Nota dell'Autrice: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.
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Sei bicchieri di vodka. Quattro
vuoti, due pieni a metà.
Musica jazz di sottofondo. Le tre in punto di una notte post concerto
come
tante altre. Migliore, forse, una di quelle da ricordare, ma che
finirà
dimenticata, come tutte le altre.
I ricordi non hanno più
senso. Si perdono in spirali vuote
di ceneri e fumo, sciolti in una pioggia che da troppo tempo cade
incessante
senza lavare via alcun dolore.
Mani bianche su vetro, labbra stanche
bagnate dall’alcol.
Due paia di occhi si scrutano e si chiedono se quello che
c’è da dire ferirebbe
la gola nell’essere pronunciato.
“Non sei stanco?”
La voce di lei è limpida,
chiara, musicale. Gli posa una
mano su una spalla, ma lui china il capo.
“Sono solo le
tre.” Risponde. Sa che la stanchezza a cui si
riferisce lei è ben altra, quella profonda e silenziosa che
da anni lo sta
logorando, ma fa finta di niente. Lo ha sempre fatto. È
così che si costringe a
sopravvivere.
Lei tenta un sorriso.
È bella. Così
bella…
Non è alta, ma ha un
fisico asciutto e femminile. Una carnagione
pallida come la luna, capelli scuri, lunghi, lisci, e occhi verdi come
l’acqua.
Si chiama Senja
Hämäläinen, ha ventisei anni, e da otto
mesi,
dopo l’abbandono di Anette, è la nuova vocalist
dei Nightwish. Si è affezionato
in fretta a lei, nonostante tutto. La ama ed è certo che non
sia un amore di
riflesso per ciò che lei gli ricorda, perché
l’amore che prova per lei è quello
puro e semplice di un fratello.
L’ha incontrata per caso,
un pomeriggio d’inverno di circa
un anno fa. Prima ancora di vederla, ha sentito la sua voce. Stava
canticchiando fra sé una canzone degli After Forever, ed era
perfetta. Poi lei si
è voltata, e lui l’ha vista.
Ancora adesso, ogni volta che la
guarda, il suo cuore per un
attimo cessa di battere. Perché Senja non sarebbe
così bella se non fosse così
simile a quella ferita aperta che lui ha nel cuore.
L’ha voluta per questo: per
il dolore che averla accanto gli
provoca. Credeva di essersi già punito in tutti i modi
possibili per le proprie
scelte, ma poi ha incontrato lei, e ha capito che il fondo non lo aveva
ancora
toccato.
“Molla questa
roba.” Gli ordina Senja, strappandogli il
bicchiere dalle dita. Lui non ha volontà. La lascia fare
senza nemmeno
sollevare gli occhi.
Lei si sfila di tasca una banconota
da venti euro e la lascia
sul bancone, poi lo prende per mano e lo esorta ad alzarsi.
“Su, avanti,” Lo
strattona, lo costringe a tirarsi su, poi lo
fa appoggiare a sé, il suo braccio attorno alle spalle.
“Ti accompagno di
sopra.”
L’hotel è
grande, lussuoso, freddo. Lui la segue con
l’arrendevole mollezza con cui seguirebbe il proprio
carnefice fino al
patibolo. Non gli importa dove stanno andando. È conscio che
comunque non
arriverà mai da nessuna parte.
Vorrebbe piangere, adesso, mentre si
trascina con lei
attraverso il corridoio deserto, solo perché sarebbe il
momento giusto per
farlo.
Il sostegno di Senja è
solido, determinato, e sa di affetto
sincero. E di rispetto. Lui si aggrappa a lei per non cadere, eppure
sente di
inciampare ogni volta che i loro sguardi si incontrano. Gli risveglia
dentro
troppe debolezze.
“Sono passati cinque
anni,” gli sussurra Senja all’orecchio,
mentre lo aiuta a sedersi sul letto, poi prende posto accanto a lui.
“E tu sei
ancora su quel palco, a stringere quella mano senza riuscire a
lasciarla andare.”
È preoccupata. Si è presa cura di lui fin dal
primo giorno, ignorando i suoi
modi distaccati, la sua distanza. “Sei ancora lì,
alla fine di tutto.”
Lui non risponde. Il suo sguardo
è vacuo, fisso avanti a sé.
Ha paura che se apre la bocca, ne uscirà un singhiozzo.
Senja lo abbraccia. Capisce. Lui
abbandona la testa sulla
sua spalla e chiude gli occhi. Vorrebbe morirci, in
quell’abbraccio, morire tra
un paio di braccia che gli ricordano quelle in cui così
spesso si è sentito
veramente vivo.
Ma è tutto finito, ora.
È tutto passato, cancellato, e ciò
che resta non è che un pallido riflesso di luce sul presente.
L’Era è finita.
La gloria, la serenità, la soddisfazione, la
gioia… ha perso tutto, quella notte di cinque anni fa, ed
è stato lui a
rinunciarvi.
Per che cosa, nessuno lo sa. Lui
stesso se lo domanda ogni
notte, ma il buio non gli ha mai concesso risposte.
“Hai aspettato per una vita
intera,” Mormora Senja, mentre
gli accarezza i capelli. “E sei sempre stato solo.”
Lui la sente, la compassione. Sente
che lei prova pena per
lui, ma non dice niente. Vuole solo dimenticare. Dimenticare
soffocandosi in
una languida memoria.
Mille promesse in mille canzoni,
mille parole strappate e
gettate nel vento. Mille note, mille sussurri, mille sospiri, e si
chiede se
siano mai stati ascoltati.
Senja lo culla, senza aspettarsi
reazioni. Fradicio di
apatia, lui ascolta le sue verità e si lascia tagliare dalla
loro durezza.
Niente che non sappia già,
ma sente che non finirà mai di
imparare.
“Stai ancora aspettando,
non è vero?” La voce di Senja lo
sfiora sul viso. “Hai voluto tu che finisse, ma la stai
ancora aspettando. Non
hai mai smesso di aspettarla”
Lui tace. La sua mente è
nebbiosa e qualcosa gli brucia nel
petto e negli occhi.
Non
è rimasto amore in
lui. Non ha occhi per vedere il paradiso che ha accanto. La sua ora
deve ancora
giungere, e lui sarà…
Tuomas glielo ha promesso. Glielo ha
giurato, e così sarà, sempre.
Il suo voto resta eterno. Anche se
l’ha voluta lontana.
Forever yours.
Anche dopo la fine.
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A/N:
beh,
credo ci sia poco da dire. Avevo questa ispirazione triste e ho buttato
giù
questa oneshot piccina piccina, di nuovo con Tuomas come protagonista.
In caso
non fosse sufficientemente chiaro, la dolorosa presenza incombente cui
si fa
spesso riferimento è ovviamente Dio
Tarja, non Anette.
I commenti sono sempre apprezzati,
penso che chiunque lo
sappia, quindi spero ne lascerete uno. ;)
Le due frasi in grassetto sono tratte
dalla splendida
Forever Yours, proprietà esclusiva dei Nightwish e, nella
fattispecie, del
genio di Tuomas Holopainen. Idem per il titolo.
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