C’era questa favola che ti raccontavano da bambino. Non la ricordavi bene.
Raccontava di qualcuno, forse di una principessa.
E lei se ne stava chiusa in quella torre, non rideva mai.
Non la ricordavi bene.
Non ricordavi mai la fine.
Ho sognato. Le pareti vuote. Ed era come sognare il mare, distesa nella polvere.
Ho sognato. Di scucirti il cuore. Pulsava troppo forte nel silenzio nero.
Schizzava orrore bianco intorno. Ed io consumavo aria, dalle serrature nelle
porte e, come le farfalle, ridevo di disperazione. Tre giorni. Tre giorni e
muore. Nella sabbia calda, che diventava vetro da ingoiare, e nelle estati e
nella pioggia ruvida. Ma era sempre il mare. Inseguirti, urlare. Ed era
un violento sfiorire di stagioni, in orizzonti storti. Era, ossessivamente,
respirare. Ossigeno sintetico di bambole, pupille stropicciate e odore di
benzina. Era rosso, ed era il vento. A volerti ricordare.
Ho sognato. Ed era come perderti.
Ma era sempre il mare.
E inseguirti, e urlare.
Ma era sempre il mare.
Note:
Sogni. Sogni sul serio.
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