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Capitolo III
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Erano passate due settimane dall'arresto di Marvolo e Morfin Gaunt e
Merope, come ripresasi da una brutta malattia, era tornata a vivere.
Della buia catapecchia non vi era più traccia e al suo posto,
immersa nel verde ombroso delle fronde alberate, sorgeva una piccola
casupola squadrata dalle mura bianche. Il giardino, ben curato, era un
tripudio di colori e dalle finestre aperte usciva un intenso aroma
speziato, ogni giorno diverso e sempre invitante.
Merope, ora libera dall'oppressione della sua famiglia, era andata
incontro a una drastica e felice metamorfosi. Lo strabismo e i
lineamenti duri non le conferivano più quell'aspetto strano e
quasi grottesco; pur non potendosi definire bella, per la prima volta
Merope dava un impressione di sicurezza e maturità, a suo modo,
affascinante.
Se qualcuno si fosse affacciato a quel davanzale, ora pulito e ornato
di vivaci vasi di fiori profumati, avrebbe visto una giovane donna
allegra e spensierata, intenta ad esercitarsi in magie e incantesimi.
Era davvero incredibile, ma da quando era sola, Merope aveva scoperto
non solo di non essere una Maganò, come le ripeteva di continuo
suo padre, ma di essere anche molto versata nella arti magiche, in
particolare nella preparazione di filtri e pozioni.
Questa scoperta, insieme alla passione bruciante che minacciava di
arderla dall'interno, l'aveva convinta a mettere a punto un piano che
certamente il Ministero non avrebbe considerato legale o ammissibile:
rovistando tra i polverosi volumi di incantesimi che suo padre teneva
nascosti sotto un'asse del pavimento, Merope aveva trovato la ricetta
di un potente filtro d'amore.
Recuperati tutti gli ingredienti, aveva seguito le istruzioni alla
lettera e adesso, dopo aver lasciato l'intruglio a riposo per un giorno
e notte, si apprestava ad aggiungere il tocco finale, un elemento di
sua invenzione, che, ne era ormai certa, avrebbe reso il sogno non solo
possibile, ma anche infallibile.
Un rumore di zoccoli giunse da fuori proprio mentre Merope dava
l'ultima rimestata alla pozione. Afferrò un calice e
mormorò la formula “Aguamenti”: l'acqua, fresca e
cristallina, scintillò chiara nella penombra. Aggiunse alcune
gocce del filtro appena ultimato, quindi si affrettò ad uscire,
proprio quando un cavaliere, alto e splendente come i principi delle
fiabe, attraversava al piccolo trotto il vialetto di fronte alla casa.
«Buongiorno signore» salutò Merope.
L'uomo, il bel giovane per cui Merope tanto sospirava, con fredda cortesia, rispose al saluto.
«Oggi fa molto caldo, non crede?» continuò Merope,
apparentemente cieca davanti all'espressione infastidita dell'uomo a
cavallo.
«Prenda un po' d'acqua, la salita fino al colle è lunga e
il sole è ancora alto nel cielo» lo esortò,
allungando il calice in direzione del giovane, che, sempre irritato, lo
prese.
Forse, per un attimo, il pensiero che accettare dell'acqua, per quanto
apparentemente innocua, da un altrettanto apparentemente innocua
sconosciuta, non fosse una buona idea attraversò la mente del
giovane Tom Riddle. Ma, forse per la buona educazione impartitagli dal
suo precettore, o forse, per una reale necessità di inumidire la
sua gola improvvisamente diventata arida, accettò.
Non appena liquido cristallino bagnò le sue labbra, una
sensazione di piacere mai provato prima lo invase completamente:
quell'acqua, da dovunque provenisse, era decisamente la più
buona che avesse mai assaggiato.
Con due, avidi sorsi, svuotò il calice, sentendosi più
rinfrancato e più assetato allo stesso tempo. Tuttavia, non
volendo abusare della gentilezza della donna, si limitò a
ringraziare, riprendendo la sua strada, mentre un unico desiderio
cresceva nella sua mente e sembrava galoppare più veloce di
qualsiasi cavallo: doveva tornare in quella casa, da quella fanciulla,
chiunque ella fosse.
E,
infatti, il giorno dopo Tom Riddle fece ritorno. Merope gli
offrì ancora la sua acqua e l'uomo indugiò quanto
poté prima di riprendere il cammino.
Il giorno dopo ancora, giunto nei pressi della casa, smontò da
cavallo, e rimase per ore a parlare con la magnifica creatura che lo
ingozzava di squisita acqua e dolci parole.
Il terzo giorno, nonostante non avesse affari da sbrigare giù in
città, raggiunse la casupola immersa nel bosco e, accettato
l'invito a entrare, passò lì l'intera giornata, beandosi
della bellezza e della delicata semplicità che quella ragazza,
Merope, emanava ad ogni gesto, irradiandolo di felicità.
Il quarto giorno, ormai completamente invaghito di lei, preso da un
impeto irrazionale eppure perfettamente logico e sensato, attese
paziente che la sua bella si affacciasse alla finestra, dove lui
l'aspettava, colmo di desiderio e di amore, inginocchiato, l'anello di
sua madre rovente tra le sue mani nervose.
«Merope, mia dolcissima Merope, vorresti farmi lo straordinario
onore di diventare di mia moglie?» chiese, o meglio,
declamò, da tanto aveva ripetuto quelle parole e riprovato quei
gesti.
Lei, la sua musa, la sua dea, con un sorriso delizioso che le si
allargava sul viso leggermente arrossato per l'emozione, accettò.
E così, in gran fretta per la troppa passione, all'insaputa di tutti, Merope divenne la signora Riddle.
La vita non era mai stata tanto perfetta.
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