D'Amore, di Morte e di altre sciocchezze di LaCittaVecchia (/viewuser.php?uid=1061492)
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Spero che la prolungata assenza non abbia demotivato i miei otto recensori che tanto ringrazio, credetemi non lo si è fatto apposta.
D'altro canto questo mi permette di pubblicare anche la chiusa in una data particolare della storia dei nostri.
A chi mi concedesse pazienza faccio un piccolo preambolo, il saltarlo non sminuirà comunque la comprensione del testo vero e proprio.
Cosa fa assurgere un personaggio ad un simbolo? Qui riporto ed assemblo vari contributi e lascio a voi il giudizio.
"Un eroe tragico è una persona, solitamente di nobile nascita, con qualità eroiche o potenzialmente eroiche.
Questa persona è condannata dal destino a sopportare grandi sofferenze.
L'eroe lotta mirabilmente contro questo destino, ma fallisce a causa di un difetto o errore
[..]
La tragedia consiste proprio nella drammaticità tangibile del conflitto che l’eroe vive,
costretto a scelte difficili e scomode e non in linea con la convenzione sociale,
anzi spesso in contrapposizione netta con questa. E quindi prova sentimenti moderni,
quali conflitti interiori, angoscia, disperazione, ma soprattutto senso di eccezionale solitudine
[..]
Appassionarsi a un personaggio significa conquistare una certa familiarità con le sue azioni,
con la sua vita, la sua personalità; identificarsi in qualche modo con quegli aspetti
che sembrano riecheggiare nel profondo della nostra anima, che destano in noi sentimenti sopiti.
Quando la nostra coscienza prova gli stessi sbalzi, lo stesso tormento, la stessa inquietudine,
possiamo serenamente affermare che l’autore è riuscito a parlare dei sentimenti degli uomini nella loro universalità."
Oscar e Andrè per me sono questo, ci mostrano l'unione di due anime
vissuta nei molteplici aspetti che l'attraversare le fasi della vita ha loro concesso: fratellanza, amicizia ed amore.
Da subito si sono trovati a formare una monade che in quanto tale ha tratto da sè stessa la forza
per superare fino all'ultima le prove di un destino "cinico e baro".
Anche per questo ho voluto metterli ancora alla prova, nell'Inferno.
Non certo per il gusto di vederli soffrire ma per mostrare anche in quel contesto estremo
la forza della loro unione (uso "sigillo" nel brano) e come essa venga pure lì riconosciuta.
Vedi nelle due parti precedenti il rispetto di Caronte per Andrè
che non vuole attraversare l'Acheronte perchè fermo ad aspettare Oscar,
oppure quello di Minosse che nel suo giudizio non ardisce a separarli.
Ed alla fine della chiusa spero si capirà come,
pur lontani dalla Luce, si compirà il loro destino.
"26 Agosto Chiusa o Il nome di una Rosa"
"Pur se cento fiate tua grazia indulge"
ripres'uom dopo silenziosa attesa
"mille altre ancor il cercherò che mai
perdon basti allo strazio ch'io ti diedi
et medesimo disperar perdono.
Perchè tu fosti mia intera famiglia [1]
sorella e madre amate ancor che sposa
ed a tutte di rispetto le mancai."
Ascoltò donna in doloroso petto
e tacendo a lui più s'avvicinava
mossa d'un disio ond'ella ardeva
di quel portar al passo del perdono.
Ma quel con palme aperte amaro stette
"Sian conti tuoi passi a rispettar ciò
ché per etterna legge è stabilito.
Questo chiedo e più non t'avanzare"
ch'empetrar fec'ella et suo disio.
Io ch'assistea a lor intimo parlar
a pena ebbi la voce che rispuose
"Se m'allontani com'io feci allor
allor sbagliando, or non può fallare
Natur di legge ch'obbedir dobbiamo".
Con pugno chiuso su la fronte bassa
"Sempre insieme, etternalmente divisi!
Nostra colpa là sù cotanto costa
ch'amor consunse come Sol vapori?
Dov'è giustizia? Perchè ti persi?
Dimmelo tu Andrè, tutto è finito?"
Poscia si ristette all'aura morta
dispetta et scura in doloroso pianto.
"Questo non sia cagion di tuo pianto [2],
Amor che ne la mente mi ragiona"
cominciò elli allor sì dolcemente
che la dolcezza ancor dentro mi suona
e ben si terminò come s'inizia
per tòrle il biasmo in che era condotta
"non face noi dubitar d'alto giudizio
ch'a noi altra strada chiede tenere".
Tutto smarrito de la grande angoscia
che m'avea contristati li occhi e 'l petto
qual è quel che cade e non sa como,
così io m'era inginocchiato e vidi
tra macerie di demon iscavate
a germogliar d'un fior il manufatto.
Di povera tela constava ordito
et a candida rosa si mostrava
volgiendo inver'me le sue ghirlande
sì che l'estrema a l'intima risponde.
Ma piagato e sanza cura m'appariva
da bufera etternalmente battuto
ancor ch'offeso da bestial viltade.
Non mi parea cosa di quel mondo [3]
chè 'l bene, in quanto ben, così s'intende.
Per cui di mie man venni al soccorso
con fitte pietre a riparar lo vento
e carezzar corolle de lo stelo.
"Io non potea far ciò che tu feci!"
dissemi voce fattasi vicina.
Di maraviglia, credo, mi dipinsi
per che l'Ombra sorrise e si ritrasse.
Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto!
più volte dietro a lui le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto.
Allor nel suo parlar mi feci fitto
"Dell'ardori e del lavor ch'in vita
noi ponemmo e del perdono che n'avemmo
codesto fior porta sembianza ond'io
son suo custode e costei guardiano.
Vedi che del disio ver' lei mi piego
per consolar pianto che mi percuote
ma nol c'è permesso incontro finchè
a dimostrar vanità d'umane forze
tal sembianza è offesa in esto fondo.
Lotta spirto guerrier ch'entro le rugge
ed io cura, in tenzon sanza riposo,
ma nostra virtude fiacca per lo peso.
L'opra tua fu certo lassù voluta
portarci segno et significazione
come lavor non fu tutto sbagliato.
Davvero or noi sappiamo che quel Giorno
nostro sigillo avrà sguardo del Ciel
ch'a maggior cura al nostro ben porremo."
Poscia che m'ebbe ragionato questo,
mi levai qual'uom si leva a rimirar,
smarrito tutto de la grande angoscia
ch'elli ha sofferta, e guardando sospira.
Vidi d'Ombra ciò che mi sembiava riso
e di madonna incontrai meraviglia
dolce color d'oriental zaffiro,
che m'accoglieva nel sereno aspetto
puro infino al lume di suo sorriso
or che speranza avea suo cuor acceso.
"La buona sembianza ch'io veggio e noto
in tutti li ardor vostri consola alquanto
l'anima mia, che, con la sua persona
venendo qui, s'è affannata tanto!"
Dissi a quella gente ed al mio maestro
ch'or eravamo tutti sì contenti,
come a nessun toccasse altro la mente.
Poi come di fiamma essi disparver
e di fiamma il calor in me riparve.
"Mio duca, a nobildonna nom non chiesi
ed ella a me nol disse". "Figliuol mio,
inver cotal t'importa di sapere?
Stat rosa pristina nomine,
nomina nuda tenemus [4]."
Poi come gente che pensa a suo cammino
volsesi el a quel fondo e dissemi
"Vexilla regis prodeunt inferni!"
m'altro vessillo di me retro stava
che mutava in conforto mia paura.
Allor si mosse ed io li tenni dietro.
[1] Ispirato da "Un angelo biondo" di Sara2000
[2] Ci sarebbe stato bene "Oscar, perché stai piangendo?".. ma andava contro esigenze del finale.
[3] Non appartiene al mondo delle anime, è il fiore materiale. Inoltre appare simbolo di cosa buona per cui non appartiene al mondo infernale.
[4] E' la chiusura del romanzo "Il nome della Rosa" di Umberto Eco.
Così finisce la mia storia sui nostri eroi "della cui mirabil vita meglio in gloria del ciel si canterebbe".
Ma come già detto il limite è lo scrittore.. ed anche il suo gusto in fondo.
Grazie a chi è riusciuto a seguirmi fin qui, ora che ho contribuito come potevo,
mi sento di leggere sereno le tante storie che popolano questo sito.
Adieu :-) |
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