CAPITOLO 2
CAPITOLO 2
[JON]
Dopo le centinaia di notti passate di guardia in
cima alla Barriera o in una tenda in un punto imprecisato a nord di essa, non
gli dispiaceva passare qualche ora notturna sulla tolda della nave di fianco al
braciere. Solo pochi marinai restavano svegli di notte, e sulla Mhysa regnava
il silenzio. Nuvole permettendo, osservava per un po’ le stelle, o
semplicemente rimuginava sui suoi pensieri. Qualche sera era capitato che
Tyrion o Davos passassero un po’ di tempo con lui, salvo poi ricredersi in
fretta per via del freddo.
Quella notte era stato fortunato. Dopo giorni di
tempeste incessanti, le nuvole avevano lasciato spazio ad una notte limpida,
illuminata dalla Luna e da migliaia di stelle lontane. Conosceva da sempre le
costellazioni. Maestro Luwin aveva insegnato a lui e Robb a riconoscerle per
potersi orientare di notte. La Corona del
Re gli sembrò più vicina delle altre, come se incombesse sulla flotta in
movimento. Colse una sottile ironia in tutto ciò. Ora che non era più un Re, si
trovava ad osservare proprio quella costellazione splendere più delle altre.
Verso est riconobbe il Ladro rinchiuso
nella Fanciulla di Luna. Il Popolo
Libero credeva che, le notti in cui si verificava quella particolare
congiunzione astrale, fossero le più propizie per un uomo che intendeva rubare una donna. Come la notte in cui
aveva conosciuto, e quasi ucciso, Ygritte.
Rhaegal planò silenzioso sopra le navi in movimento.
Le sue scaglie verdi e bronzee scintillarono alla fioca luce della Luna
crescente.
“Lady Melisandre non sarebbe felice di sapere che il
suo pupillo contempla le tenebre”
Jon sussultò riconoscendo la voce di Daenerys appena
dietro di lui. Distratto dai ricordi e dalla magnificenza del drago, non
l’aveva sentita avvicinarsi. Indossava il mantello che lui le aveva lasciato
tenere il giorno della partenza. Aveva solo sostituito la spilla argentea a
forma di Meta-Lupo con un anello di ferro cremisi decorato dal Drago a tre
Teste, simbolo della sua casata. Non potè fare a meno di chiedersi che fine
avesse fatto la spilla originale.
“Non sono il pupillo della Donna Rossa, Altezza.
L’ho perfino esiliata da Grande Inverno”
“Avresti dovuto sentirla parlare del Re del Nord
quando è venuta alla Roccia del Drago” Daenerys si appoggiò alla balaustra con
un gomito, rivolta verso di lui. “Non ho idea di cosa significhi, ma lei crede
che uno di noi due sia il principe che fu promesso”
“Onore a cui non tengo. Quel titolo è tutto tuo se
lo vuoi, Maestà”
“Andiamo Jon, non credi sia il caso di smetterla con
queste formalità?” Daenerys gli sorrise. E dietro agli sguardi addolorati che
aveva intercettato in tutti quei giorni di navigata, mentre Missandei cercava
di insegnarli le basi della lingua Dothraki, riuscì a scorgere la stessa
dolcezza che aveva visto in lei navigando verso sud, dopo la missione oltre la
Barriera, quando si era risvegliato e lei era lì, seduta accanto a lui sul
letto, con gli occhi pieni di lacrime. Gli era sembrato di risvegliarsi di
nuovo dalla morte. O di risvegliarsi per
davvero dalla morte?
“Ma certo, Daenerys” Jon ricambiò il sorriso di lei,
prima di alzare lo sguardo in cerca dello spettacolo offerto dalle scaglie di
Rhaegal brillare nella notte, ma il drago era ormai lontano.
“Perché hai scelto giurarmi fedeltà?” chiese
all’improvviso. “Cosa hai visto in me, Jon Snow?”
Jon si voltò a guardarla, quasi senza parole. Non ci
aveva pensato davvero, anche se la scelta era stata ardua. Il sacrificio che
aveva compiuto a Nord della Barriera era, senz’altro, il motivo principale, ma
gli sembrava scontato risolverla così facilmente. Daenerys l’aveva in qualche
modo stregato. Non solo per la sua bellezza, anche se quando incrociava i suoi
occhi viola doveva concentrarsi per non perdersi in essi. L’aveva stregato per
la sua forza d’animo, per la sua capacità di ragionare lucidamente anche in
situazioni difficili, oltre che per il suo spirito di sacrifico. E solo gli Dei
sapevano quanto bisogno avessero di persone come lei.
“Ora avresti dovuto dire che lo hai fatto perché
sono la tua legittima Regina e vedi in me un sovrano giusto e saggio” continuò
lei con un pizzico di stizza, quando lui non rispose perso nei suoi pensieri.
“L’ho fatto perché ti sei sacrificata per salvarmi,
per salvare tutti noi. Perché ho visto in te una… speranza” disse infine senza
troppa convinzione.
“Tutto qui?” fece un passo verso di lui guardandolo
dritto negli occhi, con sfrontatezza. “Non c’è nessun altro motivo?”
“Ecco… Io…” balbettò in difficoltà. Il vento si era
fatto più intenso, come se volesse nascondere le loro parole nel suo soffio.
Daenerys fece un altro passo verso di lui e Jon non riuscì più a sostenere il
suo sguardo. Così lo abbassò sulle labbra di lei, ma capì immediatamente il suo
errore. Ancora pochi attimi e non sarebbe più stato in grado di controllare le
sue azioni. Daenerys lo legava sempre più stretto a se con il suo sguardo
languido ma deciso.
“Sai Jon” poté sentire il fiato di lei sul viso.
Profumava di menta e arancia. “A volte vorrei che non ci fosse nessuna guerra
da combattere, nessun Trono da conquistare, nessun uomo da salvare o proteggere.
A volte vorrei solo essere me stessa… E tu, Jon Snow, hai un desiderio?”
Daenerys coprì la poca distanza che ancora li
separava con un solo passo, e si ritrovò con il viso all’altezza del suo collo.
Con uno slancio di coraggio e incoscienza, Jon pose una mano sulla guancia di
lei, con il pollice seguì la curva dello zigomo, fino alle palpebre inumidite
da lacrime trattenute a stento. Chiuse gli occhi al tocco di lui, cullandosi
nel tocco caldo del suo guanto.
“Vorrei che quest’attimo potesse durare per sempre”
sussurrò. Daenerys riaprì gli occhi lentamente, e solo in quel momento Jon si
rese conto di quanto davvero fossero vicini. Poteva sentire il corpo della
regina premere contro il suo, come se volesse esprimere il desiderio di legarsi
a lui. La strinse, cingendola con una mano sulla schiena per annullare
ulteriormente la distanza che li separava. Temeva che lei potesse ritrarsi, ma
Daenerys continuò a fissarlo con le labbra socchiuse, e un’espressione dolce e
allo stesso tempo sfrontata. Non aveva mai visto nulla di così bello, di così
perfetto. La desiderava, avrebbe passato tutta la notte a mordere le sue labbra
rosee o a baciare ogni centimetro della sua pelle candida. E sentiva che lei
voleva la stessa cosa.
Si rese conto di non poter più resistere quando
Daenerys sospirò di piacere, vicino al suo collo. Piegò dolcemente il capo a
poggiare la sua fronte su quella di lei, e i loro nasi si sfiorarono suscitando
in entrambi un sorriso spontaneo. Quando le loro labbra si incontrarono tutto
quello che c’era intorno a loro scomparì, le navi, il mare, il vento. Perfino
la guerra. Solo Daenerys era reale, la schiena appena inarcata per aderire
perfettamente al suo corpo e una mano incatenata ai suoi capelli.
All’inizio fu un bacio casto, labbra che si studiano
e si conoscono. Fino a quando Daenerys non strinse la presa sui suoi capelli
abbandonandosi tra le sue braccia. Le labbra di lei si incurvarono in un
sorriso, e presto lo trasformò in un leggero morso al suo labbro inferiore. Jon
sentiva di poter restare in quel limbo per tutto il resto della sua vita. Dimenticò
di essere un bastardo, ex Re di un Regno che probabilmente lo avrebbe
disprezzato per le sue scelte, dimenticò l’onore e le promesse fatte a se
stesso di resistere ai suoi impulsi. Per un attimo fu solo Jon, che stringeva
tra le braccia quanto di più prezioso ci fosse al mondo. Il bacio divenne più
intenso, come un bisogno da soddisfare in fretta, prima che sia troppo tardi.
Quando si separarono avevano entrambi il fiatone.
“Non avrei dovuto. Perdonami Daenerys. Io…” Jon
allentò la stretta intorno ai fianchi, ma Daenerys non si mosse. Restò a
guardarlo con la testa poggiata alla sua spalla.
“Va tutto bene Jon” si allungò appena sulle punte e
lo baciò brevemente. “Sapevo sarebbe successo”
“Spero di essere stato all’altezza delle tue
aspettative, allora” scherzò lui abbozzando un sorriso.
Lei gli rifilò uno sguardo tagliente, e un colpetto
affettuoso al petto, prima di un ultimo sorriso. “Buonanotte Jon Snow”.
[CERSEI]
Lord Quiburn si era occupato di organizzare tutte le
difese della città. La Fortezza Rossa era il posto più sicuro dei Sette Regni,
e il Maestro senza catena era riuscito a scoprire decine di passaggi segreti
nelle mura della fortezza, uno addirittura conduceva fuori dalle mura di cinta,
in una baia nascosta, perfetto per una fuga veloce in caso di necessità.
“Euron e la Compagnia Dorata sono sulla via del
ritorno, Vostra Grazia. Hanno già ricevuto i loro ordini” disse Quiburn col suo
solito tono adulatorio.
“Greyjoy non rispetterà quegli ordini. Verrà ad
Approdo del Re a riscuotere il suo credito” sbuffò lei.
“E come intendi comportarti a riguardo, Altezza?
Vuoi che mi occupi io di lui?”
“No Quiburn, posso gestire un balordo delle Isole di
Ferro. È a nord che devi rivolgere il tuo sguardo. Voglio sapere tutto quello
che succede”
“I miei uccelletti sono già in volo, Maestà. Presto
ci giungeranno i loro sussurri” sorrise ancora mellifluo.
“Hai parlato con i piromanti?”
“Certo Vostra Grazia. Il Lord Piromante attende di
incontrarti”
“Lord Piromante…” lo schernì non nascondendo il suo disprezzo.
Con un pigro cenno della mano acconsentì a farlo
entrare. Conosceva il vecchio Lord Piromante, ma suo padre lo aveva fatto
giustiziare dopo la Battaglia della Baia delle Acque Nere, come capro
espiatorio per le fiamme verdi che avevano distrutto la Flotta Reale.
Il nuovo Lord Piromante era un uomo più giovane ma
altrettanto inquietante. Un uomo dalla schiena incurvata e la testa calva. Indossava
lo stesso saio di chi lo aveva preceduto, color talpa bordato d’argento. Fece
un profondo inchino davanti al Trono di Spade.
“La mia Regina voleva vedermi?” chiese quando si fu
raddrizzato.
“Il tuo ordine aveva ricevuto una richiesta dal
Trono. Gradirei sapere a che punto siete con le scorte di Alto Fuoco”
“Stiamo lavorando ininterrottamente da allora,
Altezza. Contiamo di soddisfare le richieste di Sua Grazia entro la prossima
luna” chinò ancora il capo in segno di rispetto.
“Bene. Voglio che seguiate il piano alla lettera.
D’ora in poi, Lord Malyne, ti confronterai con Lord Quiburn. Rispetta i suoi
ordini come se venissero dalla mia bocca. Puoi andare”
Il Lord Piromante Malyne si inginocchiò di nuovo
prima di lasciare la sala del Trono.
“Nemmeno i draghi possono sopravvivere all’Alto
Fuoco. Il nostro piano continua, Maestà. C’è un ultima cosa di cui vorrei
parlarti” Quiburn appariva preoccupato.
“E allora che aspetti?”
“Si dice che insieme alla Targaryen e agli Stark
cavalchi un altro nemico della tua casata, uno dei figli bastardi del Re tuo
marito”
“Joffrey fece uccidere tutti i bastardi di Robert, è
una notizia falsa”
“Anche se lo fosse io suggerirei di inviare a Capo
Tempesta una guarnigione. Da quello che so è una Fortezza inviolabile. E se ne
avessimo bisogno potremo ritirarci li. Nemmeno un esercito di morti potrebbe
conquistarla”
“E se il bastardo la vuole dovrà conquistarla. La
tua perizia mi lascia sempre più senza parole, Lord Primo Cavaliere. 200 uomini
saranno più che sufficienti a gestire un assedio a Capo Tempesta. Provvedi”
Scese i gradini del Trono di Spade e si recò nelle
sue stanze, il fido ser Gregor sempre alle sue spalle. Nei momenti di
solitudine riusciva solo a pensare a Jaime che l’aveva abbandonata. Avrebbe
dovuto lasciare che la Montagna lo uccidesse invece di creare un altro nemico.
E non poteva far altro che chiedersi se lo sarebbe diventato davvero, un
nemico. Ma se avesse osato avrebbe condiviso la sorte degli altri. Niente e
nessuno le avrebbe impedito di tramandare il Trono di Spade alla giovane vita
che cresceva dentro di lei, non Jaime Lannister, nè tantomeno Daenerys
Targaryen.
[TYRION]
Aveva sempre odiato navigare. O forse aveva
cominciato ad odiare le navi durante il suo viaggio, all’interno di una cassa,
verso Essos, alla ricerca di una Regina da servire. Ma, per quanto scomodo,
quel viaggio era avvenuto in piena estate ed aveva avuto una sua ragione di
essere affrontato. Ora viaggiava verso l’inverno
perenne chiuso nella sua cabina o in quella della regina a studiare piani
di battaglia ormai triti e ritriti. E uscire sulla tolda della nave anche solo
per prendere un po’ d’aria era diventata un’impresa per uomini temerari. Da
quando avevano superato la Penisola delle Dita, il vento freddo che sferzava il
Mare Stretto era diventato insopportabile. E aveva iniziato a nevicare, anche
in mare aperto. Quelle temperature gli ricordavano il suo periodo sulla
Barriera e non riusciva ad immaginare come potesse essere la situazione più a
Nord. Almeno la dispensa della nave della Regina era ben fornita di quel rosso
di Arbor che gli piaceva tanto. Aveva iniziato un po’ tutti al bere, anche la
Regina, che ora non disdegnava affatto una coppa durante le riunioni, o anche
più di una da quando aveva perso Vyserion.
Per questo Tyrion si stupì quando Daenerys rifiutò
la coppa che Missandei le porgeva. Nella cabina della Regina, la più grande
della nave, tutte le sere prima di cena, tenevano una piccola riunione, anche
se la maggior parte delle volte non c’erano novità da segnalare. Per fortuna quella
tortura stava per finire. In soli due giorni avrebbero finalmente raggiunto
Porto Bianco.
“Quanti giorni di vantaggio abbiamo su Immacolati e
Dotraki?” chiese Jon, che era il più impaziente di tutti. Spesso Tyrion lo
aveva visto starsene in piedi a prua, anche sotto le intemperie, forse sperando
di avvistare la terra ferma. Il capitano della Mhysa gli aveva raccontato che
spesso aiutava anche i marinai nelle loro mansioni.
“Due o tre al massimo” suppose ser Davos “Se non
hanno incontrato intoppi dovrebbero essere in prossimità di Harrenhal ora”
“Di quali intoppi parli ser?” chiese Varys con suo
solito tono leggero che non lasciava mai trasparire le sue emozioni.
“Nessun intoppo in particolare Lord Varys, ma spesso
le cose non vanno come vorremmo. Magari il Tridente è ingrossato dalle piogge e
avranno avuto difficoltà ad attraversarlo”
“Ser Davos ha ragione. Le Terre dei Fiumi sono
insidiose e, datemi pure del paranoico, ma non mi fido di Cersei” Jon
spalleggiò il suo consigliere.
“Mio fratello ha giurato di combattere al nostro
fianco” dovette intervenire per troncare sul nascere la situazione “Checché se
ne dica è un uomo d’onore. E Cersei rispetterà la tregua, sa bene che non le
conviene infrangerla”
Daenerys lo guardò a fondo con uno sguardo a metà
tra il confuso e lo stupito. Probabilmente non lo aveva mai sentito parlar bene
dei suoi fratelli, non di Cersei almeno.
Riempì di nuovo la sua coppa, e si sporse di nuovo
per riempire la coppa della Regina, ma lei rifiutò con cortesia. Qualcosa gli
sfuggiva, Daenerys ostentava una calma e una serenità che non le aveva mai
visto. Nei giorni precedenti rispondeva alle loro considerazioni con la sua
solita impulsività, pronta ad elargire punizioni agli alleati, qualora
l’avessero tradita. Quella sera invece era rimasta in silenzio ad ascoltare i
loro battibecchi, senza prendere una posizione su come comportarsi una volta
raggiunto Grande Inverno. Aveva solo dato l’assenso al piano di Jon su come
presentarla ai Lord del Nord, piano che nei giorni precedenti si era premurata
di rifiutare più volte. E in risposta al suo assenso aveva ricevuto un bel
sorriso dall’ex Re del Nord. L’intesa tra i due si era rafforzata non poco
negli ultimi tempi, da quando Jon le aveva giurato fedeltà. Daenerys teneva
molto in considerazioni le opinioni del Re del Nord riguardo alla guerra, e
Tyrion condivideva questo suo comportamento. Era un po’ più preoccupato per i
problemi politici che potevano nascere da un’alleanza così forte. Cersei non
era magnanima e di certo avrebbe fatto di tutto per spezzare quell’unione. E
lui non poteva permettere che quell’alleanza andasse in frantumi ad un passo
dall’ Apocalisse.
“Il mio Lord voleva parlarmi” Lord Varys chinò il
capo entrando nella sua cabina.
“Entra mio caro amico” l’eunuco lo guardò con
circospezione.
Varys si accomodò sulla poltrona ai piedi del letto.
Tyrion gli offrì del vino, camminando avanti e indietro per la piccola camera.
“Ho ragione di temere che la nostra alleanza sia in bilico”
disse infine.
Varys lo squadrò ancora a lungo soppesando bene le
parole: “Condivido la tua preoccupazione, mio Lord. Questa amicizia tra la nostra Regina e Lord Snow è, per così dire,
pericolosa. Ma rispondi alla mia domanda, non sarebbe più pericoloso per tutti
noi ostacolarla? Se tra loro dovesse scorrere cattivo sangue cosa accadrebbe
alla nostra guerra”
“Forse hai ragione, Lord Varys. Mi preoccupo
inutilmente per una cosa che non posso impedire. Né tantomeno lo voglio”
concluse con un sospiro. Lord Varys non sarebbe stato un alleato per lui in
quel frangente. Dopotutto l’eunuco serviva il Reame, o almeno era quello che
professava da anni, e la miglior opzione per il Reame erano pur sempre quei due
giovani. Avrebbe fatto bene a tacitare i suoi presentimenti e a continuare a
servire al meglio la sua Regina anche lui se non voleva finire in pasto a
Drogon. Eppure nello sguardo di Varys, mentre lasciava la sua cabina, scorse
complicità.
Si versò un’altra coppa di rosso d’Arbor e si recò
all’oblò della sua cabina. L’oscurità premeva contro il vetro opaco, solo lo
sciabordare delle onde attutito dalle pareti di legno disturbava il silenzio
che regnava sulla Mhysa.
Pochi passi silenziosi fuori dalla cabina lo
ridestarono dai suoi pensieri. Restò in ascolto, immobile, con le orecchie
tese. Alla fine decise di arrischiare una sbirciata fuori dalla porta. Jon Snow
era in piedi davanti alla porta della cabina della Regina, una mano poggiata
allo stipite. Con l’altra mano seguiva lo stemma di metallo a forma di drago,
indeciso sul da farsi. Pochi colpi decisi ruppero il silenzio e Tyrion seppe di
non poter più impedire l’inevitabile.
[DAENERYS]
Missandei si era congedata da pochi minuti, dopo
averle preparato un bagno caldo ed averla aiutata ad indossare gli abiti per la
notte. Ma invece di mettersi a letto, aveva indossato l’elegante mantello nero
che Jon le aveva donato e si era seduta sulla poltrona di legno intarsiato di
fianco al letto. Sul tavolino da toeletta teneva spiegata una mappa dettagliata
del Nord, ripassando il piano di difesa ideato da Jon. Ma quei castelli, quelle
montagne e quei boschi erano sconosciuti per lei, quanto lo erano stati tutti i
luoghi che aveva visitato e poi conquistato. Seguì la linea della Barriera
dalla Torre delle Ombre al Forte Orientale, indugiando per qualche attimo sul
Castello Nero. Ripensò a quel poco che sapeva sui Guardiani della Notte e al
loro ultimo Lord Comandante. Quel Jon Snow a cui si era legata tanto, in così
poco tempo. Aveva imparato ad amare suo marito Drogo, molti anni prima, e aveva
creduto di amare Daario Nahariis, prima di lasciarlo a Meeren a guidare la
rinascita della Baia dei Draghi, ma le sensazioni che provava con Jon le
sembravano sconosciute, diverse da qualsiasi sentimento provato prima. Si
ritrovò a giocherellare con la spilla a forma di meta-lupo che aveva tolto dal
mantello e ora portava al collo, agganciata ad una sottile collana d’argento,
unico cimelio di sua madre, la Regina Rhaella, che era riuscita ad impedire a
Viserys di vendere.
Pochi colpi alla porta la riportarono al presente. Si
mosse quasi d’istinto, senza chiedersi chi fosse. In pochi passi raggiunse la
porta e la aprì.
“Jon?” sussultò piacevolmente sorpresa di vederlo.
Fece un passo di lato per lasciarlo entrare. “Sono felice che tu sia qui”
Richiuse la porta alle sue spalle prima di parlare. “So
che potrebbe sembrare disdicevole…” Jon era a disagio e lei sapeva il perché.
“Non lo è” Daenerys pose un dito sulle labbra di lui
con uno slancio.
Jon sospirò il suo nome. “Daenerys…”
“Mi piace” gli sorrise.
“Cosa?” chiese Jon disorientato.
“La tua voce profonda che pronuncia il mio nome”
portò la mano tra i capelli scuri di lui.
Jon chiuse per un attimo gli occhi al tocco di lei ma
restò immobile, leggermente imbarazzato. Dopo qualche attimo di esitazione
parlò: “L’altra sera quando mi hai chiesto se avessi un desiderio, ricordi la
mia risposta?”
“Certo che la ricordo. Non è più così Jon Snow?”
chiese cercando di camuffare la sensazione di disagio che la cosa le suscitava.
“Ovviamente è ancora così. Per questo sono qui”
sorrise per rassicurarla e si chinò a baciarla brevemente.
Si rese conto che in qualche modo lo stava
aspettando. Attendeva che lui avesse abbastanza coraggio da bussare alla sua
porta. Il ricordo del loro bacio la seguiva insieme al mantello nero che ormai
indossava ogni volta che aveva freddo, e ogni volta le sembrava che Jon la
stesse abbracciando, trasmettendole sicurezza. Si ritrovò a giocherellare con
la spilla che appuntava il mantello.
“Mi chiedevo dove fosse il fermaglio a forma di
Meta-Lupo” sorrise lui vedendola abbassare lo sguardo, leggermente imbarazzata.
“Vediamo se sei abbastanza audace da scoprirlo da
te” lentamente prese la mano di lui e la portò al suo collo. Jon capì immediatamente
e armeggiò col fermaglio a forma di drago, lasciando cadere il mantello alle
sue spalle. La spilla che Jon cercava luccicò posata sul suo petto,
suscitandogli un sorriso raggiante.
“Posso restituirtela se vuoi”
“Te l’ho donata. Ricordi?” scherzò lui. “Quando io e
Robb compimmo 12 anni, a poche settimane l’uno dall’altro, nostro padre ci
regalò due spille identiche e ci disse che qualunque cosa il futuro avesse in
serbo per noi, quel dono ci avrebbe ricordato chi siamo e che il suo sangue scorreva
nelle nostre vene. Fu anche la prima volta che ci permise di usare le spade
affilate”
“Ecco perché dovresti tenerla tu. Significa molto
per te”
“Voglio che la tenga tu. Magari un giorno
significherà molto anche per te”.
“È già importante per me”
Jon sorrise ancora e la sollevò appena per baciarla.
Senza indugi stavolta. La danza di labbra e lingue riprese esattamente da dove
si era interrotta, come se fossero passati solo pochi istanti. I loro sospiri
si confondevano rendendo impossibile capire chi dei due avesse emesso quale. La
foga del momento la portò a fare qualche passo indietro, verso il letto,
trascinando Jon con se. Con rapidità sciolse il gilet di lui e glielo sfilò,
lasciandolo in camicia. Con le mani seguì i muscoli della sua schiena, sentendoli
tendersi e rilassarsi sotto le sue dita.
Jon dal canto suo era più accorto. La teneva con
delicatezza per i fianchi, come se avesse paura che lei l’avesse respinto se si
fosse spinto troppo oltre. Era lei a guidare le danze e la cosa le piaceva. Sfilò
la camicia di lui e anche nella luce fioca delle candele notò le profonde
cicatrici sull’addome e sul petto. Ma non ci badò a lungo. Guidò le mani di Jon
a slegare la sua veste azzurra da notte, restando nuda davanti a lui. Nel
frattempo Jon si era liberato dei calzari e dei pantaloni senza smettere di
baciarla. La sollevò delicatamente per aiutarla a salire sul letto e lei lo
trascinò su di se aggrappandosi alle sue spalle. Jon spostò le sue labbra sul
collo di lei, provocandole un gemito di piacere.
“Jon…” gli sussurrò all’orecchio prima di incatenare
le sue gambe dietro la schiena di lui. Sentì la sua virilità premere sul suo
ventre e lentamente, con una mano, lo guidò dentro di se, gemendo d’estasi in
risposta all’espressione di piacere di lui.
Con una leggera spinta si ritrovò sopra Jon che
cominciò ad esplorare il suo corpo con le mani. C’erano percorsi di piacere
sotto la sua pelle che non sapeva si potessero percorrere. Jon li tracciò per
lei, insieme a lei. L’amò piano all’inizio, poi più intensamente, seguendo il
ritmo dei suoi gemiti. Si trovarono subito in armonia e la cosa la spiazzò. Jon
era con lei ad ogni spinta, anticipava i suoi bisogni come lei faceva con lui.
Rotolarono ancora e ancora l’uno sull’altra, l’una con l’altro, e poté vedere
la passione e il piacere traboccare dagli occhi del suo amante. Raggiusero il
climax nello stesso momento e crollò su di lui senza fiato, esausta, ma felice
come non lo era da tempo. Dopo un po’ cercò di sdraiarsi al suo fianco, ma lui
la fermò trattenendola in un abbraccio, mentre con l’altra mano tirava un
lenzuolo a coprirli fino alla vita.
Daenerys si appoggiò al suo petto, spostando la lunga
treccia argentea dietro la spalla. Con l’indice seguì le cicatrici sul suo petto
e sugli addominali. “Queste sono le coltellate di cui parlava Ser Davos, vero?”
chiese stringendolo. “È per questo che Guardiani della Notte non ti hanno
bollato come disertore?”
“È una storia molto lunga. Sei sicura di volerla
ascoltare?” Jon non aveva smesso un attimo di accarezzarle la schiena nuda.
“Mi piacerebbe conoscere meglio il Lord Comandante dei
Guardiani della Notte, tutto qua” concluse con un sorriso al quale non poter
dire di no. “O magari, se non me ne vuoi parlare, come tua Regina, posso
ordinartelo” aggiunse con tono falsamente autoritario.
Lo ascoltò raccontare del perché si era unito alla
confraternita in nero, dei dissapori iniziali con i confratelli, della
scomparsa di suo zio, Benjen Stark, e della spedizione a nord del Lord
Comandante Mormont per cercare l’esercito del Re Oltre la Barriera, Mance
Rayder, e della finta diserzione.
“È stato allora che ho conosciuto Ygritte” Jon la
guardò da sotto le palpebre, con uno sguardo quasi preoccupato.
Daenerys capì cosa lo turbava. “Era importante per te?”
Jon annui. “Puoi parlarmi di lei, se vuoi”
Così lui continuò il suo racconto. Parlò della scalata
alla Barriera e di come e perchè aveva tradito la fiducia della donna che amava,
della Battaglia del Castello Nero e dell’arrivo di Stannis, ed infine, dell’elezione
a Lord Comandante e del patto con il Popolo Libero che gli era costato la vita.
“È stata Lady Melisandre, vero? Ti ha riportato lei in
vita”
“Ser Davos l’ha convinta a farlo, si. Come hai fatto
a…?” Jon era stupito dal suo acume.
“Il culto del Dio Rosso è molto diffuso a Essos. Ho sentito
e imparato a mie spese molte cose sui poteri dei preti rossi e sulle magie del
sangue” gli rivelò.
Jon la tirò verso di se per baciarla. “So del
tradimento della maegi. Non deve essere stato facile per te, lontana da casa”
Casa.
Per quanto tempo aveva attraversato il mondo per cercarla? L’aveva bramata, desiderando più di ogni altra cosa al mondo un posto da
chiamare casa. Aveva sconfitto più
nemici di quanti ricordasse per raggiungerla e aveva provato delusione quanto
nella bellezza e nella maestosità di Roccia del Drago aveva visto solo
l’ennesima fortezza in cui passare pochi momenti prima di riprendere la sua
ricerca. Ed ora l’aveva finalmente trovata. Non era un luogo quello che
cercava. Casa era nei sorrisi di Missandei, nella rigidità di Verme Grigio e
nei grugniti di Ser Jorah. Il suo lungo e solitario viaggio era giunto al
termine, tra le braccia di un uomo del Nord scolpito nel ghiaccio eppure caldo
come il fuoco di drago.
[BRAN]
Da giorni ormai aveva smaltito la febbre, ma le
continue tempeste di neve non gli permettevano di passare il tempo che voleva
nel Parco degli Dei. I giorni erano diventati più cupi e solo raramente il sole
riusciva a far capolino dalle possenti nuvole cariche di bufera. La Lunga Notte
avanzava incessantemente e lui non aveva ancora imparato ad usare il suo dono in modo appropriato. Era come se il
raggio d’azione delle sue visioni fosse in qualche modo ostacolato da qualcosa,
o da qualcuno. Da giorni non riusciva a controllare i Sogni dell’Oltre. Arya
credeva fossero gli effetti della febbre ma Bran sapeva che il motivo era più
profondo, più oscuro. Era la Lunga Notte ad interferire. Più l’oscurità calava
su Grande Inverno e meno lui riusciva a farsi largo nell’intricata matassa che
era il passato. I sogni erano sempre meno nitidi e sempre più difficili da
gestire. Un attimo prima stava rivivendo le guerre dei primi uomini e un attimo
dopo si ritrovava catapultato a nord, nel tempo in cui la Barriera veniva
costruita.
L’unico con cui parlava apertamente dei suoi sogni
era Samwell Tarly. Il giovane Guardiano della Notte era l’uomo più colto che
avesse conosciuto dalla morte di Maestro Luwin. Conosceva la storia dei Sette
Regni molto bene e lo aveva aiutato spesso a capire quale epoca aveva visitato
o il perché di alcune cose accadute. Insieme avevano districato il turbine di
eventi che avevano portato alla caduta dei Targaryen e alla nascita di Jon.
Tuttavia c’era un sogno di cui non gli aveva mai
parlato: un Albero Diga millenario, avvolto nella nebbia, che nasceva
direttamente da un lago ghiacciato. Quando si avvicinava scorgeva un uomo
inginocchiato davanti a esso e anche da molto lontano riusciva a percepire la
sua paura davanti al volto grave, iracondo inciso sul tronco bianco. Quando
provava ad avvicinarsi il vento glielo impediva. Il manto di foglie rosse,
sferzato dal vento, si alzava di fronte a lui come un muro e gli impediva di
continuare. E Bran urlava, chiamando a gran voce l’uomo, ma questi sembrava non
udirlo o non volerlo fare. All’improvviso il gelo calava sulla piccola radura
dell’Albero Diga e lui veniva sbattuto fuori dalla sua visione. Più volte aveva
tentato di resistere ma mai vi era riuscito.
Il Parco degli Dei era immerso nella nebbia quella
mattina, quando Bran, accompagnato da Samwell Tarly aveva raggiunto l’Albero
Cuore.
“Ho pronunciato il mio giuramento nei Guardiani
della Notte davanti ad un Albero Diga, eppure ogni volta che ne vedo uno non
posso che provare paura e soggezione davanti ai volti scolpiti in essi” disse
il giovane Tarly distogliendo lo sguardo.
“Non aver paura. Gli antichi Dei vivono in essi,
Sam. E da migliaia di anni proteggono il nord e le sue genti” lo rassicurò.
“Ti lascio solo, mio Lord. Lady Sansa ha chiesto di
vedermi”
“Ma certo Sam” lo salutò con un cenno del capo.
Spinse la sedia con le ruote fino alle radici
sporgenti dell’Albero Diga pluricentenario e posò una mano sul volto scolpito
nel legno.
Le porte di una fortezza si aprirono davanti a lui. La
Fortezza Rossa di Approdo del Re. Camminò a lungo per i giardini della fortezza.
Uomini d’arme si allenavano nel cortile, ma Brandon non fece molto caso a loro.
Continuò la sua esplorazione fino a raggiungere la biblioteca della Fortezza. Un
giovane sedeva ad uno dei tavoli di legno istoriati. Aveva i capelli
biondo-argento e gli occhi color ametista tipici dei Targaryen, e indossava una
tunica interamente nera con l’emblema del Drago a Tre Teste cremisi cucito
sulla schiena. Il principe Rhaegar capì osservandolo meglio. Girò intorno al
tavolo per scorgere il libro che il giovane stava sfogliando, ma esattamente in
quell’istante il principe ereditario richiuse il tomo con un gesto secco e si
affrettò all’uscita. Brandon lo seguì fino al cortile degli addestramenti e lo
sentì parlare con il maestro d’armi.
“Ser Willem, ho bisogno di un’armatura
e una spada. Sembra che io debba diventare un guerriero e vorrei fossi tu ad
insegnarmi”
“Sarà un onore per me, mio principe”
il cavaliere si inchinò di fronte a lui “Credo che allenarti con Arthur possa
aiutare entrambi ad imparare a duellare”
La scena mutò. Rhaegar aveva qualche
anno in più e stava scrivendo di suo pugno una lettera. Parlava di draghi, di
profezie e di un canto. Il canto del ghiaccio e del fuoco. Sul tavolo lì di
fianco altre missive erano sparse alla rinfusa. Bran diede un occhiata veloce e
individuò il corrispondente del principe, il suo prozio Aemon, maestro dei
Guardiani della Notte.
Il sogno mutò ancora. Il principe
Rhaegar, ormai uomo, stringeva tra le braccia il suo primogenito maschio,
seduto sul letto di fianco a quella che era sicuramente la principessa Elia di
Dorne, sua moglie.
“Aegon. Quale miglior nome per un Re”
sorrise il principe.
“Comporrai una canzone per lui” chiese
la donna.
“Ha già una canzone” rispose “Lui è il
principe che fu promesso, e suo è il canto del Ghiaccio e del Fuoco”.
Ma Bran sapeva come la guerra era
stata crudele con quel neonato. Ucciso da Gregor Clegane, la Montagna, quando
aveva solo pochi mesi. E dal nulla ebbe un’intuizione. Il principe che venne
promesso non era il piccolo sventurato in braccio al principe, ma il suo
fratello minore, nato poco tempo dopo nelle lande Dorniane.
Suo è il canto del Ghiaccio e del Fuoco.
Ritornò in se per qualche istante sbalordito dalla
scoperta che aveva appena fatto. Avrebbe dovuto parlarne con Samwell Tarly,
magari lui conosceva il canto di cui il principe Rhaegar parlava nella sua
visione. Più tardi l’avrebbe senz’altro fatto, ma ora gli Antichi Dei
richiamavano ancora la sua attenzione. E le sue visioni lo riportarono di nuovo
nella Fortezza Rossa di Approdo del Re.
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