Capitolo
21 : Dovunque, ma non qui
Chi poria mai pur con parole sciolte
dicer del sangue e de le piaghe a pieno
ch'i' ora vidi, per narrar più volte?
Ogne lingua per certo verria meno
per lo nostro sermone e per la mente
c' hanno a tanto comprender poco seno
Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, Canto XXVIII
Eva non ebbe nemmeno il tempo di metabolizzare la notizia:
prima ancora che Cornelia finisse di parlare, il rumore di fondo dei Demoni in
arrivo era diventato un leggero tremore a cui si aggiunsero alla porta i colpi
concitati di Lorella.
“Ehi, lì dentro!” arrivarono ansiose le grida della ragazza,
attutite dalla porta “Eva! Vlad! State… venite, presto!”
Eva affondò lo sguardo dentro le iridi rossastre di Cornelia
senza reagire, immobile. Chissà perché non riusciva a muoversi: si sentiva di
colpo stanca e spossata come se le fosse caduto il mondo addosso e
contemporaneamente come se niente avesse più senso. Cornelia captò la sua
immobilità e arricciò le labbra in una smorfia sadica.
“Non ci credi, eh?” gorgogliò quasi con esultanza “E invece
è così. E adesso crepa, Sanguemisto di merda.”
La mano di Vlad si posò sulla spalla di Eva con insolita
impersonalità, come temendo una reazione alle parole dure di Cornelia: ma Eva
era ancora immobile e curva come una vecchietta stanca.
“Perché hai fatto uccidere Sandra e Paolo?” domandò poi con
voce afona.
Cornelia sogghignò con le labbra insanguinate e gonfie.
“Perché loro sapevano qual’era il tuo punto debole” rispose
con feroce esultanza “Quindi, a conti fatti, li hai uccisi tu.”
“Come se non ci pensassi già abbastanza da sola”
meditò fuggevolmente Eva.
“E Alfredo?”
Cornelia sembrò per un attimo incerta mentre la mano di Vlad
diventava più pesante e imperiosa sulla spalla di Eva.
“Andiamo, scimmietta.” disse con voce seria mentre alla
porta si aggiungevano i colpi decisi di Gino a quelli delicati di Lorella. Eva
scosse le spalle senza riuscire a scrollarsi di dosso la mano di Vlad.
“Cornelia, perché hai ucciso Alfredo?”
Cornelia sembrò cercare una risposta frugando con lo sguardo
tutto intorno alla stanza.
“Non l’ho ucciso io.” ammise alla fine, quasi con stizza.
“E Silvia?”
“Chi?”
“Scimmietta, dobbiamo andare.” Si intromise Vlad con aria di
comando.
Di nuovo Eva lo ignorò.
“Silvia Nirani. La Sanguemisto che tu mi hai incaricato di uccidere. Perché la volevi morta?”
Lo sguardo di Cornelia vagò ancora in giro per la stanza ed
Eva intuì in un lampo che non sapeva la risposta.
“Allora?” la incalzò mentre Vlad cominciava a trascinarla
con decisione verso la porta.
“Non so un cazzo di questa Silvia” rispose Cornelia
imbufalita “E anche se lo sapessi non te lo direi, troia!”
“Andiamo.” ordinò Vlad, con un tono di voce da ultimo
appello.
Come un automa, Eva si lasciò guidare docilmente da Vlad
verso l’uscita, continuando a tenere la pistola in mano ma senza nessuna
intenzione evidente di usarla.
“Scappate, scappate!” ruggì Cornelia con quel poco di voce
gracidante che le era rimasta “Tanto vi beccherò! Non avete nessun posto dove
andare… nessuno che vi possa aiutare! Siete tagliati fuori, siete inutile
feccia, siete già morti!”
Eva fece per girarsi a guardarla, ma Vlad la spinse verso la
porta che aveva bruscamente aperto.
“Andiamo” la esortò sbrigativo “Non c’è tempo.”
“Avete fatto male a lasciarmi vivere! Tra poco mi
libereranno e allora verrò a cercarvi, anche in culo al mondo! Vi troverò… vi
prenderò come conigli e voi diventerete niente… meno che niente!”
Eva non si girò neanche: Vlad e Gino invece fecero rotolare
all’interno della Casa tre grosse bombole di gas dall’aspetto polveroso.
“Solo tre?” domandò Vlad corrucciato e Gino fece spallucce,
sollevandosi.
“Non c’era altro.” rispose telegrafico.
La voce strafottente di Cornelia si interruppe di colpo.
“Cos’è?” chiese ricominciando ad agitarsi sulla sedia. I
suoi occhi spalancati, bianche e rossi, erano l’unica cosa del suo viso che
aveva ancora una parvenza umana, sepolti dal sangue e dai brandelli di pelle.
Lorella non ebbe nemmeno il coraggio di guardarla; Gino si defilò velocemente
dopo averle lanciato un breve cenno di saluto; Eva nemmeno la guardò, uscendo a
passi strascicati.
“Eva? Eva! Dove vai? Torna qui, puttana!”
Vlad si preoccupò di aprire le valvole del gas che
protestarono cigolando.
“Vlad! Che stai facendo? Cosa sono questi barili? Non
penserai… Vlad!”
La voce balbettante di Cornelia era un sottofondo lamentoso
che Vlad ignorò bellamente mentre si muoveva con gesti rapidi e precisi: chiuse
le porte che davano sulle altre stanze poi, dalla soglia di casa, si tolse un
grosso accendino Zippo dalla tasca.
“Vlad! Vlad, ti prego!” strillò Cornelia terrorizzata.
Per Vlad era come se non ci fosse: aprì lo Zippo con uno
scatto, lo accese e quando la fiammella gialla si agitò lenta, posò con cura lo
Zippo sul pavimento e chiuse la porta.
“VLAD!”
Persino attraverso i muri la voce di Cornelia esprimeva
terrore. Vlad saltò svelto giù dagli scalini e salì sulla Jeep che aspettava.
Le facce di Gino, Eva e Lorella erano tre macchie bianche e tese contro il
fondo livido dell’orizzonte: il rumore di fondo di onde anomale in arrivo stava
diventando sempre più consistente e minaccioso.
“VLAAAAD! TORNA INDIETRO!!”
“Vai.” ordinò Vlad telegrafico, ma la Jeep era già partita a rotta di collo, diretta giù per la collina. Dalla prima curva ancora si sentivano flebili e lontane le urla supplichevoli di
Cornelia.
“VLAAAD! Maledetto rottinculo ciuccia cazzi!! TORNA
INDIETRO!!”
Eva scambiò uno sguardo fuggevole con Vlad che la ricambiò
con freddezza. Erano completamente sulla stessa lunghezza d’onda, constatò
dolorosamente Eva: non c’era ripensamento e compassione né nelle pupille
dell’uno né in quelle dell’altra. La jeep sobbalzò sulla strada sterrata
aggirando una curva a gomito.
“VLAAAD! V…”
Un boato interruppe a metà l’ultimo grido di Cornelia; una
luce accecante illuminò il cruscotto della Jeep prima che l’onda d’urto facesse
sbandare il veicolo come una macchinina telecomandata maldestramente guidata da
un bambino. Lorella gemette; Gino borbottò due bestemmie fumanti, strattonò il
volante come se fossero le briglie di un cavallo imbizzarrito e rimise la
macchina in carreggiata; Eva afferrò la mano di Vlad e la strinse forte, come
se volesse stritolargliela, poi la lasciò bruscamente come l’aveva presa,
guardando fisso lo spettacolo pirotecnico della Casa Blu che saltava in aria.
Si allontanarono sulla macchina che sgroppava e sbandava a
velocità folle; man mano, la luce accecante scemò e il rumore demoniaco si
affievolì con essa, lasciando il posto al rombo del motore e alla desolazione
della campagna. Lorella se ne stava rannicchiata sul sedile anteriore, la
manina sulla guancia e lo sguardo fisso e fiducioso su Eva. Quest’ultima non
aveva la forza di guardare nessuno: sapeva solo che l’unico conforto in quel
momento da vetri infranti era la vicinanza di Vlad. Avrebbe voluto allungare la
mano e toccare la sua di nuovo, ma lui non avrebbe apprezzato. Lei stessa si
sarebbe odiata per quell’ammissione di debolezza: ma lo stesso l’unico pensiero
coerente che aveva in quel momento era lo struggente bisogno fisico della sua
mano.
“Eva?” pigolò Lorella titubante “Dove andiamo adesso?”
“Lontano” pensò Eva, stanca e demotivata come se
avesse corso per miglia e miglia senza meta “Lontano, via da tutto e da
tutti. Via dal cadavere di Cornelia, via dall’odore di sangue, via dal
tradimento di Giacinta. Via dal sorriso puro di Raf, via dalla possibilità di
ferirlo; via dalla mano di Vlad calda e vicina ma lo stesso irraggiungibile
come la luna. Via dal mio stesso cuore che è stanco morto di battere per i
motivi e le persone sbagliate. Via… lontano. Dovunque, ma non qui.”
Avrebbe voluto dirlo davvero: ma qualcosa di mastodontico
stava per succedere, lo sentiva nelle ossa e nei recessi più profondi delle sue
due contrastate nature. Non c’era tempo per le anime, meno che meno per la sua…
quindi inspirò profondamente e parlò con voce ferma.
“Da Giacinta.”
* * *
La sera era scesa presto, esausta e cupa come tutte le sere
di novembre. Suor Bianca si preparò a vegliare l’ingresso del convento con
devota determinazione, coadiuvata dal Libro dei Salmi, il suo fedele rosario
d’avorio e una confezione da sei di ciambelle glassate. Normalmente avrebbe
portato i cioccolatini assortiti: provava un infantile piacere nello spogliare i
dolciumi dalle loro carte colorate e leccarsi le dita dai residui burrosi del
cioccolato… ma erano tempi duri quelli, tempi che richiedevano un occhio
attento e vigile, non distratto da dolci tentazioni! Giacinta era stata molto
chiara in merito: nessuno doveva varcare la soglia del convento per quella
notte. Per nessun motivo, nessuno nessuno nessuno; né Umano né Divino, nemmeno
il papa in persona. Tutto sommato era un ordine facile, meditò Suor Bianca
sospirando sulle ciambelle glassate. Rispetto a quello che aveva dovuto passare
la povera Giacinta! Erano stati giorni davvero intensi quelli passati: il
processo, il Comitato di Sorveglianza, Demoni dovunque, orde infernali,
terremoti… la notizia terribile di quello che era successo a quella spregevole
creatura di Cornelia… Giacinta era distrutta. Suor Bianca sospirò di nuovo,
dubbiosa se iniziare il salmodiare serale o addentare una ciambella; era ancora
indecisa nella scelta quando qualcuno bussò al portone.
Il rumore discreto ma improvviso fece sobbalzare la suora
che lasciò cadere a terra la confezione di ciambelle.
“Chi va là?” strillò con voce acutissima, annaspando alla
ricerca del crocifisso che portava appeso alla cintura: quando lo trovò, lo
afferrò convulsamente con entrambe le mani, tenendolo davanti a sé come se
facesse luce.
“Suor Bianca?” domandò una voce bellissima attutita dallo
spesso strato di legno del portone.
Suor Bianca riconobbe la voce all’istante: era la
dolcissima, purissima voce dell’Arcangelo Raffaele.
“Mio Signore!” sospirò felice la suora, abbassando il
crocifisso e aprendo lo spioncino rettangolare: il bel viso dell’Arcangelo
l’abbagliò immediatamente con un sorriso dalla luminescenza divina e Suor
Bianca non poté fare a meno di sentire il suo vecchio cuore battere forte e
veloce come un tamburo.
“Ave, Suor Bianca.” salutò l’Arcangelo con un breve cenno
del capo biondo.
“I Cieli e La Terra Siano Pieni della Sua Gloria!”
“Naturalmente. Come state questa sera?”
“Oh, bene, bene!” chiocciò Suor Bianca arrossendo: che caro
quel giovane, attento e interessato alla salute di una vecchia ciabatta come
lei! “Certo, l’artrite si fa sentire in queste giornate umide…”
“Oh, mi dispiace.”
“E la schiena… al mattino mi toglie il fiato dal dolore…”
“Che disgrazia. Ehm. Potete aprirmi, per favore? Qua fuori
fa molto freddo.”
Sorrise ancora con aperta beatitudine e Suor Bianca arrossì
di colpo.
“Oh, io…” balbettò giocherellando involontariamente con il
crocifisso “A dire il vero, beh, mi è stato ordinato…”
“Sì?” la sollecitò Raf con l’ennesimo dolce sorriso.
“Ecco, ehm, gli ordini precisi che mi ha dato suor Giacinta
per stasera sono stati… precisi… ehm…”
“Dica, Suor Bianca, non abbia timore.”
“Ecco, gli ordini precisi…” e dalli, pensò affranta
la suora “Sono di non fare entrare nessuno, stasera.”
“Oh.” commentò Raf.
Il sorriso rimase, ma la luminosità si attenuò un poco, come
se una nuvola velasse il sole.
“Capite, Mio Signore, sono gli ordini.” terminò affranta la
suora.
“Ordini precisi, immagino.”
“Precisi, sì! Giacinta è stata molto fiscale, nessuno può
entrare, né Umano né Divino!”
“Capisco.”
“Sono davvero, davvero costernata.”
Lo era sul serio. Lasciare fuori dalla porta l’Arcangelo
Raffaele le sembrava sinceramente blasfemo.
“Non si dia troppo cruccio” disse Raf tornando luminoso come
una stella “Con tutto quello che è successo un po’ di prudenza era il minimo
che Giacinta potesse richiedere.”
“Vero, verissimo.” sospirò Suor Bianca sollevata: quanto era
comprensivo, quel giovane Arcangelo. E quanto era bello!
“Sono certo però che Giacinta non ha preso in considerazione
il fatto che qualcuno sarebbe venuto a bussare alla sua porta di notte.”
Suor Bianca tornò a irrigidirsi; a dire il vero, Giacinta
era stata straordinariamente intuitiva, perché aveva proprio previsto l’arrivo
di qualcuno.
“Chiunque venga a bussare alla porta stasera, tu non
aprire.” aveva ordinato lapidaria.
E non era uso per Giacinta essere così lapidari. Ma come
spiegare tutto questo all’Arcangelo Raffaele in persona?
“Mio Signore, gli ordini erano precisi.”
“Giacinta ti ha davvero espressamente ordinato di non fare
entrare un Arcangelo divino?”
“Oh, ehm… in effetti no…”
“Non vorrei doverlo ricordare, ma io sono il diretto
superiore di Giacinta.”
Suor Bianca annaspò in cerca di un appiglio: l’Arcangelo
aveva maledettamente ragione, ovviamente. Ma Giacinta era il diretto superiore
di Suor Bianca! Se l’Arcangelo le avesse ordinato di aprire, a chi avrebbe
dovuto dare retta? Suor Bianca non aveva fatto la scuola militare, non sapeva
proprio nulla di gerarchie di potere.
“Mi sta ordinando di aprire, Mio Signore?” domandò con aria
supplichevole.
Raf le rivolse uno sguardo dolcissimo.
“Certo che no” rispose affabile “Spero bene che non ce ne
sia nessun bisogno.”
Suor Bianca ammutolì. Bella gatta da pelare le aveva
lasciato Giacinta, pensò con una vergognosa punta di risentimento; se sapeva
che sarebbe venuto nientemeno che un Arcangelo a bussare alla porta, perché non
era venuta lei a mandarlo via rischiando anatemi divini a più non posso? Per un
attimo pregò che toccasse a qualcun altro risolvere quell’impiccio.
“Io, ehm, io…”
Le preghiere di Suor Bianca sembrarono esaudirsi in maniera
del tutto inaspettata quando improvvisamente la terra iniziò a tremare.
* * *
Per un attimo, Suor Bianca fu tentata di rivolgere un
ringraziamento al Signore: poi realizzò che c’era un terremoto in atto e si
decise a cadere nel panico.
“Mio Signore!” strillò diventando rossa come un pomodoro da
sugo: si aggrappò alla porta mentre il pavimento sotto ai suoi piedi ondeggiava
come la tolda di una nave nella tempesta.
“Suor Bianca! Apra la porta!” ordinò la voce concitata
dell’Arcangelo.
Che doveva fare? Rimanere lì a piantonare una porta che
sembrava avere tutte le intenzioni di sgretolarsi sotto le sue mani?
All’ennesimo sobbalzo del pavimento, quando le antiche piastrelle di cotto si
sollevarono schioccando come dentiere impazzite, Suor Bianca prese una
repentina decisione: le sue dita volarono sui chiavistelli fino a spalancare la
porta sul buio della notte.
“Mio Signore!” chiamò subito, tra il sollevato e il terrorizzato.
Ma la prima figura che si materializzò davanti alla porta
non fu affatto l’Arcangelo Raffaele: fu un energumeno d’uomo grosso come un
armadio a sei ante con la faccia ferocemente incupita. Suor Bianca non sapeva
se protestare o intonare un Salmo: alla fine, visto che le pareti scosse dal
terremoto cominciavano scricchiolare e riempirsi di crepe minacciose, si decise
a strillare con quanto fiato aveva in gola. L’energumeno uscì dall’ombra e mise
un piede sulla soglia, il viso atteggiato a una smorfia di sofferenza.
“Chiudi quel forno, Callas” grugnì scostandola rudemente
dalla porta “Che cazzo succede qui?”
Una seconda figura si inquadrò nella porta e Suor Bianca
identificò sia quest’ultima che l’energumeno: Eva il Sanguemisto e il suo
tirapiedi umano!
“E che ne so io?” rispose Eva all’umano sbuffando scocciata
“Pensavo che fossi tu che ballavi il tip tap.”
“Voi!” strillò Suor Bianca, sinceramente oltraggiata: non
sapeva se fosse più sconvolta per il terremoto in atto o per il fatto che un
Arcangelo celeste le avesse mentito… oddio, non che le avesse davvero detto
delle bugie, ma non aveva affatto menzionato di essere in compagnia di quella
pericolosa ragazza che parlava così sboccato. Si sarebbe messa probabilmente a
chiedere spiegazioni se una nuova e potente scossa di terremoto non l’avesse
fatta cadere lunga distesa per terra, spedendole addosso calcinacci e polvere.
“Merda secca!” berciò Eva estraendo la Five-seveN dalla tasca: aveva un’espressione oltremodo infastidita e la piega pressata della
bocca esprimeva tutto il suo disappunto “Vlad, se sei tu a fare questo,
piantala immediatamente o ti faccio ingoiare una damigiana di Acqua Santa!”
La paura di Suor Bianca divenne puro e cristallino terrore
quando oltre la soglia comparve l’alta ed elegante figura vestita di nero di un
giovane dai capelli rossi e gli occhi luminosi: il suo sorriso strafottente era
rimasto perfettamente intatto e anacronisticamente a suo agio in mezzo a quella
baraonda.
“Figurati se non davi la colpa a me” sospirò con aria
paziente “Sono innocente, vostro onore.”
“Innocente, puah” mugugnò Eva facendo entrare una
giovanissima ragazza che si teneva le mani sopra la testa e gemeva di paura
“Raf?”
“Non lo so” rispose l’Arcangelo Raffaele entrando a sua
volta circondato da un alone di luce insolitamente debole “Niente di buono di
sicuro.”
“Dovremmo tirare in causa la tettonica a zolle” sospirò Vlad
estasiato “Ho sempre amato visceralmente questa teoria. Però sono d’accordo con
Bambi, se non è nessuno di noi a provocarlo c’è da farsi venire molta paura
con questo terremoto.”
Suor Bianca, ancora sdraiata a terra, faceva scorrere lo
sguardo allucinato sui presenti: l’unica normale sembrava la ragazzina
spaventata, gli altri rivolgevano appena un blando interesse per le pareti che
si stavano sgretolando e al tetto che faceva minacciosamente piovere su di loro
calcinacci e pezzi di intonaco.
“Dite che il Comitato di Sorveglianza ci abbia già trovati?”
domandò Gino evitando un grosso blocco di mattoni che stava per spiaccicargli
la testa.
“Impossibile” rispose automaticamente Raf “Sarei stato il
primo a saperlo.”
“E’ ovvio che qualcosa o qualcuno
ci ha preceduto” sospirò Vlad salottiero “E valutando il magnitudo di questo
ballo di San Vito mi sa che non siano esattamente Hansel e Gretel.”
“Allora cerchiamo Giacinta”
ordinò Eva col bel viso incupito “Magari se siamo fortunati tutto questo circo
equestre è solo opera sua. Vlad, che fai non entri?”
Il tizio dai capelli rossi,
ancora oltre la soglia, si spolverò la giacca dalla polvere che cadeva copiosa
rimanendo prudentemente fuori dal locale.
“Vorrei ricordarti che questo
suolo benedetto non è esattamente il mio habitat naturale.” rispose poi in tono
sostenuto e finalmente Suor Bianca capì che cos’era e perché guardarlo le
scatenava dentro tanta folle avversione.
“Un Demone!” strillò con quanto
fiato aveva in gola, agitandosi sulla schiena come una grossa tartaruga
capovolta “Un Demone in Questa Sacra e Intoccabile Dimora!”
Il Demone in questione le lanciò
uno sguardo tra il divertito e l’offeso.
“Che vocetta acuta” commentò
“Possiamo spegnerla o almeno metterla in modalità volume muto?”
“Crux sancta sit
mihi lux! Vade retro, Satana!”
“Si, si, come no” sospirò Gino
agitando annoiato una mano “Allora, come la mettiamo qui?”
Eva scambiò un breve sguardo con
Raf: entrambi sapevano bene che Vlad avrebbe perso qualsiasi potere, entrando
nel convento. Anzi, avrebbe perso anche le forze, soffrendo atrocemente. La
cosa non mancò di ispirare momentaneamente il Demone che c’era in Eva, ma
accantonò subito il sadico pensiero.
“Numquam suade mihi vana!”
mugugnò intanto Suor Bianca socchiudendo dolorosamente gli occhi.
“Devi rimanere fuori, Vlad”
comunicò lapidaria Eva ignorandola “E’ troppo pericoloso e doloroso per te.”
Come a sottolineare la portata della
sua affermazione, la terra smise improvvisamente di tremare, immobilizzando la
scena nel pulviscolo della calce.
“Meno male.” sospirò Lorella dopo
un attimo di religioso silenzio.
“Che cara la mia scimmietta che
si preoccupa per il suo zietto.” gorgogliò Vlad divertito, appoggiandosi allo
stipite della porta con indolenza e rivolgendole un lungo sguardo malizioso.
“Sunt mala quae libas!” berciò
Suor Bianca, sinceramente esterrefatta per la piega decisamente anormale che
avevano preso gli avvenimenti.
Il Demone sulla soglia le lanciò
un terribile sguardo disgustato.
“Ma non si può far fuori questo
scaldabagno? Mi sta assassinando i coglioni!”
Raf pensò che fosse meglio agire:
si avvicinò leggiadro a Suor Bianca e la aiutò a sollevarsi con divina facilità.
“Non si preoccupi sorella” le
disse con un sorriso sincero “Veniamo in pace.”
“Più o meno.” aggiunse Gino
sottovoce accarezzandosi delle blasfeme armi umane che portava agganciate in
vita.
Per tutta risposta, Suor Bianca
arretrò incespicando verso il corridoio che portava al convento.
“Demoni nella Casa Del Signore!”
ululò decisamente oltraggiata e sconvolta “Che il Divino Veda e Provveda a
Questo Empio Atto che si Compie Verso la sua Dimora!”
“Amen, cocca, ma non farti venire
un colpo, ci mancano solo le pompe funebri e qui siamo pronti per un torneo di
canasta” le suggerì Gino garrulo “A proposito, sai dirci dove possiamo trovare
la cara Giacinta?”
Suor Bianca girò sui tacchi e
corse via: chissà perché, con lei volò via anche l’ultimo residuo di ottimistico
buonumore.
“Andiamo.” ordinò Raf con voce
stranamente cupa.
“Vlad, tu rimani?” chiese Lorella
piuttosto nervosamente: lo aveva sentito anche lei il cambio di atmosfera.
Vlad, che non sorrideva più, alzò
una spalla e fissò lo sguardo su Eva.
“La mia amata mi vuole preservare
vivo e funzionante.” rispose, ma la sua ironia sembrava forzata.
“Sì” decise Eva: il termine del
terremoto subito le era parso un sollievo, ma in quel momento stava sentendo
una sotterranea e umida sensazione di pericolo arrampicarsi sulla schiena come
un insetto. In quel momento avrebbe dato in cambio un braccio pur di avere Vlad
al suo fianco, ma avrebbe anche dato l’altro braccio pur di non ammetterlo.
“Aspettaci qui” disse in fretta
prima di far trasparire la sua incertezza “Non ci saresti di nessun aiuto con
Giacinta, accartocciato e moribondo in preda a una crisi demoniaca.”
“Ma sì” approvò Gino “In fondo
Giacinta è un Angelo. Non proverà nemmeno a farci del male. Tutt’al più ci
fracasserà i maroni con qualche canzoncina sacra… tu scendi dalle stelle o roba
così.”
“Tu stai attento, Vlad” mormorò
Raf sinceramente preoccupato “Qui l’unico in pericolo e vulnerabile sei tu.”
Per un attimo intensamente magico
Vlad sbatté le ciglia sorpreso: l’interessamento di Raf era autentico e lui non
era preparato ad affrontare la solidarietà dell’Arcangelo. Ma si riprese
subito.
“Ti piaccio di più così,
Cenerentola?” mugugnò allusivo posandosi una mano sul fianco e sporgendo le
labbra “Vulnerabile e indifeso? Vuoi che mi metta anche il grembiulino da
pastorella?”
Raf sorrise suo malgrado e
accennò un saluto.
“Stai attento, Demone.”
“Baciami il culo, Arcangelo.”
“Andiamo.” sentenziò Gino
tagliando corto.
Eva annuì ma non si mosse: Vlad
la guardava ancora, ma lei evitava di incontrare i suoi occhi. “Non voglio
che veda che ho bisogno di lui” pensò cocciutamente mentre Raf, Gino e
Lorella si avviavano rapidi lungo il corridoio. Eppure tentennava ancora, sfuggendo
all’idea di allontanarsi da lui. Finse di armeggiare col caricatore per
rimandare fino all’ultimo il momento cruciale.
“Ho come la vaga impressione che
tu stia prendendo tempo” le comunicò Vlad in tono colloquiale “Hai per caso
paura di affrontare Giacinta tutta sola soletta?”
“Non sarò sola” specificò Eva “Ci
saranno Raf e Gino.”
“E la palla al piede.”
“E Lorella, sì.”
“Ti è molto affezionata, quella
ragazza.”
“E’ scema e basta.”
“Ha parlato l’Arcangelo biondo
che è in te?”
La tenerezza nella sua voce era
una tortura incalcolabile che bloccava qualsiasi risposta.
“Ora devo andare.” scattò Eva
lugubre.
“Ok. Eva?”
Era forse la prima volta che Vlad
la chiamava per nome e il cuore di Eva volò così in alto che le sue ali
sbatterono dolorosamente contro la realtà. Era strano il suo nome detto da lui: prendeva un suono malinconico, come se fosse bagnato di pioggia. “Non vuole
dire niente” meditò una vocetta triste nella mente di Eva mentre deglutiva
senza trovare la forza di girarsi e guardarlo in faccia.
“Sì, Vlad?”
“Vieni qui.”
Lo chiese, non lo ordinò. Ma la
sua voce era così bella… miele caldo e velluto di seta.
“Non ti azzardare nemmeno a
pensare di ascoltarlo!” berciò la vocetta interna, ma i suoi piedi si erano
già mossi e la trascinavano quasi contro la sua volontà verso di lui. Si fermò
quando nel suo campo visivo saldamente ancorato a terra entrarono le eleganti
Paciotti del Demone.
“Uhm?”
“Puoi smetterla di trapanarmi le
tomaie? Guardami.”
“Uhm.”
Nel campo visivo entrarono le
ginocchia inguainate nei pantaloni di pelle nera.
“Scimmietta, è inutile tutta
questa diffidenza. Non potrei mangiarti nemmeno volendo, in questo posto
benedetto, quindi alza quei begli occhioni neri, da brava.”
Gli occhi di Eva risalirono
riottosi verso l’inguine: poi, rendendosi conto della zona altamente
compromettente, si alzarono bruscamente sul viso di Vlad e vennero incatenati
dalle sue scintillanti schegge d’agata.
“Ecco, brava” sorrise Vlad “Era
così difficile?”
Anche peggio, pensò Eva
affannata. Si sentì dolorosamente indifesa e nuda, quasi impudica; arrossì
vergognosamente ma non abbassò lo sguardo. Guardare Vlad era come trovarsi di
fronte a un’esplosione nucleare: pericoloso e doloroso, ma così affascinante da
rapirla completamente. Il Demone dal canto suo sembrava trovare qualche
difficoltà a proseguire. Non mosse un muscolo, rimanendo con le braccia conserte
e la posizione indolente contro lo stipite, ma sembrava sforzarsi di dimostrare
tanta naturalezza.
“Non sottovalutare Giacinta”
disse infine, ma non sembrava certo che fossero quelle le parole che voleva
dire “E’ anche causa sua se è successo tutto questo.”
“Lo so.”
“Bene.”
Ancora Eva non si muoveva:
sentiva l’assurdo e fastidioso impulso di volargli tra le braccia, a quel
dannato stronzo, e prima ancora che potesse darsi dell’idiota e reprimerlo si
trovò con la testa appoggiata al suo petto caldo rivestito di costosa seta
nera. Vlad trattenne bruscamente il fiato e Eva sotto l’orecchio sentì il suo
cuore battere con una brusca impennata. Quel suono segreto le riempì il cuore
di struggimento e gli occhi di lacrime. Così, per nascondergliele, si staccò bruscamente
da lui, gli girò le spalle e strizzò forte gli occhi.
“Vado.” disse facendo due passi
incerti.
“Ehi, un momento” la apostrofò
Vlad con il riso nella voce “Volevi salutarmi con un bacetto, scimmietta?
Perché terremoto o no, al contatto di mucose sono sempre disponibile, lo sai.”
“Crepa.” sibilò Eva scattando
lungo il corridoio a passo di marcia.
“Stai attenta” le sussurrò dietro
Vlad con una strana e morbida voce riflessiva “E se hai bisogno chiamami.
Rimarrò in ascolto.”
* * *
Il convento era uscito
decisamente malconcio dal terremoto improvviso. Suore bianche e grigie come
fantasmi veleggiavano schiamazzando a destra e a manca come tante povere
galline spaventate in un pollaio, ignorando miracolosamente il bizzarro
gruppetto appena arrivato. Raf che correva davanti agli altri, era bianco e
teso come Eva non lo aveva mai visto prima. Di colpo, il proprio personale
struggimento per Vlad passò in secondo piano dopo la bruciante preoccupazione
per l’Arcangelo.
“Raf?” lo raggiunse con uno
scatto “Hai idea di cosa fosse in realtà questo terremoto?”
“No.” rispose Raf rallentando
l’andatura: era difficile correre e orientarsi in mezzo al caos di gente ferita
e gemente, urla, mobili rovesciati, brani di muro staccati, macerie sul
pavimento…
Uscirono nel chiostro dove il bel
colonnato intorno al frutteto era crollato per tutta la sua lunghezza.
“Che disastro.” mormorò Lorella
impressionata.
“Dov’è Giacinta?” chiese
pragmatico Gino e Raf girò la testa a destra e sinistra, some un radar in cerca
di un segnale.
L’espressione del suo viso era
sempre più sofferente ogni secondo che passava.
“Di là.” disse infine scattando
verso una piccola cappella al limitare del frutteto.
Compatti e allerta, gli altri lo
seguirono. La cappella era uscita relativamente indenne dal terremoto: il tetto
era imbarcato come se fosse fatto di cartone, ma i muri sembravano ancora
solidamente al loro posto.
“Tu stai dietro.” ordinò Eva a
Lorella tenendo la Five-seveN con entrambe le mani.
Il pesante portone di legno venne
spinto da Gino e Raf mentre Eva entrava per prima con l’arma spianata.
L’interno della cappella era spoglio e buio. Gli inginocchiatoi rovesciati ai
lati della navata sembravano cataste di legna abbandonate nel bosco: al centro,
il pavimento di elaborati mosaici presentava una profonda frattura, come se si
fosse spezzato in due. Sull’altare un mastodontico crocifisso appeso sbilenco
resisteva alla forza di gravità trattenuto da un misero cavo e dondolava
debolmente alla luce incerta di una candela. Dietro esso, la vetrata colorata
era esplosa, disseminando intorno schegge di vetro come spruzzi involontari di
un allegro pittore. Ai piedi del crocifisso sbilenco, inginocchiata, c’era una
figura curva.
“Giacinta!” la chiamò con voce
secca Eva puntandole contro la pistola.
La figura non si mosse: rimase
inginocchiata davanti all’altare, il capo chino in una posa di dolente
abbandono. Avvicinandosi prudentemente, Eva constatò che era davvero Giacinta:
era a piedi nudi e indossava la semplice e ruvida camicia da notte grigia in dotazione
al convento. I capelli non coperti dal velo erano sciolti sulla schiena e
arruffati in ciocche scomposte e grigiastre. Giacinta guardava su, con lo
sguardo fisso al crocifisso e il suo viso sofferente era coperto di lacrime.
Girandole intorno guardinga, Eva le si parò davanti e suo malgrado sentì una
stretta di pena per quella figura così prostrata e così dolente che stava
pregando a fior di labbra, senza quasi emettere suoni.
“Giacinta” La chiamò con voce più
calma “Guardami.”
La figura della suora ondeggiò
appena mentre Gino arrivava da destra, puntandole anche lui la sua arma
addosso, e Raf da sinistra, cauto e pietoso. Non rispose al richiamo di Eva:
continuò a pregare e a piangere, come se non potesse fare altro che quello. Eva
e Raf si scambiarono un breve sguardo: negli occhi turchini dell’Arcangelo
c’era tanta compassione da riempirli di lacrime.
“Sorella” la chiamò con la sua
voce meravigliosamente divina “Sorella Giacinta, sono io.”
Il corpicino magro di Giacinta
ebbe un brivido: sbatté le ciglia sugli occhi vacui e girò la testa verso Raf
lentamente, come se quel semplice movimento le costasse fatica.
“Raffaele?” domandò sottovoce:
sembrava parlare attraverso strati e strati d’ovatta.
Raf fece un gesto a Eva come a
chiederle di abbassare l’arma, ma Eva scosse la testa tenendo l’Angelo
sottotiro.
“Giacinta” disse Eva
avvicinandosi ulteriormente “Siamo qui per…”
“Dio mi ha abbandonata.” la
interruppe Giacinta con una voce stranamente forte e coerente.
“Oh, no” ribatté subito Raf con
voce dolcissima “Tu lo sai, Dio non abbandona mai i suoi figli…”
La testa di Giacinta crollò giù
col mento sul petto in una posa così affranta che Eva provò di nuovo pena per
lei.
“Dio lo sa che ho peccato tanto”
mormorò Giacinta iniziando a piangere “Ma io non volevo farlo. Cercavo solo di
fare del mio meglio.”
“Alleandoti con Cornelia per
uccidere Vlad?” chiese Eva seccamente “Questo a me non sembra affatto il
meglio.”
Un brivido scosse il corpo
abbandonato di Giacinta.
“Vlad non ha mai concesso niente”
mormorò piano “E’ tanto tanto cattivo. Se solo ci fosse stato qualcuno disposto
a collaborare… se a capo dei Nodi ci fossero stati un Angelo e un Demone in
grado di parlare… quante cose si sarebbero potute fare? Quante questioni si
sarebbero potute risolvere? Quanto bene ne sarebbe venuto fuori?”
Di nuovo Eva e Raf si scambiarono
uno sguardo rapido, questa volta decisamente dubbioso.
“E quel qualcuno sarebbe stato
Cornelia?” chiese Eva sprezzante.
La testa di Giacinta ciondolò
nuovamente in avanti, inerme.
“Aveva promesso. Sì, avrebbe
collaborato. Senza Vlad, la pace avrebbe regnato sovrana: la pace e l’amore,
finalmente, sul questo Piano!”
Rialzò gli occhi illuminata dalla
prospettiva come se le si fosse accesa dentro una luce.
“Sarebbe stato per merito mio,
della povera piccola Giacinta! Dio sarebbe stato così fiero di me che avrebbe
perdonato… avrebbe perdonato, sì, il fatto che il mio cuore fosse colmo di
gioia al pensiero della morte di Vlad.”
Gino scosse silenziosamente il
capo mentre Raf si avvicinava a Giacinta d’un passo.
“Sorella…”
“Mentiva” lo interruppe Giacinta
con una voce così disperata da spezzare il cuore “Cornelia mentiva. Voleva solo
il mio aiuto per sapere come uccidere Vlad. Sono io che le ho detto di te, Eva.
Sono io che ho trovato il punto di contatto, che ho dato a Cornelia i nomi di
Paolo e Sandra…” La sua voce si fece più acuta, più angosciata “Sono morti per
causa mia! Io li ho uccisi!”
Si portò le mani al viso e
cominciò a singhiozzare disperatamente. Raf allungò una mano pietosa verso di
lei.
“Non la toccare” gli ordinò Eva
seccamente “Non ti avvicinare nemmeno!”
“Dio mi ha abbandonata!” strillò
improvvisamente Giacinta con autentica angoscia “Ha voltato le spalle a questa
sua figlia ingrata che ha peccato tanto!”
Il suo dolore era così palpabile
che Eva se lo sentì quasi addosso. Vide con la coda dell’occhio che Lorella si
stringeva i gomiti con le mani per resistere alla tentazione di commuoversi e
Raf… per Raf era un’autentica tortura non poter consolare l’Angelo disperato. I
suoi occhi turchini erano colmi di pena e lucidi di pianto.
“Sorella” mormorò allungando
impercettibilmente le dita tremanti verso di lei “Dio Padre non abbandona
nessun figlio, mai! Nemmeno chi sbaglia, nemmeno chi si copre di peccato!”
Ma Giacinta sembrava chiusa in un
bozzolo insondabile d’angoscia e di terrore: il suo sguardo sfuggiva, si
infilava terrorizzato negli angoli bui della chiesa, nascondendosi alla
vergogna e soccombendo ad essa.
“Sono perduta!” gridò rivolgendo
il viso verso il soffitto scuro, i nervi del collo tesi e lividi “Ho peccato di
Superbia di fronte al Signore… ho creduto alle bugie di un Demone e ho fatto
uccidere delle creature innocenti. Sono Perduta per sempre! Dio mi ha
abbandonata!”
Qualcosa come un fremito d’ali
turbò il battito del cuore di Eva: nonostante la tensione emotiva del momento,
nonostante il suo animo fosse stanco e duramente provato da quelle ultime
giornate di sconvolgimento totale, una parte di lei era ancora fredda e
percepiva una invisibile stonatura. Ancora non riusciva a capire cosa fosse
concretamente, ma la intuiva sottopelle, umida e inquietante. “Angoscia,
tanta angoscia” mormorò una voce remota nella sua testa “Tanta, troppa…”
“Sorella…”
“Raf, stalle lontano! E tu,
Giacinta, calmati e metti le mani sopra alla testa.”
Nessuno dei due Angeli ubbidì
agli ordini di Eva: un gemito lento e sofferto iniziò a uscire dalle labbra
contratte di Giacinta che col viso rivolto verso l’alto sembrava l’immagine
stessa del dolore mentre Raf si avvicinava, cauto e pietoso.
“Padre!” strillò Giacinta, ed era
un grido disperato, definitivo.
Così assolutamente privo di
speranza che Eva intuì le intenzioni dell’Angelo prima ancora che le intuisse
lui stesso. Strinse le mani intorno alla pistola, impotente e nello stesso
tempo spaventata. E ancora quella stonatura, quella sfasatura invisibile: “Tanta,
troppa angoscia…”
“Ferma!” ordinò, ma Giacinta
abbandonò le braccia lungo i fianchi e il mento contro il petto.
Sembrò un piccolo indifeso
uccellino con le ali sporche… e fu chiaro per tutti che voleva solo morire.
NOTE DELL’AUTRICE:
WillHole: Chissà se arriverai qui in tempo per leggere le mie
risposte alle tue deliziosi, corroboranti recensioni… in verità so di non
meritare tante splendenti e buone parole, ma lo stesso non posso fare a meno di
gradirle, di conservarle gelosamente e di tirarle fuori come dolce panacea
quando le cose vanno male… Grazie, carissimo e prode cavaliere, from the
deepest of my soul…
Chamelion: Temo e aspetto con ansia ogni tua recensione, mia
carissima: le bacchettate mi fanno bene, devo dire la verità, mi stimolano a on
smettere mai di cercare la soluzione migliore, quella che non solo segue la mia
trama mentale, ma che spera di avere l’approvazione dei lettori compresi quelli
più esigenti… considerando i miei pochi mezzi e comunque l’entusiasmo che ne
ricevo in ambio, posso solo sentirmi lusingata e felice!! Mil besos, querida
(oggi spagnoleggio, chissà perché…)
ReaderNotViewer: Mia cara, carissima! Come stai? E’ tanto
che non ti sento, ho sentito la tua mancanza, che tu ci creda o no! La tua
presenza, anche se saltuaria, è sempre graditissima, è bello ogni tanto avere
qualche “effluvio” della tua meravigliosa personalità… Come sempre, grazie
infinite per i complimenti immeritati. Ripensandoci forse questa storia fa
acqua da tutte le parti.. spero solo di aver scritto qualcosa di, se non troppo
coerente, almeno godibile! A presto, tesoro, fatti sentire per un the, magari…
eh eh eh!!
Londonlilyt: Amoreeeeee! What’s happen in
London? I miss you, joia, mi manca tantissimissimo la tua risataaaa… me
ne mandi un po’ via mail? Le mie sfighe con gli uomini hanno raggiunto vette
inenarrabili, ho bisogno di un po’ di conforto…
Rik Bisini: Ma quale onore, O Sommissimo!! Ovviamente
accetto tutte le critiche e i suggerimenti fatti con la massima attenzione e
rispetto per le tue opinioni: mi dispiace che la storia proceda con tante evidenti
“cadute” e lacune, ma sono contenta come sempre della cura con cui hai
analizzato i miei scritti: ne sono grata e onorata, non smettere mai!! Sperando
di risentirti presto, carissimo, ti mando tutti i miei più cari saluti
Lauraroberta87: Amoreeee… e che storia è senza morti,
stragi, rovine, terremoti e arti sanguinolenti dovunque? Insomma, proprio da te
queste domande retoriche proprio non me lo aspettavo… in culo alla balena per
gli esami, dacci dentro!!!!!
Nikoletta89: Ma grazie, grazie, grazie.. troppo buona,
figliola, così mi metti in imbarazzo! E poi dai, era quasi scontato che
l’alleata fosse lei: chi sennò? E qui ti lascio alle ultime domande… Saludos, a
presto!!
MarzyPappy: Porca l’oca indiavolata…? Ma in che fattoria
vivi, joia? E il gallo com’è? Agnelli, vacche… eh, anche a me Giacy non
piaceva, e tu sai cosa succede ai personaggi che non mi piacciono… poveri loro!
Baci enormi anche a te, bella mora ricciolona, che fai quest’anno per le ferie?
Krisma: Mio dolcissimo fiore di loto, ma certo che Giacinta
dovevo coinvolgerla, e che diamine! A parte che mi stava sui maroni, e s’è
visto, poraccia… l’intento era quello sin dall’inizio, ombra che contamina la
luce e viceversa, insomma, un po’ di studio dei simbolismi, jente!! Anche tu
sei il mio bocciolo, Darling, ti adoro tanto tanto!!
Amie: Dai dai, non far finta di essere stupita… lo so che
Giacinta ti stava sul gozzo e che non vedevi l’ora che la facessi fuori. Beh,
solo per i tuoi begli occhi, eccoti accontentata!! Effettivamente adoro Sin City
e quindi qualcosa mi deve essere rimasto sottopelle. Raf adesso arriva,
tranquilla! Bacio bacio pure a tia
Anthy: Ma ciao, dolcezza… ebbene sì, spero di aver in serbo
ancora abbastanza cartucce da stupirvi con effetti speciali, o almeno, morirò
cerebralmente nel vano tentativo. Tu però non smettere di scrivermi, right…?
Besos!!
White Shadow: Mia adorata!! Ma davvero riuscimmo a beccarci
in diversi lidi? Per la privacy che sono così brava a mantenere non dirò più
nulla, ma… quanto sei carina!! A propò, copione allucinante… coinvolgente…
geniale, oserei dire. Ohibò, e perché mai vorresti scorticarmi? E Naruto, chi
diavolo è? Ricordati che sono una vecchia ciabatta io… di ste cose da
giovinastri non ne so nulla. Oh, che bello essere stata livata alona… non mi
era ancora successo prima XD. Sei un mito, querida. Baci dovunque