Childhood in love-dove tutto ebbe inizio
First Love - Dove tutto ebbe inizio
Primo
giorno di liceo significava per me tante cose: era un miscuglio di
emozioni che ero sicura non sarei stata in grado di codificare fin
quando non avrei varcato quella soglia. Vivevo quel giorno come un
senso di rivalsa e di sicurezza. Avevo riposto in esso tante
aspettative, speravo che quell'ambiente potesse essere un nuovo inizio,
l'inizio di qualcosa di bello.
La vita non era
sempre stata giusta e generosa con me, spesso mi aveva tolto quanto di
più chiaro avessi e mi ero resa conto presto di quante
ingiustizie ci
fossero, eppure la speranza rimaneva lì, imperturbata. Abitava in
un
recondito posto nel mio cuore e non poteva fare a meno di farsi notare
ogni volta che riuscissi a scorgere nella mia esistenza attimi di
felicità. Perché io ero una sognatrice.
Tra i
desideri più grandi, avevo posto il voler diventare pediatra e
avrei
raggiunto con tenacia quell'obiettivo. Volevo diventare medico per dedicare la mia vita agli altri.
E poi sognavo di trovare
l'amicizia, quella vera e solida, e per ultimo ma non meno importante,
sognavo l'amore. L'amore con la A maiuscola, quel sentimento tale da
farti sentire potente e felice come non mai. Volevo provare sulla mia
pelle quella sensazione di benessere e appagamento che la persona amata
può darti. Ambivo ad una storia come quelle che adoravo
leggere nei miei libri e un amore come quello che avevo visto riflesso
negli occhi dei miei nonni e vedevo coltivare, ogni giorno, nei gesti dei miei genitori.
Qualcosa che ti mettesse la testa e il cuore in
subbuglio. Qualcosa che, in vita mia, non avevo ancora mai provato.
Quando il fatidico
giorno arrivò, varcando l'ingresso di quell'imponente edificio,
mi sembrò tutto così nuovo e quella
realtà per quanto volessi non pensarlo, mi spaventava. Un anno
prima la mia vita era cambiata radicalmente con la scomparsa di mio
nonno. Stavo lasciando che la mia timidezza prevalesse su tutto,
inghiottendomi in un guscio, da cui io stessa non volevo uscire.
In estate era arrivato il colpo di grazia, perché prima che
incominciasse la scuola, avevo perso un'altra persona importante per me.
Non perché non fosse più in vita, anzi, ma lei aveva fatto
tutto affinché io non facessi parte della sua.
Era la persona che consideravo più vicina ad una sorella e che
mi conosceva meglio di chiunque altro, ma io non potevo dire lo stesso
di lei. Ci eravamo conosciute tre anni prima a danza. Frequentavamo le
scuole medie insieme, ma in classe diverse e non c'eravamo mai viste
prima.
Gli interessi che ci univano erano molti e svariati e da quel giorno
non ci lasciammo più. Lei non si era integrata bene con le
compagne, quindi io fui per lei una sorta di salvezza, più tardi
capii che il suo bene non era poi così genuino nei miei
confronti.
Passavamo più tempo a casa dell'altra che propria, e all'inizio
era tutto bello.
Progettavamo tante cose insieme: iniziare il liceo e questa volta nella
stessa classe, fare l'università anche quella insieme,
perché
per uno strano scherzo del destino sapevo anche lei volesse fare medicina e
successivamente pediatria. Più avanti, quella cosa, pensai potessi rivelarsi
un incubo.
Tutto ciò non era mai successo per il semplice fatto che fossero
subentrate terze persone e lei si fosse allontanata da me.
Io però non ci vedevo amicizia in quel nuovo gruppo che si
era formato e non lo dicevo per gelosia, anzi. Per il semplice motivo
che vedevo come le comandasse a bacchetta e nonostante loro mi
conoscessero e fossimo uscite insieme qualche volta, non avevano fatto
niente per capire come mai io non fossi più invitata, no.
Avevano preferito seguire lei.
Era stata pur sempre la mia migliore amica, come è giusto
che fosse le volevo ancora un gran bene e gliene avevo
voluto per tanto tempo, finché non avevo deciso di
eliminarla per sempre dalla mia vita, tenendomi ben lontana da tutto
ciò che la riguardasse.
Quel primo giorno di scuola la incontrai e ci pensò mio fratello
Marco, venuto a conoscenza di tutto l'accaduto, a rifilarle una
bruttissima occhiataccia, capace di farla scappare con la coda fra le
gambe; lei che non si lasciava mai intimorire da niente e nessuno...
Mi sussurrò di non badare più a persone del genere e mi
accompagnò fuori la mia classe. A differenza di quella che avrei
dovuto frequentare insieme a lei, qui
non conoscevo nessuno. Ma cambiare sezione all'ultimo momento, mi era
sembrata la cosa più giusta da fare, come potevo sopportare di
stare nella stessa classe con una persona che mi aveva fatto
così male?
"Sorellina, adesso devo andare"mi salutò mio fratello, con un
bacio sulla fronte. Marco non provava nessuna vergogna nel far sapere a
tutti che io fossi sua sorella, anzi. Diceva che io fossi troppo
ingenua e anche carina, sì. Quindi, sapendo che fossimo legati
geneticamente, nessuno si sarebbe approfittato di me.
Per quanto io avessi dovuto considerare quel suo comportamento
asfissiante, mi piaceva l'idea che lui volesse proteggermi e, sapere di
avere una persona vicina lì dentro, mi rassicurava.
"Vai da lei, eh?"lo presi in giro, facendolo fermare sul posto. Non
c'era bisogno di tante parole per capire a chi mi stessi riferendo.
Sabrina Castelli era già nella testa di mio fratello dall'anno
prima. L'aveva vista uscire dalla classe accanto, la 3a C. Per qualche
strano motivo aveva capito che ci fosse qualcosa in lei che l'attirasse.
Non che me lo avesse detto lui, sia chiaro. Era pur sempre il fratello
maggiore orgoglioso che ostentava sicurezza da tutti i pori: l'avevo
semplicemente scoperto da sola e da quel giorno non facevo altro che
punzecchiarlo sull'argomento. Non aveva mai avuto difficoltà con
le ragazze, anzi ne era circondato, solo che questa Sabrina gli stava
dando davvero del filo da torcere e io provavo una sorta di ammirazione
nei suoi confronti. Più avanti scoprimmo perché, e mio
fratello per quanto strano potesse sembrare, fu l'unico a rompere il suo
guscio.
Lui si voltò a guardarmi con un'espressione allibita e
sinceramente infastidita in volto e io sorrisi angelica sfoderando un
colpo basso troppo anche per lui.
"Lasciala stare Marco, lei non ti vuole".
Il mio fratellone ignorò bellamente le mie parole. "È
proprio qui che ti sbagli, sorellina. Non riuscirà a resistere
ancora per molto al mio fascino"disse, gonfiando il petto, poi si
allontanò mantenendo uno sguardo fiero.
Scossi la testa ridendo. Era così sfrontato e sicuro di sé e
non ci fosse persona credo che lì dentro non lo conoscesse. Per
quanto potesse sembrare altezzoso, aveva una bella parlantina e metteva
sempre le persone a suo agio e furono proprio quelle qualità che gli fecero
attribuire la carica di rappresentante d'istituto per i due anni
consecutivi.
Ogni ragazzo provava ammirazione nei suoi confronti, perché
riusciva a destreggiarsi bene tra scuola, sport, ed era circondato da
ragazze, le quali avrebbero fatto a gara per attirare le sue attenzioni.
Ma lui
non aveva mai dato tanto conto a tutto ciò, anzi ignorava quello che lo circondava. Conduceva la sua vita da normale
adolescente che si rispetti ed era troppo buono per poter spezzare il
cuore di una di quelle ragazze.
Lasciai stare tutto ciò che riguardasse mio fratello e mi
guardai attorno, osservando gli studenti sfrecciare davanti ai miei
occhi, mentre le risate spensierate risuonavano nei corridoi.
Sistemai meglio lo zaino sulle spalle e mi voltai scontrandomi
con una
ragazza che poteva essere almeno dieci centrimetri più alta di
me.
Quando alzai lo sguardo, mi si presentò una ragazza dal viso
dolce e l'espressione gentile. I suoi occhi castani-leggermente a
mandorla come i miei-mi scrutarono a lungo e qualche ciuffo, di quella
cascata di riccioli castani, le ricadde birichina sulla fronte.
"Scusami..."borbottai imbarazzata.
Lei sorrise timidimante e in quel
momento capii ci trovassimo nella stessa situazione. Completamente a
disagio in un posto nuovo.
Protesi la mia mano verso di lei. "Sono Anita, piacere"mi presentai.
Lei
sembrò rilassarsi e mi strinse la mano a sua volta rivelandomi
il suo nome: Carlotta.
Cominciammo a parlare subito dopo e la mia
impressione su di lei non si rivelò affatto sbagliata, anzi. Era
dolce e cordiale come avevo ipotizzato. Quando scoprimmo di essere in
classe insieme, poi, i sorrisi che affiorarono sulle nostre labbra rivelavano
quanto fossimo entusiaste della notizia. Tendendole la mia mano, allora,
le domandai di sedersi accanto a me. Fu l'inizio della nostra
bellissima amicizia.
Giulia e Cristina subentrarono subito dopo. Non si conoscevano nemmeno
loro due, ma erano finite sedute vicine. O meglio, la prima si era seduta
accanto a lei riconoscendo in Cristina un volto amico: secondo
le sue congetture sarebbero diventate ben presto inseparabili.
C'era da sapere su Giulia che fosse timida, ma che quando prendeva
confidenza poteva finire per parlare ininterrottamente per ore, e a me
questo lato del suo carattere faceva sorridere.
Sognatrice e fangirl,
finiva per vedere amore ovunque e elaborava teorie su come sarebbe
sbocciato esso tra le coppie formate nella sua mente.
Si lasciava trasportare spesso da questo entusiasmo e lo imparai a mie
spese quando io e Lottie ci sedemmo al banco accanto a loro e, con
l'allegria che la contraddistingueva, prese a fare le presentazioni. Era
incredibile quanto questo suo lato si contrapponesse al suo saper essere
anche calma e
riflessiva.
Cristina, invece, era molto più tranquilla e pacata, ed era proprio
lei che molto spesso ci riportava con i piedi per terra, quando andavamo
un po' oltre con l'immaginazione.
Lo capii subito che ci fosse qualcosa in loro, che le
rendesse speciale ai miei occhi, e le mie congetture non erano affatto
sbagliate.
Con Nicola, invece, la cosa fu più diversa e graduale. Passammo dall'essere normali
conoscenti in classe insieme a compagni di banco, nel giro di pochi
mesi.
Il mio amico aveva tutte le carte in regola per essere uno bravo
studente, ma quello che gli mancava era proprio la forza di
volontà. Appariva spesso disinteressato a tutto ciò che
riguardasse la scuola e questo spinse la prof di italiano a
prendere provvedimenti con lui.
Successe tutto un giorno, quando lei entrò annunciando di voler
rivoluzionare alcuni posti e io finii seduta proprio accanto a Nicola.
Ci eravamo rivolti la parola in classe, magari per salutarci o scambiare
qualche parola nel corso di quei primi mesi di scuola, ma le cose
cambiarono completamente per noi. Non fu difficile relazionare, come
avevo pensato, e fu il primo coetaneo dell'altro sesso con cui riuscivo
a parlare senza timore o imbarazzo.
Scoprii un lato del mio carattere che non conoscevo e divenni
autoironica e più estroversa. Lui, fondamentalmente, voleva
sembrare uno duro, impulsivo e testardo, ma di base era anche molto
insicuro e lo imparai quando durante le ripetizioni che gli davo, era
pronto a lasciar perdere tutto al primo errore, per il semplice fatto
che pensasse di non farcela. Penso che sia proprio il fatto che ci
aiutammo reciprocamente, a renderci così uniti. Il più
delle volte il suo comportamento mi infastidiva e non avevo problemi a
farglielo notare e lui si arrabbiava, eccome, ma dopo cinque minuti
tornava chiedendomi scusa, per la paura che io non volessi essergli
più amica.
Tra lui e le mie amiche le cose non furono così facili,
soprattutto tra lui e Carlotta. Non facevano che litigare il più
delle volte e si lanciavano continuamente frecciatine. Non so per quale
motivo si comportassero così e quando provavo a chiedere
spiegazioni, la risposta che mi rifilavano era la stessa per entrambi:
"mi irrita! Aaah è così infantile!". Non c'era nemmeno il
presentimento che a Lottie piacesse, perché nella sua
testolina c'era già ai tempi Federico.
Con Giulia e Cristina i litigi erano più sporadici e almeno loro
cercavano di comportarsi in modo più civili.
Alla fine arrivai
ad una sola conclusione: sia le mie amiche che Nicola erano gelosi
del rapporto che avevo instaurato con entrambi e pensavano che io
potessi troncare decidendo di essere amica solo di lui o di loro.
Li misi alle strette perché non sopportavo che
pensassero io potessi fare una cosa del genere. Non volevo fare
una sceltra tra i miei amici. Avrebbero dovuto smettere di litigare o
almeno cercare di comportarsi civilmente se volevano che io fossi
ancora loro amica. Mi avevano portato alla esasperazione più totale e
mi sembrò la cosa migliore da fare e lo fu. Lottie e lui non
smisero di punzecchiarsi affatto, ma almeno si comportavano da persone
mature e riuscivano ad intavolare conversazioni in modo civile.
Un anno dopo ero una persona diversa. Ero riuscita a smorzare
quell'alone di timidezza. Non
sapevo però, che di lì a poco, la mia vita sarebbe stata
rivoluzionata da un incontro: quello con Luca.
L'avevo visto una volta nei corridoi della scuola. Il nostro istituto
era piuttosto grande da ospitare tre indirizzi. Scientifico, scienze
applicate e classico. I primi due si trovavano in un'unica sede e
alcuni classi sugli stessi corridoi. Invece, le classi del classico
erano collocate in un edificio all'esterno, ma collegato tramite un
corridoio interno, da rendere l'entrata la stessa.
Ricordo che era un giorno di fine marzo della prima superiore, quando
incrociai il suo sguardo per la prima volta. Uscivo dal bagno delle
ragazze posto difronte alla 3a O scienze applicate. La campanella era
suonata da molto, ma
notai alcuni studenti ancora fuori l'uscio della porta, probabilmente
stavano aspettando che arrivasse il docente dell'ora. Incuriosita dai
fischi e gli schiamazzi provenienti dalla classe, mi voltai. Vidi due
ragazzi sulla soglia, l'uno spalleggiava l'altro, ma quando uno di loro
guardò nella mia direzione, sentii la terra mancarmi sotto i
piedi. Mi stupì il modo in cui mi fissò, quasi con
insistenza, e
quando il ragazzo al suo fianco guardò ripetutamente nella mia e
poi nella sua direzione e gli sussurrò qualcosa all'orecchio,
lui rise.
Non so per quale motivo, ma sentii il mio cuore cominciare a battere
un po' più forte e prima che potessi attirare ancora di
più l'attenzione sgattaiolai via, con il battito accellerato e
un'inspiegabile sorriso sulle labbra.
La mia classe, la 1a A scientifico, si trovava dalla parte opposta, infondo al corridoio, eppure non lo rividi più.
Non parlai con nessuno di questa storia, nemmeno alle mie amiche, che mi
guardavano confuse ogni qual volta il mio sguardo si perdeva nei
corridoi per cercarlo, ma lui non c'era mai.
E poi un giorno successe una cosa. Era ottobre, da poco era cominciato
il secondo anno per noi 2a A e Michele, un mio compagno di classe, ci
chiamò tutti a riunirci attorno a lui. Capitava che ci fossero
disguidi e malintesi tra noi e non riuscivavamo mai a vederci tutti al
di fuori dell'ambiente scolastico, ma potevamo considerarci una classe
unita. Certo, ognuno di noi aveva legato di più con una
determinata persona, così come giusto fosse, ma riuscivavamo
sempre a trovare una soluzione di comune accordo.
Ci comunicò che per la sera di Halloween un suo amico
organizzava una festa a casa sua e gli aveva chiesto di portare quanta
più gente possibile. Eravamo invitati.
Il suo amico frequentava la 4a O, e instantaneamente mi venne da
pensare che a quella festa, avrei potuto rivedere quel misterioso
ragazzo.
Io e le ragazze accettammo di buon grado la notizia, eravamo eccitate
all'idea di partecipare ad una festa. Ci entusiasmava ancora di
più l'idea che ci fossero ragazzi più grandi.
Halloween arrivò prima che ce ne rendessimo conto. Quella
mattina la nostra scuola era chiusa per disinfestazione e avemmo
più tempo per dedicarci alla serata in programma.
Halloween rappresentava per me una brutta ricorrenza. Correva in quel
giorno l'anniversario di scomparsa di mio nonno ed era quindi chiaro
come potessi affrontare la giornata.Tutto il dolore ritornava a galla. Quella volta, però, la
giornata iniziò con uno spirito diverso. Nascosi il motivo a
chiunque.
Mia madre salì in camera per salutarmi. Aveva preparato la colazione per me e Marco ed era pronta a scappare a lavoro.
Quando scesi di sotto, mio fratello era già seduto al tavolo
della cucina pronto a gustare il suo latte con cereali. La casa quel
giorno sembrava così silenziosa senza la mamma, scappata a
scuola, e il babbo in ufficio.
Osservai mio fratello e pensai che fosse davvero bello. In contrario a
quanto volevo fargli credere, provavo una nascosta ammirazione nei suoi
confronti. Mio fratello sapeva essere un grande impiccione e un
terribile gelosone, ma gli volevo un gran bene.
Scrutai il suo viso alla ricerca del solito ghigno che si disegnava
sulle sue labbra, alla mia vista di prima mattina, ma ci trovai solo
un'espressione abbattuta.
"Cosa c'è? Hai litigato con Sabrina?" lo presi in giro.
Fu a quel punto che Marco alzò lo sguardo e finalmente mi
guardò. Non replicò alla mia domanda, ma mi fece segno di
sedermi accanto a lui.
Lo guardai scettica; sembrava così strano quella mattina.
Mi sedetti accanto a lui, mentre con apatia girava il latte nella
tazza. Uno sbuffo fuoriuscì dalle sue labbra e lo osservai appoggiare
il mento sulla mano libera.
"Deve essere proprio grave questa cosa per ridurti
così..."ironizzai, ma mi accorsi un poco dopo averlo fatto che la
situazione lo fosse sul serio e all'improvviso capii.
Come avevo potuto essere così infantile?
"Lo sai Anita, lo sai..."
Non ero l'unica a cui quella ricorrenza provocasse dolore. Sapevo
quanto Marco fosse legato a nostro nonno, eppure l'avevo accantonato,
chiusa come ero nel mio dolore. In realtà io e mio fratello
eravamo legatissimi ai nostri materni. Non so perché, ma era
stato chiaro fin da subito che provassimo più trasporto nei loro
confronti. Quando il nonno se ne era andato, per la prima volta, avevo
visto piangere mio fratello. Ci eravamo trovati mai come allora,
così vicini, ad affrontare un dolore grandissimo.
Non ci fu bisogno di dire molto e, quando lo strinsi, appoggiandomi
alla sua spalla, lui tirò un sospiro, in silenzio.
"Sai, stasera vado ad una festa. Non mi dici niente?" cercai di
stemperare la situazione e capii di esserci riuscita quando lui si
aprì in una fragorosa risata.
"Vuoi che lo faccia? Sai come la penso" replicò, divertito.
"Sai che mi interessa sapere sempre la tua opinione, fratellone".
"Ah ah" mi scimmiottò. "Ma se non vedi l'ora che io me ne vada".
Mio fratello si sarebbe diplomato quell'anno e il suo desiderio di entrare in esercito non era nascosto a nessuno.
"Non è vero!" ribattei. "Sopporterei tutto, ma non vederti così".
Marco a quel punto accennò ad un sorriso e la sua mano si
posò sul mio braccio, in un modo affettuoso. "So come sono
quelle feste. Stai attenta e non dare confidenza a nessuno. Hai
capito?" mi intimò, puntandomi un dito contro.
Mi portai una mano alle labbra per soffocare una risata e lo scrutai
allontanarsi nel corridoio. Le sue spalle larghe e quel portamento
fiero che lo facevano sembrare un galletto.
Mio fratello non lo sapeva, ma l'unico motivo per cui volevo andare a quella festa, era solo rivedere quel ragazzo.
Mi preparai con smania a quello che mi aspettava. Osservai il mio
vestito, appeso all'armadio, e lo presi tra le mani. Lo appoggiai al
mio corpo e feci finta di indossarlo. Feci una giravolta su me stessa,
entusiasta.
Mia madre entrò proprio in quel momento in camera. Il suo arrivo
fu così inaspettato che per un attimo temetti di cadere dallo
spavento.
"Mamma, mi hai spaventato!" mi lamentai, lasciandomi cadere sul letto, sbuffando.
Mia madre rise brevemente, portando gli occhi all'abito tra le mie mani.
Il suo sguardo si addolcì e io la immaginai pensare con
nostalgia alla sua adolescenza.
"È molto bello quell'abito" mi sorrise.
Non potetti fare a meno di ricambiare e, abbassando lo sguardo alle dita
delle mie mani, le parlai: "Mamma, non dici nulla riguardo alla festa?".
La mia voce aveva un tono esitante, ma sapevo di non dover aver paura
del giudizio di mia madre. Lei aveva il dono di capirmi, sempre.
Allora lei mi si avvicinò, finché non fu abbastanza vicina, e prese ad accarezzarmi con affetto un braccio.
"Tuo padre non è molto contento, sai. Ma io mi fido di te, non
che lui non lo faccia, ma lo conosci. Gli piace fare il finto burbero".
Si interrumpe per aprirsi in una fragorosa risata e io la seguii. Il malumore era stato spazzato via.
"Anita, so che non vai a quella festa per ubriacarti o fare
sciocchezze. Ma se così dovesse essere mi arrabbierei molto, ti
avverto" il suo tono mi sembrò d'improvviso serio.
"Puoi stare tranquilla, mamma" la rassicurai.
Mia madre mi circondò con un braccio le spalle e appoggiò
la testa sul mio braccio. "E poi so meglio di chiunque altro quanto tu
in questa giornata abba bisogno di svagarti" ammise premurosa.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. All'improvviso tutto
quello che avevo cercato di reprimere, era tornato a galla. E mia
madre se ne accorse nel momento in cui mi strinsi a lei. Una lacrima
solcò la mia guancia e lei se è possibile, mi
abbracciò ancora più stretta. Le sue braccia erano
rassicuranti.
"Mi manca così tanto..."ammisi in un sussurro.
"Lo so tesoro, lo so" replicò, accarezzandomi il capo. Allora la
guardai negli occhi e mi resi conto che per quanto si stesse
trattenendo, i suoi occhi erano lucidi. Due anni prima, lei aveva perso suo
padre.
"Ma adesso preparati, che poi ti passano a prendere e tu sei ancora così" mi fece notare, dandomi una lieve spinta.
Accennai ad un tiepido sorriso e imitai un gesto militare : "Agli ordini, capitano!"
Mia madre uscì poco dopo dalla mia stanza, lasciandomi il tempo
per prepararmi da sola, ma io giurai di averla sentita soffocare le
lacrime, appoggiata al muro fuori la porta.
Diedi un'occhiata veloce allo specchio che rifletteva la mia figura.
Scrutai con eccessiva attenzione il vestito che fasciava il mio corpo.
Quell'abito che mi era piaciuto dalla prima volta che l'avevo visto, ma che su di me faceva un effetto completamente diverso.
Forse dipendeva solo da me e dal mio non sapermi accettare
completamente. Perché le mie gambe, quelle gambe brutte e tozze,
erano troppo scoperte e non le sopportavo. Ormai, però, era troppo
tardi per tirarsi indietro.
Avevo deciso di puntare sul makeup, con un trucco sobrio e naturale ma
che facesse risultare i miei lineamenti. Nel contesto il mio viso era
soddisfacente e mi appuntai mentalmente che se l'avessi incontrato,
avrei dovuto sperare che lui non guardasse oltre la mia faccia.
Tirai un lungo sospiro, indossai la giacca che si abbinava all'abito e
infilai la borsa a tracolla, lasciandola penzolare dalla spalla.
Le mie scarpe ticchettarono mentre scendevo le scale. Ne avevo scelto
un paio basse e dal tacco quadrato. Non indossavo mai tacchi, non osavo
immaginare quanta tortura avrei dovuto sopportare con un paio alto.
La sala era invasa dal gustoso profumo di pollo e patate al forno. I
miei genitori si apprestavano a gustarsi la cenetta da soli. Me li
immaginavo comportarsi come due ragazzini innamorati, alla nostra
assenza: un po' di intimità se la meritavano anche loro.
Li raggiunsi in cucina, dove mio padre non si astenne dal farmi notare il suo disappunto.
"Anita, ma non è troppo corto quel vestito?"
In verità mi arrivava appena sopra il ginocchio e non c'era
niente che non andasse, ma lui, come tutti i padri che si rispettino, era un
grande brontolone.
"Papà..."mi limitai a dirgli, roteando gli occhi al cielo.
Mia madre intervenne in mia difesa, appoggiando le mani sulle mie spalle. "Alfonso, lasciala stare, Anita sta bene così".
Mio padre dischiuse le labbra, pronto a replicare, ma un clacson da fuori mi fece sobbalzare.
"È arrivata Lottie, devo andare!" esclamai,frettolosa.
Ed ero pronta ad uscire se mio padre non mi avesse richiamata.
"Anita, non lo dai un bacio a papà?" mi domandò, con la voce più dolce.
Mi venne da sorridere alle sue parole e mi avvicinai per potergli
baciare la guancia. Il suo profumo al pino silvestre mi invase le
narici e il contatto con la barba ispida mi provocò il
solletico e glielo feci notare, come sempre.
"Papà, fatti la barba!" ammisi, ridendo.
Lanciai un ultimo sguardo a mamma che divertita osservava la scena.
"Ciao!" urlai in corridoio prima di uscire di casa.
L'automobile del fratello di Lottie era parcheggiata poco più in
là e mi apprestai a raggiungerla. Salutai le mie amiche nei
sedili posteriori e Carlotta seduta al fianco di suo fratello.
Cantammo per tutto il tempo le canzoni che passavano alla radio, Simone
che si lamentava di aver accettato di accompagnare delle adolescenti
scatenate come noi.
La casa dell'amico di Michele distava circa mezz'ora da casa mia, ma con
la guida spericolata di Simone ci mettemmo la metà.
Eravamo così emozionate all'idea di partecipare a quella festa e
una volta fuori dalla villa tutte e quattro ci prendemmo per mano.
Quella casa era magnifica, una di quelle che si vedono nei film.
Poiché era notte non riuscii a definirne i dettagli, ma dava
l'impressione di essere imponente. Si estendeva su tre piani, con le
ringhiere dei balconi, intarsiate in ferro battuto, che gli conferivano
uno stile antico.
Era circondata da un giardino tenuto con cura e il vialetto ghiaioso
era illuminato da lanterne che proiettavano ombre sull'erba fresca di
tosatura.
Percoremmo la strada verso l'ingresso, sentendo i sassolini
scricchiolare sotto il peso delle nostre scarpe. Le portefinestre che
affacciavano sull'esterno, davano già un'idea molto chiara di
cosa stesse succedendo all'interno, ma trovarsi immerse nella festa fu
tutt'altra cosa.
Gli occhi si invasero di sorpresa. Avevamo appena quindici anni ed
eravamo ancora ignare di cosa potesse succedere a quel tipo di feste.
Mi guardai intorno spaesata e mi resi conto che fosse un bene con me ci
fossero anche le mie amiche, altrimenti mi sarei sentita persa.
Lasciammo vagare i nostri sguardi su tutto ciò che circondasse e,
promettendoci di non perderci di vista, ci mettemmo all'opera per
cercare la nostra classe.
Trovai Nicola, intento a sorseggiare una birra con dei ragazzi
più grandi. Avevamo la stessa età, eppure quella sera mi
sembrò totalmente diverso; si atteggiava a più grande.
"Anita!" le sue parole furono accompagnate da un gran sorriso mentre si allontanava dal gruppo per venirmi incontro.
"Ciao, Nicola"mormorai. "Vedo che ti sei ambientato bene".
Lui accennò ad una risata, annuendo. "Ne vuoi un po'?" mi
domandò, facendo riferimento alla bottiglia tra le sue mani.
"No, grazie".
Nicola si prese un momento per osservarmi a lungo. Di solito se
qualcun'altro mi avesse guardato nel modo in cui fece lui, mi sarei
sentita in imbarazzo e avrei abbassato lo sguardo. Con lui non
successe, non succedeva mai.
"Wow, Anita, io...tu sei bellissima" si complimentò con me.
Lo ringraziai silenziosamente e presi ad osservarlo a mia volta.
Nicola era di una bellezza ancora acerba e l'assenza di barba sul suo
viso lo facevano sembrare più piccolo di quanto fosse, ma nel
contesto risultava molto carino e affascinante.
"Anche tu stai molto bene" ammisi.
Lui sembrò sorpreso dalla mia affermazione e potei notare dell'indugio nel suo sguardo.
"Hai visto gli altri?" gli domandai, cauta.
Nicola sorseggiò un po' della sua birra prima di
rispondere. "Dovrebbero essere da qualche parte" mi sorrise. "Ma le
ragazze?".
"Oh, sono lì" mi presi un attimo per indicarle in mezzo alla gente. "Le ho abbandonate per venirti a salutare".
"Hai fatto bene" ammise, prendendomi una mano.
Il suo tocco mi colpì, c'era qualcosa in quel nostro
giocherellare con le dita, nel suo sfiorarmi il palmo con il pollice. A
distanza di anni adesso so decifrare il perché dei suoi gesti.
Misi una mano sul suo petto e sfoderai un'occhiata di rimprovero. "Ci
vediamo dopo, ma tu non esagerare con questa birra. Ok?".
Mi allontanai, sentendolo ridere divertito alle mie spalle.
"Agli ordini, capitano!" esclamò.
Alzai un braccio in risposta, salutandolo con la mano.
"Cos'è, si diverte a fare l'uomo vissuto?" mi chiese Carlotta, non appena gli andai incontro.
Scrutai il cipiglio sulla sua fronte e, se non avessi saputo che a lei
piacesse Federico, avrei scambiato la sua irritazione per una cotta.
"Lascialo stare" ammisi, guardandomi intorno.
Mi ricordai il motivo principale per cui fossi a quella festa e mi resi
conto che sarebbe stato difficile trovarlo lì, in mezzo a tutta
quella gente.
"Cris e Giuls?" domandai, notando l'assenza delle mie amiche.
"Sono andate a prendere da bere. Anzi, andiamo anche noi?".
Seguii Carlotta senza dire nulla e insieme raggiungemmo le nostre amiche.
Il piano bar e il tavolo che avevano allestito contava più
alcolici di quanto potesse offrire un locale intero e pensai che ci
dovessero essere anche dei maggiorenni per procurarsi tutte quelle
bevande.
Riuscii ad individuare della coca cola e mi accontentai di quella. Tutto quell'alcool mi faceva venire il voltastomaco.
Anche le mie amiche furono del mio avviso e ci perdemmo in chiacchiere
e risate, scrutando divertite i presenti alla festa. Ci dilettava
commentare gli abiti succinti delle altre ragazze, il modo in cui
alcune coppie finivano ad amoreggiare in modo esplicito sui divanetti
della stanza.
La sala era scarna di arredamento segno che i mobili fossero stati
accantonati per lasciare spazio. Delle casse erano state sistemate al
centro e da esse si trasmettevano le note di un brano pop che avevo
sentito già in radio.
Cristina e Giulia decisero di andare a ballare e un po' le
invidiai per quella voglia di libertà, di volersi sentire per
una sera come gli altri.
"Dai, Anita, vieni anche tu!" urlò Giulia, per sovrastare la musica.
Le sorrisi di rimando, divertita dal suo entusiasmo. Lei era
così gioiosa, solare. Il suo modo goffo di muoversi mi faceva
ridere. Cristina al suo fianco cercava di imitarla e insieme
cominciarono a muoversi tra la gente. Giulia rischiava di colpire
qualcuno con i suoi movimenti di braccia, ma non sembrava importarle
più di tanto. Lei e Cristina sembravano così, così
spensierate.
"Quelle due sono pazze!" ammise Carlotta, ma senza nascondere quanto fosse divertita.
"Già" le feci presente.
"Io non avrei mai il coraggio" continuò lei con gli occhi intrisi di malinconia.
Il coraggio di lasciarmi andare, continuai per lei nella mia mente.
Sapevo muovermi, avevo fatto danza fino all'anno prima, quindi il
coordinamento non mi mancava. Più che altro, mi mancava la spinta
di sapermi lasciare andare senza badare a quanti mi stessero guardando.
Era sempre stata una cosa imbarazzante per me, il sapere di essere
osservata. A danza non mi era successo, avevo solcato il palcoscenico
con sicurezza, ma le due realtà erano così diverse.
Mentre ci pensavo, sentii un senso di inadeguatezza prendere possesso di
me. Io non ero per quelle feste, se qualcuno mi avesse vista mi avrebbe
definita una bacchettona. Ma cosa ci potevo fare, io i miei coetanei
con la loro voglia di libertà, di ubriacarsi e fare pazzie non
li capivo proprio. A me per essere felice bastava poco, la compagnia
dei miei amici, ma anche la solitudine di una serata a casa, a leggere
un libro.
Improvvisamente mi chiesi perché fossi lì, avevo voluto
dimostrare a me stessa qualcosa di cui non ero capace. E diavolo, il lui
che tanto cercavo non c'era nemmeno.
Carlotta, poco dopo, a malincuore, mi lasciò sola. Martina, una
nostra compagna di classe, arrivò a prenderla, tirandola per un
braccio.
"Devi assolutamente venire con me" le fece presente, con urgenza. La mia
amica protestò, ma si lasciò andare non appena
sentì pronunciare il nome di Federico.
Sbuffai, lasciandomi cadere su un divanetto dietro di me. Ero rimasta
sola, ma non ero per niente arrabbiata con le mie amiche, che mi stessi
annoiando dipendeva solo da me.
Iniziava a farmi male la pancia per tutta la coca cola che stavo
bevendo. Avrei potuto farmi venire a prendere, ma non ero lì da
nemmeno da un'ora e sarei risultata patetica.
Ma in quel momento successe una cosa. Non potrei mai dimenticarla.
Lo vidi arrivare, farsi spazio tra la gente e io avvertii il mio cuore accelerare i suoi battiti alla sua vista. Lui era lì e io stentai a credere che fosse vero.
Gli altri lo accolsero come se fosse una pop star, e io sentii di voler far parte della sua cerchia di amici.
Lo osservai spalleggiarsi con i ragazzi, scambiarsi pacche sulle spalle
e scrutai la sua espressione, le labbra incurvate in un sorriso sincero
e gli occhi intrisi di entusiasmo. Mi ritrovai a fare un paragone tra
lui e Nicola, e a differenza del mio amico, la sua bellezza non passava
di certo inosservata. Il suo viso presentava una maturità e
viralità dei tratti, accentuata dalle sopracciglia scure e
folte, l'accenno di barba. Doveva avere all'incirca diciassette anni, ma
il suo portamento sicuro e lo sguardo gli conferivano un'aria vissuta.
Era bello e sapeva di esserlo.
Improvvisamente la nostra diversità mi colpì come uno
schiaffo in pieno viso. Mentre io mi stavo annoiando, lui aveva tutta la
faccia di uno che si sentiva protagonista e padrone del mondo. Mi chiesi
come uno come lui avesse potuto accorgersi di una come me.
Il suo sguardo vagò per la stanza e io mi ritrovai a pensare che
i suoi occhi si accorgessero di me. Ma questo non successe e io ebbi
modo di notare una ragazzina che gli si avvicinò. Lei con
audacia posò una mano sul suo petto. Dalla distanza in cui mi
ritrovavo, riuscii a notare il suo corpo sinuoso che cercava il suo e il
suo sorriso ammaliante. Gli sussurrò qualcosa all'orecchio e lo
spinse con disinvoltura in pista da ballo.
Lui incespicò sorpreso nei suoi passi, rise brevemente, ma non
protestò. Le sue attenzioni dovevano piacergli e io non mi
accorsi fino a quel momento di stare stringendo il bicchiere tra le mie
mani, così tanto.
"Bello, non è vero?".
Mi voltai spaventata nella direzione della persona che aveva parlato e
lo spavento si tramutò in sorpresa non appena mi resi conto che
al mio fianco ci fosse Alessia.
Io e Alessia frequentavamo la stessa classe, ma ci conoscevamo
dall'asilo. Per uno scherzo del destino ci eravamo trovate a dividere
sempre i banchi di scuola, ma a parlarci mai. E se mai l'avessimo fatto,
le nostre parole non erano state tanto carine.
Alessia era una di quelle persone che viveva di finzione e gossip. Era
una ragazza tremendamente pettegola e il suo aver le giuste conoscenze
le permetteva di saper vita, morte e miracoli di un intero liceo. Non
mi avrebbe sorpreso se da un momento all'altro si fosse messa a
elencarmi la storia di quel ragazzo.
C'era da dire su di lei che fosse anche bella, di una bellezza
prorompente e a tratti finta. Non mi meravigliai che tutti si
voltassero a guardarla.
Non sapevo cosa rispondere, avevo paura che le mie parole fossero potute diventare un' arma a doppio taglio.
"Avanti, Anita" cantilenò lei, gesticolando con una mano. "Non ti
mangio mica. Luca Franzese è straordinariamente bello, ti
prenderei per pazza se tu mi dicessi il contrario".
Ascoltai la sua risata, tutto in lei mi faceva pensare a quanto fosse
costruita. Eppure era grazie a lei se adesso sapevo qualcosa su di lui.
Luca, si chiamava Luca.
Ripetei il suo nome nella mia mente, ripetutamente.
Ma Alessia era ancora lì, e pretendeva una risposta.
Mi portai le braccia al petto in un gesto di protezione, da lei e dai suoi occhi taglienti.
"Io non ho detto niente" ammisi, accigliata.
Alessia sorseggiò un po' della bibita dal suo bicchiere.
Lentamente e in modo studiato passò ad ispezionarmi, quasi come se volesse scorgere un tentennamento in me. Faceva suoi
dei modi da donna vissuta. Una donna vissuta intrappolata nel corpo di
un'adolescente.
Ma non l'avrebbe vinta, non
le avrei mai rivelato che quel ragazzo, che lei sembrava conoscere
così bene, mi piacesse.
Aveva la capacità di farmi sentire a disagio e sostenere il suo
occhio critico non fu facile. Improvvisamente mi chiesi cosa volesse da
me. Non ci eravamo mai rivolte la parola, perché presentava
tutto quell'interesse nei miei confronti?
Mi venne da pensare se il suo fosse un tentativo di mettermi in ridicolo.
"Sai, lo conosco bene. Se vuoi, posso presentartelo" replicò, con un sorriso malizioso.
Era un suo aiuto che mi stava offrendo?.
L'idea di scambiare solo una parola con Luca mi allettava, eppure
sapevo che se solo mi fossi trovata davanti a lui, non sarei riuscita a
biascicare proprio niente.
La ragazza al mio fianco sembrava infastidita dalla mia titubanza. "E
dai, Anita! Quante storie che fai, volevo solo fartelo conoscere. Mica
ti ci devi sposare. Però se non vuoi, me ne vado, eh!" mi fece
presente.
"No, Alessia, aspetta!" la fermai.
Lei si lasciò andare a un sorriso provocatorio.
"Allora, ci vieni?"
E alla fine non so spiegarmi perché, io la seguii.
Prendemmo a muoverci tra la gente e mi ritrovi a scansare ragazzi che
ballavano, che si baciavano, incuranti di ciò che li circondava.
Non riuscivo a vederlo e mi chiesi se non si fosse allontanato con
quella ragazza, ma poi lo scorsi e il fiato quasi mi mancò.
Stava bevendo una birra e io mi ritrovai a seguire una goccia che
sgorgò dalla sue labbra e percorse la linea della sua mascella
per scomparire al di sotto del collo.
Luca indossava una camicia bianca, e nonostante non avesse un fisico
assai muscoloso, il tessuto gli delineava un corpo asciutto e allenato.
"Luca, che piacere!".
Fu la voce di Alessia a riscuoterci entrambi e io capii una cosa, che
non mi ero resa ancora conto di cosa potesse provocarmi la sua
vicinanza.
Lui era lì. Così vicino a me tale da sentire le gambe
tremarmi e il cuore battermi così forte che temevo potesse
uscire dal mio petto.
Luca non si accorse subito di me, Alessia mi era davanti e con la sua
figura mi nascondeva ai suoi occhi. La osservai parlargli con
disinvoltura e malizia.
"Lei è una mia amica, si chiama Anita".
Gli occhi di Luca si posarono su di me e il modo in cui mi
guardò, mi sorprese. I suoi occhi verdi sembravano volessero
scavarmi a fondo. Lui mi guardava e io guardavo lui. Accarezzai con lo
sguardo quei dettagli che poco prima avevo potuto scorgere solo da
lontano. Scrutai i suoi capelli, acconciati in un doppio taglio, i suoi
occhi chiari che risaltavano sui lineamenti così scuri, il
profilo del naso, la pienezza delle sue labbra.
Lui accennò un sorriso nella mia direzione e mi chiesi se mi
avesse riconosciuta. Quel gesto però, mi diede la conferma che
nemmeno lui fosse così perfetto come si voleva pensare e che
portasse un apparecchio. Uno di quelli trasparenti, di ceramica.
Quel dettaglio però, se è possibile, lo rese ancora più bello ai miei occhi.
"Ciao, Anita. Piacere, Luca"
Mi parlò con un tono gentile e io mi accorsi in un secondo
momento della mano che aveva teso verso di me. Mi premurai di
stringerla in imbarazzo.
Alessia, al mio fianco, rise divertita: doveva risultarle strano per lei
che era abituata a guardare i ragazzi con impertinenza e malizia.
"Piacere mio"ammisi con la voce flebile.
"Allora, Luca" si intromise lei, accarezzandogli un braccio e facendo in modo che l'attenzione ricadesse su di lei.
"Non ci offri da bere?" chiese con la voce stucchevole.
Ma mi resi conto che Luca stesse guardando ancora me. Nel momento in
cui mi accorsi che lui stava facendo percorrere i suoi occhi sul mio
corpo, mi sentii tremare. Non ero abituata a essere guardata in quel
modo, in cui feci lui, ma le sue attenzioni mi lusingavano. Mi chiesi se
io avessi suscitato in lui dell'interesse.
"Volentieri" replicò lui, divertito.
"Cosa prendi?" mi chiese.
Non seppi cosa rispondere e mi sentii a disagio.
"Della vodka andrà bene anche per lei. Vero?" ammise Alessia, facendo un occhiolino nella mia direzione.
No, che non andava bene, ma io non avevo voce in capitolo a riguardo. Me
ne resi conto quando strinsi il bicchiere tra le mie mani. Il solo
odore mi faceva vomitare.
I loro sguardi si puntarono su di me e io mi chiesi cosa pensasse
lui. Doveva riternermi una sciocca ragazzina alle prime armi.
"Avanti, Anita, bevi" mi invitò Alessia con un'espressione sorniona in viso.
E io lo feci, ignorando quella sensazione di bruciore che il liquido mi
provocò, lo feci. La mia parte razionale mi fece notare che non
avevo mangiato niente e non dovevo bere a stomaco vuoto.
Ma io volevo solo sentirmi diversa, volevo sentirmi libera e leggera dai pensieri che affollavano la mia mente.
Guardai Alessia e capii il suo intento di farmi sentire inadatta alla
situazione. Perché lei era bella e sapeva di esserlo,
perché ci sapeva fare con i ragazzi e non inorridiva davanti
agli alcolici.
Non avrei mai voluto essere come lei, così finta e artefatta, ma
avrei voluto che quella sicurezza che abitava nei suoi occhi e che
governava il suo corpo, per una volta, investisse anche me.
Io ero così diversa, ero estremamente razionale, la classica
ragazza che va bene a scuola e non fa sciocchezze. L'idea che davo era
quella di una brava ragazza e non ci trovavo niente di male in questo,
volevo solo smetterla di sentirmi così insicura. Ma sentirmi
padrona di me stessa.
E avrei voluto che Luca, circondato da ragazze come Alessia, scorgesse in me, l'eccezione.
Nicola arrivò a salvarmi e, mai come in quel momento, riconobbi di essergli grata.
Sopraggiunse alle mie spalle, circondandomi la vita, e mi fece prendere
davvero un bel colpo, ma cercai di nasconderlo con della tosse.
Il suo sguardo si posò subito Luca e prese ad osservarlo con
occhi di sfida. Ero sicura che lontani dai loro sguardi, il mio amico
avrebbe preteso delle risposte.
Luca sostenne il suo sguardo in un modo fiero e sicuro di sé. La tensione tra di loro era palpabile.
"Ciao, Nicola" lo salutò Alessia.
Lui badò poca attenzione a lei, simulando un misero ciao e
tornò a guardare me. La sua mano si strinse alla mia e a
distanza di anni posso assicurare che stesse marcando il territorio.
Nicola credeva che Luca potesse rappresentare per lui un rivale in
amore.
Alessia al nostro fianco sbarrò gli occhi a quella stretta, ma non osò replicare.
"Scusate se ve la rubo" ammise il mio amico in un sorriso birichino e
poi mi portò via da lì, da Luca e dai suoi occhi che
guardavano me.
Ma io ammisi a me stessa che ero troppo felice solo per poter protestare.
"Chi era quello?" chiese, con uno sguardo furbo e indagatore.
"Quello chi?" replicai, con un'aria da finta ingenua. Volevo provocarlo e ci stavo riuscendo bene.
Nicola allora sbuffò, allontanandosi, anche se per poco, da me.
"Quello con cui stavi parlando. Ti piace?" domandò, indispettito.
Mi lasciai andare ad un sorriso. "Forse" ammisi con non curanza.
Nicola era sbalordito e confuso dalle mie parole. "Cosa significa forse? Potrebbe piacerti, quello là?" insistè.
Sbuffai, roteando gli occhi al cielo, ma senza nascondere quanto il suo
disappunto mi divertisse. Adesso che stava iniziando a piacermi la
festa non me la sarei lasciata rovinare.
"E dai, Nicola!" lo spintonai, scherzosamente. "Non lo so e al momento non mi interessa. Voglio solo divertirmi".
Quando lo portai con me in pista, lui non protestò più.
Conoscevo benissimo quella canzone: Everybody dei Backstreet Boys.
L'avevo ballata lo scorso anno a danza e mi metteva addosso un'energia
pazzesca.
Iniziai a muovermi a ritmo, cercando il suo sguardo tra la gente. I miei
movimenti erano dettati dal desiderio di essere guardata ancora una
volta da lui, da attirare l'attenzione su di me.
Lo fecero, perché nel momento in cui mi accorsi che Luca mi
stesse guardando, che stesse guardando me e nessun'altra, io mi sentii
tremare. Perché lui mi guardava come nessuno aveva fatto mai ed
era capace di farmi sentire bella.
Non sapevo ancora decifrare cosa fosse
quello che provavo, sicuramente non era amore. Era impossibile che
potessi innamorarmi di lui dopo averlo visto e averci parlato a stento,
ma ero sicura che quelle sensazioni che mi faceva provare non erano da
sottovalutare. Con nessuno mi era capitato di avvertirle.
Nel momento in cui lui mi sorrise, io capii che di lui avrei potuto innamorarmi, sul serio.
Avevo sperato un anno di poterlo incrociare di nuovo e ora che era
successo, volevo vivermi tutto ciò che la vita mi avrebbe
riservato.
Ma allora, ancora non sapevo a cosa quella situazione ci avrebbe portati.
ANGOLO AUTRICE:
Buonasera a tutti!
Questa one-shot era in cantiere da un bel po' di tempo. Fin da
quando ho iniziato a scrivere "Ricominciamo da qui" ho pensato a come
sarebbe stato raccontare del primo incontro di Luca e Anita.
Però per mancanza di fantasia e di tempo, è rimasto tutto
in sospeso finché oggi non ho deciso di metterci una parola
fine.
È stato bello poter scrivere di quello che ha provato Anita e spero di
essere riuscita a trasmettere le sue insicurezze e le sue emozioni. Io
adoro scrivere di lei, perché la nostra Anita mi rispecchia
parecchio e posso assicurarvi che in quello che dice, c'è molto
di me.
Non trovo altre parole da dire, se spero che possa piacervi ed
emozionarvi e se volete ritrovare i nostri protagonisti e vi va di sapere come andrà finire non dovete
fare altro che cliccare qui:
Ricominciamo da qui
Aspetto le vostre opinioni! <3
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