Till death do us part

di Tigre Rossa
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Ombra di ciò che non è più

 

 


 

“I fantasmi.
Prendono forma al chiaro di luna,
si materializzano nei sogni.
Ombre. Sagome
di ciò che non è più.”
-Ellen Hopkins-

 

 

 

 


“Thorin?”

Il nano dai capelli corvini alzò lo sguardo, incontrando quello limpido ma teso di Bilbo, che aspettava accanto alla porta, quasi incerto se entrare o meno.

Un piccolo accenno di sorriso –qualcosa di così raro, in quei ultimi giorni- gli illuminò brevemente  il viso. “Vieni pure, mastro scassinatore.” lo invitò, facendogli appena segno col capo.

Lo hobbit ubbidì, avvicinandosi con passo esitante e scrutandolo come se stesse cercando qualcosa nel suo viso che però non riuscì a trovare. Forse fu questo, nonostante la sua titubanza, a spingerlo a parlare con più forza e decisione di quanto si sarebbe mai aspettato lui stesso.

“Sei davvero deciso allora?” chiese, indicando con il mento la spada che l’altro stava pulendo ed affilando con attenta cura “Vuoi davvero una guerra che non possiamo vincere?”.

Il guerriero sospirò appena. Avrebbe dovuto aspettarselo. Sapeva che nessuno, all’interno di quella Montagna, era d’accordo con la sua decisione. Lo poteva vedere nei visi dei suoi compagni, negli sguardi preoccupati di Balin e Dwalin, nelle espressioni confuse ed allarmate di Fili e Kili, ma nessuno aveva osato dire niente a riguardo, se non qualche lieve timore che lui aveva stroncato sul nascere. Nessuno, tranne Bilbo. Il giovane ladro considerava quell’idea folle ed insensata e non aveva alcuna paura di ammetterlo, anzi. Aveva provato a discuterne più volte ed a lungo, senza preoccuparsi minimamente di poter incorrere nella sua ira, ma il rischio, almeno con lui, non esisteva.

“Ho già parlato di questo a sufficienza.” rispose con calma, continuando a lavorare “Non c’è alcuna guerra che la stirpe di Durin non possa . . .”

“Non possa vincere, sì, lo so. La solita cantilena.” finì la frase l’altro, alzando esasperato gli occhi al cielo “Scusami, ma ho un po’ di difficoltà a crederti, considerando che ci aspetta un intero esercito e noi siamo appena una manciata di persone. Esattamente come credi di poter vincere una guerra con questi presupposti?”.

Il nano sollevò la lama per studiarla bene, per poi ripetere piano “Come ti ho già detto, non sottovalutarmi.”

“Io non . . .” lo hobbit sospirò e decise di cambiare tattica. “Al resto della Compagnia non ci pensi? Alla tua famiglia? Ai ragazzi?” chiese, allargando le braccia e riuscendo a catture finalmente la sua attenzione “Potrebbero morire, domani. Tu potresti morire. Tutti noi potremmo morire. Anzi, è praticamente certo che moriremo, se qualche miracolo di Eru non verrà in nostro soccorso e, non lo so, ci farà cascare un esercito dal cielo!”

Thorin, cogliendo la preoccupazione nella sua voce sempre più alta ed irritata, finalmente posò la spada accanto a sé e si alzò, incontrando di nuovo il suo sguardo.

Si avvicinò a lui senza mai distogliere lo sguardo e lo scassinatore rimase fermo a sostenerlo, respirando affannosamente per la tensione. Il sovrano si fermò ad appena un passo da lui e rimase a fissarlo per qualche secondo, per poi lascarsi sfuggire ancora una volta l’accenno di un sorriso, cogliendolo completamente di sorpresa.

“Non temere, mastro Baggins.” lo rassicurò con un tono gentile che non sembrava quasi nemmeno il suo“Nessuno di noi morirà. Questa guerra finirà prima di quanto tu possa immaginare.”

Si fermò per un momento e lo hobbit socchiuse le labbra per replicare, ma prima che potesse farlo egli gli posò una mano sul collo, con la delicatezza di un avaro che sfiora il proprio tesoro, lasciandolo per un breve, interminabile momento senza fiato.

“E presto, tu sarai di nuovo a casa tua, a piantare la tua ghianda ed a vederla diventare una quercia.” aggiunse con tenerezza, gli occhi blu che brillavano come ben poco avevano fatto da quando erano giunti ad Erebor.

Lo scassinatore sbatté le ciglia un paio di volte, senza assolutamente sapere cosa dire o cosa fare, ma dopo avergli sfiorato appena qualche centimetro di pelle con la punta dei polpastrelli Thorin ritrasse la mano, sussurrando un deciso “Te lo prometto.”.

Bilbo abbassò appena lo sguardo, il cuore che tremava, del tutto impreparato.

“Lo spero davvero.”

 

Non sono riuscito a mantenere nemmeno quella promessa.

 

 

 

 

“Non pensavo che le vostre riunioni sarebbero state sempre così noiose.” sbruffò una vocetta annoiata appena a pochi passi da lui, ma Thorin si costrinse ad ignorarla e a concentrarsi sulle carte che aveva davanti, cercando di non dar peso a quella improvvisa stretta attorno al proprio cuore.

Non ascoltarlo.

“Niente da riferire dal turno di guardia notturno?” chiese forse con voce fin troppo alta, ma non abbastanza per coprire quella che aveva appena udito e continuava a mormorare in sottofondo qualche lieve lamentela.

Dwalin, seduto alla sua sinistra attorno al largo tavolo di quercia, scosse appena la testa “Tutto tranquillo.”

Prima che il re potesse chiedere altro si inserì Balin, allungando verso di lui una lettera aperta. “Stamattina è arrivato un corvo di lady Dis.” spiegò mentre egli la prendeva “Lei e il primo gruppo da Ered Luin partiranno non appena la neve si scioglierà e il tempo sarà abbastanza stabile per permettergli di viaggiare, quindi al massimo tra un paio di mesi.”.

Il nano diede un’occhiata veloce al messaggio, soffermandosi qualche secondo in più sulla firma della sorella, familiare e in qualche modo rassicurante, scritta velocemente ma con grazia in fondo alla pagina. “Bene.” commentò, sinceramente sollevato da quella notizia.

“Oh, sono davvero curioso di vederla!” commentò di nuovo la voce petulante “Sono certo che è molto più socievole di un certo nano di mia conoscenza. E che sa ascoltare quando le si parla, soprattutto.”.

Il guerriero fece un rumore sordo con la gola, per poi riprendere il controllo.

Non ascoltarlo, non ascoltarlo.

“Le scorte di cibo?” chiese ancora, fingendo ostinatamente di non aver sentito nulla.

Il piccolo Dori, rannicchiato accanto a Balin e quasi nascosto dietro una pila enorme di pergamene, si affrettò a rispondere “Sono sufficienti ancora per due settimane, ma converrebbe rifornirci prima che la strada ghiacci di nuovo.”

L’altro si accarezzò piano la barba, pensieroso, prima di ordinare al nipote più grande, seduto proprio accanto a lui “Invia un corvo a Dale ed organizza un incontro con Bard entro i prossimi tre giorni. Gli ultimi rifornimenti da Bosco Atro dovrebbero essere arrivati, ormai.”

Fili annuì, prendendo in fretta appunti. Lo zio notò la mano della spada tremare impercettibilmente ma preferì non commentare, pur di non dare inizio all’ennesima discussione. Nonostante ciò il suo tentativo di mantenere la tranquillità non era destinato a durare.

Infatti il ragazzo, con ancora la penna in mano e lo sguardo fisso sul foglio, propose un po’ arditamente “Potremmo andare io e Kili, questa settimana. Possiamo occuparci noi degli scambi e dei pagamenti. Non c’è bisogno che lasci tu stesso la Montagna ogni volta.”.

Thorin trattenne a stento un sospiro rassegnato. Avrebbe dovuto aspettarsi quell’obbiezione, dopotutto.

“Non se ne parla.” disse in un tono che non ammetteva repliche, cosa che il nipote ignorò deliberatamente, alzando lo sguardo e protestando con decisione.

“Zio, andiamo.” insistette “Affidaci qualcuno dei tuoi compiti. Siamo i tuoi eredi, puoi fidarti di noi.”.

Il re si costrinse a sorridere di fronte a quell’ennesima dimostrazione di affetto e lealtà. “Mi fido di voi.” lo rassicurò, posandogli una mano sulla spalla “Ma come hai appena detto, siete i miei eredi, ed in quanto tali avete compiti diversi dai miei. Compiti che al momento non contemplano viaggi a Dale.”.

“Ma . . .”

“È la mia ultima parola a riguardo.” lo bloccò, la voce improvvisamente ferma e decisa, ritirando la mano e tornando a studiare le proprie carte mentre al suo fianco il nipote chiudeva per un istante gli occhi, esasperato per quella nuova sconfitta.

Dopo qualche secondo di silenzio, la voce insistente, ora quasi gentile, si intromise di nuovo “Dovresti davvero lasciarli uscire. Stanno facendo la muffa, chiusi qua dentro da più di un mese. E sai che i tuoi nipoti non sanno stare belli tranquilli in un angolino. Temo abbiano preso decisamente da te, purtroppo.”.

Il nano strinse i denti, lottando contro se stesso per non reagire.

Non. Ascoltarlo.

La voce, improvvisamente più vicina, aggiunse ancora, con ancora più dolcezza “Non puoi proteggerli mettendoli sotto una campana di vetro, lo sai. Non funziona così. Dovresti averlo capito, ormai. Come puoi pretendere di riuscirci, se non ha funzionato nemmeno con me?”.

Prima di potersene rendere conto, Thorin alzò lo sguardo di scatto, come ogni singola volta che la voce pronunciava qualcosa di fin troppo doloroso da poter essere ignorata. Non durò nemmeno un intero secondo, ma scorgere appena la sagoma evanescente eppure chiara di Bilbo, in piedi accanto a Fili, fece male quanto la volta precedente, e quella prima, e quella prima ancora.

Il re si costrinse a distogliere lo sguardo prima che l’ombra potesse rendersene conto e, con voce appena tentennante, chiese in fretta “C’è altro?”.

Il resto del consiglio scosse appena la testa e allora egli, senza troppe cerimonie, pose fine alla riunione giornaliera e uscì dalla stanza più velocemente che poté senza destar sospetti o far notare agli altri la sua fretta d’allontanarsi da quella ombra invisibile a qualsiasi occhi, tranne che ai suoi.

Nessuno della Compagnia doveva sapere.

Nessuno avrebbe mai dovuto sapere.

 

Prima che potesse andare troppo lontano, però, una mano gentile ma salda si fermò sul suo avambraccio, trattenendolo mentre tutti gli altri nani si recavano alle proprie occupazione giornaliere.

Thorin contò mentalmente fino a tre e poi si voltò, ritrovandosi davanti il volto gentile ma serio di Balin.

“Che cosa ho dimenticato, questa volta?” chiese bruscamente, ma non con reale cattiveria. Sapeva che i suoi modi duri avevano l’effetto di allontanare gli altri, e in quel momento sentiva solo il bisogno di stare lontano da tutto e tutti, almeno per un po’. Ma Balin lo conosceva da una vita, l’aveva visto crescere e sapeva come non farsi intimorire da uno sguardo gelido e un tono tagliente.

Il vecchio nano infatti fece un piccolo sorriso nel lasciarlo andare e disse, con tutta la semplicità del mondo “Hai dimenticato che il consiglio reale serve per consigliare il re, non solo per ripetere informazioni ch tu stesso conosci benissimo.”.

Il corvino incrociò le braccia, cercando di capire dove il suo vecchio istruttore volesse andare a parare “Aye, mi è chiaro il concetto di consiglio reale.” replicò “Quindi?”.

“Quindi, quando qualcuno di noi ti da’ un consiglio, dovresti ascoltarlo. Anche se viene dai tuoi nipoti. Anzi, soprattutto se viene dai tuoi nipoti.” continuò l’anziano con infinita pazienza “Permettigli di farsi carico di un paio dei tuoi doveri. Ne sono più che capaci e gli farà bene avere veramente qualcosa da fare. Un piccolo viaggio a Dale, dovutamente accompagnati, sarebbe una buona idea.”.

“Vedi che non sono l’unico a dirlo?” intervenne nuovamente, quasi confortata, la voce di Bilbo, che sembrava quasi provenire dalla sua sinistra, appena qualche passo dietro di lui “Grazie Balin, forse questo maledetto testardo ascolterà almeno te.”.

Il guerriero strinse i denti e si impose di concentrarsi sulla persona che aveva davanti. “Ascolto tutti i vostri consigli, ma sta a me scegliere se accettarli o meno. E questo non posso accettarlo.” rispose, tentando di usare il proprio tono più ragionevole e pacato “Non credo che sia ancora il caso di fargli lasciare la Montagna, anche se per poche ore. La mano di Fili trema ancora e Kili ha ripreso da poco a camminare come si deve . . .”.

“Ma nel frattempo quelle piccole pesti hanno ricominciato a saltellare in giro per Erebor come due grilli vagabondi. Oin stesso ritiene che si stiano riprendendo alla grande e che tenerli impegnati con qualcosa che non sia solo mandare messaggi e controllare i corvi gli farebbe bene.” lo bloccò in fretta il consigliere, per poi aggiungere prima che potesse ribattere “E poi, loro non sono gli unici a portarsi ancora dietro le ferite della battaglia ed a doversi prendere cura di se stessi.”.

Thorin lo fulminò con lo sguardo “Sono quasi morti poco più di un mese fa.” sibilò piano.

“Anche tu.” sussurrò la voce, lentamente e quasi con dolore, ora talmente vicina che quelle parole gli sfiorarono la guancia come una fredda carezza.

Non è la stessa cosa.

“Anche tu.” ripeté inconsapevolmente Balin, iniziando a scaldarsi “Eppure da quella notte non ti sei fermato nemmeno un secondo, o sbaglio?”.

Il sovrano tentò di negare, ma l’altro non gli diede modo di farlo “Non sei fatto di mithril, anche se ti piace pensarlo. Non puoi continuare a trascinarti in giro per pura forza di volontà. Permettici di aiutarti, per quel poco che ci è possibile. Hai bisogno di rallentare, di prenderti il tempo di raccogliere di nuovo le forze e di guarire.”.

Egli si affrettò a rassicurarlo, notando la sua preoccupazione “So che ti preoccupi per me, Balin, e lo apprezzo davvero. Ma non c’è alcun bisogno di farlo. Mi sto già riprendendo, anche se zoppico ancora e la spalla continua a farmi male. Sono stato molto peggio in passato, e lo sai fin troppo bene.”

Balin si limitò a scuotere la testa “Non sto parlando di ferite fisiche, ragazzo. Quelle, presto a tardi, anche trascurandole, se ne andranno. Ma ce ne sono altre che non guariranno mai, se tu non gli darai le cure di cui necessitano. E alla lunga ti faranno crollare.”

“Non c’è niente da cui io debba guarire.” ribatté il corvino, questa volta un po’ troppo bruscamente “Sto bene, e sono più che capace di badare a tutti voi. E, quando gli altri arriveranno, sarò capace di badare anche a loro.”.

“Ma sarai capace di badare a te stesso?” si intromise, quasi con stizza, la voce dell’ombra “Perché per esperienza personale posso assicurarti che no, non ne sei per nulla capace.”.

Il re strinse i pugni con forza a quelle parole, irrispettose ma fin troppo sincere.

Non. Devi. Ascoltarlo.

Il nano, notando quel gesto, si mosse verso di lui e gli posò una mano sulla spalla come per tranquillizzarlo. “So che ne sei capace.” lo rassicurò con tutto l’affetto e la sincerità di cui era capace “Per anni non hai fatto altro che prenderti cura del nostro popolo, e so che continuerai a farlo anche quando avrai una corona sulla testa. Sarai un bravo re, Thorin. Ma tutti i bravi re devono ricordarsi, ogni tanto, che anche loro sono importanti.”.

Il corvino gli spostò in un gesto rapido e secco il braccio. “Ho visto i miei nipoti rischiare di morire di fronte ai miei occhi.” affermò con voce fredda e decisa, ritornando all’argomento iniziale della loro discussione “Non li lascerò uscire da questa Montagna fino a quando non saranno di nuovo capaci di affrontare i pericoli che ci sono là fuori. Questa è la mia decisione a riguardo, e non ho intenzione di discuterne ancora. Sono stato chiaro?”.

Il vecchio guerriero indietreggiò appena di un passo, come preso alla sprovvista da quella secca affermazione. Rimase lì, immobile, a sostenere il suo sguardo per qualche secondo, e quando finalmente parlò di nuovo ciò che disse non fu la risposta che l’altro si aspettava.

“Se lui fosse qui ti direbbe esattamente quello che ho detto io. E tu lo ascolteresti.”

Balin non specificò chi fosse quel ‘lui’. Non ce n’era bisogno.

Il figlio di Durin si congelò per un lungo momento, mentre quelle parole gli stringevano il cuore in una morsa, impedendogli di battere. Lottò con forza contro di essa, tentando di allentarla, e appena il sangue riprese a circolare un po’ a fatica nelle sue vene fece un passo in avanti, sostenendo lo sguardo dell’altro con ferma freddezza.

“Forse.” sussurrò, la voce talmente bassa che lui stesso la colse a fatica “Ma lui non è qui.”.

 

Poi, prima che l’anziano amico potesse dire altro, si voltò e alzò lo sguardo verso il corridoio, deciso ad andarsene.

 

Fu solo in quel momento che lo vide lì, in piedi ad appena qualche passo di distanza da lui, talmente vicino che gli sarebbe bastato allungare una mano per toccarlo.

 

Perse un attimo il respiro. Erano settimane che cercava di evitarlo anche solo di sfiorarlo con la coda dell’occhio ed era diventato particolarmente abile nel farlo. Non lo guardava in maniera così diretta e chiara dalla notte dell’incubo, e ciò lo lasciò per qualche istante senza la forza di fare altro se non perdersi in quell’ombra che mai, prima di quel momento, era stata tanto tangibile.

I suoi capelli ramati erano arruffati come se vi avesse passato le mani più volte, come faceva solo nei momenti in cui era davvero troppo teso per riuscire a pensare. La giacca blu era aperta, rivelando il pallido luccichio di mithril, e le mani erano entrambe strette a pugno, come se si stesse trattenendo dal colpire qualcosa.

Ma ciò che lo ferì di più fu il suo viso.

La bocca era socchiusa, come se non riuscisse a respirare, e i grandi occhi blu erano spalancati, colmi di una tempesta di emozioni a cui non poteva, o forse non voleva, dare un nome.

Aveva visto quell’espressione sul suo viso solo una volta, un mese prima, ma non l’aveva più dimenticata. Era la stessa identica espressione del giorno in cui aveva tentato di ucciderlo, cercando di buttarlo lui stesso giù dalle mura.

Quell’identica sensazione di tradimento di quel momento era riflessa lì, in quei occhi blu che ora erano incatenati ai suoi e che, nello stesso istante in cui si incontrarono, si resero conto di essere riusciti, dopo tanto tempo, nel proprio intento.

 

Thorin distolse in fretta lo sguardo, ma ormai era troppo tardi.

 L’aveva guardato, e il riflesso lo sapeva.

“Non sono qui?” ripeté lentamente la voce, con quella gelida calma che prometteva di trasformarsi in tempesta che lui conosceva tanto bene “È questo che pensi, davvero?”.

Il re deglutì a vuoto e si mosse in avanti, prendendo la strada per la sua stanza più velocemente che poté, lasciandosi alle spalle Balin nonostante lo chiamasse insistentemente.

Ma lui non lo sentì nemmeno una volta. Non con la voce di Bilbo che, di parola in parola più furiosa, lo seguiva, urlandogli contro come avrebbe fatto davvero appena un mese prima.

“Non ignorarmi, tu! Non ci provare nemmeno! Sono passate settimane e sono stufo di questo gioco! Stufo, hai capito?”.

Non ascoltarlo.

Il nano continuò a camminare, tentando di ignorare le urla che seguivano i suoi passi, senza realmente riuscirci, mentre la mano destra gli tremava impercettibilmente.

“Si può sapere perché mi stai facendo questo? Puoi vedermi, eppure ti comporti come se non ne fossi capace. Eppure quella sera l’hai ammesso. E l’ho visto nei tuoi occhi, prima. Perché ti comporti come se non fossi qui?”

Ci fu un accenno di singhiozzo, in quell’ultima frase, che lo spinse quasi a girarsi, pallido riflesso di un istinto che si affrettò a reprimere, pur di non cedere. Continuò a camminare, andando contro il suo stesso corpo, che urlava insieme a quella voce distrutta e rabbiosa.

Non . . . qualsiasi cosa dica, non ascoltarlo.

“So che mi senti, dannato nano testardo! Non fingere che la mia voce non riesca a raggiungerti, perché so che non è così. Lo vedo. Il tuo corpo ti tradisce. Le tue mani, i tuoi passi, i tuoi occhi, tutto di te non riesce a nascondere la verità, tranne la tua voce. Parlami, per Eru! Sono proprio qui, accanto a te!”

Lui non è qui. Non davvero. Quindi, non ascoltarlo. Non puoi permettertelo.

Il sovrano arrivò finalmente all’ultimo corridoio che lo separava dalla sua stanza e ciò gli diede la forza di accelerare un po’ il passo.

La voce lo raggiunse un po’ più in ritardo questa volta ed era quasi affannosa, come se non riuscisse a stargli dietro. O come se stesse lottando contro le lacrime.

“Smettila di scappare da me! Rispondimi, maledizione! Guardami!”.

Il corvino esitò, la mano appena posata sulla maniglia, mentre quelle urla lo pugnalavano in frammenti della sua anima che nemmeno sapeva d’avere, ma poi si costrinse ad aprire la porta e a scivolare dentro.

Sperava che una volta là la voce si sarebbe arrestata, ma non fu così. Continuò, imperturbabile, di nuovo vicina e quasi rassegnata, questa volta, come se si stesse arrendendo, lui che non si era mai arreso.

“Valgo così poco da poter essere ignorato come se fossi meno di un sussurro portato dal vento?”

Ci fu un instante di silenzio soffocato, e poi una frase sussurrata appena lo trafisse come se fosse stata una lama di fuoco piantata nel cuore.

“Sono davvero sempre stato così insignificante, per te?”

 

A quelle parole, Thorin cedette.

 

“Basta!” urlò, girandosi con gli occhi ed i pugni serrati, la voce che gli uscì dalle labbra come il lamento straziante di un uomo ferito a morte.

Dopo qualche breve secondo, il nano respirò a fondo e ripeté, a voce più bassa ma comunque lancinante “Basta. Smettila, adesso.”.

Sentendo solo la quiete attorno a lui, non più turbata da quella voce tanto insistente, si costrinse ad aprire gli occhi, ma se ne pentì nel momento stesso in cui lo fece.

Bilbo era esattamente davanti a lui, talmente vicino che avrebbe potuto contare ogni singola lentiggine sul suo viso pallido e malinconico, così diverso da quello roseo e luminoso dei suoi ricordi. Aveva una mano serrata intorno alla bocca, come se stesse trattenendo un singhiozzo o forse un grido, e i suoi occhi, enormi e lucidi, erano fissi su di lui, increduli ed incapaci di fare altro che guardarlo.

Il re sentì una parte di sé sgretolarsi di fronte a quel riflesso, addirittura più straziante delle sue precedenti urla. Socchiuse la labbra, incerto su cosa dire, ma alla fine l’unica cosa che ebbe la forza di pronunciare fu un supplica, lui che non aveva mai supplicato in tutta la sua vita “Smettila di tormentarmi. Ti prego.”.

A quelle parole, l’ombra lasciò ricadere la mano, senza però mai distogliere gli occhi dai suoi. Rimase in silenzio per qualche attimo, ma quando parlò di nuovo la sua voce, nonostante tremasse appena, aveva una sfumatura che l’altro ebbe difficoltà a riconoscere in un primo momento, ma quando lo fece si sentì mancare il fiato.

 “È questo quello che credi, quindi? Che ti stia tormentando?” sussurrò piano, come se solo pronunciare quelle parole lo ferisse i profondità.

Delusione. La stessa delusione di quel giorno, alle porte di Erebor.

Il nano rimase in silenzio ed egli continuò, mordendosi le labbra e trafiggendolo con lo sguardo.

“Dopo che tu mi hai dato speranza e poi me l’hai strappata dalle mani, comportandoti come se quella notte tu non mi avessi mai visto e non avessi mai pronunciato il mio nome? Dopo che mi hai ignorato per settimane, come se fossi solo un sogno, un pallido riflesso della luna, lasciandomi ad aspettare invano che tu mi guadassi e mi parlassi anche solo un’altra volta?” chiese, gli occhi ormai divenuti freddi specchi illeggibili “Dopo tutto questo sarei io a tormentare te, Thorin Scudodiquercia?”.

 

Fu il modo in cui il riflesso pronunciò il suo nome che fece sorgere il dubbio nel suo cuore.

 

Non quegli occhi, di cui conosceva a memoria ogni sfumatura, né quelle parole colme di rabbia e allo stesso tempo di sconforto, simili a quelle che gli aveva rivolto quando aveva scoperto del suo tradimento.

Fu il modo in cui pronunciò il suo nome completo, un modo che nessuno al mondo, nemmeno lui, sarebbe mai riuscito ad emulare. Il modo in cui solo Bilbo lo chiamava. Come se quel nome, nonostante tutta la furia, la frustrazione e la rabbia, fosse qualcosa di prezioso, di speciale, da custodire e proteggere nonostante facesse male. Come se quel nome fosse qualcosa di talmente fragile da dover essere pronunciato con delicatezza, altrimenti si sarebbe infranto, e con esso anche lui.

Lo stesso modo in cui l’aveva pronunciato l’ultima volta, prima che tutto finisse.

 

Il re esitò per qualche istante, prima di osare chiedere, quasi contro la sua stessa volontà “Che cosa sei?”.

A quella domanda l’ombra si bloccò ed aggrottò la fronte, visibilmente confusa, senza riuscire a capire “Che cosa?”.

“Se non sei un sogno, che cosa sei?” ripeté piano, come se nemmeno lui riuscisse a capire davvero ciò che gli stava chiedendo.

Il riflesso parve turbato e alo stesso tempo irritato. “Cosa potrei mai essere?” sbottò, allargando le braccia come se la risposta fosse ovvia. “Sono Bilbo.”

Quell’affermazione, in qualche modo, gli fece ancora più male. “No.” negò con forza, scuotendo appena la testa ma senza mai distogliere lo sguardo “Non puoi essere lui. Lui è . . . è . . .”

Si fermò, incapace di andare avanti, o forse senza la forza di farlo.

Non poteva dirlo. Non riusciva a dirlo, nonostante sapesse che fosse la realtà.

Ma lui parve capire, poiché annuì e, con voce improvvisamente rassegnata e quasi dolce, parlò per lui.

“Sì, suppongo che sia vero. Ricordo la spada di Azog attraversarmi da parte a parte, l’odore del sangue riempirmi le narici, la sensazione improvvisa di freddo.” disse, portandosi le mani nel punto preciso dove la lama gli aveva straziato le carni. “Ricordo le tue braccia che mi stringevano mentre le forze mi abbandonavano. E ricordo il suono della tua voce che si attenuava fino a scomparire.”.

Il corvino trattenne il fiato a quelle parole, ma l’ombra non gli diede modo di dire altro perché continuò piano, stringendo la mano sulla cotta di mithril all’altezza del cuore “Sono decisamente, decisamente morto. Eppure sono qui, di fronte a te. Sono sempre qui. E sono sempre io.”.

Thorin indietreggiò appena, serrando nuovamente gli occhi con forza. “No.” negò nuovamente, la voce che tremava impercettibilmente “Non è possibile.”.

Il riflesso fece per parlare ancora, ma l’altro glielo impedì, sussurrando quasi a sé stesso, come se stesse cercando di ricordarsi una verità di cui era fin troppo consapevole, nonostante gli facesse più male di qualsiasi altra cosa “Sei solo frutto della mia mente. Sei un’ombra che la mia mente malata ha deciso di mettermi contro ancora una volta. Sto impazzendo. Di nuovo. Sei solo nella mia mente. Non sei reale. Non potrai mai essere reale.”

Bilbo trattene per un attimo il fiato, mentre quelle parole lo colpivano con la forza di una nuova ed atroce consapevolezza, e subito si avvicinò a lui e, con urgenza, tentò di rassicurarlo.

“No, per Eru, no. Non vengo dalla malattia. Non sono un’illusione. Sono io. Sono davvero io.” mormorò con delicatezza, incapace di vederlo in quel modo, ma il nano scosse nuovamente la testa, portandosi una mano di fronte al viso.

L’ombra insistette, un tono urgente nella voce man mano che continuava a parlare “Non so bene cosa io sia, in realtà, ma so di non venire dalla tua testa. So di essere io. So di essere Bilbo. Te lo giuro.”.

Il re gemette, stringendo gli occhi con ancora più forza. Sapeva che non poteva essere reale, anche se una parte di sé lo desiderava con la stessa intensità con la quale aveva bramato Erebor. Non poteva esserlo, e quel continuo negare non faceva altro che prolungare quell’agonia ed alimentare i suoi falsi, folli dubbi.

“Basta.” ripeté ancora, la voce soffocata “Vattene ora.”.

Il riflesso lo fissò impotente, non sapendo cosa altro dire. Poi, dopo qualche secondo, una scintilla gli illumino gli occhi smarriti e, con improvvisa decisione, disse “Vuoi una prova che sia davvero io? Ti dirò qualcosa che solo io posso sapere.”.

Il corvino si immobilizzò, preso alla sprovvista da quell’offerta, e l’altro andò avanti, sentendosi un po’ rassicurato da quella reazione “Nel mio zaino, avvolta al sicuro dentro il contratto, c’è una cosa che solo io e te conosciamo.”.

“Che cosa?” chiese riaprendo gli occhi ed abbassando la mano per poter studiare l’ombra.

Essa scosse la testa. “Lo capirai quando la vedrai.” si limitò a replicare.

“Non ho più il tuo zaino.”.

Bilbo gli lanciò uno sguardo a metà strada tra il seccato e l’affettuoso, incrociando le braccia e stringendo le labbra. “Bugiardo.” disse, indicando poi con un cenno della testa il baule di fronte al letto, a pochi passi da loro.

L’altro rimase per qualche momento fermo, gli occhi che andavano, veloci ed incerti, dalla figura di fronte a lui al baule, non sapendo se dargli ascolto o meno. Alla fine però, lentamente, si avvicinò al mobile e lo aprì, estraendo con cura e delicatezza il piccolo zaino distrutto dello hobbit.

Era stato Bofur a darglielo, il giorno prima del funerale. Non l’aveva mai aperto. Non aveva avuto nemmeno la forza di averlo tutto il tempo davanti agli occhi, ma neanche quella di svuotarlo del suo contenuto e buttarlo, così l’aveva conservato, quasi istintivamente.

Con le mani che gli tremavano sempre di più, lo posò sul letto e lo aprì. La prima cosa che vide, in mezzo a quella delicata confusione, fu il colore familiare della pergamena. Allungò una mano e la tirò fuori, tenendola per qualche istante tra i polpastrelli. Sembrava passato così tanto tempo dall’ultima volta che l’aveva tenuto il contratto in mano, quando glielo aveva sbattuto in malo modo sul petto, quella sera di mesi e mesi prima. Era stato conservato con attenzione e piegato con cura, ma proprio al centro c’era un piccolo rigonfiamento, come se ci fosse nascosto qualcosa.

Facendo attenzione a non sciupare la carta, la aprì lentamente e, quando vide ciò che era conservato al’interno, rimase senza fiato per un istante.

Lì, proprio sopra le firme che sembravano essere state tracciate un secolo prima, posata con delicatezza, c’era una ghianda. La stessa ghianda di quel giorno, nei corridoi di Erebor.

“So che non l’hai mai trovata prima, anche se l’hai cercata tanto.” la voce, nuovamente vicina e quasi malinconica, spezzò il silenzio “Per metterla nella mia tomba, suppongo.”.

Il re annuì quasi senza accorgersene, posando anche il contratto sul letto e prendendo tra le dita, quasi con riverenza, la ghianda che sembrava ancora più piccola nella sua mano segnata da anni di guerre.

“Non era nelle tue tasche.” mormorò piano, senza mai smettere di guardarla “Credevo che l’avessi persa sul campo di battaglia.”.

“Non l’avrei mai portata in mezzo a quel caos. L’ho conservata qui, al sicuro, in modo da non rischiare.” spiegò la voce, come se fosse la cosa più naturale del mondo “Speravo davvero di veder crescere quella quercia, sai?”.

Il cuore del sopravvissuto si contorse dolorosamente, mentre egli stringeva forte la ghianda, come se fosse una piccola ancora in mezzo alla tempesta.

Lentamente alzò lo sguardo e i suoi occhi, spalancati ed increduli, incontrarono quelli gentili ed in attesa dell’ombra. Rimasero così, a fissarsi, per un lunghissimo momento, prima che il nano trovasse la forza ed il coraggio di chiedere ciò che la sua anima agonizzante aveva così bisogno di sapere.

“Sei . . . sei davvero tu? Sei davvero qui?”.

Il riflesso annuì “Non potrei essere nient’altro e da nessuna altra parte.”.

No. insistette ancora una volta la parte più ragionale di lui. Non può essere. Non può essere reale. Semplicemente non può.

Eppure lo era. O almeno, questo era quello che il suo cuore straziato sentiva e credeva con tutto se stesso, nonostante tutto.

Thorin prese un profondo respiro e poi si lasciò andare.

“Bilbo?” lo chiamò, un’invocazione, una domanda e una risposta allo stesso tempo.

Finalmente, quegli occhi blu che tanto l’avevano tormentato iniziarono a brillare, nonostante lottassero per non farsi sfuggire nemmeno una lacrima.

“Ciao, Thorin.”

Bilbo sorrise, il primo vero sorriso dopo tanto, troppo tempo.

 

 

 

 

 

 

 





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