I personaggi sotto presentati non mi appartengono. La storia è stata scritta senza scopo di lucro.
♣ Storia partecipante allo ‘Zodiac
game’ contest
♣
Your
Angel in Call
L’alba
è una coperta morbida, una mano materna e un sussurro che si
confonde con quelli di chi abbraccia; il cielo delle cinque mattutine
è già trionfante di bagliori, poiché lì
il giorno lascia poca vita al buio.
Alexander
è sempre il primo a sentire la luce giungere e a sollevarsi
dal suo
letto di margherite e asfodeli, per poi svegliare Nina leccandole il
naso. Padroncina,
è già
ora di alzarsi! Andiamo a giocare!,
sembrano voler dire gli occhi dolci che incontrano quelli assonnati
della bimba, le sue zampe simili a calde braccia quando
l’avvolge
senza fare male.
«Sì,
sì, ora mi alzo», sussurra la piccola, e dopo
alcuni attimi, spinta
dalle insistenze dell’amico, finalmente sguscia dal lenzuolo
di
petali che la notte le ha fatto scivolare addosso, salta in piedi e
protende il viso verso il suo compagno di giochi. «Sei
pronto?
Andiamo!», esclama prima di mettersi a correre verso un
angolo
ancora inesplorato di quella landa sconfinata, in preda
all’allegria
che l’ha sempre accompagnata… con un unico, rapido
sguardo alla
macchia buia che fugge alle sue spalle, un debole fantasma che
attende di morire nel ventre della pace.
In
Paradiso, tra mille fiori in boccio e il battito di altrettante
stelle, il dolore sembra lontano: ognuno è affiancato dalle
occupazioni che aveva nel suo vecchio
mondo e dalle migliori qualità che là lo hanno
caratterizzato, così
che i sogni e i desideri di un’intera esistenza vivono ancora
in
lui; così che i giorni sereni leniscono anche il cuore di
chi troppo
ha sofferto.
Si
può cantare senza fermarsi, si può ridere e
gridare senza paura di
venire sgridati; vecchi amici si ritrovano, le famiglie si
riuniscono, la felicità si intreccia e si amplia anche
attraverso un
solo desiderato, commosso abbraccio prima impossibile.
La
breve tenebra non interrompe la festa e anche chi è giunto
da solo,
come accaduto a lei, non lo è più:
nessuno è restio a
giocare e tutti sono pronti ad ascoltarsi l’un
l’altro, a
conoscersi e a passare insieme l’eterno bel tempo.
Le
memorie di Nina — ogni immagine del prima
— sono fatte
interamente di tenerezza: albe tenui e corone di fiori nei giardini
di villa Tucker, lunghi riposi con Alexander, dolci sogni capaci di
spalancare le porte del sonno e riversarsi nella realtà; ma
solo lì
si è realizzato il desiderio più sentito, e
finalmente può dirsi
circondata da tanti amici. Spesso è proprio il suo
inseparabile cane
a guidarla da loro: come se potesse percepire gli animi più
in
sintonia con quello della padroncina, conduce questa da piccoli e
adulti e le fa incontrare ben più di un semplice sorriso di
benvenuto o una mano da afferrare in un girotondo.
Potrebbe
esserci qualcosa di più meraviglioso? Per molti cuori no, e
tuttavia… tuttavia si può ancora piangere, in
Paradiso: una
veloce, lieve ombra di malinconia sul viso di chi ha appena raggiunto
quei cieli o ha un legame che cerca e ricerca la metà
lontana,
un’anima che continua a correre tra due realtà e
non riesce a
trovare il proprio equilibrio.
A
volte, quando le sue corse la portano a incontrare alcuni di quei
volti fissi sul crepuscolo e distanti dalla comune quiete, anche la
piccola ferma l’impeto del proprio entusiasmo; si separa
lentamente
dalla girandola di voci che la circonda — «Nina,
perché ti sei fermata? Non vuoi più giocare?»
— e si
lascia avvolgere da un silenzio che riguarda solo lei.
«Sei
diventata triste.»
Spesso
succede come a tutti gli altri: la sensazione svanisce in pochi
secondi, come se non fosse mai nata… ma delle occasioni in
cui la
mancanza è forte come una presenza, di
quelle nessuno sa e
lei non potrebbe mai spiegare. Semplicemente, è come se non
riuscisse a ricordare qualcosa, e questi volesse essere riconosciuto
facendo sempre più male; e sì, Nina un
po’ diventa triste quando
accade, le sue domande cadono tra i colori del tramonto e senza
risposte, hanno la forza di lambire un istante delle sue notti.
Alexander
sente anche questo e cerca una soluzione: e come le fa trovare nuovi
amici, la porta anche da anime anziane che possono comprenderla di
più. È proprio in uno di quegli attimi che
l’ennesima attesa di
comprensione lascia il posto alla concretezza; e la bambina comprende
dall’abbaiare improvviso che il fedele amico necessita della
sua
attenzione.
Un
delicato agitarsi di farfalle sorvola la distesa di iris dove
Alexander continua a correre, dove una donna siede in solitudine e
ride delle sue feste; questa lo accarezza come se lo conoscesse da
sempre, e solo quel gesto scatena una reazione intensa nella bimba
—
non preoccupazione, no di certo, più una sorta di frenesia
che la
spinge a correre verso di lei il più velocemente possibile,
per non
lasciare nemmeno un istante di respiro al Tempo. Qualcosa della
sconosciuta l’attrae fin da subito, una traccia di
famigliarità
che smuove la memoria, una particolare gentilezza nei modi; e la sua
risata è una nota dolce quando il cucciolone le appoggia la
testa
sulle gambe. «Sei davvero bravo, Alexander… di
certo sarai stato
un grande amico per la mia Nina.»
La
donna ha il capo chino mentre pronuncia quelle parole, ma passa solo
un secondo prima che sollevi lo sguardo, improvvisamente conscia
della presenza della piccola, e che la realtà si riduca solo
a loro
due.
Io
non voglio restare sola.
Il
pensiero ⸺ il ricordo ⸺ è come una puntura dritta nel cuore
e ne
scatena altri, insieme a tante sensazioni; e la bimba spalanca gli
occhi, indietreggia appena.
Dov’è
la mamma? Mi sento sola!
«Amore
mio…»
Perché
se n’è andata, perché? Non ci voleva
più bene, papà?
È
avvolta dal sole, eppure i suoi occhi riescono a vedere le grandi
sale scure della sua casa e nelle orecchie c’è
ancora il risuonare
dei passi che cercano quella figura sorridente, improvvisamente
scomparsa e lontana; e così il primo ricordo che emerge da
un lungo
oblio, da una vita spezzata troppo presto, è fatto di
silenzio.
Ma
ora…
Mamma.
Mamma
Mamma!
«M-Mamma.»
L’altra
sorride, si alza in piedi; Alexander si riscuote e si sposta, osserva
l’una e l’altra in muta attesa.
La
mia famiglia… ho avuto tanti amici, ma una mamma…
mamma…
La
malinconia non si quieta, ma aumenta; eppure è quasi
purificatoria,
come se dopo aver raggiunto il suo apice fosse pronta a svanire tra
le braccia che l’adulta le tende. Gli istanti da riprendere e
rivivere sono tanti; ma di certo nessuno può più
negarli o
sottrarli, giungono per essere vissuti.
Il
corpo di sua madre è morbido, l’abbraccio
accogliente; agisce
anche se lei ricorda troppo poco, ma sente il benessere di un grande
amore scendere fin sotto la pelle.
«Non
ho potuto guardarti crescere… mi dispiace, mi dispiace
così tanto!
Non volevo… non volevo…» Le parole sono
frantumate dalle
lacrime, colpiscono Nina senza farle male; Nina che ancora rimane in
silenzio perché vuole parlare con quelle mani che
accarezzano i
capelli della donna e trovano in loro un rifugio. Non voglio
essere sola, ho
sempre pensato; non ho
mai voluto esserlo…
e non lo sarò più, forse.
A
volte
lo chiamano “Brigadiere Generale”, come se
lì i gradi avessero
qualche
importanza; qualcuno
si sofferma su un “Tenente Colonello”, chi non sa
del suo
avanzamento e che lui di certo non rimprovera, mentre
altri lo salutano con un gioioso “Signor Hughes”; e
così può bastare.
Può
bastare, quando
le parole che si
vorrebbero
sentire davvero,
sentire sempre o
anche solo una volta —
«Papà,
papà, sei tornato!»
«Tesoro,
perché non ti riposi ancora?»
—, sono troppo lontane.
E
nonostante in quell’infinità i giorni non abbiano
alcuna misura né
ci sia più qualcosa capace di ferire, a volte la mente si
inganna e
il corpo sogna di ritornare indietro, a quando la vita era
imprevedibile e senza sconti, a quando c’era qualcuno che,
nonostante tutto, lo aspettava sempre.
Un
sospiro portato via dal vento, che incrina appena il sorriso e
aumenta la malinconia; perché no, vivere in Paradiso non
è poi
così facile.
Certo,
ci sono tante meravigliose persone da conoscere e con le quali
passare le giornate, vecchi amici da ritrovare, eventi da raccontare,
angoli da scoprire e cose da vedere; c’è tempo per
discorrere con
quelle foto rimaste nelle tasche della divisa, che nemmeno morte e
violenza hanno potuto distruggere, e c’è tempo per
immaginare la
vita senza lui, per fermarsi davanti a una pigra
luna e
chiederle come stanno loro,
se può abbracciare tutti al suo posto, se prima o poi la
pace
giungerà veramente. Sono due lati della stessa
medaglia: il
solare e quello più esitante, l’uomo che di giorno
fa esplodere la
voce in discorsi animati o davanti alle immagini della sua adorata
famiglia, l’anima che sul far della sera soffre ancora un
poco; e
certe fratture e ferite, quelle solo il tempo le può lenire.
Chi
conosce la sua storia comprende anche quel lato e tenta ogni cosa per
non lasciarlo affrontare tutto da solo: ascolta ogni sua parola e
resta sveglio l’intera notte con lui, perché
ciò che non si è
ancora detto al mondo è tanto e lo si può fare
solo a piccoli
passi.
A
volte le vicende si assomigliano, sono così unite che
ciò che si è
perduto si confonde e diventa un’unica,
grande assenza: non solo la felicità riesce a vivere
lassù, così
accade che le sensazioni siano simili a un nemico fumoso e dalle
lente azioni, ma capace di colpire nel cuore e non morire.
Poi
c’è anche chi, alla fine, la serenità
l’ha davvero trovata: ed
è di questi che l’uomo
cerca le parole con maggiore avidità.
«Sapete,
caro signor Hughes, a volte dovreste fissare il vostro sguardo sul
mare; lui sì che potrebbe aiutarvi davvero.»
Il
tempo di quella conversazione e il volto di chi l’ha espressa
si
confondono spesso, quando ci ripensa; ma non la dolcezza del tono e
la grande forza di parole pronte a donarsi agli altri, senza paura.
Anche
io una volta ho ascoltato, aiutato e sorretto un amico; ma quei
giorni sembrano ancora più distanti, ora.
«Il
mare… perché?»
«Ha
molto da insegnarvi, credo. Spesso la vita è dura, spietata
e
vorace: si prende tutto e non lascia che vuoto, giunge
all’improvviso
per bruciarti i progetti e portarti via, ti spinge a correre sulla
strada dei desideri per poi infrangerla ai tuoi piedi; i militari
come noi provano tutto questo sulla propria pelle, così che
piangere, perdere e non poter più dimenticare sono tra le
prime cose
che ognuno impara.
A
volte, però, la vita stessa si pente di ciò che
ha fatto: osserva
il mare, lo ascolta e impara dalla sua voce incessante.
Che
cosa fa il mare? Oltre a donare e permettere l’esistenza,
anche le
sue onde possono strappare, rapire e uccidere; e tuttavia, con i suoi
tempi e modi, tutto ciò che ha tolto lo restituisce.
Così, a volte
accade che anche la vita ci ridia quello che ci ha portato via; e
possiamo amare un’altra persona, trovare una nuova famiglia,
recuperare la speranza.
Si
può dire molto sulla
“grazia del mare”,
come mi piace definire questa
verità; credo
in lei anche se non l’ho
ancora provata, e allo
stesso tempo sono sicuro
che chi ne venga
abbracciato non possa
negarlo in nessun modo: avvolge ogni aspetto della persona, non
può
essere nascosta.»
Qualcosa
di così particolare e desiderabile non può
appartenere a tutti,
forse non lo riguarderà mai personalmente; ma simili grazie
toccano
comunque il mondo e le può scorgere in ogni fiore che prende
il
posto del nulla, in un ciclo infinito che ha in sé tutte le
tracce
di un perdono.
Chi
lo sa, in fondo… forse qualcosa
lo sta davvero attendendo, con la sua stessa smania; magari
neanche troppo
lontano dai suoi occhi.
Certe
risposte giungono senza un vero preavviso: all’abitudine
si sostituisce l’inconsueto
e alle convinzioni la novità, tutto muta nel volgere di un
istante,
minuto oppure ora.
Le
cinque di quel particolare mattino non sono diverse da quelle dei
giorni precedenti, eppure basta che i piedi di Hughes lo portino a
passeggiare, assorto nella contemplazione dell’aurora,
in una zona del Paradiso prima mai raggiunta; basta questo
perché
Alexander venga svegliato dal fruscio dei passi tra i fiori e sollevi
il capo, per poi scodinzolare alla vista del nuovo arrivato e
corrergli immediatamente incontro —
basta questo perché Nina apra gli occhi e, invece che
richiamare
l’amico, si blocchi
davanti allo sguardo smeraldino che osserva con sorpresa l’affettuoso
cagnolino
tentare
una sorta di abbraccio.
«Hey,
hey, calma! Devi essere un gran coccolone, tu», mormora
l’uomo
mentre accarezza il pelo candido dell’animale e rischia di
perdere
l’equilibrio sotto il suo impeto giocoso; e a quel punto la
bimba
raggiunge entrambi e si stringe al collo del compagno, mostrando poi
il suo migliore sorriso. «Lo scusi, signore, ad Alexander
piace
tanto giocare e non si ferma davanti a nessuno», esclama con
una
punta di preoccupazione — fantasma che Hughes elimina con una
risata sincera.
«Non
mi ha disturbato, affatto!», replica questi mentre osserva
meglio la
piccola; ed è in quel momento che il sole si fa
più forte e splende
loro in fronte, così che Nina è costretta a
stirare appena la bocca
in una smorfia… ed è così che il mondo
si ferma, anche se solo
per un istante, e Hughes vede in lei un volto diverso.
Elicia…
bambina mia.
«Tutto
bene, signore? È diventato pallido, qualcosa non va?»
La premura porta la bimba a spalancare gli occhi e ad
afferrare una mano dell’altro,
per fermare un tremito improvviso; e anche se lui si riprende subito
— ha
il suo stesso sorriso, e occhi così simili… —,
non accenna a lasciare la presa.
«È
tutto a posto, piccolina,
sto bene», le
mormora poi l’uomo;
lei esita come a voler aggiungere qualcosa, per
poi annuire lentamente.
Sotto
la pelle sente scorrere
malinconia e bisogno di
tempo; percepisce
tante cose
e come tutte le volte comprende,
quindi il suo volto si
illumina di nuovo. «Se
vuole può giocare con me e Alexander! Ha
già la nostra simpatia»,
mormora con tutta la sua
allegra gentilezza: non
c’è luce più forte di quella che
espande intorno. «Non… non
vuole?»,
riprende dopo poco, ora dispiaciuta dall’ininterrotto
silenzio dell’altro; e
allora questi
sospira per
un attimo, il tempo di un pensiero. «Scusami,
non… ecco, per qualche
secondo mi hai ricordato qualcuno di importante», mormora,
«importante e troppo
lontano.» Le
dita stringono più forte le fotografie ben
protette e le estraggono
dalla tasca; la bimba si
alza sulla punta dei piedi
per guardarle,
ormai
presa dalla curiosità per badare ad altro, così
che passano
solo rapidi
istanti e una semplice domanda… e
il mattino
non tarda a illuminare le loro figure, quella
di uno intento a raccontare animatamente
e l’altra ad ascoltare
con attenta ammirazione;
il primo più vicino a
casa, la seconda che quella semplice parola, casa,
la vive per la prima volta.
E
scorre il mezzogiorno, giungono il pomeriggio e il tramonto: sotto le
luci della prima sera le parole non accennano a fermarsi e si
continua a ricordare, a immaginare e chiedere, a capire.
Signor
Hughes, lei deve avere un cuore davvero grande.
Negli
infiniti giorni che seguono, Nina non esita a cercare tra prati e
persone quegli occhi buoni e chiedere loro una nuova storia, di
parlarle di nuovo di Elicia —
«Di certo saremmo state amiche!» — e di
Glacier
— «Ha un sorriso molto dolce, come quello della
mamma…» —, di
amicizie lunghe più di un’esistenza;
e mentre
intreccia corone di margherite per Alexander o
sfiora quelle immagini, la
sua mente
rincorre la voce di Hughes e la propria memoria, tentando di farle
coincidere. A volte l’affetto che popola i ricordi
dell’uomo lo
trova anche nei suoi; in altre occasioni è invece
costretta a fermarsi, il cuore divenuto
improvvisamente pesante.
Quelle
sensazioni non sono più qualcosa che il Paradiso
può solo evocare:
sono ancorate nel prima, in ciò che la
mente ha celato e
lasciato irrisolto, e nella lieve tristezza che si palesa davanti
alla gentilezza del narratore.
È
strano il modo in cui guarda all’uomo, pari a quello di chi
trova
qualcosa che ha sempre cercato e mai avuto, e che oltre a essere
felice si chiede: “Perché non sei giunto prima?
Perché solo
adesso… ora che molte cose non possono più
cambiare?”
Spesso
le parole di Hughes la portano davvero lontano, a vivere una nuova
vita piena di calore e di presenza, e di quello che lui è
così
bravo a donare: amore. Amore… fortunato chi lo
dà, ma ancor di più
chi lo riceve con forza dopo aver vissuto di soli fantasmi; fortunato
chi riesce a trattenerlo e viverlo ancora, nonostante il dolore.
«Ancora
una storia, per favore!»
L’uomo
non esita mai davanti a
quelle richieste,
l’accontenta con gioia; eppure nulla sfugge ai suoi occhi, la
curiosità con cui lei beve ogni frase e anche quella piccola
traccia
scura che a volte le attraversa il volto, ciò
che ferisce un po’ anche il
suo. Conosce
la storia della bambina,
perché sia lì e come ci
sia giunta, quali
ombre incombano sul suo
piccolo capo; e per questo
si chiede come riesca a sorridere nonostante
tutto, a non avere paura del
mondo e
continuare a fidarsi di chi la circonda.
«Non
ha ricordi della morte, una mano pietosa sembra averli
cancellati»,
gli sussurra un giorno la madre della piccola, in un mattino in cui
quest’ultima
è troppo distante per sentirli e il
vento aiuta a
coprire il mormorio della
rivelazione, «… eppure, in
qualche modo, suo
padre continua a mancarle: lo
vedo da come ti guarda quando parli di tua figlia, di come osserva
gli altri padri che sono qui. E credo che non possa che essere
così: Nina è troppo piccola per odiare e
comprendere davvero quello
che le è successo, e a portare il peso di certe
verità bastiamo
noi adulti. Era così innocente, la mia bambina…
voleva tanto bene
a quel mostro, e lui l’ha ripagata in questo modo.»
Certe
domande rimarranno per sempre senza risposta: totale distanza e
incomprensione non ci permettono nemmeno di immaginarle, anche se
rabbia e dolore nascono da sé come fiori spontanei;
così che non
sono unicamente
le somiglianze tra Nina ed Elicia a spingere Hughes a giocare a lungo
con lei
e
farla ridere il più possibile, ma un impeto che si potrebbe
definire solo
paterno, protettivo e disinteressato,
che sorge per riparare a un torto ⸺
una colpa
altrui, ma dalla
quale non si può rimanere lontani.
No,
l’uomo non può evitare di ascoltare quel pianto
silenzioso:
l’incubo di ogni cuore che ama, che sente e soffre con gli
altri,
che non accetta il già dato e non si arrende facilmente. Non
c’è bisogno di grandi azioni, ma di presenza
costante: di
sicurezza, calore e ascolto, di una mano che stringe un’altra
nel
buio
e conduce fuori da esso, di un abbraccio rassicurante.
Chi
potrebbe riuscirci meglio del cuore di un vero genitore?
Il
male è lontano, piccola; il male non esiste più.
Nina
ha tanta paura della solitudine; spinto da ciò e contro
ciò, lui
inizia a combattere quella paura durante il giorno come nella notte,
e quello che ha già fatto una volta, in un altro mondo, lo
compie
qui: diventa un riferimento, una stella ferma a illuminare il cammino
e aiutare gli smarriti.
Anche
se solamente nell’inconscio, lei prova ancora il terrore di
perdere
tutto; lui tenta ogni cosa pur di regalarle una memoria fatta di sole
e speranza, custodendo la visione del viso sempre più libero
da
angoscia, di ogni parola meno oscura e finalmente libera di essere.
Lo
scorrere dei giorni, la delicatezza e la perseveranza non ostacolano
il percorso, ed è così la grazia del mare si
svela, senza
implorarla e all’improvviso: creduta irraggiungibile,
è in realtà
talmente vicina da smuovere l’animo, poiché parte
dell’animo
stesso; la grazia del mare —
ritrovare il proprio posto e comprendere come ognuno possa essere il
nuovo inizio di un altro, come una mano tesa non rimanga mai vuota
né
ignorata — ha i propri
tempi per mostrarsi, ma non dimentica nessuno.
Basta
solo un pomeriggio e un istante, il tempo di scoprire Nina
pacificamente addormentata sotto la propria giacca, per comprendere
quanto nulla sia stato perduto e tutto sia destinato a venir salvato;
e nient’altro deve essere più aggiunto.
«Sorridi,
piccola Nina», sussurra allora, prima di sdraiarsi a sua
volta sul
morbido prato e fissare il cielo viola. Gli incubi sono lontani da
lì, le ombre in fuga: nessun fantasma a languire
nell’inquietudine,
la loro pace prossima e compassionevole. «Sorridi sempre e
non
temere nulla, perché sono giorni di luce quelli che ci
attendono.»
Non
avrei mai creduto di diventare l’angelo custode di un altro
angelo…
ma il nostro cuore è così, capace di meraviglie e
infinito; forte
come il mare, e la sua grazia.
NOTICINA
FINALE ♥
Il
titolo è ripreso dal ritornello di “Guardian”
di Alanis
Morisette,
fonte d’ispirazione per la storia.
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