Fidati
di me
Quel
pomeriggio, Poe si ritrovò a correre tra la folta
vegetazione di Yavin 4.
Teneva
in mano uno straccio impregnato d’acqua, e ad ogni
falcata lo sentiva battere contro il proprio petto. Aveva la maglia
ricoperta di chiazze di bagnato, ormai, ma non gli dava fastidio. Col
caldo che c’era, era quasi piacevole.
Vedendo
che le piante iniziavano a diradarsi, rallentò il
passo, e dì lì a poco sbucò in una
piccola radura.
I
suoi occhi saettarono verso l’albero che cresceva al centro
dello spiazzo. Era enorme, dal tronco largo e robusto, e torreggiava
senza difficoltà sulle piante giovani e gli intrecci di
liane che delimitavano la radura.
Appollaiato
sulle sue radici nodose si trovava un bambino minuto, coi
capelli neri e le orecchie grandi. Si teneva le mani in grembo e aveva
il viso chino.
Temendo
che stesse piangendo, Poe lo chiamò –
«Ben?» – e lui alzò subito lo
sguardo. Si stava mordendo il labbro, ma i suoi occhi e le sue guance
erano asciutti.
Sollevato,
Poe gli giunse davanti, e scosse appena lo straccio.
«Missione compiuta».
Ben
sbatté le palpebre e allungò le mani. I suoi
palmi erano gonfi ed arrossati, coperti da una sostanza giallastra e
appiccicosa.
Poe
trasalì interiormente. Conosceva bene il bruciore che
Ben doveva provare in quel momento. Si inginocchiò sul
terreno, e poi, più delicatamente che poté, prese
le mani dell’altro bambino nella propria e vi
passò sopra lo straccio bagnato.
«Ti
avevo detto di non arrampicarti su quella
pianta» disse, in tono di rimprovero.
Le
guance pallide di Ben avvamparono. «Pensavo… ho
pensato lo dicessi perché non mi credevi capace di
farlo».
Poe
interruppe lo strofinamento per fissarlo, gli occhi ridotti a
fessure. «Non te l’ho detto per quello!
L’ho detto perché quella corteccia ti irrita tutta
la pelle!»
«Be’,
adesso lo
so».
Per
uno che doveva provare un bruciore insopportabile, Ben
riuscì a suonare notevolmente risentito.
Poe
avrebbe ribattuto, ma era distratto dal pensiero che se non altro
adesso si spiegava come mai l’amico non gli avesse dato
retta. A forza di trascorrere del tempo con lui, infatti, aveva capito
che spesso il modo più veloce di spingere Ben a fare
qualcosa era dirgli che non ne sarebbe stato in grado.
Non
che Poe lo giudicasse per questo; sarebbe stato ipocrita da parte
sua, dato che prendeva sempre commenti del genere come una sfida.
Poi
Ben parlò di nuovo, stavolta in tono stranamente
ansioso. «Ti hanno visto? Prendere lo straccio, voglio
dire».
«Nah»
rispose Poe, scuotendo la testa.
«Erano in soggiorno a ridere per chissà
cosa».
A
ben pensarci, forse la principessa Leia – o meglio la
senatrice, era una senatrice adesso, per quanto lui faticasse a
separarla dal titolo che aveva in tutti i racconti dei suoi genitori
– forse lei l’aveva visto, ma non gli parve il caso
di puntualizzarlo.
«Quindi
non sanno che cos’è
successo» dedusse Ben.
Poe
gli inclinò una mano per poterla pulire meglio.
«È un segreto tra me e te».
A
dirla tutta, non capiva perché Ben ci tenesse tanto a
tener nascosto cos’era successo ai loro genitori.
D’accordo, si era comportato un po’ da stupido,
arrampicandosi su quella pianta anche se Poe lo aveva avvertito di non
farlo, ma non era certo la fine del mondo.
In
ogni caso, però, Poe era disposto a tacere sulla cosa, se
questo era quello che il suo amico voleva.
Strizzò
appena lo straccio per bagnare un po’ di
più le mani di Ben, e gli gettò
un’occhiata di scuse quando l’altro ebbe un piccolo
sussulto.
«Lo
so» disse, «fa male. Quando
è successo a me mi sono pure venute le lacrime».
Ben
lo guardò come se pensasse che gli stesse mentendo per
farlo sentire meglio.
«Chiedi
a mio padre se non mi credi» lo
sfidò allora Poe.
Tornò
a dedicarsi alla sua opera di pulizia, e per qualche
momento i soli suoni che si udirono furono i respiri spezzati di Ben e
il cinguettio degli uccelli.
«Poe?»
chiamò poi Ben.
«Perché sei sempre così
buono?»
Poe
continuò il suo lavoro. «Faccio del mio
meglio».
Stava
scherzando, più o meno, ma la sua risposta parve dar
da pensare al bambino più piccolo.
«Credevo
ti venisse naturale».
Poe
alzò gli occhi per mostrargli un sorriso. «No,
devo impegnarmi. Specialmente quando ci sei di mezzo tu».
Ben
non sorrise di rimando, e distolse lo sguardo.
«Perché?»
aggiunse allora Poe,
«a te viene naturale?»
Gli
occhi scuri di Ben saettarono sui suoi. «Io non sono
buono».
Preso
in contropiede, Poe smise di sfregargli le mani. «Cosa
dici?» protestò. «Certo che sei
buono».
«No»
insistette Ben, con aria cocciuta.
Poe
rimase a fissarlo per qualche istante. Ben aveva i capelli scuri
attaccati alle tempie per il sudore, le labbra serrate in una piega
ostinata.
«Chi
ti ha detto che non sei buono?»
Non
poté evitare di suonare un tantino sospettoso. Ogni
tanto, quando Ben e i suoi genitori erano in visita, Poe se lo
trascinava dietro a giocare coi suoi amici e i suoi cugini.
Sapeva,
però, che Ben non andava a genio quasi a nessuno,
perché non era proprio bravissimo a stare in compagnia. E il
fatto che ogni tanto si coprisse le orecchie, mormorando qualcosa tra
sé e sé, non aiutava di certo.
A
Poe non risultava che lo avessero mai trattato davvero male
– il massimo erano state delle lamentele perché
non mostrava i suoi poteri da Jedi agli altri bambini –
però chissà…
«Non
è stato nessuno» affermò
Ben. «So che è così e basta».
Poe
emise uno sbuffo. «E come faresti a saperlo?»
Ben
esitò, e si mosse come per allontanarsi da Poe il
più possibile. «Hanno paura»
sussurrò. «Certe volte. Quando mi
guardano».
«Chi?»
chiese Poe.
Ben
non rispose. Sembrava in seria difficoltà, adesso.
Nervoso, quasi impaurito. Forse si era pentito di aver parlato.
«Per
me è una stupidaggine»
tagliò corto Poe. «Io so che sei buono».
L’altro
bambino scosse la testa. «Non sai
tutto».
«Forse
no» concesse Poe,
«però… Fammi vedere le mani».
Ben
aggrottò la fronte ma obbedì, sollevando le
mani per mostrargliele. La sua pelle era ancora arrossata, ma non
c’era più resina e il gonfiore era decisamente
migliorato.
«Non
ti fanno più male come prima, vero?»
Seppur
guardingo, Ben fece segno di sì.
«Quindi
forse non so tutto, ma qualcosa lo so»
concluse Poe con una punta di trionfo. «Sapevo come farti
passare il male. Fidati di più di me quando ti dico che sei
buono».
Ben
lo fissò con aria quasi ipnotizzata. Sembrava volesse
credergli, disperatamente, ma non osasse farlo.
«D’accordo?»
insistette Poe.
Lentamente,
l’altro bambino incontrò il suo
sguardo. «D’accordo».
E
forse Poe se lo stava immaginando, ma pareva già
più rassicurato. Soddisfatto, si alzò in piedi e
gli porse la mano in cui non stava stringendo lo straccio.
«Del
resto» non riuscì a trattenersi
dall’aggiungere, mentre lo tirava su, «se ti fossi
fidato di me anche prima non ti saresti nemmeno fatto male!»
Note:
Ringrazio Itsamess,
perché è merito suo
– e della sua recensione – se sono riuscita a
mettermi a lavorare su quest’idea che mi ronzava in testa da
un po’…
E niente, spero che il risultato non sia terribile, e che questa OS non
abbia inorridito nessuno!
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