Se una notte d'inverno due viaggiatori
Con l’estate, il sole e il
caldo, torno a trovarvi con la minacciata long, che si svolge
nell’universo alternativo Soulmate. Il rating verde forse
è dovuto alle vacanze, che fanno bene al mio umore
cosicché non maltratto troppo i nostri amati personaggi. Oppure
l’ambientazione riesce a fare emergere il mio lato romantico
sopprimendo quello perfido. Il racconto è completamente scritto.
È composto da 12 capitoli, abbastanza corti, che verranno
pubblicati giornalmente da oggi (lunedì 25 giugno) a
venerdì 6 luglio.
La trama è vagamente
ispirata al film del 1950 “Non voglio perderti” di Mitchell
Leisen con Barbara Stanwyck e John Lund.
I personaggi non mi appartengono.
Questo racconto non ha scopo di lucro. Se dovesse ricordarne altri, mi
dispiacerebbe moltissimo e mi scuso in anticipo, ma sarebbe
assolutamente involontario.
Buona lettura.
L’inverno era particolarmente
mite. Le giornate inglesi erano fredde, ma la neve non aveva ancora
bussato alle porte dell’isola, lasciando spazio al sole e alla
nebbia. Da qualche giorno era iniziato dicembre, che avrebbe
traghettato l’umanità dal vecchio al nuovo anno.
L’allegria e la frenesia erano le compagne inseparabili
dell’ultimo mese dell’anno. Le feste imminenti e la
speranza che l’anno nuovo portasse novità e cambiamenti
costringevano le persone a mostrare un ottimo umore, che a volte era
solo di facciata. Le tradizioni imposte dalla società, legate al
periodo festivo e imprescindibili per la buona riuscita dei
festeggiamenti, imponevano di aggiungere altre attività a quelle
già pressanti della normale vita quotidiana. L’atmosfera
allegra permeava anche il vagone del treno, che stava correndo verso
Londra, avvolto dalle ombre della sera.
La carrozza era piena,
perché il weekend soleggiato aveva invitato chi abitava nelle
località limitrofe a visitare la capitale, sia per ammirarne le
sfavillanti decorazioni sia per invaderne i numerosi e variopinti
negozi, in cerca dei regali perfetti da mettere sotto l’albero di
Natale.
I due giovani uomini occupavano dei
posti alla fine della carrozza. Si assomigliavano moltissimo, tanto da
sembrare quasi fratelli gemelli. Coetanei, erano entrambi non molto
alti, ma ben proporzionati. Entrambi biondi, con lo stesso taglio corto
di capelli. Entrambi con gli occhi azzurri. Avevano persino il medesimo
nome di battesimo. Indossavano abiti sportivi e non molto costosi. Le
loro voci si perdevano nel chiacchiericcio della vettura, che correva
incontro al proprio destino.
Se una notte d’inverno due viaggiatori
I due uomini avevano prestato
servizio nell’esercito insieme ed erano diventati amici. Si erano
conosciuti durante un corso di addestramento speciale, riservato alle
truppe militari di stanza all’estero, in zona di guerra. Si erano
trovati subito in sintonia e molti loro commilitoni avevano scherzato
sul fatto che i due uomini fossero fratelli gemelli separati alla
nascita. Dopo il corso, le loro strade si erano divise perché
erano stati assegnanti a reggimenti diversi, ma si erano presto riunite
in quell’inferno caldo chiamato Afghanistan. I due giovani uomini
erano rimasti gravemente feriti durante la stessa missione,
perciò erano stati congedati dall’esercito con tutti gli
onori.
John Watson e John Rowling stavano
andando a Londra non per le luminarie o per i negozi, ma per iniziare
una nuova vita. John Watson era stato assunto in un piccolo centro
medico come dottore generico, mentre John Rowling si doveva sposare. I
due giovani uomini ridevano e scherzavano, parlando di commilitoni e
parenti.
John Rowling giocherellava
inconsciamente con un anello d’argento, che portava
all’anulare sinistro. Lo sguardo dell’amico cadde su quel
movimento e lo osservò per qualche secondo, prima di inclinare
la testa e sussurrare: “Sembra molto pesante.”
Rowling aggrottò la fronte, confuso dall’affermazione dell’altro: “Di che cosa stai parlando?”
Watson indicò la piccola
fede con un dito: “L’anello di fidanzamento. Lo stai
rigirando fra le dita da quando siamo partiti. È così
fastidioso?”
Rowling appoggiò i gomiti
sui braccioli della poltroncina, intrecciando le dita sullo stomaco e
guardando fuori dal finestrino. Il buio gli impediva di vedere il
paesaggio, che scorreva rapido di fianco al treno, ma gli era difficile
sostenere lo sguardo dell’amico. Non voleva leggervi pietà
o compassione.
“Ti ricordi che io non ho
incontrato la mia anima gemella e che non ho nemmeno un anello di
fidanzamento al dito, vero?” Mormorò Watson comprensivo,
come se avesse letto nella mente dell’altro.
Con un sorriso sbilenco, Rowling
tornò a voltarsi verso l’amico: “In una
società in cui, se non mostri il simbolo del legame con la tua
anima gemella, tutti ti guardano come se fossi un essere inferiore, tu
hai sempre l’aria di chi non saprebbe che cosa farsene.”
“In realtà, ben il 36%
della popolazione mondiale non incontra la propria anima gemella,
durante la propria esistenza. Come vedi, siamo in buona compagnia. Se
il destino ha deciso in questo modo, chi sono io per lamentarmene? La
mia vita è comunque completa. Sono utile alla società
perché ho un lavoro. Ho degli amici. Un giorno potrei incontrare
qualcun altro, che non abbia trovato la propria anima gemella, e
innamorarmi di lui o lei. Non sarebbe la stessa cosa, certo, ma chi
assicura che il legame sia meglio? Ci sono coppie formate da anime
gemelle che vivono l’inferno, mentre altre che, pur non avendo
questo tipo di rapporto, trascorrono un’esistenza in armoniosa
felicità. La perfezione della vita in coppia con l’anima
gemella è solo un mito.”
“Tu avrai anche ragione,
Watson, ma sai che sei uno dei pochi a pensarla così. E tutti ti
direbbero che lo credi solo perché non hai incontrato la tua
dolce metà. Inoltre, tu sei un medico e hai un futuro, malgrado
l’esercito ti abbia congedato. Io ero un artificiere. Dove vuoi
che riesca a trovare un lavoro?”
“Ciò non toglie che si
veda benissimo che vorresti toglierti quel peso dal dito e buttarlo
fuori dal finestrino.”
Rowling sospirò. Non poteva
negarlo. Sapeva quanto fosse evidente che non avrebbe mai voluto
portare quell’anello. E non solo perché era un segno
palese della morte della sorella: “Non posso fare altrimenti. Se
non accettassi di prendere il posto di Kathy, Moran toglierebbe ogni
sostegno economico alla mia famiglia. Se fosse solo per Trent, non
esiterei un solo istante a mandarli tutti al diavolo, ma mia madre e i
gemelli non meritano di soffrire solo perché il mio caro
patrigno è una carogna e un fallito.”
Watson scosse la testa: “Non
capirò mai perché sia stata mantenuta questa usanza
medievale. Nei tempi antichi poteva avere un senso. Costringere un
altro membro della famiglia a sposare il compagno dell’anima
gemella, che era morta, serviva a mantenere le alleanze raggiunte
tramite il primo matrimonio. Ora non serve più a nulla.
Però, solo perché Moran è ricco e potente,
pretende di continuare a presentarsi in pubblico con un’anima
gemella, anche se tua sorella è morta.”
“Lo sai. Ne va del suo
prestigio. Presentarsi in pubblico senza la sua anima gemella sarebbe
uno smacco incalcolabile alla sua immagine. Proprio perché
è così potente, lui non ha solo una anima gemella, ma ben
due. Certo, il legame con la seconda è molto minore, ma lui
rimane pur sempre un essere completo, non qualcuno con un cuore e
un’anima a metà. Lui è perfetto, non è
difettoso come me o te, che vediamo e vedremo per sempre il mondo in
bianco e nero, completamente privo di colori,” la voce di Rowling
era diventata sempre più furiosa, man mano che continuava a
parlare. Il respiro era affannato, come se lottasse contro
l’istinto di mettersi a urlare. Watson allungò una mano,
per coprire quelle di Rowling, che le stringeva in modo convulso:
“Sono sicuro che andrà tutto bene. Vedrai che questo Moran
sarà un uomo comprensivo. Nel contratto che avete firmato, sei
obbligato alla fedeltà coniugale, ma non ad assolverne gli
obblighi. Quando la tua famiglia avrà raggiunto una sicura
stabilità economica, potrai divorziare e farti una vita tua.
Potresti persino incontrare la tua anima gemella.”
Rowling inspirò un paio di
volte, per calmarsi. Sorrise imbarazzato all’amico: “Scusa
per lo sfogo…”
“Non devi dirlo nemmeno per scherzo. A che cosa servono gli amici?”
“Grazie… per
tutto… non sai quante volte ho sperato che tu fossi la mia anima
gemella. È un vero peccato che siamo solo amici.”
“Migliori amici, però.
Sai che io ci sarò sempre. Anche quando tu sarai un ricco
bastardo sposato e annoiato, io ti porgerò sempre una spalla su
cui piangere,” ridacchiò Watson, con un ghigno sardonico.
“Se ci sarà qualcuno
che piangerà, quello sarai tu! Io avrò una bella casa
lussuosa e tu abiterai in un piccolo monolocale alla periferia di
Londra, che sarà grande come il mio bagno personale.
Vorrà dire che qualche volta ti inviterò a cena, per
farti vedere come sia la vera vita,” ribatté l’altro
con un sorriso sarcastico.
“E sia! Io ti concederò persino di pagare il conto. Tanto i soldi saranno di tuo marito…”
Il silenzio calò fra i due
uomini. Rowling aveva ripreso a giocherellare con l’anello,
immerso nei propri pensieri. Watson gli concesse un momento tutto per
sé. Sapeva che l’amico aveva molto su cui riflettere e che
la decisione presa avrebbe influenzato la sua vita futura in modo
profondo.
“E se, dopo il matrimonio, io
incontrassi la mia anima gemella? Non potrei stare con lei…
saremmo due essere infelici…” mormorò infine, a
voce così bassa che Watson fece fatica a sentirlo.
“Se dovesse accadere, saprete che cosa fare. Lo deciderete insieme,” Watson rassicurò Rowling.
Con un gesto improvviso, Rowling si tolse l’anello e lo porse a Watson: “Mettitelo.”
“Perché?” Domandò l’altro stupito.
“Giusto per vedere come ti stia e per sapere se lo senti così… alieno… anche tu.”
“Non sarà mai la
stessa cosa, JR. Per me non rappresenta nulla. Non è il mio
anello di fidanzamento. Fortunatamente, o forse no, Harry non si
è legata e sposata con qualcuno così ricco da pretendere
che io prendessi il suo posto, quando hanno divorziato,”
ribatté Watson, sconcertato.
“Fammi questo favore, JW.
Voglio vedere quell’anello indosso a qualcun altro. Forse mi
convincerò che sposare quell’uomo sia giusto.”
Con un sospiro, Watson prese
l’anello, se lo infilò e allungò la mano verso
l’amico, in modo che potesse ammirare come apparisse il gioiello
che gli procurava tanti pensieri. Trascorsero alcuni secondi, prima che
Rowling dicesse qualcosa: “Visto su di te, sembra innocuo. Un
ornamento semplice e quasi bello, da vedere. Quando lo indosso io,
invece, lo sento opprimente, soffocante.”
Prima che Watson potesse replicare,
un pianto disperato sovrastò l’allegro chiacchiericcio
della carrozza, che si spense immediatamente. La voce di una donna,
preoccupata e allarmata, era l’unico altro suono che si udisse:
“Mark! Che cosa hai fatto! Ti avevo detto di non saltare sul
sedile! Oddio, quanto sangue…”
John Watson si alzò dal
proprio posto, prendendo la borsa da medico dalla rastrelliera e
andando verso la fonte del pianto convulso. Un bambino moro, che doveva
avere cinque o sei anni, era seduto sul pavimento della carrozza e
aveva il viso inondato di sangue. La presenza di una macchia di sangue
sul bordo del tavolino, posto fra i sedili, evidenziava come il bambino
fosse caduto dalla poltroncina, battendo la fronte.
“Mi scusi, signora, mi chiamo John Watson e sono un medico. Posso aiutarla?”
La giovane donna, con i capelli
corvini e profondi occhi neri, rivolse un sorriso grato al medico:
“La ringrazio molto, dottore. Non ho nulla per fermare il
sangue.”
John si accucciò di fianco
al bambino, prendendolo sotto le ascelle e mettendolo a sedere su uno
dei sedili. Sollevò il mento del piccolo delicatamente e
studiò il taglio presente sulla fronte: “Oh, non sembra
nulla di grave. Ora lo disinfetto, ma direi che non sia profondo.
Questo genere di tagli sanguina molto, ma, generalmente, non causa
problemi di altro genere. Come ti chiami, ometto?”
Il bimbo tirò su con il naso e singhiozzò la propria risposta: “Mark.”
Il medico si infilò un paio
di guanti monouso e prese del disinfettante e alcune garze dalla
propria borsa: “Che bel nome. Scommetto che sei molto coraggioso,
vero Mark?”
“Mi farai male?”
“Forse brucerà un
pochino, ma, se starai fermo, faremo in fretta e sarà come se
non fosse successo nulla.”
Il bambino chiuse la bocca, ma le
labbra tremavano leggermente. La madre si era seduta accanto a lui e
gli teneva una manina fra le sue, mentre John procedeva a disinfettare
il taglio: “Sei proprio bravo. Non ti rimarrà nemmeno la
cicatrice. Ora mettiamo un paio di cerottini e guarirai prestissimo.
Hai sentito male?”
Il bambino gonfiò il petto e sorrise: “No. Io sono coraggioso.”
“Ecco fatto. Ora fai a modo e obbedisci alla mamma.”
“Grazie di tutto, dottore. – sorrise la giovane donna – È stato veramente gentile.”
“Dovere, signora,” Watson ricambiò il sorriso.
“Auguri per il suo matrimonio. Merita tanta felicità,” aggiunse la donna, con calore.
“Come?” Domandò John, interdetto.
La donna indicò la piccola fede ad dito del medico: “L’anello di fidanzamento.”
Il dottore si guardò la mano
e fece una smorfia: “Ah, questo. Non…” la frase
rimase a metà. Un fragore violento e urla di terrore furono gli
ultimi suoni che John Watson udì, mentre veniva sollevato e
gettato lungo la corsia centrale della carrozza, volando come se fosse
stato una foglia trasportata da un vento dispettoso.
E poi tutto fu buio e silenzio.
Angolo dell’autrice
Il primo capitolo si chiude qui.
Spero di avervi incuriosito e che sarete ancora qui, domani, per il
secondo capitolo. Non fatevi spaventare dal termine angst. Questa
è una commedia, non una tragedia, anche se non mancherà
un po’ di dramma.
Intanto, grazie a chi sia arrivato fino a qui e a chi voglia lasciare qualche riga di commento.
A domani.
Ciao!
|