La città, messa a ferro e fuoco, era silente come mai lo era stata
prima di allora. Gli abitanti erano tutti scappati, e ben pochi avevano
cercato riparo nelle proprie abitazioni – strutture troppo deboli per
sostenere il peso di un gigante.
Nonostante questo, però, l'Armata Ricognitiva stava finendo di
ispezionare gli edifici, in cerca di sopravvissuti, che fossero nemici
da abbattere o futuri alleati da plasmare.
Nella zona di competenza di Jean e Armin era capitato un grande
edificio, particolarmente bello e sontuoso; doveva appartenere a
qualcuno di importante.
Dopo il combattimento, i due avevano avuto modo di parlare come loro
solito, e Jean si era complimentato con Armin per il suo piano – perché
i suoi erano sempre i migliori, e Jean amava quel cervello capace di
elucubrare sempre ingegnose missioni mirate a raggiungere un traguardo
importante, nonostante le numerose perdite che questo avrebbe
comportato.
«Armin?». Jean aveva visto il partner avvicinarsi con cautela a un
mobile.
«È tutto ok», lo tranquillizzò Armin, fermando la propria avanzata
di fronte a uno strano aggeggio a forma di cornucopia rovesciata,
montata su una base avente un braccetto, la cui punta ricordava a Jean
un arcolaio, e avente di lato una manovella.
L’alto ragazzo della Legione Esplorativa lo aveva giá visto prima,
nelle stanze della Regina il giorno della celebrazione, nessuno però
aveva saputo come funzionasse.
Lo stratega prese da una pila verticale un involucro di cartone
quadrato, dal quale fece scivolare un disco nero.
Jean continuò a fissarlo, avvicinandosi appena per poter vedere
l'altro ragazzo mettere in carica l’aggeggio tramite la manovella e
poggiare il disco sulla base.
«Come fai a saperlo?», domandò Jean.
«Berthold», rispose Armin in un sussurro.
A loro bastavano poche parole per capirsi, Armin era come un libro
per lui, che si apriva alla pagina giusta per mostrargli il contenuto,
un poco per volta, con estrema intimitá, e Jean sfogliava piano quelle
sottili e delicate pagine, attento a non romperle, né a sciuparle.
Armin spostò il braccetto del congegno, avvicinandolo al disco, e si
sentì gracchiare appena, prima che una dolce musica aleggiasse
nell'aria.
Jean sbattè le palpebre attonito, non avendo idea che potesse
esistere una cosa del genere, capace di riprodurre della musica senza
nessuno presente a suonarla. Armin si girò, guardandolo con un sorriso
triste.
«Balliamo», disse piano.
Le gote di Jean si imporporarono appena. «Io... io non so ballare»,
si giustificò, muovendo le mani avanti a sé, come a formare una
barriera tra se stesso e quella proposta, ma Armin lo ignorò.
Avvicinato al ragazzo più alto, lo catturò in un goffo abbraccio per
la vita, posando la fronte sul suo petto, iniziando poi a muovere lento
i piedi al ritmo di musica. Dopo i primi secondi di imbarazzo iniziale,
Jean si lasciò andare e gli cinse le braccia attorno alle spalle,
poggiando una guancia sui suoi capelli biondi, cercando di seguire
quella pigra danza.
Armin modellò le labbra in un sorriso che non portava più alcuna
tristezza, ma l'incredibile pace che gli dava sentire l'odore di Jean,
il conforto delle sue forti braccia, il calore del suo corpo tiepido.
Non importava quello che avrebbe dovuto sacrificare per permettere
all'umanità di vincere, lui lo avrebbe fatto finché l'altro potesse
avere il futuro sicuro che sognava, senza né guerre né giganti.
Jean, invece, rimase con gli occhi aperti, fissando la parete
accanto a loro, pensando alle brutturie che avevano dovuto affrontare
quel giorno. Prima non sarebbe riuscito a vivere con il senso di colpa,
ma sapeva che sul campo di battaglia Armin sarebbe stato sempre accanto
a lui, e soprattutto lo avrebbe trovato anche dopo, pronto a consolarlo
e permettergli di ricaricarsi per affrontare la prossima missione.
Tra i fumi di una città in rovina, ballavano, stretti ognuno tra le
braccia dell'altro, l'unico posto sicuro che conoscevano e dal quale
non si sarebbero voluti mai allontanare.