tritone capitolo due
A luglio aveva inizio
la stagione
di pesca al pesce spada. Era il periodo dell’anno con il
maggior
afflusso di stranieri all’isola, provenienti soprattutto
dalla
Cina e dall’America. Il mare nelle notti limpide luccicava di
miriadi di bagliori colorati al largo. Sui pini adiacenti alle spiagge
venivano affisse strisce votive e verso sera le ombre dei traghetti
ormeggiati che si stagliavano sulla sabbia si trasformavano in perfetti
nascondigli per i giochi dei bambini.
A Naruto non era mai
piaciuto
particolarmente pescare e non era nemmeno molto portato, preferiva gli
sport di squadra e sperava di costruirsi un avvenire diverso rispetto a
molti giovani dell’isola che seguendo le orme dei loro padri
diventavano provetti pescatori. Eppure era contagiato ugualmente da
quel clima allegro, talvolta adrenalinico e di dura competizione che
caratterizzava le gare di pesca.
Suo zio Jiraiya era
specializzato
nella cattura dei granchi. Aveva la pelle scura, il volto bruciato dal
sole ricoperto da un fitto reticolo di grinze e le mani grandi piene di
calli. Portava una selvaggia chioma di capelli bianchissimi e irsuti.
Gli stranieri mostravano sempre un po’ di timore nei
suoi confronti, nonostante si dimostrasse da subito un uomo giovale e
di spirito.
Per Jiraiya la pesca
non
rappresentava né un divertimento né una fonte di
guadagno, bensì uno stile di vita. Letteralmente era il modo
di
vivere. Il mare dava, dava tantissimo, ma era necessario anche rendere
nella sua stessa misura.
La popolazione di
pesce spada
inoltre, col passare degli anni era drasticamente diminuita. Da bambino
Naruto li vedeva saltare tra le onde, puntando l’affilata
spada
al cielo, ma quelle scene una volta frequenti erano divenute
così rare che ora faticava a riportarle alla memoria.
Una sera, il sole era
rosso al
tramonto e l’aria mite, suo zio mentre preparava
l’attrezzatura per catturare i granchi gli
raccontò delle
nuove tecniche di pesca, talvolta distruttive per l’ambiente,
messe a punto negli ultimi anni.
“Cosa
faranno quando non ci saranno più marlin?”
“Non
succederà. Nulla
si estingue in questa terra se non è l’uomo a
volerlo.” Gli aveva risposto lo zio. Con abilità
annodava
la lenza formando un cappio e la fissava con del nastro alla canna di
bambù. Nelle retine delle cipolle richiudeva le sardine
usate
come esca.
“Anche
quando avranno preso l’ultimo?”
“Costruiranno
dei grandi
recinti in mezzo all’oceano e li faranno riprodurre e vivere
lì. Lo fanno già in altre parti del mondo, con
diverse
specie, i salmoni ad esempio.”
Con la mano
provò a indicargli immaginarie strutture, piattaforme che si
estendevano come villaggi nel vasto mare.
Nemmeno i cavalli
dell’isola
avevano mai conosciuto paddock dove fossero rinchiusi e Naruto faceva
davvero fatica a fantasticare su uno scenario del genere.
I giorni trascorrevano
lenti e il
tempo era sereno, come si addiceva bene a Yonaguni. Naruto si ritrovava
a mormorare a mezza voce di una sirena, mentre giocherellava con la
penna tra le dita. Nonostante il professore l’avesse
già
ripreso diverse volte, non riusciva in alcun modo a prestare attenzione
per più di mezzo minuto.
“Si
può sapere di che
farnetichi?” Al termine della lezione un suo compagno, Kiba
Inuzuka, lo raggiunse. Con un colpo secco gli spinse la sedia
poggiandoci sopra il piede.
Naruto smise di
scaccolarsi e raddrizzò la schiena. “Secondo te le
sirene esistono?”
Kiba rise di gusto.
“Ovvio che no! Ti senti bene?”
“Certo! Mai
sentito meglio.” Disse sbuffando. “La mia era solo
una domanda.”
“Una domanda
da idiota.”
Naruto si
alzò e raccolse lo
zaino da terra, ma Kiba non sembrava intenzionato lasciarlo passare.
“Andiamo a giocare a baseball.”
“Voi andate,
poi vi raggiungo.” Scostò il compagno con una
spallata, dirigendosi fuori dalla classe.
“Ehi!”
Gracchiò Kiba corrugando la fronte. “Ma che ti
piglia?”
Naruto era un ragazzo
che amava
agire d’impulso, senza rifletterci troppo sopra. Kiba
notò
subito il sorriso sghembo sulla sua faccia e sapeva bene che non
presagiva nulla di buono. “Scemo!” Lo
insultò
mettendo il broncio per essere stato ignorato. Sarebbe andato al campo
di gioco senza di lui.
I corridoi erano
affollati da studenti, le loro chiacchiere e risate risuonavano come
una felice notizia.
Quando uscì
sull’atrio, nonostante la confusione, riuscì a
notare
ugualmente una chioma corvina svolazzare dietro una colonna di mattoni
a vista. Quella ragazza era sempre nei paraggi, ora che ci pensava, ma
raramente faceva davvero caso alla sua presenza forse per via della sua
natura così elusiva e silenziosa.
Non sapeva molto di lei, a parte che facesse Hyuga di cognome e che
fosse sempre presente nell’elenco dei primi dieci migliori
studenti dell’istituto. Avevano parlato solo in
un’occasione, quando lei gli consegnò,
trattenendola con
entrambe le mani e tra tanti balbettii di scuse, una lettera. Aveva
tutta l’aria di essere una di quelle dichiarazioni
d’amore
che si vedono alla tv.
Le lanciò un’occhiata di sfuggita e
cacciò le mani
in tasca.
Hyuga probabilmente si aspettava una risposta in merito o
almeno una qualche reazione da parte sua, ma Naruto era già
tanto che avesse messo in dubbio la casualità delle sue
apparizioni e poi l’imbarazzo di avvicinarsi a lei e
chiederle
cosa gli avesse scritto perché, aimè, aveva
perduto la
lettera, era invalicabile.
Arrossì
sentendo lo sguardo
della ragazza su di sé. Anche se le circostanze sembravano
voler
dimostrare il contrario, si era convinto che una tipa del genere non
potesse certo essere interessata a lui, era pure brava a
scuola.
Tirò dritto a passo spedito, facendosi spazio tra i vari
gruppetti che si attardavano a chiacchierare sotto il portico. In
lontananza dei fulmini balenavano silenziosi nel cielo azzurro.
Camminando immerso nei
suoi
pensieri, era giunto fino alla spiaggia. Il vento freddo gli sferzava
il viso e nelle orecchie echeggiava forte il suo fischio mescolato al
rumore delle onde in tumulto. Nuvole fosche avanzavano coprendo gli
ultimi sprazzi di sole. Il tempo era cambiato repentinamente, in modo
spaventoso.
Era trascorso quasi un
mese e Naruto era arrivato al punto di chiedersi se Sasuke fosse stato
solo un sogno.
Si guardò
il palmo della
mano con cui aveva afferrato con forza il polso del tritone. Eppure gli
era sembrato tutto così reale, molto più reale
delle
lunghe mattinate trascorse sui banchi di scuola, che scivolavano via,
senza memoria.
Gli occhi di Sasuke
gli apparivano
di notte durante il dormiveglia, scuri eppure incredibilmente limpidi.
In quello sguardo c’era una domanda sempre aperta in attesa
di
una risposta. Sentiva che lui e Sasuke erano simili e accumunati dalla
stessa disperata ricerca.
Iniziò a
chiamarlo a gran voce.
“Sasuke!”
“Sasukeeee!” Urlò.
“Sasukeebasta!” Urlò così
forte da arrochirsi la voce.
Riprese fiato e
osservò
l’oceano nella speranza di scorgere lì, tra il
bianco
delle onde, il baluginare di una coda iridescente. Si portò
le
mani ai lati della bocca e ricominciò a chiamarlo con foga.
La spiaggia era
deserta. I pini
battuti dal vento disperdevano sull’arenile aghi e rametti.
All’orizzonte brillavano le luci verdi di alcuni pescherecci,
erano i più temerari e non si sarebbero fermati di fronte a
nessuna condizione atmosferica, finché l’ultimo
marlin non
fosse stato catturato.
La palla
roteò alta nel cielo, stagliandosi in controluce. Un tiro
notevole per una ragazza.
Shikamaru
rovinò a terra nel
tentativo di recuperarla, lasciando i presenti col fiato sospeso.
Quando si alzò, con la divisa sporca, e si passò
la palla
dal guantone alla mano libera, un fischio di approvazione
squarciò l’aria.
“Dannazione
Shika!” Sbraitò Sakura con un mezzo sorriso,
agitando la mazza. “Bella presa!”
Nara
rilanciò la palla a Kiba. “Ehi, ma
Uzumaki?”
“Non lo so!
Gli avevo detto
di raggiungerci in campo.” Rispose Kiba. In quel momento una
goccia di pioggia gli cadde sul naso. Sollevò lo sguardo
alle
nuvole grigie che si accalcavano in cielo. Macchioline
d’acqua
iniziarono a disseminarsi sulla terra battuta del triangolo di gioco.
Sakura si
scalzò il
berretto, sistemandosi la frangia appiccicata alla fronte madida di
sudore. Ritornò in posizione e sferzò un paio di
volte
l’aria con la mazza.
“Naruto
è un animale! Avrà fiutato l’odore del
temporale come i cani.” Chiosò.
“Che hai da
dire sui cani?” Sbraitò Inuzuka.
“Niente,
perché al
contrario di te una palla la sanno prendere!” Disse
riferendosi
alle scarse abilità del ragazzo come prima base durante le
semifinali del torneo scolastico.
Kiba
arrossì di rabbia. “Per quanto ancora dovrai
rinfacciarmelo?”
Shikamaru
sbadigliò e si
avvicinò agli altri due. “Fatela finita,
perché se
inizia a piovere davvero me ne vado a casa.”
Sakura
grugnì qualcosa
d’incomprensibile. Poi portò il bastone sopra la
spalla,
accanto all’orecchio destro. “Tira!”
Lanciò lo
zaino a terra e si
spogliò dalla divisa, restando con indosso solo i pantaloni.
S’immerse sino alle caviglie, l’acqua era gelida ma
era
così determinato nel voler rivedere Sasuke che non ci fece
nemmeno caso. Il cielo era lo stesso di quel giorno, coperto, e si
rifletteva come un’ombra indaco sul mare. Notò un
piccolo
scoglio contro cui le onde s’infrangevano facendosi schiuma.
Distava poco più di trecento braccia dalla riva, il suo
occhio
era ben allenato a decifrare le distanze in mare.
Giusto per porsi un obiettivo decise che avrebbe nuotato fino a
lì. Di certo Sasuke non sarebbe spuntato fuori dalla terra
ferma
e forse la sua voce non avrebbe mai potuto raggiungerlo nelle
profondità dell’oceano.
Si tuffò e nuotò a grandi bracciate. Non faceva
molta
fatica inizialmente, ma la corrente era forte e le onde erano violente
e alte come muraglie.
"Sasuke!"
Continuò a chiamarlo a gran voce e solo allora,
così
distante dalla riva e con lo scoglio che anziché avvicinarsi
sembrava farsi sempre più lontano a ogni bracciata, si rese
conto in che brutta situazione si fosse cacciato. Non sottovalutare
l’oceano: questa era una delle prime lezioni che aveva
ricevuto
da bambino, ma imparare non era mai stato il suo forte.
Un’onda
improvvisa lo
travolse, trascinandolo sott’acqua. Rigirò su se
stesso,
spinto dalle correnti. Filtrava una luce indistinta e soffusa che non
gli permetteva di riconoscere da che parte fosse la superficie o il
fondale.
Riemerse a fatica e
l’acqua
salata gli bruciò il naso e la gola. Si sfregò
gli occhi
arrossati. Stava piovendo, le gocce argentee precipitavano fitte e
sottili, trapassando la superficie del mare come spilli. Il cielo
tuonava e le nuvole minacciose si addensavano. Naruto fece appena
in tempo a prendere una boccata d’aria che fu di nuovo
sovrastato
dalle onde.
All’improvviso
un dolore
acuto gli trafisse un polpaccio. Annaspò inghiottendo acqua
e si
strinse convulsamente la parte colpita.
Recuperando un
briciolo di
lucidità distese la gamba e fletté la pianta del
piede
verso l’alto con le mani. Morire in mezzo al mare per via di
uno
stupido crampo? Non era proprio la strada che si era prefissato!
Strinse i denti, ma era ancora sott’acqua e i polmoni
iniziarono
a bruciargli in petto. L’adrenalina defluiva veloce nel
sangue
simile a un'alta marea.
L'oceano l’aveva catturato come uno stupido pesce,
pensò alle branchie insanguinate dei caranghi intrappolati
nelle
reti sulla barca dello zio. La testa gli pulsò tremendamente
e
non riuscì a capire subito se quella coda maestosa dalla
consistenza velata fosse reale o una mera illusione.
Nell’oscurità sentì due braccia
cingerlo per le
spalle con forza. Scorse il profilo del volto di Sasuke, bianco come la
neve d’inverno, aprì la bocca in preda allo
stupore e le
bolle d’ossigeno che ne uscirono fuori li guidarono verso la
superficie.
Una volta tornato a
galla Naruto
iniziò a tossire disperatamente, si sentiva confuso e senza
energie. Fu letteralmente trascinato a riva dal tritone.
Gattonò sputacchiando sulla spiaggia, quel tanto che bastava
per
non essere travolto dai cavalloni che si infrangevano sulla riva
ritmicamente.
“Razza di
idiota! Volevi
morire affogato?” Sasuke gli stava urlando contro, ma la sua
voce
giungeva ovattata e scricchiolante. Si sturò le orecchie con
le
dita.
“No—
non era quella
l’idea.” Disse tossendo e si rovesciò
sulla schiena
allargando le braccia. Faceva un freddo porco.
Aveva le palpebre
pesanti e il
petto gli doleva come se un grosso cormorano si fosse posato sopra. Si
sforzò di restare sveglio. “Io volevo solo
rivederti.” Mormorò e sollevò la testa,
quel tanto
che bastava per vedere Sasuke con la lucente coda arrotolata in una
spira. Le onde si battevano contro la sua schiena che però
si
manteneva salda al pari di uno scoglio.
Lo scrutava con occhi così severi che Naruto per un attimo
si sentì in colpa.
“Volevo
essere certo che non fossi un sogno.”
“Ora che ne
ha avuto la prova, sei soddisfatto?” Disse duramente.
“Dopo aver quasi rischiato la vita.”
“Nah, se non
fosse stato per quello stramaledetto crampo…”
“Testa
quadra, non eri tu a
farmi la ramanzina l’ultima volta? Tuo zio sarà
molto
soddisfatto di un nipote così idiota.”
Naruto rise e Sasuke
sgranò
gli occhi offeso. “Te lo ricordi!”
Gracchiò.
“Ti ricordi quello che ti avevo detto.” Era uno
sciocco
dettaglio al momento, ma il fatto che il tritone l'avesse tenuto a
mente gli rinfrancò lo spirito.
“Per chi
diavolo mi hai preso?”
Naruto aveva un
sorriso stampato in volto e guardava il cielo. La pioggia cadeva
leggera trasportata dal vento come per gioco.
“Perché
non ti sei più fatto vedere? Sono venuto qui praticamente
tutti i giorni!”
“Perché
non avremmo mai dovuto incontrarci, è stato un errore fin
dalla prima volta.”
“No,
affatto! Io non credo
sia successo per errore e nemmeno per caso. C’è un
motivo
per cui ci siamo incontrati e adesso non puoi assolutamente fare come
se nulla fosse.”
“Allora”
Sasuke
socchiuse le palpebre e strinse la sabbia bagnata nei pugni.
“quale sarebbe la vera ragione?”
“Non lo
so.” Ammise
Naruto. Poteva forse parlargli dei suoi occhi? No, non gli sembrava
tipo da ascoltare melensaggini del genere. Eppure in quelle iridi
grigie Naruto riusciva a ritrovare se stesso o, forse, qualcosa di
ciò che avrebbe voluto essere.
Si alzò a
fatica e si
avvicinò a Sasuke mantenendo però una certa
distanza. Gli
schizzi delle onde arrivavano a colpirlo lo stesso e non riusciva a
capire come il tritone potesse starsene tranquillo in mezzo a quel
putiferio. Il vento gli tirò i capelli bruniti e fradici
all’indietro e lo costrinse a strizzare gli occhi. Il suo
corpo
era un fascio di nervi.
“Non racconterò a nessuno del nostro incontro,
stai tranquillo. Fidati di me.”
Sasuke piegò il capo. “Ad ogni modo nessuno ti
crederebbe.” Lo derise con leggerezza.
Naruto gli
offrì la mano. Il
palmo aperto era proteso verso la creatura del mare.
“Verrò qui anche domani, ogni giorno se
sarà
necessario.”
Sasuke distolse lo
sguardo e si
acquattò sott’acqua lasciandosi trasportare dalla
corrente
di ritorno. Sparì in pochi attimi dalla vista di Naruto, ma
il
bagliore delle sue squame nell’acqua scura gli rimase
indelebile
negli occhi.
Chiuse le dita a
pugno. Sperava di poter stringere la mano di Sasuke, ma si ritrovava
tra le dita solo gocce di salsedine.
Come promesso Naruto
si
presentò in spiaggia i giorni a venire, ma di Sasuke non
c’era traccia. Al tramonto del settimo giorno, quando le sue
speranze si erano a malapena scalfite, Sasuke riapparve
inaspettatamente.
Iniziarono a vedersi
con una certa
costanza, almeno d’estate, d’inverno era
già tanto
se riuscivano a incontrarsi una volta al mese. Diventarono grandi amici
a dispetto delle divergenze caratteriali: Naruto era un sempliciotto
dallo sguardo limpido, privo tuttavia di acume, mentre Sasuke era molto
intelligente e spigoloso, capace di una durezza spiazzante.
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