tritone primo cap
L’ultimo
marlin
Quel giorno all’isola Yonaguni l’aria
particolarmente limpida rendeva i colori ancora più vividi.
Il mare era mosso da un vento di maestrale e le onde di un verde
traslucido s’infrangevano ritmicamente sulla riva in una
schiuma bianca e spumeggiante.
La vegetazione rigogliosa si estendeva a perdita d’occhio
lungo il litorale. Una coppia di cavallini brucava su
un’altura illuminata da uno squarcio di sole tra le nuvole,
avevano manti scuri e le criniere spazzate dal vento.
Naruto era solito allungare la strada di ritorno dalla scuola passando
per la spiaggia. Camminava a piedi scalzi e teneva le scarpe da
ginnastica legate con le stringhe tra loro a penzoloni sul collo.
Ripensava a quella strana ragazza che al termine delle lezioni gli
aveva consegnato, balbettando imbarazzata, una piccola busta da lettere
di un tenue color rosa. Non aveva ancora avuto il coraggio di aprirla,
ma l’avrebbe fatto sicuramente una volta arrivato a casa,
nella tranquillità della sua stanza.
Un sacchetto di plastica volteggiò davanti a Naruto, come
animato da una qualche magia sembrava danzare nell’aria
secondo le note di una musica sconosciuta. Naruto si fermò
incantato a guardarlo e si riscosse solo quando una folata di vento
più forte delle altre spinse il sacchetto fino al mare dove
fu preso e trascinato al largo dalle onde.
Un rifiuto galleggiante nel bel mezzo delle acque non solo era una
scena inusuale ma anche inaccettabile per un abitante di Yonaguni.
Naruto aveva ben radicati dentro di sé la devozione e il
rispetto per il luogo che l’aveva visto nascere.
Aggrottò le sopracciglia e un profondo solco si
formò tra queste come tutte le volte che qualcosa lo turbava.
Appoggiò a terra scarpe e zaino e arrotolò i
pantaloni al ginocchio. Salì sul molo,
l’acqua sciabordava con colpi sordi sotto le assi di legno.
Al termine della passerella si accovacciò e allungando un
braccio cercò di recuperare il sacchetto, ma se
un’onda lo avvicinava, la corrente di ritorno lo allontanava
ancora di più.
“Accidenti!” Sbraitò. Quando si metteva
in testa una cosa difficilmente desisteva, quindi si levò la
camicia. Era piuttosto bravo a nuotare. Aveva imparato da bambino e a
suo zio Jiraiya piaceva raccontare di come sua madre l’avesse
partorito in acqua quasi senza accorgersene, non provando nemmeno
dolore. Naruto non diversamente da tutti i neonati aveva nuotato fin in
superficie per poi mettersi a piangere disperato, ma secondo lo zio
quello era un innegabile segno di predestinazione.
All’orizzonte fosche nubi promettevano tempo di burrasca. Il
vento era impetuoso e alzava alti gli schizzi delle onde fino a
colpirlo in volto. Il fascio di sole che illuminava la distesa erbosa
dove pascolavano i piccoli cavalli era svanito.
Si tuffò, l’acqua era fredda e blu, e
nuotò a grandi bracciate per raggiungere il sacchetto che
galleggiava tra le onde. La corrente era molto forte e quando si
voltò verso riva si rese conto di quanto si fosse
allontanato dal molo. Tornò a cercare il sacchetto, ma non
riuscì a vederlo da nessuna parte, forse era affondato
riempendosi d’acqua e lui si era gettato in mare per niente.
Colpì di striscio l’acqua con un pugno,
chissà cosa avrebbe pensato quella ragazza di
lui… che era un perfetto idiota al cento per cento.
“Cercavi questo?”
Si voltò di colpo trattenendo il fiato.
All’incirca a un braccio di distanza c’era un
ragazzo sconosciuto dai lineamenti delicati e i capelli scuri. Doveva
avere tra i quattordici e quindici anni perché Naruto
riconobbe sul suo viso la stessa aria insolente di alcuni compagni di
classe. Inoltre aveva avuto la sua stessa brillante idea di farsi un
bagno nel preludio di una tempesta e con questo ebbe la certezza che
fossero coetanei.
“Il mare non è posto per la tua
robaccia.” Aggiunse restituendogli il sacchetto.
Naruto si riscosse a quelle parole, era rimasto imbambolato a guardarlo
per un lasso di tempo troppo lungo. Sentì le orecchie calde
come il fuoco, nonostante gli battessero i denti dal freddo.
“Ehi, non è mio!”
“Allora perché ti sei gettato in acqua per
recuperarlo?”
“Perché? Perché il mare è
parte di noi, ognuno ha il dovere di prendersene cura!”
Quel ragazzo socchiuse gli occhi dal taglio a mandorla. Sulle labbra
aveva un sorrisetto sottile che nonostante fosse quasi impercettibile,
riuscì a infastidire Naruto.
“Ti faccio ridere per caso?”
Non ebbe risposta, ma questo non lo fece desistere neppure per un
istante. “Chi sei?” Lo incalzò.
“Chi diavolo sei tu.” Lo vide stringere il
sacchetto nel pugno. Era un tipo ostico, Naruto aggrottò la
fronte.
“Non c’era nessuno in mare, da dove spunti
fuori?”
“Ero già qui, ti ho visto tuffarti dal
molo.”
Naruto fece una smorfia, poi protese il braccio. Voleva stringergli la
mano e se la sua presa fosse stata sufficientemente energica forse
avrebbe potuto fidarsi delle sue parole.
“Io sono Naruto Uzumaki, qual è il tuo
nome?”
“Sasuke.” Rispose, limitandosi a osservare il palmo
aperto dell’altro, non sapendo che farsene di preciso.
“Sasuke e basta?” Immerse il braccio.
“Sasuke e basta.”
“Ok, come vuoi. Sai, non ti ho mai visto in giro
e all’isola ci conosciamo praticamente tutti. Sei
venuto in vacanza con la tua famiglia per caso?”
“No. Vivo qui da sempre.”
Naruto rimase in silenzio, la voce bassa e pacata del ragazzo gli
vibrò nella testa con un eco assordante, tanto da coprire il
rumore del mare e il fischio del vento.
“Impossibile!” Urlò. “Una
faccia come la tua a scuola non passa di certo inosservata!”
Naruto si morse la lingua per quello che aveva appena detto.
“Cioè, intendevo, una faccia da schiaffi del
genere…”
“Vogliamo parlare della tua? Ho visto spigole dallo sguardo
più sveglio.” Disse quello con un certo astio.
Un’onda s’infranse contro il viso di Naruto che
sputacchiò fuori l’acqua salata.
Le nuvole correvano sopra le loro teste e il cielo era verde come il
petrolio. L’aria era elettrica, di una vigorosa freschezza.
“Adesso basta! È meglio tornare a riva.”
Disse Naruto nuotando al suo fianco, ma Sasuke non sembrava dargli
ascolto.
“Ehi, muoviti!”
“Vai pure.”
“Stai scherzando? È pericoloso, sta arrivando una
tempesta!”
“Ti ho detto di andare, non pensare a me.”
La mano di Naruto agì prima del suo pensiero e
afferrò con forza il braccio di Sasuke. Il pallore perlaceo
della sua pelle era cosa strana per un isolano. Naruto
rabbrividì all’idea che quel ragazzo apparso tra
le onde come un fantasma lo fosse per davvero. Il fantasma di un
ragazzino affogato.
“Non è che sei lo spirito demone di un
naufrago?” Vociò con l’urgenza di dar
vita ai suoi folli pensieri, conficcandogli i polpastrelli bluastri e
raggrinziti nel braccio.
“Sei un idiota.” Sasuke sgranò gli
occhi. “Lasciami!”
“Non me ne vado senza di te.”
Tossì, risputando acqua, era difficile mantenersi a galla
con quelle onde e al contempo strattonare Sasuke. “Vuoi
finire affogato? È un attimo con quest’acqua
gelida che ti prenda un crampo e… mio zio una volta mi ha
racconta—”
Non riuscì a finire il discorso, le parole gli morirono in
gola quando una grossa coda di pesce dalle fulgide squame blu fece
capolino dall’acqua.
“Un marlin!” Esalò con un misto di
terrore e ammirazione nella voce.
“Non c’è nessun marlin!”
“Lì di fianco a te!
T’infilzerà con la sua spada!”Gli
tirò il braccio e Sasuke reagì con violenza
liberandosi finalmente dalla presa. Naruto lo guardò
stralunato, mentre quella coda riemergeva a tratti.
La consapevolezza che non poteva appartenere a nessun altro che a
Sasuke quasi lo stroncò sul colpo.
“S-sei, tu sei una sirena!” Disse e un brivido gli
percorse la spina dorsale facendogli drizzare anche la peluria sulla
nuca. Deglutì a vuoto e iniziò a pensare che
Sasuke stesse per saltargli al collo da un momento all’altro,
perché aveva un’espressione così dura
da essere terrificante.
“Sono un tritone, idiota.” Lo aggredì
verbalmente. La faccia ebete di Naruto non mutò.
“Un cosa?” Biascicò.
Sasuke strinse i denti, come offeso, e s’immerse tra i
flutti. Naruto rimase inerme in mezzo alle onde, fissando il punto
indefinito nel mare dove Sasuke era scomparso.
Aveva la pelle d’oca alta un centimetro, mentre sedeva sulla
battigia. I capelli gli gocciolavano fastidiosamente sugli occhi e sul
naso. Guardava il mare in tumulto e le nuvole gonfiarsi di pioggia,
plumbee e ronzanti. Il sacchetto giaceva ai suoi piedi cosparso di
sabbia.
Mise una mano sotto il sedere, qualcosa lo stava pungendo. Si
tastò la tasca avvertendo lo spigolo di una busta, la prese
ed estrasse la lettera al suo interno, talmente fradicia da sfaldarsi
tra le dita. L’inchiostro si era spanso per la pagina in una
macchia slavata; sul margine superiore a stento si riconoscevano gli
ideogrammi del suo nome e la parola compagno.
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