Il patto, quel patto stretto in tempo lontano, nato dal sangue e proclamato nell’oscurità del dolore, nella tenebrosa camera d’isolamento che altro non è che la propria mente.
Ho infranto senza onore la parola donata con tanta sofferenza, spezzando decine di fili che reggevano innocenti vite pure, rendendo fragili anche i più possenti guerrieri, in un bagno di sangue corpi putrescenti si contorcono nel dolore, di fronte ai miei occhi, per causa mia. Sono un idiota.
Eppure eccomi di fronte al mondo da me creato, alla terra da me distrutta, guardando, osservando dall’alto in basso il malsano essere che mi ha spinto a ciò.
E lì, dinanzi al mio sguardo, la causa di tutto, la scura ombra che di spalle a me cammina lungo la sua strada di totale distruzione; scatto, corro e lo raggiungo, abbraccio disperatamente il flebile fanciullo, l’incarnazione fisica di tutti i miei incubi e frutto del caos che ora imperversa nel mondo che mi circonda. Lo stringo a me, senza neppure ricevere un suo sguardo, rimane immobile, eretto sulle sue gambe stabili, lo sguardo degli occhi assenti perso in un punto a me ignoto, mentre, inginocchiato, non accenno a lasciarlo. E nel totale silenzio, nessuno tentenna, nessuno parla, nessuno si muove, in questo surreale momento di totale inattività, quasi come se il mondo si fosse placato, commemorando in eterno questo abbraccio glaciale.
Il patto, quel patto stretto in tempo lontano, durante il momento passato stringendo il demoniaco pargolo non feci altro che pensare a quando io abbia infranto quella fottuta promessa, condannando me e chiunque in questa terra dannata.
E mentre lo stringevo, senza neppure che me ne accorgessi, il mondo attorno a me traslò, mutò, riportando alla luce quello che intuì essere il mio passato; ma era strano, era... diverso da come lo ricordavo. L’infanzia che io ricordavo con tanta gioia, luce e colore, appariva come smorzato di tutta la bellezza delle mie memorie, grigia, vuota e monotona, ma come la linea del cardiogramma di qualcuno, come risorto dalla morte, un picco, un evento così improvviso da sconvolgere addirittura me, in quanto protagonista. Mio padre, colui che mia madre ha sempre dipinto come uomo di buon cuore, sempre generoso e solare, caduto giovane, prima della mia nascita per cause naturali, appariva lì, di fronte ai miei occhi, in una livida notte di tempesta, ubriaco fradicio, con ancora la bottiglia in mano, il labbro inferiore sanguinante come se avesse appena lottato, e con un maligno sorriso malizioso mentre guardava mia madre, che nel frattempo mi stringeva forte.
Lui mi sbatté in camera e la trascinò con sé. Da questo punto andammo lontano dalla mia visuale e vedemmo come lui la prese con la forza, tentando in tutti i modi di farla sua, e le urla, quelle urla strazianti che solo ad udirle mi riportarono alla luce tutti i ricordi di quell’infanzia di merda.
Ed il tempo passò, di anno in anno in solo pochi istanti, come se il demoniaco essere che stringevo tra le braccia cercasse di mostrare solo gli eventi peggiori, i più traumatici, veri o falsi che fossero, non potevo saperlo.
Ancora una volta i ricordi proiettati apparirono differenti da quelli nella mia mente; l’adolescenza, i primi amori e lei, la ragazza che io abbia amato più di chiunque altro e che persi nel peggiore dei modi.
Ricordavo benissimo la scena che mi stava venendo mostrata, il tetto di quel palazzo in pieno centro città, l’ultimo bacio che mi diede prima che io… la buttassi giù. Ma aspetta, di fronte al mio sguardo di parò un’altra scena: lei in lacrime dopo l’appassionato bacio donatomi, partì di corsa e si gettò dal cornicione.
Non potei crederci, rimasi in silenzio con gli occhi sgranati fino a che l’immagine di lei, schiantata sul catrame e dalla figura irriconoscibile non mi scatenò un pesante conato di vomito, che trattenni aggrappandomi a colui che mi stava distruggendo con questi strazianti aneddoti dimenticati e rimossi urlando “Tu menti!”, piangendo tutte le lacrime che avevo in corpo.
Il fanciullo immobile non distolse neppure per un attimo lo sguardo inesistente dalle immagini da lui create, quasi come se ci provasse un malato gusto morboso nel vedere ancora e ancora i ricordi repressi e cancellati di una persona devastata.
Le immagini avanzarono non appena le riguardai, con gli occhi rossi dal pianto ed un forte tremore in corpo; nei ricordi proiettati avevo finalmente raggiunto la mia attuale età di trentacinque anni, ma dovevo essermi perso qualche frammento, la mia copia era in sala da pranzo, camminando a vuoto per le stanze con lo sguardo assente, la casa era buia e spenta.
Di colpo quel doppio di me si sedette a terra, in un angolo della camera da letto e tirò su la manica destra della leggera maglietta nera, mostrando decine di tagli, di cui alcuni ancora sanguinanti.
Distolsi ancora una volta lo sguardo da quella fasulla copia di me, sapevo che quello non poteva essere reale, ero certo di non aver mai fatto stronzate del genere, così scoprì il braccio per dimostrarlo, ma non appena lo svelai i miei occhi divennero vitrei: così tante ferite sanguinanti mi si stagliarono dinanzi che non riuscì neppure a farmi un’idea di quante fossero, e per un attimo mi sentì svenire. Chiusi gli occhi e strinsi ancora di più il candido figlio del male, quasi per consolazione, come se lui avesse potuto calmare il mio animo affranto.
Guardai per un’ultima volta di fronte a me, dilaniato dagli strazi dei terrori ed arreso al timore del peggio.
La mia controparte stava osservando con sguardo assente fuori dalla finestra della camera, fissava la luna e godeva della serena compagnia delle stelle, una lacrima solcò il suo viso mentre, una gamba alla volta, salì sul cornicione.
In quel momento sentì il cuore in gola, come uno spettatore durante l’apice del climax di un fil thriller.
Si gettò, come ormai mi aspettavo, eppure non volevo crederci; vidi il mio corpo infranto al suolo, ormai sfregiato indistinguibilmente in una putrescente pozza scarlatta.
Il patto, quel patto stretto in tempo lontano, nato dal sangue della mia amata e proclamato nell’oscurità del dolore di una mente malata e corrotta da ricordi mutati.
“Prometti che sarai forte, che vivrai anche per me, che sarai felice” mi disse prima di gettarsi “Lo prometto” risposi tra le lacrime.
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