn: i ricci scuri scuri e così soffici da sembrare una
nuvola, le
lunghe ciglia tremanti, le labbra carnose, leggermente dischiuse, che
sembravano fatte soltanto per essere disegnate o baciate. Le coperte
si alzavano e si abbassavano in sincronia con il suo respiro;
incorniciavano il vitino da vespa che Charlie aveva invidiato da
morire fin dal giorno in cui si erano conosciute ormai quasi quattro
anni prima. Durante le loro prime scappatelle notturne era stato
stranissimo: vedere la sua amica dormire placidamente e al tempo
stesso sapere che la vera Linn sarebbe andata con lei da qualche
altra parte. Fuggire nel cuore della notte con la protezione di
un'Altra-Charlie-ma-non-la-Vera-Charlie
a giacere nel letto al posto suo. Quando ancora viveva con la sua
famiglia non si sarebbe neanche sognata di rischiare – non
che
avesse avuto posti in cui scappare.
Adesso non ci faceva quasi più caso.
Charlie sospirò, poi si decise.
«Aaron è lì?»
Nononononononononotipregodimmidinodimmidinodimmidi-
Linn scoppiò a ridere. «Oh, sì. Non
sappiamo di preciso come abbia fatto, ma è saltato dentro la
borsa
di Melanie e ce ne siamo accorti quando ormai era troppo tardi per
tornare indietro. Quel gatto è fantastico.»
«Quel gatto ci farà finire in punizione
per il resto delle nostre miserabili esisten-»
«GUARDA DOVE CAMMINI, GENIO!»
E di' addio al tuo apparato uditivo.
Charlie si portò una mano all'orecchio, maledicendo per la
trilionesima volta la sua compagna di stanza.
«Ma ti
pare possibile che ci siano ancora persone che tra tutti i chilometri
di
larghezza del marciapiede scelgano sempre di correre nel centimetro
già occupato?!»
«Dovete riportare Aaron indietro,
adesso.»
«Cosa? No!»
«Ascolta, Linn-»
«No, Charlie! Aaron sta bene, l'ultima
volta che l'ho visto gironzolava con Maya mangiando un leccalecca.
Capisco che tu sia asociale e odi il mondo e quant'altro, ma non per
questo devi rovinare a noi – a me –
la prima festa decente
da-»
«Mrs Crane lo sta cercando.»
Il silenzio raggiunse Charlie come un
vecchio amico che non si vede da anni. E di cui si è
scordato il
nome.
Durò esattamente nove secondi.
«Merda.»
Già. Merda.
***
«GUARDA DOVE CAMMINI, GENIO!»
La scarica che attraversò Logan quando
si scontrò con la ragazza di colore lo lasciò per
un attimo senza
fiato. Si voltò verso di lei, occhi spalancati e cuore
palpitante.
Le dita già gli sfrigolavano, in attesa del colpo che
avrebbero
dovuto parare.
Quel colpo, però, non arrivò mai.
Non è possibile. Non poteva non
averlo riconosciuto, non poteva. Gente come lei era fatta per
cacciare e uccidere quelli come lui, così come lui lei. Era
questione di DNA.
E invece no.
La ragazza gli dava persino le spalle
-completamente indifesa. Stava farfugliando qualcosa al telefono
riguardo marciapiedi troppo grandi e persone maleducate. Come se non
se ne fosse accorta. Come se non l'avesse neanche sentito.
Logan accarezzò l'idea di ucciderla.
Sarebbe stato così facile. Nessuno se ne sarebbe accorto,
umano e
non: avrebbe soltanto dovuto rilasciare un briciolo dell'energia che
gli saltellava sul palmo della mano perché l'aria smettesse
di
raggiungerle i polmoni. O forse le avrebbe fermato il cuore? Arresti
cardiaci da giovani erano rari, certo, ma non impossibili. E Logan
aveva perfezionato un tocco troppo gentile perché qualcuno
potesse
percepire tracce della sua magia. Sarebbe bastato un semplice
schiocco di dita.
(Il più delle volte).
Stava per sfiorare i capelli della
ragazza quando si fermò. Sorrise. No.
Abbassò il braccio con
cautela e proseguì di nuovo in direzione della festa.
La strega sarebbe stata più utile da
viva.
Per il momento.
***
Con uno sbuffo, Charlie chiuse la
chiamata. Maledetta Linn. Non era così che sarebbe dovuta
andare la
sua serata. Mise il cellulare nella tasca dei pantaloni e si
infilò
di corsa il primo paio di scarpe che riuscì a recuperare da
sotto il
letto, lasciandole slacciate. Si girò verso la porta,
pervasa dal
dubbio. Chiuderla o non chiuderla? Se Mrs Crane fosse ripassata di
lì
e l'avesse trovata chiusa a chiave, si sarebbe di certo insospettita.
Dall'altro lato, se fosse entrata e non l'avesse trovata a letto
–
o peggio, se avesse smascherato la Proiezione di Linn –
sarebbero
stati guai seri. Charlie non aveva il tempo materiale per produrre
una Proiezione anche per sé. E poi era Linn quella veramente
brava;
il massimo che lei fosse mai riuscita a ottenere era stata una
figurina minuta e con i capelli corti come i suoi, ma con la faccia
completamente diversa.
Dandole un'ultima occhiata veloce,
Charlie sbuffò di nuovo e girò la chiave nella
serratura. Una porta
chiusa le avrebbe fatto guadagnare un paio di minuti in ogni caso.
Già si sentiva il fiato sul collo.
Io Linn la ammazzo.
Si preparò mentalmente all'impresa e
spalancò la finestra. La scavalcò con una gamba,
sedendosi
sull'infisso, e guardò in basso. Avrebbe potuto scendere a
terra
anche a occhi chiusi; lei e Linn avevano passato un pomeriggio intero
sedute sull'erba davanti a quella parete per studiare tutti gli
appigli più sicuri. Il percorso era perfetto ed era stato collaudato
infinite volte. Non c'era pericolo di cadere.
Se solo quell'orribile presentimento
avesse smesso di tormentarla. Le faceva prudere il naso.
Charlie scacciò dalla testa ogni
pensiero che non riguardasse il recupero di Aaron. Non si
guardò più
indietro, scavalcò la finestra anche con l'altra gamba e
cominciò
la discesa, aggrappandosi ad ogni sporgenza e ai rampicanti
più
resistenti. Quando mancavano un paio di metri si lasciò
cadere nel
vuoto. Atterrò piegando le gambe e rotolando per attutire il
colpo,
silenziosa come un ninja.
«Black»
Le sembrò che la terra le venisse
sfilata da sotto i piedi.
«Yuh-uhuh? C'è nessuno? Avanti, Black,
esci fuori da quei cespugli. Tanto lo sai che ti ho vista»
Charlie, reclutante, si alzò. Ma
l'orizzonte era sgombro fin dove poteva vedere; non c'era traccia del
proprietario della voce.
«Sono qui sotto!» cantilenò. Charlie
si girò un po' verso destra, strizzando gli occhi. A qualche
metro
da lei, nascosto dall'ombra di un albero, stava steso un ragazzo con
una zazzera di capelli tinti di un rosso fuoco quantomai ridicolo.
«Che ci fai fuori da sola nel cuore della notte, Charlie
Brown?»
Charlie, per l'ennesima volta, sbuffò.
«Non ho tempo per i tuoi giochetti,
Bartholomew» Lui
scoppiò a ridere.
Charlie si guardò intorno, sperando che non li vedesse
nessuno
«Bene, è stato bellissimo chiacchierare con te, ma
io adesso dovrei
andare.» Cominciò ad avviarsi nella direzione
opposta, quando la
voce del rosso la bloccò di nuovo.
«A meno che non vada ad avvisare la
nostra cara Mrs Crane?»
Chiuse gli occhi e respirò piano.
«Che cosa vuoi?»
«Oh, finalmente ci siamo» Bartholomew
si alzò lentamente, stiracchiandosi pigro come un gatto
«Dove stai
andando?»
«A salvare il culo a quelli che sono
andati alla festa perché si sono portati Aaron e la Crane lo
sta
cercando.»
Il ragazzo arricciò le labbra e si
avvicinò di qualche passo «Sembra noioso»
«È una fortuna che non sia tu a doverlo
fare, allora» disse Charlie stizzita. Stava perdendo tempo.
Troppo
tempo «Posso andare, ora?»
«Certo che no! Dobbiamo ancora stabilire
che cosa mi devi in cambio del mio silenzio»
«Ma che idiozia è q-»
«Oh, guarda. Si è accesa una luce in
soggiorno» Charlie si girò ad occhi sgranati, lo
sguardo incollato
alle finestre illuminate. Doveva andarsene. Adesso. «Potrei
anche
lanciare un sassolino contro il vetro e vedere se qualcuno
risponde»
«Oppure potrei lanciare io
qualche sassolino e vedere se qualcuno risponde»
A quelle parole, le sopracciglia di
Bartholomew scattarono verso l'alto.
«Io non credo, piccola Nec. A
meno che tu non voglia far visita ai tuoi genitori» Ma
Charlie
leggeva qualcosa di diverso dalla spavalderia nelle sue spalle
d'improvviso più rigide e le mani che fremevano. Incertezza.
Paura.
Ce n'era sempre un po', quando il vento soffiava dal lato sbagliato e
lei era nei paraggi.
Bartholomew rise, una risata leggera che
non raggiungeva gli occhi. Indietreggiò di un passo,
lasciandola
andare. «Sappi però che mi devi un favore,
Black.»
Charlie non lo degnò di un altro sguardo
e si avviò verso i confini del parco. La luna nuova dava un
minimo
di protezione da occhi indiscreti, ma Charlie si tenne comunque
lontana dalla strada sterrata che conduceva al cancello d'entrata.
Nascosta in mezzo ai cespugli, c'era una parte della solida
recinzione in ferro battuto sotto la quale era stato scavato un
passaggio largo abbastanza per il più grande di loro.
Piccolina
com'era, Charlie non dovette nemmeno sforzarsi per sgusciare via.
Qualche metro più avanti si stagliava
invisibile la barriera che avvolgeva la casa come una cupola. Teneva
lontani i nemici – ma soprattutto gli umani. Dall'esterno era
pressoché impenetrabile. Dall'interno... beh, quelle erano
di certo
un altro paio di maniche. Già da prima che Charlie
arrivasse, i
ragazzi erano riusciti a indebolirla in prossimità del
passaggio,
così che la vibrazione di energia durante le loro
uscite-non-esattamente-autorizzate fosse a stento percettibile.
Charlie individuò in fretta il punto, quel debole tremolio
captabile
solo da occhio non-umano che a tratti rifletteva il luccichio delle
stelle. Quando lo attraversò incontrò soltanto
una leggera
resistenza.
Dall'altro lato, le sembrò di respirare
per la prima volta. I campi di forza non erano la sua passione.
Raggiunse la strada e recuperò una
bicicletta malridotta mimetizzata tra i rovi e le radici degli
alberi.
Non le restava che pedalare e pedalare,
sperando che non fosse già troppo tardi.
***
Linn si strinse nella giacca di pelle e,
nonostante i brividi di freddo, decise di restare fuori qualche altro
minuto. Rovistò nella tasca sinistra e prese l'ultima
sigaretta dal
pacchetto. Era il terzo di quella settimana; se Mrs Crane o la
Direttrice Monroe l'avessero scoperta, l'avrebbero di certo rinchiusa
a vita. Non che adesso fosse autorizzata a fare alcunché
– ma
almeno la sorveglianza era ridicola.
Tranne quando scoprivano che Aaron ne
aveva combinata una delle sue.
Linn sospirò, fissando quel piccolo
cilindro bianco con la fronte aggrottata. Se non si contava il
filtro, era lungo quanto il suo indice, fragile e liscio; sotto la
superficie poteva sentire tutti i suoi componenti tritati e pressati
assieme per creare quel piccolo assaggio di peccato. Avrebbe dovuto
premere solo un po' più forte per spezzarlo in due. Se lo
lasciò
rotolare sulla pelle, stretto tra due dita. Poi, senza rimuginarci
ancora, si appoggiò al muricciolo dietro di lei e accese la
sua
ultima sigaretta.
Si godette la sua piccola bolla di
silenzio, estraniandosi dal caos della festa a qualche decina di
metri da lei.
La lasciò insoddisfatta, come sempre.
Spense il mozzicone con la punta delle
décolleté e tornò dentro.
Il calore che la investì fu quasi un
sollievo, la musica a tutto volume, le risate, le luci, i colori.
Appese la giacca sull'unico appendiabiti che non straripasse e si
rituffò nel mare di corpi che si dimenavano al ritmo
dell'house. Non
esattamente il suo genere preferito, ma si accontentava.
Dove diavolo erano finiti i suoi amici?
Quando era uscita per parlare con Charlie li aveva lasciati
praticamente all'entrata, ma di loro non c'era più traccia.
Charlie.
Linn si morse il labbro, e cominciò a
cercare in giro. Doveva ammetterlo: si sentiva un po' in colpa. C'era
un motivo se Charlie non aveva voluto venire alla festa, e davvero,
Linn lo capiva. Non doveva essere bello vedere la ragazza per cui hai
una cotta da quando hai memoria infilare la lingua nella bocca di
qualcun'altra. E dire che Mary Reed non si facesse riserve era
più o
meno l'eufemismo del secolo.
«Jacob!» esclamò Linn, afferrando il
braccio del ragazzo. Lui e gli altri si erano rintanati in un
angolino mal illuminato, accatastati su un divano che aveva visto
giorni migliori. Era impossibile respirare aria che non fosse
contaminata da fumo non-esattamente-di-sigaretta. Seduto nel mezzo
tra i cuscini strappati c'era un tizio – un umano
– con un
sorriso ebete incollato sulla faccia.
Era completamente fatto.
«Linn!» Jacob la avvolse in un mezzo
abbraccio, facendola cadere sopra di lui «Dove ti eri andata
a
cacciare? Ma adesso non importa,» la zittì ancora
prima che
cominciasse a spiegare. Un sorriso sghembo gli uscì sulle
labbra,
mentre cercava (invano) di sembrare serio. «In questa
bellissima e
gloriosa serata, mia cara Eveline, ho l'onore di
presentarti...»
Scoppiò in una risata sguaiata, e diede una pacca sulla
spalla al
ragazzo accanto a lui per richiamare la sua attenzione «Ehi,
com'è
che ti chiamavi?»
Quello si girò verso di loro, aprì
ancora di più il sorriso e si accasciò contro lo
schienale del
divano emettendo versi incomprensibili.
«Non credo abbia mai detto il suo nome,»
commentò Cam dall'altro lato del divano.
«Porca vacca. Ma che diavolo gli avete
dato?»
«Una
delle nostre.»
Cam prese un
sorso del suo drink azzurro puffo e sprofondò l'indice nella
guancia
del ragazzo. Non ottenne alcuna reazione. «Guardalo,
è così
carino. Quando si sveglierà domani... sera –
sì, dai, per domani
sera riuscirà a svegliarsi, no? - gli sembrerà di
essere tornato
dal paese delle meraviglie.»
Linn alzò gli occhi al cielo, ma si
lasciò scappare un mezzo sorriso. Si sistemò
meglio sulle gambe di
Jacob e gli rubò di mano il suo bicchiere. Annusò
il liquido
arancione che conteneva, girando con la cannuccia i cubetti di
ghiaccio che stavano sciogliendo. Prese un piccolo sorso di prova, e
sospirò contenta. Sì, c'era abbastanza alcol.
«Sapete dov'è Aaron?»
«Chi?»
Linn sbuffò e tirò un calcio a Cam,
facendo ondeggiare pericolosamente l'umano tra di loro. Jacob lo
raddrizzò con una mano «Aaron, idiota.»
Di fronte all'espressione persa del
biondo, la ragazza si girò verso Jacob. Il suo sguardo
colpevole
parlava da sé.
«Uhm,» Jacob finse un colpo di tosse.
Linn alzò un sopracciglio. «Anche Cameron potrebbe
essersi fumato
un paio delle nostre sigarette artigianali?»
Gran bel nome per della marijuana
incantata. Almeno lei fumava solo tabacco.
«Definisci un paio.»
«Cinque o sei?»
Linn nascose la testa tra le mani. Erano
proprio nei pasticci.
«È la volta buona che ci uccidono.»
***
Non appena arrivato sul tetto della
fabbrica, Logan fece apparire un fuoco scoppiettante in uno schiocco
di dita e scintille argentate. Si tolse la giacca di jeans cercando
di non badare al freddo e si stiracchiò, tendendo le braccia
per
sciogliere i muscoli.
Tagliò fuori qualsiasi rumore che non
fosse il battito del suo cuore o la voce ancora senza volto che
continuava a chiamare il suo nome.
Logan. Logan. Logan.
Il brivido che gli percorse la schiena
non aveva nulla a che vedere con la temperatura.
Il ragazzo si scrocchiò le dita.
C'era del lavoro da fare.
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