Chelsea
smile
Arrivai in anticipo quella mattina,
non c’era ancora
nessuno. Posteggiai la mia modesta auto nel piccolo parcheggio di
fronte a
scuola come tutti i giorni, notando, però, che questa volta
solo un paio di
macchine mi avevano preceduta. Tanto meglio, pensai con
un’alzata di spalle,
avrei avuto più tempo per un ripasso dell’ultimo
minuto in vista
dell’interrogazione di chimica in programma quella mattina.
Nonostante ci avessi
passato su pomeriggi interi, non ero ancora riuscita a farmi entrare in
testa
quella dannata robaccia, che per me aveva tanto senso ed
utilità quanto un
elefante in un negozio di cristalli. Aprii la portiera, recuperai lo
zaino ed ero
già diretta verso l’entrata della mia scuola, la
St. James High School, ovvero
l’unico liceo della piccola cittadina del New Jersey dove
vivo da quando sono
nata. È un piccolo paese non lontano dalla capitale,
Trenton, di cui è del
tutto inutile citare il nome, tanto lo conoscono solo quelli che ci
abitano.
Senza esitare mi sedetti su uno dei
gradini in cima alla
scalinata d’entrata, dove di solito usa riunirsi la maggior
parte degli
studenti, tra cui io e il mio piccolo gruppo di amici, prima delle
lezioni. Ma a
quell’ora la famosa scalinata di granito chiaro era ancora
deserta e non mi
rimase altro da fare che sedermi al solito posto, prendere dallo zaino
il mio
“adorato” libro di chimica, pieno di formule e
geroglifici sconosciuti, insieme
all’ipod, mio inseparabile compagno di vita. Mi infilai gli
auricolari da cui,
mentre il mio sguardo vagava sulle pagine del libro, si
sprigionò quella ben
conosciuta melodia un po’ stonata che avevo in testa ormai da
una settimana.
Intanto le lancette sull’orologio continuavano a procedere
lentamente verso
l’ora x e il fatidico suono della campanella e il popolo
studentesco iniziò a
popolare il sito. Ma io ero ancora troppo presa dal mio ripasso
frenetico per
notare la figura alta e sinuosa che prense silenziosamente posto sul
gradino di
fianco a me.
«Ed ecco a noi la nostra
cara Chelsea Skelton alle prese con…».
«Piantala!»
sbottai senza però riuscire a trattenere un
sorrisetto.
Nonostante avessi la musica a palla
nelle orecchie avevo
subito riconosciuto la sua voce. Mi tolsi gli auricolari, che gettai
poi da una
parte insieme al libro di chimica, dal quale alzai gli occhi per
fissarli nei
suoi. Un altro sorriso, questa volta più largo e marcato, mi
illuminò il viso e
distese le rughe di tensione per l’interrogazione imminente.
Finalmente eccolo
lì al mio fianco, come tutte le mattine del resto. Anche
Malcom Tindale
frequentava come me il quarto anno e, sebbene non seguissimo le stesse
lezioni,
ci eravamo conosciuti all’inizio del liceo tramite amici
comuni. Da lì era nata
una profonda amicizia che era cresciuta con gli anni e che ci portava a
vederci
ogni mattina davanti a scuola e durante l’intervallo nei
corridoi, quasi fosse
un’abitudine ormai sedimentata. E io vivevo di
quell’abitudine: era una delle
principali ragioni per cui ogni mattina la mia persona si dirigeva
quasi
contenta verso quell’edificio.
«Come mai così
in anticipo stamattina?» chiese appoggiando
la borsa dei libri e cingendosi le ginocchia con le braccia.
Domanda più che legittima,
visto che di solito lui mi
precedeva quasi sempre. «Mah, non so. Dev’essere
scattato qualcosa nel mio
orologio biologico».
«Brava!»
esclamò Malcom e sorrise. «Interrogazione di
chimica o sbaglio?».
«Non sbagli. Ho una fifa
tremenda».
«Be’, di sicuro
farai meglio di me con la mia sufficienza
risicata».
Per un attimo calò il
silenzio tra di noi e io, come mi
accadeva spesso, mi soffermai ad osservarlo, mentre lui guardava gli
altri
studenti entrare svogliati nel cortile della scuola, probabilmente in
cerca di
un viso conosciuto. Quel giorno di primavera il sole splendeva radioso
e i suoi
raggi davano ai capelli biondi del mio amico dei meravigliosi riflessi
dorati.
Gli occhi di un profondo color nocciola erano socchiusi contro il
riverbero
della luce e la fronte aggrottata. Seguii con attenzione il profilo del
naso e
delle labbra, anche se ormai sapevo di conoscerlo a menadito. Le spalle
dritte
e la figura asciutta e vagamente atletica… Malcom,
nonostante io lo vedessi
come la perfezione fatta a persona, non era certo il tipo di ragazzo
che dava
subito nell’occhio per la sua bellezza sfrenata e spesso
passava in secondo piano.
Per quanto mi risultasse non aveva mai avuto una storia vera, anche se
erano
molte le ragazzine che gli sbavavano dietro, e di certo il suo
carattere a
prima vista abbastanza timido ed imbranato non lo aiutava molto con le
ragazze.
Ma io rimanevo comunque del parere che, se solo l’avesse
voluto, avrebbe potuto
prendersi qualsiasi ragazza. Per questo non vedevo per quale ragione
avrebbe
mai dovuto perdere tempo con me, l’immagine della
banalità. Distolsi a forza lo
sguardo da lui e mi costrinsi a riportarlo sulle pagine del libro. Ma
l’attrazione verso la mia sinistra era troppo forte, come la
forza magnetica di
una calamita, e mi portava di tanto in tanto a gettare
un’occhiata nella sua
direzione. Alla fine notai che aveva tirato fuori dalla tasca dei jeans
il
cellulare e nel vederlo trafficare furiosamente con la tastiera
m’incuriosii un
poco: a chi starà mai scrivendo a quell’ora della
mattina? Però al momento mi
sembrò inopportuno indagare e rimasi zitta, giocherellando
con una ciocca di
capelli e aspettando che fosse lui a prendere la parola per primo.
«Mi scuso in anticipo se
oggi potrei sembrarti un po’
assente» sussurrò con una strana luce negli occhi
e un mezzo sorriso.
«Perché?»
domandai.
Lui sulle prime sembrò
esitare, forse per trovare le parole
giuste. «Be’… diciamo che mi sento un
po’pazzo. E felice». E sorrise ancora: quel
giorno i suoi sorrisi sembravano proprio sprecarsi.
«Ah. E…
ehm… come mai?». Mi sentivo quasi una bambina
petulante a porre tutte quelle domande.
Lui per la seconda volta apparve a
disagio e guardò in tutte
le direzioni meno che la mia: avevo toccato forse qualche tasto
dolente? Oppure
c’era qualcosa che non voleva dirmi?
«Mmm…
così. Non farci troppo caso».
«Ah…
ok».
Altro silenzio imbarazzato tra di
noi, mentre gonfi e neri
nuvoloni di dubbio s’impossessavano della mia mente e
probabilmente anche della
mia espressione. Cercai con tutte le forze di distendere i muscoli
facciali,
sforzandomi di raggiungere una neutralità abbastanza
credibile. Ma tra i
pensieri, quelli no, non riuscii a diluirvi un po’ di calma.
Possibile che mi
stesse nascondendo qualcosa? La risposta mi giunse istantanea:
probabile. In
fondo io e Malcom in generale non parlavamo mai apertamente tra di noi
di
ragazzi e ragazze. E questo mi aveva sempre un po’
confortata, perché nel caso
fossi diventata la sua confidente per questo genere di cose significava
che
ormai non avevo più alcuna speranza. Però il non
esserlo del tutto mi lasciava
come al buio nel bel mezzo di un campo minato. Mentre riflettevo un
groppo mi
chiuse pian piano la gola, procurandomi la nausea. Per fortuna fui
tolta
dall’impiccio di dover parlare dall’arrivo di Liz,
una delle amiche mie e di
Malcom, al quale seguì poco dopo il suono della campanella.
Me io sapevo
benissimo che quella sarebbe stata una lunga giornata di riflessioni e
paranoie. E probabilmente il germe di qualcosa che non avevo calcolato
ma con
cui mi sarei presto trovata faccia a faccia.
How could this be real
I was too scared to show what I
am
Non posso credere a quello che ho
appena sentito. No, di
certo devo aver mal interpretato. Eppure le parole che ho sentito
uscire dalla
bocca di Vanessa rivolte a Liz durante la lezione di storia avevano
proprio
quel significato. “Ma lo sai che ieri ho visto Malcom con una
ragazza? Hai
presente quella bionda dell’ultimo anno? E sembravano molto
intimi per di più…”.
Tutto ciò, ovviamente, l’aveva detto a voce
abbastanza alta perché anch’io
potessi sentire per bene: come al solito non poteva fare a meno di
rigirare il
coltello nella piaga. Ma ora il problema non era Vanessa o il suo
pessimo
carattere, bensì qualcosa che fece saltare subito un paio di
battiti al mio
povero cuore e mi fece venire le vertigini. Resistetti
mezz’ora in quello stato
pietoso e alla fine chiesi al professore di poter uscire: tutte quelle
ansie e
i sospetti influivano negativamente anche sul mio fisico. Senza neanche
pensarci, mi fiondai in bagno e mi ci chiusi per un buon quarto
d’ora, aprendo
la finestra perché mi sentivo letteralmente soffocare.
Malcom con una ragazza? Ma
com’era mai possibile? Proprio lui,
l’ultima persona che avrei mai immaginato in certi
atteggiamenti con il sesso
opposto. Lui che sembrava sempre così imbranato, ma che
nonostante tutto
riusciva sempre ad avere un suo fascino. E io che di questa storia non
ne
sapevo niente. Come non aveva potuto dirmelo che usciva con qualcuna?
Ero stata
una stupida a credere che… Mi appoggiai al muro, sconfitta,
passandomi una mano
sul volto e ricacciando indietro le lacrime che premevano per scorrermi
sulle
guance. Anche perché se avessi pianto di sicuro al mio
ritorno qualcuno l’avrebbe
notato. Forse perfino lui. Ormai al mio cervello era palese
ciò che il mio
cuore provava per Malcom. Costantemente in questi quattro lunghi anni,
ma più
insistentemente nell’ultimo periodo. Non credo di aver mai
provato qualcosa del
genere per nessuno e fin dal primo momento in cui l’avevo
visto, quando gli
avevo stretto la mano balbettando impacciata il mio nome, avevo capito
che era
una persona diversa. E anche se la mente diceva al cuore che lui era
soltanto
un mio amico e che sarebbe stato meglio che rimanesse tale, il
sentimento non
poteva essere frenato. Ormai compariva con regolarità nei
miei sogni, a volte
nelle vesti di un angelo bellissimo o abbracciato a me senza dire una
parola
oppure sempre più spesso come una figura silenziosa ed
indifferente che fuggiva
via da me. Nessuno sapeva di tutto ciò, o almeno non avevo
mai fatto a nessuno
una dichiarazione ufficiale. Più di una persona dopo averci
visti insieme nei
corridoi della scuola non poteva fare a meno di affermare quando
stessimo bene
insieme e lanciarmi qualche frecciatina infantile a riguardo. Ma io
rimanevo
zitta e facevo orecchie da mercante alle voci che ogni tanto
circolavano.
Malcom, invece, pareva del tutto estraneo alla faccenda. Più
volte mi ero
chiesta se fosse trapelato qualcosa dai miei comportamenti che gli
avesse fatto
capire quanto stessi male per lui. Ma poi mi ricredevo e mi dicevo che
io ero
troppo abile a nascondere i miei sentimenti e che lui era un
po’ troppo lento a
capire certe allusioni. E non avevo neppure il coraggio di dirglielo a
viso
aperto: avevo paura di rovinare un’amicizia importante
e… e non sapevo bene
nemmeno io cosa. Forse non volevo sentirmi rifiutata, anche se
quell’ultima
novità faceva cadere tutte le mie aspettative. Avevo sempre
sperato e a volte
anche creduto che lui provasse qualcosa per me, anche poca roba, ma
qualcosa. Che
non si volesse esporre come facevo io, ma che tutto ciò
sarebbe venuto a galla
quando sarebbe stato il momento giusto. Però ora si era
infranto tutto e avevo
perso la partita. Aveva vinto la bella bionda popolare e
l’amica timida e leale
doveva farsi da parte.
And nothing will change
I was lying
This is defeat
«Ehi,
stai bene? Hai una faccia…».
Era l’inizio di una nuova
giornata di scuola e come al
solito ero seduta sulla mia cara scalinata con i miei amici attorno. E
c’era
anche Malcom, ovviamente. Faceva finta di niente ed era tranquillo e
sorridente
anche più del solito; mi faceva male vederlo,
però come al solito lo cercavo:
non potevo proprio farne a meno. Sono masochista lo so, ma dopotutto si
continua ad amare l’aria anche quando ogni respiro ci brucia
la gola, no?
«Sì, sto
bene» risposi cercando di nascondere la stizza per
quella domanda. «Solo… be’,
l’umore non è il massimo. Ho avuto una giornata di
merda ieri».
«Ah»
sospirò lui e per un attimo mi piacque vederlo davvero
dispiaciuto. «In effetti è un po’ di
giorni che sembri giù di corda».
«Sì…
si vede che non è il mio periodo fortunato. Sono
stanca».
Del tutto indifferente al mio
temporale interiore, non solo
viene a sbattermi in faccia la sua felicità, costruita anche
se a sua insaputa
sulla mia tragedia, ma mi viene pure a chiedere come mi sento! Era come
chiedere a un malato terminale cosa ne pensasse del tempo. Ma continuai
a stare
zitta e a soffrire in silenzio, magari anche con qualche lacrima. Ok,
più di
qualche lacrima. In fondo al cuore, però, c’era
ancora un angolino che sperava
che questa fosse solo una storia passeggera, una semplice sbandata di
percorso
e che Malcom sarebbe tornato subito da me appena avesse capito che
nessuno può
comprenderlo come faccio io. Ieri li ho visti insieme, lui e la bionda
di cui
ignoro ancora il nome ma che già considero il mio nemico
numero uno, che
camminavano mano nella mano nei corridoi. Non ho retto e sono dovuta
scappare
in classe sotto lo sguardo interrogativo di Liz, che però ha
evitato di fare
domande al riguardo, grazie a Dio. Quanto dovrà durare
ancora questo tormento? Per
fortuna tra non molto sarebbero iniziate le vacanze estive e
così non avrei
rivisto Malcom per un po’. Forse era proprio questo quello di
cui avevo
bisogno: non pensarci. E mettermi il cuore in pace accettando la
sconfitta. Ma non
ero sicura di riuscirci, perché ormai lui per me era
l’aria che respiravo e l’acqua
che bevevo e probabilmente la lontananza, il pensarlo assieme a
quell’altra mi avrebbe
fatto soltanto più male. Almeno allora avevo il
sollievo/tortura di vederlo. Ma
poi?
Bear with me this is all I have
left
Il giorno dopo sarebbe stato
l’ultimo giorno di scuola. Sospirai
seduta alla mia scrivania, scrutando il cielo azzurro fuori dalla
finestra
aperta insieme ai rami degli alberi scossi dal vento. La storia tra il
mio
amico-ma-qualcosa-di-più e la sua nuova fiamma si era
consolidata a vista d’occhio
e non credevo di poter più insinuare la mia presenza in
qualche crepa per
riportare Malcom alle origini. Quel che era stato fatto ormai
apparteneva alla
storia e non poteva più essere cancellato. Nonostante tutto
io continuavo a
sperare. A sperare di sorridere con l’unica persona che
desideravo abbracciare
per tutta la vita. Ma forse le mie erano soltanto le fantasie di una
ragazza
come tante, ingenua ed imbranata, che sognava ancora il principe
azzurro delle
fiabe. E che non ha ancora capito che individui del genere non possono
esistere. Anche perché sarebbe imbarazzante andare in giro
con quel vestitino
azzurro. Mi ero illusa che Malcom, se non rispecchiarlo, almeno si
avvicinasse
al modello di ragazzo con cui avrei voluto coronare il mio sogno di
“e vissero
felici e contenti”. Mi ero sbagliata. Non c’era
nulla per me su quella sponda
del fiume, solo dolore e un sogno che sarebbe rimasto per sempre tale e
per sempre
deriso. Anzi, a dir la verità mi chiedevo se sarei tornata a
sorridere come
prima. Come quando pensavo a un sorriso che mi aveva rivolto, a una
frase
particolare che mi aveva detto o al calore della sua mano stretta alla
mia d’inverno
quando faceva freddo. Sorridevo come una scema quando sentivo la sua
voce o la
sua risata. Sorridevo nello scorgere il suo sguardo smarrito o qualcuna
delle
sue facce buffe. Sorridevo ironicamente nel prenderlo in giro per
qualche
nonnulla. Sorridevo quando al suo compleanno mi aveva ringraziato per
il
regalo, che gli era piaciuto tantissimo. Sorridevo nel sapere di averlo
accanto
e nello sperare di piacergli e di aver acceso una piccola fiammella nel
suo
cuore. Ma ora avrei sorriso di nuovo? Il mondo aveva ormai perso i suoi
colori
sgargianti per me e il tutto era ridotto a un pessimo film muto in
bianco e
nero. Agivo come un automa e vivevo nel passato, che continuava a
riaffiorare
nei miei incubi.
C’era un tiglio proprio
davanti alla mia finestra e il vento
era talmente forte da strapparne qualche foglia. Una, sospinta da
quest’ultimo,
venne spinta nella mia camera e si posò con il delicato
volteggiare di una
farfalla davanti a me sulla scrivania. Quasi fosse la risposta che
cercavo, notai
che la foglia in questione aveva la forma abbozzata di un cuore. Per un
attimo
mi sentii quasi insultata: quello era un cuore vivo ed integro a
dispetto del
mio frantumato in mille piccoli pezzi. Senza controllare le mie mani ed
agendo
quasi d’istinto, presi una penna e iniziai a scarabocchiare
distratta sulla sua
superficie verde: tutto pur di tenere impegnata la mente. Alla fine con
un certo
stupore guardai quello che avevo scritto: Malcom. Sul volto mi si
dipinse un
sorriso amaro nel costatare che, anche se l’avessi dovuto
perdere del tutto,
lui non sarebbe potuto mai essere veramente lontano da me.
Perché era parte di
me. E così mi accorsi che la mia non era solo una cotta di
quelle passeggere
tipiche dell’adolescenza. Non seppi perché ma
questo pensiero mi fece sentire
un po’ meglio, forse perché seppi per certo che
quella ragazza non avrebbe
potuto amarlo mai così intensamente come avevo fatto io. E
poi io sarei stata
sempre lì, giusto? Quando avrebbe avuto bisogno di me sarei
stata al suo fianco
come una vera amica, per consolarlo o incoraggiarlo, condividere
qualsiasi cosa
e ridere di stupidaggini. Avrei continuato a seguire le sue orme in
silenzio
come avevo sempre fatto, consapevole di quando valeva il mio cuore
pulsante. E non
importava se dopo questa ci sarebbero state altre ragazze. Non
importava se io
sarei rimasta per sempre solo l’amica dei tempi del liceo.
Non importava se
sulle scale avremmo continuato solo a chiacchierare e niente di
più. Io lo
sapevo quanto valeva questo… amore.
Sì,
amore. E me lo sarei tenuto stretto, altroché. E avrei visto
di risollevarmi da
questo stato pietoso, perché dovevo sorridere, dovevo farlo
per lui. Solo per
lui e basta.
Voltai la foglia e sulla pagina
inferiore iniziai a scrivere
a getto.
Vorrei
stringerti forte tra le braccia per un tempo indefinito
Vorrei
tenerti per mano senza dir nulla
Vorrei
baciarti fino a perdere il fiato
Vorrei
farti ridere con qualche battuta idiota
Vorrei
vederti arrossire sussurrando un timido “ti amo
anch’io”
Vorrei
asciugare le tue lacrime cullandoti dolcemente
Vorrei
sussurrarti dolci parole all’orecchio fino a tardi
Vorrei
guardarti dormire senza avere mai sonno
Vorrei
parlare con te di ogni cosa, anche la più piccola
Vorrei
contare i battiti del tuo cuore e tenere il ritmo del tuo
respiro
Vorrei
dormire cullato dal suono della tua voce
Vorrei
sognare sempre e solo te
Vorrei
inebriarmi del tuo profumo fino ad esserne ubriaco
Vorrei
dedicarti ogni cosa bella e ricoprirti di regali
Vorrei
semplicemente dirti quando sei importante per me
Vorrei
regalarti un sorriso per ogni giorno dell’anno
Vi prego recensite in tanti! Ho
scritto questa cosa col cuore, davvero, ed è molto
importante per me, quindi ho un assoluto bisogno di sapere che ne
pensate. Spero vivamente che questa one-shot sia di vostro gradimento e
che magari riesca anche a tirare un po' su di morale qualcuno (senza
troppe pretese, ovvio). A presto! :)
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