Veterani a raccolta

di Ellery
(/viewuser.php?uid=159522)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


3. Il futuro di Levi


* Cowt8 - Week 3
* Parole: 944
* Personaggi coinvolti: Levi


Levi osservò il proprio riflesso. Erano passati quarant'anni da quel giorno; dalla scelta che aveva cambiato la sua vita, e forse anche il destino dell'umanità. 

«Nessun rimpianto» sussurrò a denti stretti, mentre le labbra avvizzite si piegavano in una smorfia pensierosa. Squadrò la figura magra che, dallo specchio, gli stava restituendo uno sguardo vuoto, quasi malinconico. 

Il tempo aveva scavato il viso, rendendolo una ragnatela di rughe costellata di minuti nei brunastri. I capelli, ancora tagliati nell'undercut ordinato, avevano assunto una sfumatura argentata: fili neri si intervallavano alle ciocche bianche, resistendo stoicamente. 

Gli occhi grigi spiccavano tra le grinze della pelle, in contrasto con le occhiaie scure che non lo avevano mai abbandonato. Anche il fisico si era rattrappito, perdendo la tonicità e l'allenamento. I muscoli erano appena visibili sotto la cute pallida, troppo sfuggente per poter essere semplicemente definita "morbida".

La gioventù si era spenta del tutto e lo aveva abbandonato, consegnandolo al flaccido abbraccio della vecchiaia. Non era rimasto nulla dei tempi passati, se non il ricordo dei giorni in cui ancora il vigore scorreva tra le sue membra. 

Era l'ultimo della sua generazione; l'unico ad essere sopravvissuto abbastanza a lungo da vedere la soglia dei settanta. Hanji se n'era andata da parecchio, ormai. Lo aveva lasciato poco dopo la fine della guerra: un'epidemia aveva decimato la popolazione di Paradise, portandosi via anche lei. Strano a dirsi, la morte lo aveva rifiutato: aveva contratto la malattia in forma lieve ed era sopravvissuto. Ancora e da solo, ormai.

Della centoquattresima non aveva avuto più notizie: i ragazzi erano cresciuti ed avevano preso strade diverse; sapeva soltanto che Connie e Sasha si erano trasferiti a nord di Stohess e Jean li aveva seguiti. Historia aveva recentemente abdicato in favore della figlia. 
Non uno si era mai preoccupato di lui: dopo l'ultima battaglia, erano scomparsi tutti, assorbiti da compiti ben più pressanti. Nessuno era passato a trovarlo, a chiedere come stesse o se avesse bisogno di qualcosa.

A ben pensarci, la sola cosa che gli mancava era un po' di compagnia. Chi l'avrebbe mai detto? Al burbero e scontroso capitano Ackerman serviva un po' di calore umano.

«Me lo merito» sussurrò, recuperando la sciarpa ed avvolgendola attorno al collo. Indossò il cappotto, recuperando poi il bastone da passeggio dal vicino portaombrelli. Non aveva senso restare in casa a crogiolarsi nel rimpianto; non dava ti ad una giornata tanto splendida. L'inverno era alle porte, ormai: presto, al tepore degli ultimi raggi autunnali, si sarebbero sostituite le nevicate, la foschia ed il gelo. Era un peccato non approfittare di pomeriggi tanto promettenti, Sarebbe uscito a fare due passi, sì. Magari, sarebbe passato a trovare Erwin.

 
***


Raggiunse il parco soltanto un'ora più tardi. A metà strada si era fermato a riprendere fiato. La gamba destra aveva iniziato a protestare, lanciando lancinanti fitte lungo le ossa. Avrebbe dovuto decidersi a farla vedere da un medico.

Levi sedette sulla panchina ai margini dello spiazzo principale. Scrollò la polvere dalla punta delle scarpe, sfregando le suole sulla terra battuta, per eliminare gli ultimi residui del guano di piccione inavvertitamente pestato. Poggiò il bastone alla panca di legno, sollevando poi le iridi. Erwin non lo stava guardando: al solito, i suoi occhi - un tempo azzurri ed ora grigi come la pietra - fissavano instancabili l'orizzonte. 

«Sono qui» mormorò, consapevole che non avrebbe ottenuto risposta. 

Studiò il fisico del comandante,  che la vecchiaia non  aveva scalfito. Era ancora prestante, esattamente come lo ricordava; e sarebbe rimasto così per sempre. Il trascorre degli anni non poteva intaccarlo, ormai. 

I capelli erano composti nella solita piega, con soltanto qualche filo d'oro a tingerli. Le labbra di marmo erano dischiuse, quasi a formulare un'unica parola. 

Possedeva un cipiglio fiero: posato, orgoglioso e vittorioso. Il mantello, drappeggiato oltre le spalle, non si sollevava nemmeno nella brezza fresca del tardo pomeriggio. Il sole bagnava il simbolo delle Ali della Libertà, tingendolo di sfumature aranciate. I raggi scivolavano poi delicatamente lungo il profilo aquilino del naso, solcando le pieghe della camicia e correndo sul filo della Manovra Tridimensionale; illuminavano poi la targa dorata: "Erwin Smith, tredicesimo comandante della Legione Esplorativa" accanto a due date, che non avrebbe mai scordato.

Distolse l'attenzione al cogliere un vivace schiamazzare:  dei bambini si erano riversati nella piazza, brandendo delle spade giocattolo.

«Perché tocca sempre a me fare il titano?» Si lagnò un ragazzino dai corti capelli rossi.

«Perché sei quello più alto.» Fece eco un secondo.

«Voglio essere il comandante per una volta!»

«No! Il comandante sono io perché sono biondo. E poi ho un braccio solo, vedi?» Il bimbo si indicò la manica sinistra che pendeva inerte lungo il fianco; il braccio, opportunamente piegato dietro la schiena, formava una leggera gobba sotto lo stemma bianco e azzurro. 

«E questo cosa c'entra?»

«Come...cosa c'entra?! Guarda la statua.» indicò oltre le proprie spalle «Il comandante aveva un braccio solo, vedi?­»

«Sì, ma... non è giusto che debba sempre essere io il gigante...»

«Uffa!! Se vuoi puoi fare Moblit!»

«Non voglio fare Moblit! Voglio essere Erwin o Mike!
»

Al dibattito si aggiunse una terza voce:
«Eh, no! Mike lo faccio io!»

Levi sorrise al vederli. Erano giovani e spensierati; cresciuti lontano dalla guerra, ma comunque all'ombra delle sue leggende, a cui cercavano di rendere omaggio.

Si alzò, quando il piccolo comandante si portò il pugno chiuso al petto:
«Offrite i vostri cuori!» Lo udì esclamare.

Quante volte aveva sentito quella frase? Troppe per potersene dimenticare. 

Zoppicò cauto fino  gruppetto, passando poi il bastone nella mancina. Chiuse la mano destra, accostandola allo sterno. Chinò leggermente il capo, piegando le labbra in un cenno grato:

«Comandante» sussurrò, rivolto al ragazzino dai capelli dorati «L' altro braccio.»

 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3741474