beg
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The
beggar maid.
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La fortuna e il destino giocano
in modo perverso con la vita degli uomini. Questa volta hanno pietà della
sorella maggiore a discapito della minore. Questa volta è Sansa Stark a
fuggire, aiutata da un amico insospettato ed è Arya Stark ad essere trattenuta
come ostaggio nella fossa dei leoni.
Un ragazzino vestito di stracci
che le ricorda Bran prima dell’incidente apre un passaggio segreto in un muro e
su istruzione di Varys la conduce in salvo, nascondendola in un bordello. E' di
proprietà di Petyr Baelish ed è lo stesso che pochi mesi orsono ha ospitato sua
madre, ma Sansa non può saperlo. Come non può sapere che se è salva è per un
accordo segreto tra Ditocorto e il Ragno Tessitore. Il motivo dietro l’agire di
Ditocorto è sua madre, sempre sua madre. Nel caso di Varys, invece, è il
pensiero del sorriso di lei quando Loras Tyrell le ha regalato una rosa al Torneo
del Primo Cavaliere. Elia Martell, ha pensato guardandola e in quel momento ha
scelto quale sorella salvare.
Lì Sansa Stark rimane, nascosta
e al sicuro, in attesa di non si sa bene cosa. Le
donne le tingono i capelli con nero di seppia e le danno un nuovo nome. Alayne
viene istruita nell’arte dell’amore. Le insegnano il dosaggio di tè della luna necessario
per liberarsi da gravidanze indesiderate, abbastanza da sradicare la vita dal
grembo, ma da non mettere in pericolo la madre, e le mostrano come lusingare la
vanità di un uomo.
Una notte, quando la preoccupazione
è troppa per riuscire a dormire, Sansa siede sul davanzale di una finestra e
osserva la luna, pensando a casa. Per caso, nel gruppo di ubriachi che liberano
la vescica al piano inferiore, ascolta due cappe dorate che parlano della
condanna pubblica di Lord Eddard Stark prevista per l’indomani.
Lei si guarda attorno. Le tende
di broccato e di seta, i cibi raffinati, il vestito pregiato che indossa.
Potrebbe essere al sicuro qui. Poi pensa ad Arya e a suo padre. La lealtà verso
la sua famiglia prevale su tutto il resto.
Racimola il poco che possiede
in una sacca di tela, indossa un mantello e si prepara ad uscire furtivamente
dalla porta sul retro.
“Dove stai andando?”
Sansa si volta con il cuore in
gola, riconoscendo nell’ombra che ha parlato una delle donne della casa. Il suo
nome, se ricorda correttamente, è Lyda.
Lei
affronta con singolare
calma lo sguardo della donna nuda. I suoi capelli sono rosso rubino e
le
ricadono in ciocche ondulate sui seni. A differenza dei suoi, il colore
è frutto di accurate tinture. Sansa ricorda il suo commento
quando l’ha
aiutata a tingerli la prima volta, che fosse uno spreco nascondere una
sfumatura
così bella. Tutto in quelle sale è pura apparenza, frutto
di artificiose
manovre per incantare e sbalordire i clienti.
“Dove stai andando?” la donna
ripete, avanzando verso di lei, felina. Il chiarore della luna screzia
d’argento la sua pelle levigata. Sansa non distoglie lo sguardo, non
arrossisce. Ecco una cosa di lei che è morta. La sua pudicizia.
“Non posso più restare,”
risponde.
“Perché?”
Potrebbe mentire. Sansa, però, ripensa
alla gentilezza che Lyda e le altre donne hanno avuto nei suoi confronti. Sono
state materne e nel calore delle loro premure, la nostalgia di sua madre è
diventata un peso sopportabile.
“Uccideranno mio padre.”
“Cosa pensi di fare da sola?”
Non molto, lei ammette a sé
stessa. La paura di quello che potrebbe succederle uscita da quella porta la fa
tremare e per un attimo le fa riconsiderare l’assurdità di quello che sta
facendo. Fa un respiro profondo. “Devo andare,” ripete testardamente.
Gli occhi di Lyda sono
imperscrutabili. “Allora vai,” lei dice e Sansa potrebbe ridere per il
sollievo. “Ma non così,” la donna continua, esaminandola con disapprovazione.
“Sei troppo riconoscibile.”
Lyda le fa indossare l’abito
dimesso di una domestica e le lega i capelli in una semplice crocchia alla base
della nuca. Le solleva le gonne e nasconde nei suoi indumenti intimi un
sacchetto con dei pezzi d’argento. Poi la accompagna fino alla porta di
servizio e le dà indicazioni precise su come raggiungere il tempio di Baelor. “Ora
sei pronta per affrontare il tuo destino,” le dice e le poggia un bacio freddo
e rapido sulle labbra.
Sansa non si ritrae e quando le
lacrime le pungono le ciglia, abbassa il cappuccio e nella luce dell’alba si
incammina per le strade già trafficate del Fondo delle Pulci.
*
Il sole è alto e luminoso nel
cielo quando Joffrey ordina con voce stridula l’esecuzione di suo padre,
accusandolo di tradimento contro la corona. E' una giornata bellissima quella in
cui ser Ilyn Payne decapita Eddard Stark sui gradini del tempio di Baelor e la
sua testa rotola come una mela caduta dall’albero perché troppo matura.
Sansa non è agile e minuta come
Arya. Non riesce ad arrampicarsi sulla statua di Baelor, ma è alta per la sua
età e riesce comunque ad assistere a tutta la scena. Non c’è nessuno che le
intimi di non guardare, nessuno che le impedisca di osservare. Arya urla e si
dimena tra le braccia del Mastino. “Mostri!” grida a squarciagola. “Siete dei
mostri! Mio padre è innocente!”
Varys si sposta con discrezione
dal fianco della regina e del nuovo re e sussurra qualcosa all’orecchio di
Sandor Clegane. Pochi secondi dopo, con un colpo alla testa, Arya perde
conoscenza e viene prontamente agguantata dal Mastino prima che tocchi il suolo
di pietra.
Sansa non può urlare, a
differenza di sua sorella, ma ogni parte di lei lo fa, silenziosamente. Guarda
con odio i nobili raggruppati sulla terrazza che affaccia sulla piazza. Fate
qualcosa, lei vorrebbe implorare. Che qualcuno faccia qualcosa.
Arya non vede la spada calare,
ma lei sì ed è un’immagine che la perseguiterà per il resto della sua vita. Sente
le forze venirle meno e lacrime d’impotenza cominciano a scorrere lungo le sue guance.
Il calore del sole che picchia sulla testa e la confusione della folla
ammassata non aiutano.
Suo padre è morto. Sua sorella
è perduta. Uscire dalla città è impossibile, i cancelli sono sotto stretta
sorveglianza. Cosa le resta se non disperarsi?
Una mano cala sul suo braccio e
quando lei prova d’istinto a divincolarsi, l’uomo sconosciuto la afferra per la
vita con forza e le tappa la bocca. Terrorizzata, lei batte rapidamente le
palpebre per disperdere le lacrime e riconosce nell’uomo vestito di nero un
Guardiano della Notte.
“Conosco tuo zio Benjen,” lui
spiega e la lascia andare dopo averle fatto promettere di non urlare.
“Conoscevo tuo padre.”
Ha parlato al passato e
Sansa vorrebbe urlare e piangere un po’ di più per questo. Invece raddrizza le
spalle e stizzosamente asciuga le lacrime con il dorso della mano. “Come hai
fatto a riconoscermi?” chiede e lui le scocca un sorriso più simile a un
ghigno.
“Anche così,” lui dice
ruvidamente, prendendo una ciocca dei suoi capelli scuri come la terra tra le
dita callose, “sei la copia sputata di tua madre. Una Tully in tutto e per
tutto.”
Sono una Stark, lei è sul
punto di dire, ma tiene a freno la lingua. Essere una Stark, adesso, può
essere una sentenza di morte. “Puoi aiutarmi?”
Lui la soppesa e per un attimo
Sansa è sicura che si rifiuterà. Poi lo vede annuire. “Aye,” dice. “Devo essere
pazzo, ma se non lo facessi sono pronto a scommettere che tuo padre
ritornerebbe dal regno dei morti per perseguitarmi.”
*
“E' una ragazza!” esclama
uno dei ragazzi della carovana. Yoren, che sta legando uno dei cavalli al retro
del carro, si volta per rispondere, ma Sansa lo precede.
“Mi chiamo Alayne Snow,” dice con
fermezza. Uno degli altri ragazzi, alto e robusto e con occhi chiari come le
acque di Coltello Bianco, studia la scena con interesse.
Il ragazzo, Frittella, le pare
che si chiami, si volta verso Yoren, non dando segno di averla sentita. “E' una
ragazza,” ripete con aria cocciuta e allo stesso tempo perplessa. “Non dovrebbe
essere qui.” Quello che intende è chiaro come il sole. Perché lei si trovi con
loro, in una carovana diretta verso la Barriera, è la vera domanda.
Sansa se lo era aspettato. Se
lo è aspettato dal momento in cui Yoren ha brontolato dicendo che neppure
tagliandole i capelli avrebbe potuto farla passare per un ragazzo e le ha
ordinato di mantenere un profilo basso. Soltanto che aveva sperato di avere più
tempo, di mettere più distanza possibile tra lei e Approdo del Re. La capitale
è ancora troppo vicina e così la minaccia che rappresenta.
“E' qui perché l’ho deciso io,”
interviene Yoren e se l’avvertimento nella sua voce non fosse evidente, lo è il
modo apparentemente casuale in cui ha poggiato una mano sull’impugnatura della
spada. “Se qualcuno ha un problema con la sua presenza, venga a dirmelo di
persona.”
Questo basta a mettere a tacere
eventuali contestazioni, ma non la curiosità. Nessuno ha il coraggio di
approcciarla apertamente o farle domande, ma Sansa sa che se da un lato la
reazione di Yoren ha sortito l’effetto sperato, è anche servita a destare maggiore
sospetto sul suo conto. E' una ragazza diretta verso il Nord e si è presentata
come una Snow. Se la carovana venisse fermata e gli uomini interrogati,
potrebbero risalire alla sua vera identità fin troppo facilmente.
Sansa odia sentirsi così.
Questo smarrimento, questa frustrazione, il continuo timore di essere
smascherata. Nel frattempo cerca di rendersi utile. Risulta ben presto evidente
la sua inettitudine per qualsiasi compito le venga assegnato. Fare il bucato,
dopo un paio di tentativi disastrosi, diventa facile, ma dopo aver preparato
per una settimana i pasti con scarsi risultati, c’è una sorta di ammutinamento collettivo
e per decisione comune l’incombenza ricade su Frittella.
Dopo quasi un mese di viaggio,
Sansa è già stanca della vita all’aria aperta. Dormire accampati, anche se a
lei viene spesso ceduto un posto vicino al fuoco. Fermarsi solo per brevi soste
e ripartire all’alba. Le limitatezze di una quotidianità che le è estranea e
nuova. Tutto è difficile e scomodo.
E' andata a prendere dell’acqua
dal ruscello e ne ha approfittato per sedersi un attimo su un sasso, quando un
rumore di passi alle sue spalle la fa girare di soprassalto. Gendry emerge da
dietro un albero, le braccia cariche di legna.
In un’abitudine consolidata da
anni di lezioni impartite da Septa Mordane, lei gli sorride. Gendry inarca le
sopracciglia e il sorriso le muore sulle labbra.
Sansa
arrossisce di colpo e
abbassa la testa. Dimentica troppo spesso che non è più
Sansa Stark. Il suo
nome è Alayne Snow ed è la figlia di un mercante di
spezie e di una prostituta. E' cresciuta in un bordello, ma è
scappata prima che potessero farle
intraprendere la professione.
“Puoi evitare di fingere con
me.”
Gendry si è avvicinato nel
frattempo. “So chi sei davvero,” lui dice e Sansa si sente morire.
“Non puoi dirlo a nessuno,”
dice frettolosamente, guardandosi intorno con aria spaventata per controllare
che non ci sia nessuno nei paraggi ad ascoltare la loro conversazione.
Gendry aggrotta la fronte. “Non
provi neanche a negare? Non sai cosa so e se quello che dico è vero.”
Sansa si morde il labbro. Lui
ha ragione e si dà della stupida. “Cosa sai?” prova a rimediare, anche se è
troppo tardi.
“So che il tuo nome non è
Alayne Snow,” lui dice, andando a sedersi su un masso poco distante dal suo e
poggiando la legna raccolta nello spazio che li separa. “So che stai fuggendo
da Approdo del Re.”
“Come lo hai scoperto?”
“L’ho intuito. Nessuno che sia
nato bastardo sorriderebbe come te. Io ne so qualcosa.” Lui sorride e la piega
del suo sorriso è così simile a quella che per anni lei ha visto sulle labbra
di Jon che prova una fitta al cuore.
“E il resto?”
“Supposizioni,” lui risponde,
scrollando le spalle. Ha raccolto un ramoscello e se lo passa tra le dita.
Sembra che non riesca a stare con le mani in mano. “Il modo in cui ti guardi
continuamente alle spalle e come controlli la strada, come se temessi che
qualcuno ci stia seguendo.”
“Ma non sai davvero chi sono.”
Questa volta, prima di
rispondere, lui si prende del tempo per riflettere. Sansa è sicura di avere già
visto degli occhi simili ai suoi, da qualche parte, ma non le sovviene dove o
quando. “Anche questo posso immaginarlo. Cammini e parli come una signora. Non
sai cucinare e non hai mai lavorato in vita tua. Ti sei tinta i capelli, vero?”
Di fronte al suo silenzio, lui spiega con pazienza: “Comincia a intravedersi sulle
tempie. In realtà sono rossi. Mi sbaglio?”
Sansa congiunge le mani come in
preghiera. “Dillo,” ordina e la messinscena è finita. Se già non era successo
prima, in quel momento ha smesso di essere Alayne ed è tornata ad essere Sansa.
Lui si protende in avanti come
se intendesse confidarle un segreto. “Sansa Stark,” sussurra e per la prima
volta dalla morte di suo padre, a lei sembra di tornare a respirare.
*
Sansa non è Arya e Arya non è
Sansa. Le due sorelle sono diverse come il giorno e la notte eppure la loro
intraprendenza e il loro orgoglio le rende più simili di quanto non sembrino.
A Gendry piace Sansa e intende
aiutarla. Gli piace, ma non come gli sarebbe piaciuta Arya. Gli piace in modo
diverso e il desiderio di proteggere questa ragazzina altezzosa e ingenua è
diverso da quello istintivo e feroce che avrebbe provato per un’altra
ragazzina, audace e impulsiva.
Ciò nonostante, è questa
ragazzina che gli è capitata tra i piedi ed è questa ragazzina che una notte di
molti mesi dopo si ricorda dove ha già visto occhi simili ai suoi e gli
sussurra all’orecchio il suo vero nome.
“Il tuo cognome è Baratheon,
non Waters,” lei bisbiglia sotto il cielo stellato. “E se
lo volessi, potresti essere il legittimo erede al trono dei Sette Regni.”
“Uno dei tanti,” lui cerca di
scherzare, ma il sorriso non gli raggiunge gli occhi. Le fiamme del fuoco di
campo proiettano ombre sul suo viso magro.
I pretendenti al trono di spade
che si contano, al momento, sono quattro. Suo fratello non è tra questi.
Lo chiamano il Giovane Lupo.
Gli hanno dato una corona di bronzo e ferro e non ha perso nessuna delle
campagne militari che ha combattuto. Eppure il suo esercito, benché inizialmente
diretto verso il Sud, è rimasto bloccato nelle Terre dei Fiumi e là rimane,
battaglia dopo battaglia, vittoria dopo vittoria.
Dopo la Battaglia del Bosco dei
Sussurri e la cattura di Jaime Lannister, si sparge la voce che Robb Stark
abbia rifiutato di scambiare lo Sterminatore di re con le sue sorelle. Una
parte di lei odia Robb per questo. Una parte di lei odia se stessa, pensando
che è uguale a lui. Nel momento del bisogno è stata la prima ad abbandonare
Arya ed è qualcosa che non si perdonerà mai.
*
C’è una cosa che non cambia,
nonostante tutto. Ci sono notti in cui gli incubi la tengono sveglia per ore e
ore, altre in cui si sveglia urlando o perché scossa da Gendry.
Sansa sogna teste decapitate e
il ghigno crudele di Joffrey, Lady e le cose che ha perduto o che sembrano
perdute, la trasposizione delle sue paure più intime, i cadaveri dissacrati della
sua famiglia.
Un mattino come tanti altri, dopo
una notte particolarmente turbolenta, Yoren lascia che lei si prenda cura dei
cavalli perché sa che la rilassa. La sua porzione di porridge è stata guarnita
con nocciole e lei trova un mazzolino di viole del pensiero sul suo posto sul
carro.
Per distrarla, quella sera, Gendry
le racconta del suo apprendistato come fabbro, di Tobho Mott, il mastro
armaiolo e anche di sua madre. A poco a poco, anche Sansa comincia ad aprirsi.
Gli racconta piccoli aneddoti ed episodi della sua infanzia, dei dispetti di
Arya, della sua amica Jeyne, delle storie della Vecchia Nan, della passione di
Bran per le arrampicate e del suo sogno di diventare un cavaliere, dei combattimenti
con la spada di Robb e Jon e Theon sulle scale di Grande Inverno e dell’amore
feroce dei suoi genitori.
Con Arya, Gendry non si sarebbe
mai aperto così. Di Arya, lui avrebbe custodito i segreti e i silenzi e i musi
lunghi e il cattivo umore. Sansa è diversa. Lei ha bisogno di parole, di
racconti che le ricordino che oltre alla bruttezza e alla brutalità il mondo
può offrire ben altro. Arya è nata per combattere. Anche Sansa lo è, ma lei è
predisposta per un tipo di combattimento diverso.
Gendry colleziona le storie di
Sansa e dai loro frammenti riesce a costruire un’idea molto precisa della sua
casa. Grande Inverno è un luogo sicuro, è dove è cresciuta e dove conserva le
memorie più felici. Non c’è da meravigliarsi che lei voglia disperatamente
farvi ritorno.
Con Arya sarebbe stato un
rapporto alla pari, un’amicizia dalle sfumature confuse.
Arya probabilmente non avrebbe
apprezzato le premure di Frittella, considerandole un sinonimo di debolezza. Non
avrebbe mai accettato di essere protetta. Sansa, malgrado tutto, non chiede
altro. Per Arya lui sarebbe stato un amico e forse qualcosa di più. Per Sansa lui
è un protettore.
*
Quando i soldati dei Lannister
attaccano la loro carovana, Gendry prende in disparte lei e Frittella e li
nasconde dietro una grande quercia lontano dai carri.
“Mi dispiace,” le dice e Sansa
non riesce a capire per cosa si stia scusando. Poi lui la schiaffeggia su
entrambe le guance, abbastanza forte da farle sbattere la testa contro il
tronco per il contraccolpo. Quando il ronzio del sangue nelle orecchie si
acquieta, lei sente Gendry rivolgersi a Frittella, porgergli un coltello e
dirgli: “Lascio il resto a te. Tu sai cosa fare.”
Lui corre via per cercare di
mettere in salvo gli altri ragazzini e Sansa non sa cosa prova. Se rabbia o
sorpresa o tradimento.
Il dispiacere negli occhi di
Frittella è autentico e quando allunga una mano per sfiorare la zona tumefatta
che va già gonfiandosi sul suo viso, lei si scansa d’istinto.
“Mi dispiace,” lui dice proprio
come Gendry, ma l’urgenza nella sua voce la fa riflettere. “Non c’è tempo. Devi
fidarti di noi. Noi siamo… siamo amici, vero?” domanda supplichevole.
Amici, lei pensa. Gli amici non
feriscono. Gli amici sono sinceri l’un con l’altro. Eppure, guardando gli occhi
marroni e onesti del ragazzo di fronte a lei, Sansa non riesce a pensare ad
un’altra parola per definire il legame che li unisce.
Annuisce e il sollievo di lui è
istantaneo. “Abbiamo un piano,” lui spiega in fretta e quando avvicina il
coltello al suo collo, lei rabbrividisce. ma non si allontana. Lui comincia a
tagliarle i capelli. Velocemente e male. Non è un lavoro metodico e preciso, ma
disordinato. “Ho quasi finito,” lui dice e lei cerca di non guardare le lunghe
ciocche di capelli che si arricciano sul terreno ai suoi piedi, di non
concentrarsi sulla sensazione di vulnerabilità alla base del collo.
Frittella ripone il coltello
nella cintura dei calzoni e si china per immergere le dita nel fango.
“Cospargilo sul viso.”
Sansa fa come le è stato detto
mentre la realtà della situazione comincia a delinearsi. Non la stanno
tradendo. La stanno salvando.
Quando Gendry torna dopo quella
che sembra un’eternità, ha con sé dei pantaloni e una tunica. Le intima di
sbrigarsi. Sansa si spoglia mentre le risate dei soldati riempiono l’aria della
notte e il freddo e la paura le fanno accapponare la pelle.
Gendry vigila come un falco e
le dà le spalle mentre lei si toglie il vestito. Frittella la guarda di
sottecchi, arrossendo visibilmente e nonostante la situazione, Sansa riderebbe
del suo imbarazzo. Vorrebbe raccontargli delle settimane trascorse in uno dei
bordelli più rinomati di Approdo del Re.
Quando ha finito, Gendry si
volta e la squadra da capo a piedi con un cipiglio. Annuisce e Sansa si rilassa
impercettibilmente. Sa che il suo travestimento è una soluzione temporanea.
Serve per guadagnare tempo.
Gendry uniforma lo strato di
sporcizia sul suo viso e la rude gentilezza delle sue dita acuisce il contrasto
con la brutalità di poco prima.
Le poggia le mani sulle spalle.
“Ora ascoltami bene. Ti chiami Bence e sei un orfano. Non parli da quando hanno
assassinato la tua famiglia sotto i tuoi occhi. Mi hai capito?”
Sansa annuisce, troppo
terrorizzata per parlare. I rumori si stanno avvicinando e il buio è illuminato
dalle fiamme di un incendio appiccato.
“Brava ragazza,” dice Gendry
con un sorriso e Sansa prova a sorridergli di rimando.
Alayne Snow. Bence. Quante
persone dovrà ancora fingere di essere prima di raggiungere Grande Inverno?
*
Quella notte salva tre vite
dalla morte e dal fuoco. Quella notte, riceve in pegno un altro nome. Ragazza
dei fiori. Quando risponde che non è più quel tipo di ragazza e che in tempo di
guerra non c’è posto per i fiori, Jaqen sorride misteriosamente. I suoi occhi
sono come la notte, oscuri e pieni di insidie.
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