Volubile,
Uguale
Luna
No,
non mi guardare in quel modo: la confusione non può
proteggerti, non
l’ha
fatto nemmeno la tua furia
– e poi, sapevi che un giorno sarei tornata.
Una
volta la tua morte era l’incubo
che mi scuoteva petto e sguardo, terrorizzava le
stelle
che timidamente bagnavano
la mia pelle di
peccato e allentavano,
almeno un poco, il morso della carne; ora sono qui a guardarti
amoreggiare con la polvere e il tuo stesso sangue, ad assistere
–
come hai fatto tu con me; hai avuto questo coraggio, vero? –
alle
ultime grida della tua invincibile
ombra.
Sarebbe
bastato così poco, così poco, continuavo a
ripetermi nei primi
istanti da uccisa:
perché non mi hai amato, Tazio? Perché mi hai
stretto a te e
promesso un matrimonio, e poi gettata lontano con un sorriso
incurante, tenendo il mio cuore tra le mani?
Da
allora Roma mi chiama traditrice della patria, della dea1,
dell’amore
filiale2,
mi definisce folle e scellerata; e sì, fui davvero tutto
ciò, per
causa tua.
Avevo una casa allora, un cuore sicuro tra le mani infuocate di Vesta
e un onore; questo, e solo i Numi sanno quanto ancora, te lo sei
preso fino all’ultimo
frammento, dimenticando poi ogni cosa.
La gente dice che fu l’oro
a corrodermi le idee, e tu non hai smentito nulla: temevi forse il
giudizio della gente, mia e tua?
È vero, non negare – ora non
ne sei più capace –: che uomo saresti stato, se
tutti avessero
saputo la verità? Non ci si può fidare
di lui; se ha tradito una
ragazza cieca d’amore
in modo così feroce, quale dio lo potrebbe fermare dall’infliggerci
i peggiori tormenti, dal vendere noi e l’intera
città al nemico più danaroso?
Ci hai sempre disprezzato, tutti
noi: l’hai
fatto con me, con Romolo.
Ma se la mia ira non mi avrebbe
mai potuto ripagare neppure di una tua lacrima, morta e disonorata
quale sono, Romolo ha saputo
valutare la tua sorte con attenzione;
e tu hai giocato come uno sciocco con il figlio di Marte, senza
riuscire a vedere nemmeno una delle spade che ha piantato al suolo,
tutt’intorno
a te. Così, hai presieduto a un sacrificio senza sapere che
saresti
stato tu il toro da immolare; perché nulla, dicevi e
pensavi, ti
sarebbe stato precluso.
È curioso, sai? Sei precipitato
come me, con la stessa violenza e disperazione. Quanto fa male,
Tazio?
Quanto costa questa morte,
questo nome, questa caduta?
È ora di andare, mio re.
Avanti, alzati in piedi e lascia che ti accompagni.
Ma non
temere: non dovrai
sopportare la mia visione per molto, perché il motivo che mi
spinse
a donarti Roma mi impedisce di guardare il tuo volto ignobile con
piacere, comprensione o compassione.
Lascia che ti accompagni per un
poco, e poi vattene: presto sarò soddisfatta della tua
rovina e non
ti vorrò mai più vedere.
Mi maledici? Fai pure: Roma ha
deciso per me, Roma deciderà per te; e tra le sue spire
rimarrai per
sempre, oltre il tempo, oltre questa morte.
●
INFORMAZIONI DOVEROSE
Questo
episodio fa parte della più antica storia romana, ed
è situato
nella guerra tra Sabini e Romani. Qui si dice che, a un certo punto
della vicenda, per penetrare a Roma i primi chiesero aiuto a una
fanciulla, Tarpea appunto, che accettò di aiutarli in cambio
di ciò
che i guerrieri portavano al braccio: bracciali d’oro.
Questa aprì dunque loro la porta della rocca, e sempre qui
ricevette
il suo compenso: insieme ai bracciali i Sabini sostenevano con quel
braccio il proprio scudo, e questo le donarono, gettandolo sopra la
ragazza e in tal modo uccidendola.
Il
poeta a cui si fa riferimento nell’intro
è Properzio, che nell’elegia
IV,
4
– al quale questa storia si ispira – cambia il
motivo del tradimento: la passione che prese Tarpea quando vide per
la prima volta il re sabino Tito Tazio. Ciò che nella
versione
poetica successe è accennato nella fic: facendo finta di
acconsentire alle proposte della giovane, l’uomo
le promise di renderla la propria moglie, salvo poi ingannarla
crudelmente.
La
morte di Tazio come tradimento è invece presente nelle fonti
storiche: poiché si rese colpevole di un tradimento verso
Roma
favorendo la sua gente in un delicato caso di abuso diplomatico, a
sua volta a tradimento venne ucciso dai romani. Inventata è
invece
la faccenda che Tarpea gli sia apparsa al momento della morte e gli
abbia parlato.
Ora
passiamo al titolo Volubile,
Uguale Luna;
con quale
criterio è stato scelto? Partiamo
dicendo che si rifa a un testo dei Carmina
Burana,
dove si associa
la Fortuna alla luna: questa cambia come cambia la prima, non
è mai
uguale; proprio quando è piena/si è al culmine
del successo, ecco
che cala/la situazione cambia, arrivando poi a svanire completamente
ma, in seguito, a ritornare, in un circolo infinito.
Questo
succede qui: la sorte di Tarpea non poteva essere migliore, in quanto
i suoi desideri stavano – così almeno sembrava
– per avere
soddisfazione; ma poi giunse la morte, la condanna di Roma, il nome
infamante con cui ancora oggi la conosciamo. Con questo fatto si
spiega il primo aggettivo.
E
il secondo? La contraddizione con il termine precedente è
solo
apparente, perché uguale
si riferisce alla sorte di Tazio: traditore e tradito, come Tarpea,
ugualmente disprezzato (la sua figura è storicamente
malvista), e
quindi partecipe della medesima
luna,
dicendola
poeticamente.
● NOTE
1
Secondo la tradizione, Tarpea era una sacerdotessa di Vesta, il cui
focolare doveva rimanere sempre acceso. Le Vestali dovevano restare
vergini, pena la morte, e per questo la ragazza viene considerata
molteplice traditrice: della patria e delle regole sacre che le
imponevano la lontananza dalle passioni amorose.
2
La
leggenda ci dice che il custode della Rocca, da dove Tarpea fece
entrare i nemici della sua gente, era proprio il padre della
fanciulla.
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