Prologo
E rieccomi qui, a dare il via a un altro matto esperimento, sperando che vada meglio dell'ultimo.
L'introduzione
ha già detto quasi tutto: questa è la prima di una serie
di tredici storie, una per ogni Dottore (Jodie Whittaker è
già contata, John Hurt no), ambientate nella nostra Penisola.
Non seguiranno un filo cronologico (è il Dottore, perché
dovrebbe?), al di là dell'alternarsi delle incarnazioni del
Dottore, e ognuna di esse avrà al centro un personaggio o un
avvenimento della storia d'Italia, con un limite fissato agli anni '70
per ovvi motivi (oltre si sconfina nella cronaca, e diventa tutto
troppo contemporaneo). Ogni storia sarà divisa in 4 o 6 parti,
come un serial della serie classica.
Spero
vivamente che l'idea vi interessi; se siete ancora dubbiosi, comunque,
ecco l'introduzione alla prima delle storie. Buona lettura.
“Steven? Va tutto bene?”
Nessuna
risposta. Il Dottore provò allora a spingere la porta, che
cedette sotto la pressione delle sue dita. Non era stata chiusa.
Cautamente, l’anziano Signore del Tempo sporse di poco la testa
per guardare all’interno. Steven si era addormentato, il corpo
rigirato su un fianco, la faccia volta contro la parete. Il dolore e la
stanchezza dovevano averlo domato.
Meglio così, disse
fra sé il Dottore, richiudendo la porta. Un po’ di riposo
avrebbe fatto bene anche a lui. Quantomeno, sarebbe riuscito a calmare
temporaneamente il dolore per tutto quello che era successo dopo la
partenza di Vicki. Avrebbe voluto che ci fosse ancora: di sicuro
avrebbe saputo trovare le parole giuste per rincuorarlo. Come in
risposta, il TARDIS gli sussurrò mentalmente parole di conforto,
nel tentativo di restituirgli un po’ di buonumore.
“Grazie” disse piano il Dottore, “ma ho paura ci
vorrà ben altro” continuò con aria triste, mentre
riprendeva a premere i tasti della console. Sarebbe andato a letto fra
poco, dopo aver sistemato la nave in modo che non atterrasse prima che
lui o Steven si fossero ridestati.
Quando
era partito da Gallifrey, sapeva di andare incontro a un viaggio lungo
e pericoloso. Sapeva anche che c’erano ottime probabilità
che non sarebbe più tornato, che il suo corpo cadesse in qualche
pianeta deserto e restasse lì a marcire per
l’eternità. La cosa non l’aveva spaventato molto.
Era anziano, aveva vissuto una lunga e fruttuosa vita su Gallifrey, e
l’unica cosa che aveva sempre sognato di fare davvero la stava
facendo adesso: in un certo senso, morire facendola sarebbe stato il
compimento perfetto di tutta la sua esistenza.
L’eventualità che qualcun altro morisse
al posto suo non l’aveva minimamente sfiorato. In qualche angolo
della sua mente, aveva semplicemente deciso che era del tutto
impossibile, quasi come se nessun altro esistesse, come se non fosse di
alcuna importanza che ci fosse qualcun altro, Susan o chi per lei,
all’interno del TARDIS. Bene, gli eventi degli ultimi giorni
l’avevano portato a realizzare improvvisamente che, purtroppo, la
cosa era molto concreta, e questo l’aveva sconvolto parecchio.
Come
evocati da questo pensiero, volti sorsero dai meandri della sua
memoria. Gli occhi spaventati di Katarina mentre veniva risucchiata
nello spazio, che ancora brillavano di un ultimo barlume di fede. Gli
ultimi sforzi di Sara contro l’invecchiamento causato
dall’infernale macchina dei Dalek, mentre le gambe cedevano sotto
il suo peso, riducendola a strisciare sulla sabbia di Kembel. Il dolore
sul viso di Oliver, mentre i Vardans prendevano possesso della sua
mente, che lui stava coraggiosamente offrendo per salvare i suoi
compagni. Tutti morti, tutti e tre, per uno stupido Signore del Tempo
troppo anziano che aveva deciso di andarsene in giro per
l’universo a fare il turista. E questi erano solo gli ultimi,
quelli che conosceva da poco: quante volte Vicki aveva corso il rischio
di…? E Steven, che era ancora con lui nonostante tutto? E Ian,
Barbara, Sus…
“No!”
urlò il Dottore, drizzandosi all’improvviso, di fronte
all’orrore di quell’ultima immagine. Grazie agli Eterni lei
era salva, con l’uomo che amava, nella Terra di un lontano
futuro. L’aveva lasciata andare, prima che fosse tardi. Non
avrebbe voluto vederlo così, un vecchio piegato dalla paura e
dal rimorso, impaurito ed esitante di fronte alla prossima meta. Una
meta che, ora il Dottore lo sapeva, avrebbe anche potuto essere
l’ultima, se non per lui, per Steven.
Solo
nella sala di controllo, per la prima volta il Dottore mise seriamente
in dubbio la bontà della sua scelta di lasciare Gallifrey. Per
che cosa l’aveva fatto? Certo, aveva sempre voluto viaggiare,
avere un’esperienza più grande di quella dei suoi simili,
ma era una motivazione giusta per mettere in pericolo le vite degli
altri? Avrebbe dovuto viaggiare da solo, ma chi avrebbe raccontato cosa
aveva visto? A chi avrebbe comunicato la bellezza di quello che stava
passando? Ma allora era un egoista! Uno sporco egoista intento a
soddisfare un suo infantile desiderio di…
La
carezza del TARDIS di nuovo giunse a interrompere i suoi pensieri,
invitandolo ad andare a letto. Non avrebbe fatto bene a nessuno, men
che meno a lui, continuare a rimuginare. La notte porta consiglio,
così diceva un vecchio proverbio terrestre; essendo uno
scienziato, forse gli poteva interessare verificarne la
validità. Sorrise, il Dottore, alla battuta, mentre cedeva
all’insistenza della sua macchina e si allontanava dalla console,
dirigendosi verso la sua stanza.
Gli
sembrò di aver dormito solo cinque minuti quando sentì
suonare l’allarme. In poco tempo, fu in piedi, con la mente che
lavorava veloce per cercare di capire cosa stesse succedendo. Escluse
subito che il problema fosse un guasto tecnico: in un caso simile, il
TARDIS si sarebbe illuminato di una luce rossa e avrebbe probabilmente
iniziato a tremare. Grazie agli Eterni, non sembrava nemmeno un
problema con le zone abitative, come la sua stanza e quella di Steven.
E ora che lo notava, più che un allarme sembrava essere una
sorta di radar, una segnalazione esterna al TARDIS. Era ormai arrivato
nella sala della console mentre raggiungeva questa conclusione, e non
gli ci volle molto per vedere la lucetta verde lampeggiare, poco sotto
il motore principale.
“Dottore?” chiese Steven entrando di corsa nella sala. “Dottore, che succede?”
“Nulla di grave, ragazzo mio. Almeno, non per il momento.”
“E allora quella spia?”
“Solo
una segnalazione” rispose il Dottore, mentre si affannava con i
calcoli sullo scanner. “Ti ricordi il nostro ultimo incontro con
il Monaco, vero?”
“Non l’aveva lasciato disperso su un qualche pianeta di ghiaccio?”
“Avevo
messo un segnalatore che mi avvertisse se mai fosse riuscito a
liberarci, e a giudicare dalla luce verde ci è riuscito.”
“Crede che verrà a cercarci?” domandò Steven.
“È
probabile” ammise il Dottore. “Ma potrebbe anche darsi che
decida di sistemare una trappola in qualche punto dello spazio-tempo e
poi attirarci lì. In ogni caso, è nostro dov… credo che sarebbe meglio rintracciarlo e impedirgli di fare danni.”
“Tutto
bene, Doc?” chiese Steven, improvvisamente preoccupato dalla
crepa che aveva avvertito nella voce del compagno.
“S-sì”
disse il Dottore, riprendendosi in fretta. Nel momento in cui aveva
iniziato a tracciare il percorso del TARDIS del Monaco, tutti i
pensieri dell’altra sera erano tornati a farsi vivi, e aveva
dovuto sforzarsi per ricacciarli indietro. Qualsiasi cosa decidesse di
fare relativamente al viaggio, il Monaco era comunque là fuori,
era un pericolo, e non poteva certo lasciare che trafficasse
indisturbato per la Storia. “E non mi chiamare Doc!”
aggiunse subito, recuperando il proprio atteggiamento burbero.
“Be’,
allora lei si vada a mettere qualcos’altro addosso” rispose
a sua volta Steven, “perché con quell’obbrobrio
è abbastanza difficile prenderla sul serio.”
Perplesso,
il Dottore guardò quello che aveva indosso, rendendosi conto
solo in quel momento che stava vestendo una specie di accappatoio
multicolore sgargiante, che effettivamente non lo faceva sembrare una
persona seria. Nella fretta di andare a controllare, doveva avere
afferrato la prima cosa a disposizione nel suo armadio. Maledicendosi
per quando si era fatto sbolognare quell’orrendo affare in un
mercatino cosmico solo perché a Susan piaceva, andò a
cambiarsi in uno stile più dignitoso, dicendo a Steven di
aggiornarlo non appena i calcoli dello scanner fossero completati.
Fortuna volle che il Dottore tornasse nella sala di controllo, con
indosso la sua usuale giacca nera, giusto quando i calcoli erano
completati. Vedendolo, Steven gli indicò semplicemente lo
schermo, lasciando che il Dottore leggesse da solo i risultati.
“Italia…
XIV secolo… 1304 per la precisione… no, 1302…
d’estate… abbazia di San Gaudenzio, in Toscana, vicino
Firenze.”
“Indicazioni insolitamente precise” rimarcò Steven, curioso.
“Stai
facendo dell’ironia, giovanotto?” rispose il Dottore,
mentre iniziava a fissare le coordinate di viaggio per il TARDIS.
“Chissà che ci fa lì…” aggiunse poi,
pensieroso. “Quel luogo non è particolarmente importante
dal punto di vista storico, che io ricordi.”
“Forse può avere qualcosa a che fare con il periodo?” suggerì Steven.
“Sì,
può darsi. Immagino che lo scopriremo all’arrivo. A
proposito, ragazzo mio, direi che è meglio che iniziamo a
prepararci. Non puoi certo andare in giro per il Medioevo italiano con
quel maglione, anche perché, se solo conosco un po’ quelle
zone, farà parecchio caldo.”
“D’accordo” annuì Steven. “Cosa faremo una volta arrivati?”
“Cercheremo
il Monaco, ovviamente” rispose il Dottore “e vedremo di
capire cosa ha intenzione di fare. Poi, interverremo per fermarlo,
cercando per quanto possibile di non interferire con la storia.”
“Quel che facciamo di solito, insomma” sorrise Steven.
“Se vuoi ritirarti…”
“Ma
nemmeno per idea! Quel pazzo è una mina vagante, non possiamo
certo lasciarlo andare in giro! Mi dia dieci minuti per vestirmi e
torno da lei.”
Detto,
Steven uscì dalla sala di corsa, dritto verso il magazzino dove
il TARDIS teneva i costumi adatti a varie epoche della storia umana, e
il Dottore non riuscì a trattenere un sorriso. Amava
l’energia di Steven, il suo instancabile spirito combattivo, il
senso di responsabilità che sentiva per il loro ruolo. Se mai si
fosse rigenerato, gli sarebbe piaciuto trasformarsi in una persona
simile. Spero solo di non perdere anche lui, pensò, con il sorriso che gli vacillava sulle labbra, mentre il TARDIS iniziava la sequenza di atterraggio.
NOTE DELL'AUTORE
- Nella
cronologia della serie, questa prima storia avviene durante la terza
stagione classica, in mezzo fra il quarto e il quinto serial, quando,
per la prima e unica volta nella serie, il Dottore è rimasto
solo con un compagno di sesso maschile, Steven Taylor, pilota e soldato
del 24° secolo.
-
Il Monaco, che servirà da villain, è apparso in due
serial della serie classica (nel secondo dei quali viene abbandonato
dal Dottore su un innominato pianeta di ghiaccio), e nel primo caso
cercava di modificare, per puro divertimento, la storia umana: è
anche lui un Signore del Tempo rinnegato, ma a differenza del Maestro,
che ambisce al potere, e del Dottore, che ricerca la conoscenza, il
Monaco vuole solo divertirsi.
-
I tre compagni morti cui fa riferimento il Dottore sono Katarina, Sara
Kingdom e Oliver Harper. Le prime due sono morte nel serial "The
Daleks' Master Plan", nella lotta contro i terribili alieni, mentre il
terzo è stato un temporaneo compagno del Dottore e Steven in
alcuni audiodrammi, al termine di uno dei quali ha trovato la morte.
Citati sono anche gli altri compagni televisivi del Dottore: oltre a
Susan, sua nipote, gli insegnanti Ian Chesterton e Barbara Wright, e la
giovane Vicki Pallister.
- Direi
che non c'è bisogno di chiarire ulteriormente chi sia il
personaggio al centro di questa prima "avventura italiana"; il titolo
che ho dato alla storia è abbastanza indicativo (e chi meglio di
lui?). Aspettatevi quindi l'arrivo di messer Durante di Alighiero degli
Alighieri già nel prossimo capitolo... ovviamente, se avrete la
bontà di leggere e recensire.
A presto quindi!
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