E così era successo.
Era arrivato
il momento che, assolutamente, sperava non sarebbe arrivato. E non
che non desiderasse che Eliza fosse felice, al contrario, ma quella
situazione si era svolta in così poco tempo da aver lasciato
lei e
sua sorella Alex in completo disorientamento. Di punto in bianco,
senza che avesse mai accennato loro qualcosa, aveva detto alle sue
due figlie per telefono che era una donna fortunata poiché
finalmente aveva trovato l'amore della sua vita. E sì che
dopo anni
si meritava qualcuno che la rendesse felice davvero, ma entro due
mesi da quella telefonata si era ufficialmente fidanzata e aveva
deciso di andare a vivere con questa persona, nella loro casa, senza
neppure chiedere cosa ne pensassero. E in quel caso, comunque, non
avrebbero saputo cosa rispondere: dopotutto non avevano ancora avuto
nemmeno modo di conoscere la sua persona
speciale, come la
definiva agli inizi. Erano stati fissati degli appuntamenti per
conoscersi ma a causa di loro impegni universitari o del lavoro, in
un modo o nell'altro, erano saltati tutti. Solamente Alex era
riuscita nell'intento, una sera, ma solo perché aveva
incrociato la
coppia in macchina nel traffico, e non per un incontro voluto. Sua
sorella le aveva riferito che Eliza era un po' su di giri e che
probabilmente temeva la loro reazione. Oh beh, pensava, di certo ne
avrebbe dovuto avere un po' se credeva davvero di portare nella loro
casa una persona sconosciuta con il dovere di apprezzarla.
Alla fine, avevano deciso di
comune accordo di riporre le armi per amore della loro madre e
conoscere la situazione, e le persone coinvolte, prima di farne un
caso. Glielo dovevano. E allora, approfittando della sospensione
delle lezioni di giugno, Kara Danvers decise di lasciare il campus
universitario per qualche giorno, prendere il treno e tornare a casa
per conoscere la sua nuova famiglia allargata. Sarebbe stata una
piccola e nuova avventura, sperando che tutto si sarebbe sistemato
per il meglio.
«Non sono
nervosa…»,
sbeffeggiò al telefono, «Okay, forse un
po'… Un pochino,
insomma». Il treno, fermatosi dopo qualche assestamento,
aprì le
porte: Kara aspettò che alcune persone scendessero per
mettersi in
coda, afferrando il suo trolley. «Sì»,
sbuffò infine, mantenendo
salda la presa al suo cellulare, «Sono decisamente
nervosa». Salì,
chiedendo scusa a una donna a cui aveva accidentalmente schiacciato i
piedi con le ruote del suo trolley, guardandosi poi intorno in cerca
di posti liberi e ascoltando la domanda di sua sorella Alex per
telefono. «Oh, sì», rise spalancando la
bocca, riprendendo a
camminare. «È stato bellissimo! E Supergirl ha
vinto ancora»,
emise con soddisfazione, distratta, e il suo trolley sbandò,
colpendo un piede che colpì a sua volta una valigetta,
caduta
davanti a lei. S'inchinò per raccoglierla subito con fare
impacciato, ma una mano la afferrò prima di lei e la
tirò su. «Mi
scusi». Appena Kara alzò lo sguardo sopra le lenti
dei suoi
occhiali, quella giovane donna dal volto pallido incurvò le
sopracciglia in modo severo e i suoi occhi di ghiaccio la
fulminarono.
«Guarda dove
cammini», brontolò
in modo acido, intanto che Kara la sorpassava per andare a sedersi a
qualche posto più avanti.
«Ho chiesto anche
scusa…»,
rimarcò per sé a bassa voce, sedendo al suo
posto.
«Kara? Che
ti è successo?»,
domandò la voce al cellulare.
«Non lo
so… Qualcuno sta
passando una brutta giornata», rispose fissando quella
ragazza.
Sembrava completamente a disagio seduta su quel sedile: i suoi occhi
vitrei si fissavano su un punto e restavano immobili, il labbro
inferiore della bocca coperta da un rosso acceso tremava, la mano
sinistra, l'unica che Kara vedeva da dove si trovava, era in continuo
movimento, sbattendo le dita sul bracciolo, così come il
piede
sinistro sopra le gambe accavallate. Dopotutto, lei stessa sembrava
veramente fuori luogo: indossava una giacca nera sopra una camicetta
bianca e dei pantaloni eleganti, non certo il tipico abbigliamento
degli universitari a giugno inoltrato. I lunghi e lisci capelli
corvini le ricadevano sulle spalle in modo elegante e raffinato. Kara
non poté fare a meno di dare una veloce occhiata alla gonna
corta e
alla t-shirt a righe che indossava, senza dimenticare le due trecce
che le tenevano raccolti i capelli biondi, notando quanto i due stili
fossero decisamente differenti.
«Intendi
noi?»,
rise Alex, mentre il treno ripartiva, «Io
sono quasi arrivata a casa e lo ammetto, sono nervosa anch'io. Ma chi
non lo sarebbe al posto nostro?».
«Puoi dirlo
forte», ribatté,
«Stiamo per conoscere la nuova fiamma di nostra
madre…».
«Ormai il
fidanzamento è
ufficiale, Kara».
«Sì,
quindi… fa parte della
famiglia a tutti gli effetti».
«E i suoi
figli».
«Anche i suoi figli,
già».
Anche se parlava al telefono con sua sorella, non si era resa conto
di avere ancora lo sguardo puntato nella direzione di quella ragazza
che, al contrario, si era accigliata di nuovo, fissandola con
rimprovero. Kara si sentì avvampare, distogliendo
immediatamente lo
sguardo, cercando di guardare fuori dal finestrino.
«Chissà poi
come saranno… i suoi figli, intendo. Il più
grande non è neanche
più all'università, vero?».
«No, lavora
per l'azienda di
famiglia… A conti fatti, è anche lui un vero e
proprio capo di
nostra madre, anche se non c'è mai. È sempre
nell'altra sede a
Metropolis… Non credo sarà con noi questi giorni
a casa. Non so
neppure se nostra madre lo ha conosciuto».
«Quindi avremo solo
la figlia?»,
domandò, sentendosi osservata. Con la coda dell'occhio
cercò di
individuarla e, appena la vide guardarla ancora con quello stesso
sguardo accigliato, sussultò, fissando con più
attenzione fuori dal
finestrino. Stava diventando fastidiosa: le aveva chiesto scusa, cosa
voleva ancora, che le firmasse delle scuse ufficiali da portare nella
sua lussuosa valigetta?
«Sì.
Lei sta ancora
studiando, anche se saltuariamente partecipa alle attività
dell'azienda. Eliza mi ha raccontato che è talmente
intelligente che
è riuscita a dare gli esami di due anni in uno e che
frequenta le
lezioni solo per approfondimento e presenza».
«Lo ha raccontato
anche a me»,
sbuffò, «Mi è parso di vederla
estremamente orgogliosa».
«Ha dato
anche a te
quest'impressione?».
«Assolutamente
sì. Come se noi
non fossimo alla sua altezza».
«Verissimo!
Dai, io mi faccio
in quattro per studiare e al contempo lavorare e-e sto anche cercando
di avere una vita sociale, sai, la mia ragazza… E pago le
bollette,
Kara! E poi arriva questa-».
Sua sorella le parlò
sopra:
«Questa che praticamente è ricca sfondata e pensa
di essere
migliore di noi perché riesce a dare gli esami di due anni
in uno!
Lo capisco! Io mi impegno negli studi e lo sport e do il massimo in
tutto, ed Eliza non ha mai parlato di me come invece mi ha parlato di
questa Lena», sbuffò. Diede un veloce sguardo alla
ragazza a
qualche sedile da lei ma aveva smesso di fissarla, era intenta a
controllare il suo cellulare. Tirò un sospiro di sollievo.
«Sono
arrivata: fammi gli
auguri, sorellina».
«Auguri,
sorellona». Chiuse la
chiamata e guardò fuori dal finestrino, dove i palazzi del
centro di
National City avevano già da un po' lasciato il posto agli
alberi
delle campagne e alle case di periferia: ancora poca strada e sarebbe
arrivata anche lei. Deglutì. Eliza le aveva detto che
avevano deciso
di vivere insieme nella loro casa per un po' e che poi si sarebbe
trasferita invece in casa sua nella parte buona e ricca di National
City. La prima sarebbe stata l'ideale per le vacanze, la seconda per
il periodo di lavoro più stretto. Oh, le veniva il mal di
testa nel
pensare a quanto le cose si erano affrettate. Nel sentire lei
sembrava che si conoscessero e frequentassero da una vita, ma per
loro… Chissà cosa ne pensavano i figli della
controparte, Lex e
Lena. Chissà se mai sarebbero andati d'accordo nel
ritrovarsi
praticamente fratelli all'improvviso. Tutto stava per cambiare per
sempre.
Il viaggio durò
ancora tre quarti
d'ora a causa di alcuni rallentamenti alle stazioni. Kara si
sistemò
le trecce e gli occhiali sul naso e sospirò più
volte, tesa come
una corda di violino, guardando di tanto in tanto cosa faceva la
ragazza scontrosa che si dava delle arie. Non l'aveva più
guardata,
notò. Meglio, pensò subito, capendo che
probabilmente non era
successa una tragedia nel far cadere la sua stupida valigetta. E che
non lo aveva fatto di proposito, poi. Quando il treno
annunciò
l'ultima fermata erano ormai in pochi a dover scendere. Quella
ragazza si alzò dal sedile e prese la valigetta. Kara, che
era stata
più veloce, stava per passarle davanti con il suo trolley
quando lei
la tamponò camminandole quasi sui piedi, spostandola. Per
poco non
la faceva cadere su un sedile.
«Scusa», le
tuonò, passandole
avanti.
Kara restò di sasso,
a bocca
aperta, capendo che lo aveva fatto di proposito. Forse si era
addirittura studiata quella piccola vendetta per l'intero viaggio.
Quando scese dal treno quella ragazza era già sparita. Non
poteva
credere fosse tanto veloce sui quei tacchi. E dove si era mai vista
una ragazza prendere il treno con i tacchi ai piedi? Quella aveva
qualcosa che non andava, pensò. Fuori luogo e fuori dal
mondo,
continuò, felice che se ne fosse andata. D'altronde non
l'aveva mai
vista e probabilmente non l'avrebbe rivista mai più.
Maleducata e
sfacciata.
Si spostò a piedi
facilmente,
inoltrandosi nelle stradine in mezzo alle case che conosceva a
memoria, trascinando il suo trolley. Non aveva fretta, temeva di
arrivare troppo presto, e camminò con
tranquillità in una sorta di
passeggiata, godendosi appieno l'aria estiva. Nonostante fosse
pomeriggio non soffriva il caldo. Non c'era nessuno in giro e il sole
bollente sulla pelle la faceva sentire bene. Era il momento della
giornata che preferiva. La sua passeggiata le diede ancora modo di
pensare e schiarirsi le idee, ma non sarebbe durata per sempre e
prima o poi sarebbe arrivata. Quando si ritrovò davanti a
casa sua
deglutì. Il vialetto era in ordine, l'erba dei cespugli
rigogliosa
come sempre, la facciata come la ricordava, su un giallino pallido.
Non un solo punto fuori posto. Se non che, avvicinandosi alla
cassetta delle lettere, il nome era cambiato. Non più Danvers,
ma Danvers-Luthor.
Rabbrividì. Probabilmente aveva fatto rabbrividire anche
Alex un'ora
prima di lei. Prese il cellulare dalla tasca e digitò un
messaggio
per sua sorella: sperava che uscisse per andarla a prendere; sentiva
di aver bisogno di aiuto psicologico. La porta di casa si
aprì ma,
all'improvviso, il suo sospiro si bloccò quando la persona
ad uscire
fu Eliza per correre da lei a braccia aperte. Alex era a poco da lei
e tirò la bocca per una smorfia di scuse.
«Oh, Kara!
Finalmente». La donna
l'abbracciò con una potente stretta e Kara
ricambiò cercando di
sfoggiare uno dei suoi sorrisi migliori. «Eravamo
preoccupate,
questo treno non arrivava mai». La lasciò e si
guardò intorno. «Ma
dov'è Lena?».
«L-Lena?»,
scrollò di spalle,
guardando sua sorella che faceva altrettanto.
«Dicono che ha preso
lo stesso
tuo treno».
«Ah, allora non lo
so… Non ho
visto nessun-», si bloccò, quando vide Eliza
adocchiare qualcosa e
indicarlo. Era un taxi. La vettura gialla si fermò a poco
dal
vialetto e, dalla portiera aperta, scese un tacco dopo l'altro. La
ragazza spostò i lunghi e lisci capelli corvini da una parte
per
richiudere lo sportello; la mano sinistra reggeva fedelmente la sua
valigetta. Kara spalancò gli occhi e la bocca, incredula.
No, no,
non poteva essere lei. Non proprio lei tra tutte le persone su quel
treno, accidenti. La bocca di Lena era ferma in una smorfia di
disapprovazione e, quando il suo sguardo incrociò quello di
Kara, al
contrario per nulla sorpreso, s'irrigidì ancora di
più.
Eliza corse da lei in un
abbraccio
ancora più caloroso che Lena ricambiò con
affetto, mentre il taxi
ripartiva. Loro si conoscevano. Avevano avuto modo di conoscersi, non
poteva crederci. Vide quella ragazza sorridere e Kara non pensava
neppure che ne fosse capace.
«Oh, allora ci siamo
tutte!»,
gridò estasiata una quinta voce. Lo sguardo di Kara
planò subito
alla porta di casa.
«Non trovavo la via e
mi sono
fatta aiutare dall'autista del taxi», tuonò Lena,
camminando verso
la porta, ignorando Alex a metà strada. «Se mi
avessi mandato la
macchina come avevo richiesto, questo non sarebbe successo».
«Oddio, Lena, come
sei
melodrammatica: scommetto che prendere il treno come tutti i comuni
mortali non ti ha compromesso. E poi hai potuto conoscere
Kara», la
indicò con un cenno della mano.
«Sì»,
sibilò a fior di labbra,
«Ho avuto il piacere, mamma».
Lillian
Luthor
sorrise. «Da oggi
siamo ufficialmente una famiglia».
Le
sembrava di essere di nuovo
su
quel treno.
Se non fosse per la mancanza di
puzza di sudore del ragazzo a fianco a lei sul sedile, le sarebbe
sembrato veramente di essere ancora su quel treno, poiché la
ragazza
con la valigetta non le aveva tolto occhio di dosso. E non che si
vergognasse quando la sorprendeva a guardarla, al contrario girava la
faccia dopo qualche istante con fare seccato come se fosse lei, Kara
Danvers, quella irritante. Doveva averla sentita parlare al telefono
di lei, lo sapeva. Aveva la voce troppo alta, Alex glielo aveva
rimproverato spesso, accidenti a lei. Lena Luthor doveva odiarla.
Dopo millemila
anni…. I'm back!
Non lanciatemi pomodori, please, mi faccio perdonare perché
quella
che vi state apprestando a leggere sarà una long,
loooong fan fiction slowburn supercorp! Con millemila (devo
smetterla di usare questa parola) personaggi di contorno che vanno e
vengono! No, aspettate! Forse non dovevo dirlo che è una
roba long,
così ve ne andate D:
L'idea di base non è
mia ma di
Annamaria, che ha lasciato scritta sul documento Give
me more, o meglio, chi mi scrive una FF?
del gruppo Facebook In
femslash, we trust. (Official Group).
Ecco la traccia: Fanfiction
AU Supercorp. Dove Lilian Luthor ed Eliza Danvers si innamorano e
vanno a vivere insieme. Kara Lena ed Alex di conseguenza sono
costrette a convivere, il problema è che Lena e Kara non
vanno molto
d’accordo. Il resto lo lascio alla vostra immaginazione.
Il problema è che io
di
immaginazione ce ne ho messa troppa, anche se non parlo del tutto di
ciò che intendeva lei, ne sono sicura XD Quindi
sta uscendo una roba un po' lunga, ci sto creando quasi un mondo, e
spero di non annoiare :/
Specifico subito che nella
storia
compariranno solo personaggi presenti nella prima e seconda stagione
della serie e che, sì, alcuni di loro saranno per forza di
cose
almeno un po' OOC. È una fan fiction AU e a volte
alcune cose sono e saranno modificate per rendermi più
facile la vita.
Yey!
Lettori avvisati…
Beh, se ci siete ancora, spero
vi
piaccia (anche un pochino, pochino) come sta divertendo me scriverla!
Ci leggiamo al prossimo,
nonché
primo capitolo, che si intitola: Casa
dolce casa, famiglia dolce famiglia
Pubblicherò
probabilmente di domenica!
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