Requiem per il Domani
Le lacrime… Erano
calde mentre le scorrevano sulle guance dalla pelle candida e vellutata.
Scendevano dagli occhi, inarrestabili, richiamate dal suo cuore triste che ora
batteva forte per il dolore.
Tutto ciò che
riusciva a sentire erano quelle calde lacrime… anche i suoni del mondo reale
erano stati oscurati dalla tristezza che provava e tutto ciò che le pareva di
poter udire era il canto degli angeli. Angeli che intonavano il Requiem più
bello e più triste per la sua Signora… Con tutta la forza che aveva ancora
stringeva a sé il corpo di Lady Aryana dedicando a lei ogni suo pensiero e ogni
sua preghiera, conscia che presto a lei si sarebbe riunita nel regno oltre la
vita.
Ma la sofferenza,
la tristezza, non era per la morte che incombeva su di lei, era per coloro che
rimanevano in quel mondo; in quel mondo vile e crudele, in quel mondo senza
luce, in quel mondo senza speranza. La sua morte, la sua vita, la vita di una
semplice scudiera, era da sempre stata posta nelle mani degli dei, nelle mani
di Santa Alyssia, la prima donna del regno a brandire una spada per scacciare
gli abomini infernali. Era per seguire il suo esempio, era per difendere gli
innocenti, era per diventare una paladina che aveva lasciato la sua casa per
entrare nell’Ordine della Rosa d’Argento che, secoli prima, Santa Alyssia in
persona aveva creato. Con ogni respiro della sua anima aveva seguito e
professato il verbo dell’Ordine; con ogni fibra del suo corpo, aveva mostrato
la sua devozione addestrandosi e combattendo perché il bene trionfasse. Mai una
volta aveva esitato, mai una volta aveva dubitato…
Ma allora… perché?
Al fianco di Lady
Aryana, la paladina che aveva l’onore di servire, aveva cavalcato in ogni
angolo del regno, alla caccia delle creature delle tenebre. Le avevano stanate
ovunque si trovassero e, con la forza che Santa Alyssia donava alle sue figlie,
avevano scacciato il male senza mai temerlo, senza mai indietreggiare. La sua
fede era pura, ne era certa e Lady Aryana era invero più simile a un angelo che
a una donna… perché? Perché allora ora la stava stringendo tra le braccia,
morente?
La forza e la
devozione di Lady Aryana l’avevano sempre illuminata con il loro esempio…
Accanto a lei sapeva che sarebbe cresciuta giusta e coraggiosa. Era certa che
un giorno le avrebbe potuto cavalcare accanto… no, forse non da pari, ma sapeva
che l’avrebbe guidata fino a renderla pronta a diventare a sua volta una
paladina… E insieme avrebbero continuato la crociata contro le forze del male
fino a che anche l’ultimo dei malvagi non sarebbe stato sconfitto.
Di questo era
sempre stata sicura Aileen.
Con la fede più
incrollabile negli insegnamenti di Santa Alyssia, nulla avrebbe mai potuto
sottrarre loro la vittoria dei giusti… Ed invece ora… Ora sentiva solo le
Lacrime… E il coro degli angeli… E lì, nella caverna che era dimora del
mostruoso Khazam-Dim, il Necromante, lì lei stava cullando il corpo di chi
certo era più giusta di tutti. Stava cullando il corpo di Lady Aryana.
Con quella
tristezza e quel dolore ricordava il sacro fervore che le aveva spinte alla
caccia di quel mostro, senza timore della sconfitta, perché sapevano di essere
nel giusto. Ricordava le parole amorevoli ma severe con cui la sua signora
aveva rimproverato gli abitanti del vicino villaggio quando si erano detti
preoccupati per la loro sorte. Aveva detto loro che essi temevano perché la
loro fede in Santa Alyssia non era abbastanza forte. Quelle parole l’avevano
resa così orgogliosa… Perché dentro di sé non aveva nessun timore e questo
significava che la sua fede era forte, che la sua fede era una torre che non
poteva essere scossa. E persino lei, persino una scudiera come lei, aveva
riservato uno sguardo cupo e accusatorio a quell’avventuriera che aveva osato
addirittura intimare loro di non avventurarsi nella dimora di Khazam-Dim. E ben
di più aveva fatto la sua signora, che con la più aspra reprimenda l’aveva
redarguita su quanto fosse grande il potere di Santa Alyssia, su quanto poco
chi non aveva fede potesse sapere di quanto la fede e il coraggio potessero
contro i malvagi. Aileen aveva addirittura scosso il capo delusa, quando quella
donna aveva persino osato replicare alle parole tanto vere di Lady Aryana.
Aveva cercato di confonderle con quell’avvertimento, dicendo loro che il
maleficio di Khazam-Dim non era terribile per potenza, ma per la sua unicità…
Aveva insinuato che nessun potere sacro o blasfemo avrebbe mai potuto
spezzarlo, perché formulato in modo tale che solo ciò che era sia puro che
impuro sarebbe stato in grado di vincere il sortilegio.
Sciocca… Avrebbe
riso, Aileen, a quelle parole, se non fosse stata troppo rattristata dal vedere
un’anima tanto fuori strada. Avrebbe riso perché persino lei sapeva che non
c’era potere malvagio che potesse sconfiggere una fede vera e pura… E con quella
certezza era partita insieme alla sua signora…
…Ma ora… Ora cosa
era successo? Perché il loro cuore puro non aveva avuto ragione della legione
di non-morti di cui Khazam-Dim si era circondato? Perché la Parola di Santa
Alyssia non li aveva scacciati? Ogni cadavere rianimato era stato abbattuto
dalla spada della paladina non una, ma ben due volte… ma non bastava… essi
continuavano a rialzarsi senza obbedire alla voce sacra della sua maestra che
li bandiva da questo mondo… Fino a che le loro membra blasfeme e immortali non
avevano avuto ragione della mortalità della sua guida… la fatica e l’affanno
avevano infine lasciato uno spazio agli intenti dei malvagi….
E ora Lady Aryana
giaceva tra le sue braccia… E le sue lacrime scorrevano… e gli angeli cantavano
un requiem tristissimo… E le sue lacrime non erano per se stessa, che attendeva
che il passo lento ma inarrestabile dei cadaveri rianimati la raggiungesse per
portarle la medesima sorte. Le sue lacrime erano per questo mondo. Per questo
mondo in cui nemmeno la fede più pura bastava a salvare gli innocenti. Piangeva
perché la loro morte lasciava in eredità agli uomini un mondo in cui il dubbio
più terribile aveva ragione di esistere: il dubbio che il male potesse infine
trionfare… Non importa quanto forte sia la fede… E cosa rimane di un uomo senza
la fede?
Trovando la forza di
intonare un salmo tra i singhiozzi, Aileen si strinse più forte alla sua
maestra, mentre uno dei mostri le giungeva infine alle spalle, pronto a
eseguire la loro condanna. Il canto degli angeli si fece più lontano, lasciando
che fossero i suoi sussurri a pregare Santa Alyssia, poi il cadavere sollevò la
mannaia arrugginita sopra il capo decomposto e Aileen tuffò il viso nei capelli
dorati della sua signora, il suo ultimo desiderio quello di intraprendere
insieme a lei anche quell’ultimo viaggio.
Poi la lama calò.
…Non la accolse,
però, il grido di morte di una giovane scudiera piegata sotto il peso della
sconfitta, echeggiante tra le pareti della caverna maledetta, ma lo schianto dell’arma
stessa che, ridotta in pezzi, andava a conficcarsi nella roccia a poca distanza
dalla ragazza.
Voltando il capo
trepidante, Aileen vide la lama del cadavere infranta dall’impatto con un’altra
spada, fatta di un acciaio scuro, quasi nero sulla cui superficie rune magiche
brillavano ritmicamente di una luce violetta. I suoi occhi risalirono la lama
che si era frapposta al fendente mortale fino a raggiungerne l’elsa, arrivando poi
alla mano guantata di nero che la reggeva e infine risalendo fin oltre la spalla,
ad incrociare il gelido sguardo dell’avventuriera del villaggio, che ora la
fissava da dietro una maschera d’argento.
Gli occhi di Caron
indugiarono solo qualche istante in quel contatto: il tempo sufficiente perché
fosse chiaro quanto trovasse fastidioso dover porre ancora una volta rimedio
allo zelo che non ascolta consigli. Poi anche quel vago interesse scomparve e
la cacciatrice tornò a voltarsi verso le prede che eternamente cacciava.
Piantando il piede
nello sterno dello zombie, Caron lo calciò giù dal dosso roccioso, facendolo
rotolare in mezzo ai suoi simili che si trovavano nell’avvallamento
sottostante. Rianimati dall’aggressione, le creature non-morte spalancarono le
loro bocche putrefatte lanciando sibili e rantoli, preparandosi alla battaglia
battendo le armi sulle antiche corazze ormai rugginose. Senza alcuna
esitazione, Caron scivolò agilmente giù dal pendio, le lame delle spade
rilassate a fianco del corpo, nessun timore o tensione nella sua posa,
perfettamente a suo agio nell’atmosfera che precede l’esplodere della
battaglia. Le Lacrime di Leliel, gemme scarlatte incastonate nel suo collare
borchiato presero a pulsare di luce sanguigna; gemme sacre credute perse da
tempo, si diceva fossero le lacrime cristallizzate piante dall’angelo guardiano
della notte e che nessun abominio non-morto potesse sopportarne la vista.
Invero, il cerchio sacro e cremisi che proiettavano intorno a Caron bruciava le
carni dei mostri poco a poco, spingendoli indietro nel tentativo di sfuggire al
dolore che la loro benedizione portava. Calma al centro del cerchio, la
cacciatrice assaporava le grida e i latrati che gli immondi lanciavano, mentre
come cani dietro una rete si accalcavano sul limite dell’aura sacra proiettata
dalle Lacrime facendo scattare le mascelle per intimidirla. In risposta alla
tensione omicida delle creature che la circondavano, le Catene del Tormento che
portava cominciarono ad animarsi di vita propria, contorcendosi come serpenti e
scuotendo i loro anelli d’argento come se fossero il loro sonaglio.
Nella promessa di
morte che aleggiava nella caverna, Caron rimaneva gelida. E calmo, forse solo
un poco intrigato, la fissava Khazam-Dim al sicuro oltre la sua schiera di
zombie immortali, desideroso di vedere anche la sicurezza di questa avversaria
crollare sotto la potenza della sua maledizione. Una maledizione che rendeva la
fame di sangue dei morti viventi più forte di ogni cosa, anche del timore delle
reliquie sacre. Un poco alla volta gli scatti rabbiosi dei cadaveri li
portavano sempre più vicini alla luce sacra delle Lacrime e sempre meno lo
sfrigolare della loro carne marcia e blasfema contrastava il loro odio per i
vivi… Fino a quando il più carico d’odio di loro, il più maledetto, il più
vicino, fu tanto colmo di forza malvagia che balzò in avanti come un cane che
avesse spezzato la sua catena, sollevando la sua arma, pronto a piombare alle
spalle della Cacciatrice.
Il tempo rallentò
per qualche istante, mentre le Catene vibravano più forte, avvertendo il
pericolo. Caron gustò con ogni fibra del suo corpo il momento in cui suonava il
suo silenzioso gong della battaglia e assaporandolo lasciò che il balzo del
mostro lo portasse tanto vicino che sembrasse impossibile sfuggirgli.
Poi con uno scatto
rapido come un fulmine, il suo gelido inverno esplose con tutto il suo odio e
la sua spada falciò in due l’avversario senza quasi essere visibile.
E allora si
scatenò l’inferno.
Prima ancora che i
brandelli del cadavere toccassero terra, la massa di creature spezzò i propri indugi
e invase il cerchio benedetto subendo la sua luce sacra pur di sfamarsi con le
carni della donna. Caron rivelò a sua volta la brama di distruzione tuffandosi
senza esitazione contro gli assalitori e vorticando le spade intorno al suo
corpo, tagliando e lacerando le carni immonde con una furia che aveva poco
dell’umano. Senza sosta le sue gambe la muovevano con i balzi di una gazzella
in mezzo a una mischia violentissima di cui lei era l’assoluta protagonista.
Invertiti i ruoli, non erano loro ad averla circondata, era lei ad avere il
privilegio di avere quanti bersagli volesse per sfogare la sua rabbia. E la
sfogava senza alcuna pietà, schiantando le sue lame magiche con violenza
inaudita sui corpi marci dei suoi nemici, veloce oltre ogni dire, scivolando
sotto ogni colpo che i cadaveri riuscivano a portare, piombando come una tigre
su tutti quelli che poteva anticipare.
Ancora china ad
accudire la sua signora, Aileen non riusciva a fare altro che osservare la
battaglia da dove si trovava. Ben diverso da quello mistico che l’aveva colta
diverse volte al tempio, ora di lei si era impadronito uno stupore dal sapore
orrendo e inquietante. Guardando la Cacciatrice battersi, guardava le lame
squartare e dilaniare quei mostri trascinate da una furia, da un intento che
era tutto fuorché sacro. Ai suoi occhi, solo le carni putrefatte e le armi
arrugginite distinguevano quelle bestie orrende da quella furia assassina che
spargeva morte e distruzione tra i servitori di Khazam-Dim. Nulla aveva a che
fare quella rivolta furiosa con l’impeccabile fervore che Lady Aryana le aveva
mostrato in battaglia e che lei tanto aspirava a imitare…
Posseduta…
posseduta al pari delle creature che cacciava! Ecco come le sembrava quella
donna. Guidata da una mano demoniaca. Perché era certo investita da un potere
più grande degli uomini, un potere sovraumano, appunto… Ma mai, mai e poi mai
quello sbarramento di violenti colpi che fracassavano le ossa non-morte poteva
essere stato ispirato dalle forze del Paradiso! E quindi dall’Inferno, solo da
lì poteva venire la furia con cui si stava battendo quella donna. Sotto a
quella maschera, ne era certa, brillava un sorriso demoniaco che gustava la
violenza che stava spargendo!
Ma lì, sotto
quella maschera, i denti di Caron erano sì serrati, ma non in un sorriso. Si
stringevano mentre la Cacciatrice sentiva salire dentro di sé la furia e la
rabbia. Si stringevano mentre le spade spaccavano le ossa dei morti viventi e
suonavano l’unica base al cui ritmo la Traghettatrice poteva intonare la sua
Preghiera. L’unica preghiera che conoscesse. L’unica preghiera che avesse mai
pronunciato. La preghiera che nessun dio ascoltava. Perché a nessun dio era
rivolta… Anche se Caron pregava per una benedizione. Mentre sprofondava le lame
nelle carni, mentre staccava gli arti dei cadaveri, mentre liberava la sua
rabbia, Caron chiedeva la sua benedizione a ciò a cui si era votata. Alla sua
Causa. A lei chiedeva di essere benedetta con il dono della Furia. A lei
chiedeva quella Furia che aveva ereditato nella sua Notte del Giudizio. Quella
Furia che le avrebbe permesso di servirla in quella e in ogni Notte del
Giudizio che sarebbe venuta. Quella Furia che le avrebbe permesso di spazzare
dalla faccia della terra fino all’ultima di quelle abominevoli creature.
Trafiggendoli e
mutilandoli, Caron trascinava i non-morti nel suo vortice, bramando ad ogni
passo di far loro sentire cosa il loro gelido odio, cosa il gelido odio di suo
padre, avesse germogliato dentro di lei. Ogni cadavere abbattuto doveva cadere
sentendolo! Ogni colpo mortale doveva gridarglielo! Dovevano sentire il Dolore.
Quel dolore infinito che le aveva lacerato l’anima. Quel Dolore affogato
nell’oscurità in cui lei dimorava ogni respiro della sua maledetta vita. E che
gridava per essere udito. E lo avrebbero udito. Non con un pianto disperato.
Non con un canto triste. Ma con le carni smembrate e le ossa schiantate.
Avrebbero sentito quanto l’avevano resa forte! Con ogni colpo e ogni fendente
avrebbero sentito quanto l’avessero resa Libera.
Sì, prigioniera
del suo odio. Sì, prigioniera della sua colpa. Ma libera. Più libera di ogni
uomo. Più forte di ogni uomo. Perché era libera dalla paura. Odiava i non-morti
quanto odiava se stessa. Desiderava che loro morissero quanto desiderava
uccidere se stessa. Per questo non temeva la morte. Per questo non conosceva il
Domani. In ciascuna notte dannata in cui aveva mietuto le sue vittime, non
aveva mai desiderato per un solo istante di vedere l’alba del giorno seguente.
Mai si era battuta per conquistare il Domani. Ogni suo colpo nasceva solo per
distruggerli. Per questo il Traghettatore era invincibile. Perché non conosceva
paura. Perché non aveva Domani.
Aileen continuava
a osservare quella che non poteva che chiamare carneficina. E persino lei
sentiva quella Libertà senza Domani che pervadeva ogni colpo della Cacciatrice.
Era quella, non l’acciaio, non le rune, non la forza bruta che squartava una
creatura dopo l’altra, lanciando quella cupa guerriera più veloce di ogni colpo
avversario, rendendola persino più resistente e determinata di quanto la magia
nera avesse reso i cadaveri. Solo ora cominciava a capire, Aileen. Solo ora
cominciava a temere davvero quella Furia. Non perché pensava l’avrebbe dovuta
subire. Sapeva a chi era rivolta. Non perché temeva la sua origine demoniaca.
Perché era certa che la sua fede l’avrebbe protetta da un simile maleficio. Ma
perché guardandola cominciava a temere che davvero non ci fosse nulla di infernale
nella sua Rabbia. Perché cominciava a pensare che, per quanto l’avesse dovuta
cercare nell’angolo più remoto e terrificante, la Cacciatrice avesse trovato
quella forza nel proprio animo, che fosse una forza che giaceva nel cuore di
tutti. Persino nel suo. Persino lei avrebbe potuto diventare tanto
terrificante. Anche se era certa che per farlo avrebbe perduto la sua anima.
E Caron la sua
anima la sentiva scivolare via ogni giorno, ogni notte. Ogni giorno e ogni
notte da quando aveva capito cosa aveva fatto suo padre di lei. Ogni giorno e
ogni notte da quando aveva ucciso Amabel. Ma non in quelle notti. Non mentre cancellava
chi odiava la vita. Non mentre portava la distruzione ai distruttori. Non
mentre era Libera dal Domani. Dalla Notte del Giudizio in cui aveva ucciso suo
padre, aveva scoperto la cura per trattenere a sé l’anima macchiata che tanto
odiava. Aveva deciso di fare raccolto delle lacrime che le vittime di quei
mostri piangevano. E di riportarle ai carnefici come aveva riportato quelle di
Amabel a suo padre. Servite dalle sue spade… e dal suo Odio! E come contorno
bramava udire la sofferenza di chi amava far soffrire. Un cibo oscuro con cui
banchettava con ingordigia e ferocia anche in quel momento, amputando le gambe
scheletriche di un mostro per poi infierire senza alcuna pietà sul torso
crollato ai suoi piedi.
Ora sì, ora sì che
i suoi occhi brillavano crudeli assaporando quel gusto. Ora sì che Caron rideva
sotto la maschera Rideva felice e folle del piacere di far conoscere dolore e
sofferenza a coloro che ne avevano riversati in abbondanza sugli innocenti
senza alcun rimorso. Era il gusto della Vendetta. La Vendetta che è più dolce
più giunge inaspettata alla soglia del carnefice. La Vendetta che lei elargiva
con la stessa crudeltà con cui i suoi bersagli succhiavano il sangue dalle loro
vittime…
E lei non provava
alcuna vergogna per questo. Ne aveva uccisi in passato e ne avrebbe uccisi
ancora, fino al giorno in cui li avrebbe uccisi tutti! Passandoli a fil di
spada per eseguire la condanna a morte che obbediva alla legge più giusta. Non
quella di un dio, non quella emessa da un re, ma quella di una Giustizia che
dimorava dentro di lei e che veniva dal ricordo di Amabel. E mentre colpiva
ferocemente ogni bersaglio possibile per tentare di scordare il peccato che
aveva commesso, Caron vide i cadaveri stringersi intorno a lei per porre
termine alla sua furia… Ma per lei era solo un dono, l’occasione che desiderava
per lasciarsi esplodere nella Rabbia più rovente. La Furia il cui calore le
aveva donato le visioni più chiare, le Verità più assolute. E mentre balzava in
alto, in un salto avvitato, distese le braccia e le spade, trasformandosi in un
tempesta di morte, in un vortice di distruzione per falciare tutto ciò che la
circondava… e lì vide con chiarezza. Mentre turbinava in volo schiantando i
teschi marci degli avversari, da quel punto di vantaggio poteva vedere con
chiarezza il campo di battaglia, quello presente e quello passato e persino
quello futuro e su di esso poteva vedere con chiarezza tutto ciò che aveva
lasciato…
…Cadaveri.
Cadaveri a perdita d’occhio. A perdita d’occhio.
Una infinita distesa
la circondava mentre ancora in volo falciava i morti viventi aggiungendo i loro
corpi alla montagna sulla quale stava combattendo. Il tempo si faceva ancora
una volta lento, lentissimo, lasciando che la sua acrobazia si protraesse
all’infinito per permetterle di osservare in ogni direzione i cadaveri… A
perdita d’occhio…
Quella, quella era
la sua vita. Quel campo di Cadaveri che si stendeva fin dove l’occhio potesse
vedere era la sua vita. Ogni suo avversario giaceva in frantumi su quella
montagna di cadaveri, sconfitto dal suo odio per quelle creature e da quello
per se stessa… e tra i volti marci o putrefatti di quelle che erano state le
sue prede riposavano anche i cadaveri che non erano stati trafitti da una
spada, che erano stati sacrificati, non sconfitti. Erano i suoi cadaveri. Erano
i cadaveri dei suoi sorrisi, della sua felicità, dei suoi pensieri ameni.
Immolati sulla sua pira funebre per poter conquistare quella forza
inarrestabile. A perdita d’occhio giacevano a fianco dei cadaveri dei suoi momenti
di riposo, uccisi e negati per essere sacrificati a una notte di caccia in più o
un addestramento per diventare più forte. A perdita d’occhio vedeva cumularsi i
cadaveri di ogni possibile felicità che aveva ucciso per non distrarsi dalla
battaglia… che aveva portato altri cadaveri a quella pira… A perdita d’occhio…
A perdita d’occhio… C’erano solo cadaveri… Il suo cadavere, quello della sua
felicità, del suo riposo, della sua vanità… dei suoi sogni, del suo Domani… Di
Amabel.
Nulla! Nulla
doveva rimanere in piedi! Tutto doveva frantumarsi sotto le sue lame ed il suo
odio per poter scontare quello che aveva fatto!
Tutto! Tutto
avrebbe sacrificato a quella sua causa per poter perseguire quella Vendetta!
I suoi piedi
toccarono di nuovo terra, il tempo prese di nuovo a scorrere frenetico, ma la
sua furia non si placò. A perdita d’occhio! A perdita d’occhio avrebbe
continuato ad ammassare i cadaveri di chi aveva fatto male ad Amabel. I
cadaveri dei mostri che odiano la vita. I suoi che aveva permesso che la uccidessero!
Fino all’ultimo, fino alla fine, fino alla morte.
Aileen scrutava
con sempre più timore il massacro che la cacciatrice stava spargendo tra i
seguaci di Khazam-Dim, chiedendosi se esistesse un senso in tutta quella Furia,
o se bastasse a se stessa. La Cacciatrice stessa le aveva infatti avvertite di
quanto poco la semplice forza bruta potesse contro il sortilegio del
necromante. Anche Lady Aryana aveva avuto ragione dei cadaveri, ma più
pervicaci della sua determinazione, essi si erano riassemblati e rialzati. Ma
Caron sembrava ignorare questo suo stesso avvertimento, continuando a fissare
quei cadaveri a perdita d’occhio e a scaricare su di essi una Rabbia davvero
spaventosa.
Poi, quando anche
l’ultimo cranio venne frantumato e l’ultimo cadavere cadde ai suoi piedi, la
Cacciatrice gli voltò le spalle ancor prima che toccasse terra e rinfoderò le
spade sulla sua schiena. Una quiete ben diversa era ora calata nella grotta,
mentre Caron si incamminava con calma tra le membra sparse sul greve fondo della
caverna. La scudiera non riusciva a comprendere: già i corpi si stavano
rimettendo assieme, la Furia della Cacciatrice non più efficace della Fede
della sua signora nel consegnarli all’eterno riposo e già il ghigno del
necromante pareva allargarsi irradiando di una luce ancor più malevola il suo
antro.
Ma Caron non si
curava di tutto ciò. Scaricato il suo selvaggio desiderio di Vendetta, ora
lasciava che riaffiorasse il suo gelido intento. Era venuta per uccidere
Khazam-Dim… E così sarebbe stato. Nell’oscurità della caverna brillava ancora
una luce, una luce sacra e pura che contrastava con le sue nere vesti e con il
suo cupo incedere. Era la lama sacra della paladina. Conficcata nel terreno lì
dove le forze le erano venute meno, ancora svettava intoccata, silenzioso
requiem alla sua padrona ancora sulla soglia della morte.
Il suo acciaio
inciso con il sacro verbo di Santa Alyssia, la spada sacra brillava di una luce
propria, una luce candida e pura. Sulla sua superficie i simboli intonavano un
canto sublime che celebrava la giustizia e l’onore che avevano condotto in
battaglia la paladina. Una voce velata solo un poco dalla tristezza di aver
veduto un simile baluardo del bene cadere per mano dei malvagi. In netto
contrasto con ciò che si era appena scatenato in quella caverna, la lama
cantava di un furore sacro fatto di disciplina e severità, di un sacro compito
da portare a termine con dignità, rettitudine e… penitenza.
Aileen conosceva
bene quel canto e per questo era quasi disgustata nel vedere quella blasfema
Cacciatrice avvicinarsi a una “Via” che certo non poteva comprendere. Per
qualche istante si chiese se avrebbe davvero tentato di impugnarla… Sapeva bene
che solo un cuore davvero puro poteva reggerne il peso e che il suo tocco
avrebbe bruciato le carni degli empi. E per qualche istante Caron rimase ferma
in piedi a fissare la lama, ignorando completamente i cadaveri che risorgevano
intorno a lei come in profonda contemplazione, forse ascoltando il Requiem
della spada. I morti viventi la circondarono nuovamente, tornati lenti e goffi
mentre la magia nera ricostruiva i loro corpi deformi. Solo allora, solo quando
fu di nuovo attorniata dalle sue prede, la Cacciatrice sembrò tornare nello
stesso mondo di Aileen… E lo fece sorprendendo la giovane scudiera oltre ogni
dire.
Con uno scatto
rapido e preciso, senza alcuna esitazione, impugnò la spada e la estrasse dal
terreno. E la lama la seguì, senza esitazione, tornando a intonare il suo sacro
e puro inno di battaglia per abbattere i mostri non-morti.
Ora era tutto
diverso… Se, guardando la Cacciatrice combattere, era rimasta inquietata nello
scoprire quanto potesse essere colmo di Rabbia un animo umano, ora il suo
stupore era infinitamente più sconfinato. Quella donna, quella che pensava
fosse la furia omicida fatta carne, ora danzava tra quegli orrori con la più
perfetta grazia. I suoi colpi erano severi, mortali, ma massimamente perfetti,
controllati, senza alcuna taccia di abbandono, di odio. Ora somigliava
terribilmente a Lady Aryana… Ora si scopriva a dimenticare quanto l’avesse
disprezzata solo pochi istanti prima: ora si scopriva ad ammirarla.
Si era sbagliata:
se avesse voluto, quella Cacciatrice avrebbe potuto essere una perfetta
paladina…
…Ma Caron non lo
voleva.
La mano sinistra
corse veloce dietro la schiena, all’impugnatura della spada maledetta Moreanar,
la Fiamma Nera, e la estrasse rapida e feroce. L’impeccabile stile che aveva
guidato la lama sacra si sporcò immediatamente, ma non scomparve. Caron ritrovò
subito la Furia che aveva nascosto per qualche istante e quella si fuse con il
più puro e cristallino desiderio di giustizia, dando vita a un canto di lame in
cui la voce perfetta e soave della lama sacra intonava il suo salmo al fianco
della voce furiosa della spada nera.
Lei non era un angelo.
Lei non era un demone. Lei era un essere umano. Lei non obbediva a un dio. Lei
non serviva un diavolo. Lei era un essere umano. La creatura più debole, la
creatura più forte. Nata, costruita lì sul limite tra il bene e il male, libera
di scegliere tra di essi. Libera di soffrire per essi. E poiché era davvero
umana, non aveva paura di soffrire per essi.
Una vita di
Vendetta. Era quella che Caron scontava con ogni fendente che staccava gli
arti, con ogni tecnica che sbranava le carni. Ma la sua non era una Vendetta
contro quei mostri. Caron voleva vendicarsi di se stessa, della sua debolezza,
dei suoi errori, dei suoi peccati. Una simile vita di Vendetta è una sfida di
resistenza. Non vi è modo di vincerla, solo di combattere giorno per giorno,
istante per istante i propri errori e le proprie debolezze. Si può solo
perderla… oppure resistere. E mentre tornava a volteggiare tra i cadaveri
rinnovava a se stessa la promessa che aveva fatto al ricordo di Amabel. Ogni
suo respiro l’avrebbe dedicato a sconfiggere se stessa, avrebbe lasciato questa
battaglia solo con la morte. Avrebbe dimenticato il riposo, avrebbe cancellato
ogni distrazione per sconfiggere la sua debolezza. Così sarebbe stata forte.
Così avrebbe potuto proteggerla. Così avrebbe potuto proteggere Amabel che ora
giaceva negli occhi e nelle lacrime di mille e più innocenti, di mille e più
sconosciuti. Come lo scudo che il guerriero non morto opponeva al suo
sbarramento di colpi, Caron avrebbe risposto a ogni ostacolo, ad ogni
tentazione, martellando con furia e determinazione fino a quando il muro non
fosse caduto, fino a che non avesse schiacciato il suo avversario e la sua
debolezza. Senza riposo, senza esitazione, senza Domani.
Questa era la sua
vita, questa era la vita di un’anima nera come la sua. Una vita di Vendetta è
una vita di sofferenza, ma Caron non aveva paura di soffrire. Perché gli esseri
umani hanno un patto con il Dolore. Scambiano con esso la Forza. La forza di
raggiungere ciò che desiderano. E trafiggerli, distruggerli, cancellarli,
questo desiderava Caron. Colpendo in ogni direzione puniva quelle creature
immonde. Dirigendo il canto delle sue spade le mischiava e le avvolgeva.
Immergendosi in quel mare di cadaveri, Caron lasciava che il loro aspetto
mostruoso innescasse dentro di lei i ricordi più tristi, le rimembrasse le sue
colpe più orribili. Al loro ritmo danzava. Al loro ritmo schiantava gli
avversari. Un fantasma nero in mezzo alle orde malvagie, Caron dispensava furia
senza risparmiarsi, crescendo come un’ondata di piena ad ogni cadavere che
decapitava, ad ogni colpo che affondava. Il rumore delle sue lame era quello di
una tempesta. Le due lame erano i suoi tuoni che rimbombavano in un continuo
eco, ciascuna tentando di coprire l’altra per furia e forza.
Così. Così! Sempre
più forte! Sempre più veloce! Più veloce verso il suo Campo di Battaglia.
Nascosto nel cuore di ogni duello, nel profondo del cuore di ogni uomo: era il
Sacro luogo dove ogni scusa era svelata, dove ogni limite era mostrato. Lì la
sua folle tortura, il suo Dolore diventavano sensati. Lì ogni menzogna era
scoperta.
Aileen ora sedeva
al limite di quel Campo e lo fissava, di nuovo lo stupore mutato in paura.
Perché ora anche lei vedeva il senso. Ora anche a lei pareva di capire. La lama
sacra di Lady Aryana si incrociava con quella maledetta della Cacciatrice e
insieme troncavano senza sosta ogni cadavere alla portata della Cacciatrice e
questa volta le carni si aprivano per liberare nuvole di un fumo verde scuro e
luminescente. Erano le anime dannate che rendevano i corpi immortali. Li stava
uccidendo, stava riuscendo là dove loro avevano fallito. Gli spiriti ululanti
si dissolvevano in spettacoli pirotecnici mentre Aileen tremava. Perché ora
anche lei lo vedeva. Non era la strategia che aveva dato la vittoria alla
Cacciatrice. Non erano le due spade. Quelle erano state una chiave appropriata.
Ma lei ora sapeva che quella donna avrebbe trovato comunque un modo. Perché
avrebbe vinto a qualunque costo. Ora aveva davvero paura, Aileen. Perché vedeva
il senso in quella follia. La Furia che prima le era sembrata oscena, la follia
che le era sembrata padrona di quella Cacciatrice maledetta, ora erano svelate.
Ora erano la sua forza. Ora erano rivelate come il prezzo, come il sacrificio
offerto dalla donna per poter sconfiggere il male. Un sacrificio che lei, nel
suo zelo, non aveva mai osato fare in onore di Santa Alyssia.
Caron inseguiva i
suoi bersagli e la sua brama senza alcuna sosta lì, giù nella grotta.
Khazam-Dim per la prima volta non sorrideva più. Con orrore pari a quello di
Aileen vedeva ciò che vedeva anche la scudiera: la vittoria era nel gelido e
crudele pugno della Cacciatrice. Il maleficio che credeva perfetto era
infranto! Colto da un febbricitante terrore fece appello alle formule più crude
e violente che conosceva. Con la voce dell’oltretomba chiamò gli spiriti degli
arsi vivi perché gli donassero le loro fiamme maledette e le riversò nella
caverna urlando il suo comando di morte.
Caron accolse il
nuovo strumento nella sua cacofonia e le due spade non fecero che suonare più
forte. La lama maledetta che impugnava poteva tagliare persino la forza magica
degli stregoni e così avrebbe fatto anche con le fiamme dell’inferno.
Rispondendo con riflessi inconcepibilmente rapidi, la Traghettatrice
distribuiva i suoi fendenti tra i cadaveri che la attorniavano e le sfere
infuocate dello stregone, imprigionandole nella lama per poi scatenarle intorno
a sé, usandole per accelerare sempre più la sua Furia e rendendo sempre più
quel luogo simile a un girone infernale, di cui lei era l’assoluta dominatrice.
Perduta in quel
concerto di morte che stava suonando con sempre più potenza, Caron assaporava
la certezza che il Combattimento le portava ogni notte. La certezza che gli
esseri umani possono essere più grandi degli angeli e dei demoni. Gli uomini
che inseguono il sogno di essere demoni per non soffrire, non conosceranno mai
la forza di non temere la morte. I paladini che inseguono il sogno di essere
degli angeli per essere puri, sogneranno la loro purezza e non la scambieranno
per il trionfo della Giustizia.
Quella! Quella
voleva afferrare Caron! Abbracciata al suo sogno di Vendetta, macchiata dal suo
Rimorso, lei non la disprezzava! E la inseguiva ogni notte e ogni giorno dietro
al volto odioso di quelle creature, dietro al volto riflesso dello stregone
non-morto che era stato suo padre.
Quella! Quella
avrebbe portato Caron! Cercando la forza per farlo in ogni angolo del suo
animo, senza paura, senza illusioni, senza riposo, senza Domani!
Con la Furia che è
solo degli esseri umani che sanno soffrire avrebbe trovato una forza tanto
grande da porre fine alla follia di quelle creature oscure! E in vece di
un’aura sacra e pura si sarebbe avvolta nel Canto di Rabbia dei Giusti tanto
forte che tutti l’avrebbero dovuto udire! L’avrebbero urlato i pianti degli
innocenti che chiedevano aiuto e i latrati dei malvagi che lei avrebbe
giustiziato… E si sarebbe acquietato solo quando chi portava odio e terrore e
miseria non fosse stato ucciso e smembrato e messo a tacere!
Oramai raggiunto
il punto più sacro della sua Preghiera, Caron si volse verso gli ultimi orrori
rimasti e, dietro di loro, il necromante che avrebbe concluso la Vendetta di
quella sua notte. Travolta lei stessa dalla sua Furia, si gettò all’assalto con
un potentissimo scatto; volando letteralmente sul campo di battaglia scivolò
letale e precisa tra tutti gli artigli e le armi arrugginite falciando gli
avversati al suo passaggio fino a puntare direttamente verso lo stregone. Il
fuoco maledetto la investì, ma non fu sufficiente a fermarla.
Le fiamme si
aprirono e ancora una volta il tempo si fece lento lasciando che lo sguardo
terrorizzato e allibito di Khazam-Dim trovasse quello furioso e gelido di Caron
che, ruotando su se stessa ed emergendo dall’esplosione, gli piombava addosso
per staccargli la testa. In quegli occhi c’era tutta la forza che lui non aveva
avuto il coraggio di cercare. C’era tutta la forza della tortura che la
Cacciatrice si era prescelta perché la rendesse invincibile. C’era tutta la
potenza delle uniche due cose che la Cacciatrice davvero possedesse: la Libertà
di chi non ha Domani e una Missione da compiere fino alla fine, fino alla Notte
del Giudizio.
Le fiamme si
aprirono e ancora una volta il tempo si fece lento lasciando che lo sguardo perso
di Aileen trovasse quello severo di Caron un attimo prima che il volteggio
fosse completo, un attimo prima che decapitasse il necromante. La scudiera non
potè ignorarlo, perché vide chiaramente che, in quell’ultimo colpo, la
Cacciatrice aveva trovato modo di dedicarle un pensiero, un avvertimento. Nel
vedere quegli occhi, Aileen fu per sempre certa che il Traghettatore del Regno
dei Morti vi avesse lasciato un messaggio.
Un messaggio che
le diceva “Osserva il sentiero che conduce alla vera forza degli uomini, quella
che non può essere piegata. Osserva i passi, ma non seguirli mai, se hai paura
di vivere senza Domani… Torna a temprare la tua anima per diventare un angelo,
se hai paura di diventare un essere umano…”
“A Freedom and a
Quest for Life /
Until the End, the
Judgment Night”
Devils Never Cry-
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