The Hurting, The Healing, The Loving

di Lady_Night
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Gli occhi sono affaticati, non vogliono aprirsi per scoprire in quale altro luogo della struttura mi hanno portata. Sono in una stanza? Sono in un laboratorio? Sono forse morta nel sonno? E' questa la vita dopo la morte? Una continua sensazione di calore e morbidezza con una rassicurante sensazione di protezione? Poi mi rendo conto che il mio respiro non è bloccato, che il mio cuore non è fermo come un masso nel mio petto, no, questa non è la morte. L'ansia di non sapere cosa stia accadendo mi porta poco a poco fuori dall'intorpidimento dovuto al sonno profondo in cui mi hanno fatta cadere. Poco alla volta riesco ad aprire di un minimo le palpebre, attraverso la cortina sfocata che mi appanna la vista riesco a scorgere uno scorcio del luogo in cui mi trovo. Delle tende bianche coprono delle finestre da cui si può notare uno squarcio di cielo scuro. Aspetta... Cielo? Da quando mi è permesso avere un contatto con il mondo esterno? Cerco di girarmi per capire dove io sia quando una voce mi fa irrigidire completamente.

“Finalmente ti sei svegliata...”

Rimango immobile per interminabili secondi, quella voce roca e bassa non l'ho mai sentita prima. Il mio respiro accelera, la mia mente si blocca, adesso sono completamente sveglia.

“Ehi... che succ...”

Una mano si posa sulla mia spalla e prima ancora che il mio cervello possa registrare quel movimento il mio corpo lo percepisce subito come estraneo, come pericoloso. Nemico. E di conseguenza reagisco, la persona non finisce la frase che il mio corpo scatta, più agile ed in forze di quanto io sia mai stata in tutti questi anni di reclusione. Il mio pugno si schianta sulla mascella del soggetto posto affianco al mio giaciglio. Mi alzo di scatto e prima che questo possa riprendersi lo butto a terra con una gomitata nello stomaco che lo coglie di sorpresa. Per un attimo una matassa di capelli corvini mi svolazza attorno mentre il corpo cade a terra, non ci faccio caso e corro verso la finestra per cercare una via d'uscita. Purtroppo sporgendomi mi accorgo che siamo troppo in alto ed io sono troppo debole per provare a saltare da un balconcino ad un altro. Un grugnito ed un imprecazione mi fanno capire che non ho molto tempo prima che la persona che prima ho steso si riprenda completamente. Corro verso la porta, sento qualcosa sfiorarmi il braccio, così schivo quella mano allungata verso di me, pronta a ghermirmi per incatenarmi, per farmi del male, per uccidermi. Per un attimo il mio sguardo e quello dell'individuo, che finalmente capisco essere una donna, si incrociano. Un brillante verde mi mozza il respiro, ma è solo una frazione di secondo, spalanco la porta, la sorpasso e sono in corridoio. Un grido si leva dietro le mie spalle ed io aumento la velocità.

“Ferma! Cazzo!”

Non so dove io stia andando, svolto a destra a sinistra e poi di nuovo a destra. Incontro pochissime persone, nessuno cerca di fermarmi, si limitano a fissarmi attoniti e spaventati. I passi veloci della ragazza sono proprio dietro di me. Il battito frenetico del mio cuore mi rimbomba nelle orecchie, le mie gambe si muovono veloci, non cedono quasi mai, se non dopo qualche passo falso, mi meraviglio della mia inusuale forza fisica. Degli spezzoni di una frase, provenienti da una strana lastra trasparente in cui sono raffigurati dei piccoli uomini in movimenti mi distoglie totalmente dai miei pensieri.

“Un anno esatto dalla fine della rivoluzione siamo... -Ed ecco perchè... -oggi Peeta Mellark e Katniss Everdeen!...”

E la mia mente esplode.

Immagini, suoni, parole. Tutto si concentra in quei pochi secondi in cui il piccolo omino pronuncia quel maledetto nome. La mia fuga si arresta subito. E' in quel momento che mi rendo conto di quanto il depistaggio abbia funzionato. Tutto si concentra in quel preciso attimo. Il mio cervello non registra più gli stimoli esterni,il mio unico pensiero ed obbiettivo ormai è uno, ed uno soltanto. Eliminare Katniss Everdeen. Sento un respiro affannoso raggiungermi e fermarsi dietro di me.

“Cazzo se sei veloce!”

Mi giro lentamente e ritrovo una ragazza piegata con le mani sulle ginocchia mentre tenta di recuperare l'ossigeno scarseggiante. Le mie membra sono immobili.

“Andiamo, ti riporto in stanza. Devi riposare. Ed io devo farmi medicare il livido che mi hai lasciato... Ouch.”

Si massaggia la mandibola e poi mi rivolge un piccolo sorriso. Rimango di sasso, totalmente impassibile di fronte alla dolcezza di quella ragazza. Ci fissiamo per poco prima che lei interrompa di nuovo il silenzio.

“Ehi, stai bene? I tuoi occhi sono neri. Ma che...”

Una voce si sovrappone alla sua, una voce che io conosco fin troppo bene purtroppo.

“E' un vero piacere per noi, siamo felici di poter augurare a tutta la nazione una felice giornata della Liberazione.”

Ora la mia attenzione è totalmente dedicata alla lastra di vetro parlante, da cui spunta improvvisamente il volto di quella puttana. Sorride, il suo volto è felice, la carnagione leggermente abbronzata. Dietro di lei fa la sua comparsa il famoso Mellark, il fidanzato di quella bugiarda senza cuore. Si abbracciano, si sorridono. Lei è felice, è felice perchè sa che la mia famiglia è morta, perchè sa di averla uccisa lei. Ride, felice del fatto che io sia qui, a soffrire, mentre lei può godersi il caldo sole del distretto 12, dove una volta i miei genitori percorrevano le stesse strada che adesso percorre lei, camminando tra i fiori del prato dove una volta ci rincoravamo io e mio fratello, senza provare pietà o vergogna per ciò che ha fatto.

La voce della donna di prima mi arriva ovattata, ma non sta parlando con me, lo capisco quando il riconoscibile crepitio di una radio ed una voce metallica mi arrivano alle orecchie. Mi pare stia dicendo qualcosa come -Portala subito nella stanza-.

“Camila, andiamo. Ora.”

Il suo tono gentile e dolce di prima viene completamente sostituito da uno autoritario e severo, che non ha alcun effetto su di me. Cerca di afferrarmi per l'ennesima volta il polso, ma io mi discosto.

“Portami da lei.”

La mia voce è priva di qualsiasi emozione, è piatta ed atona. In un angolino della mia mente la mia parte razionale mi sta urlando di fermarmi, di non fare del male a quella ragazza così bella, ma ormai non controllo più il mio corpo. Quando non si decide a darmi una risposta agisco e passo all'attacco. Con uno scatto mi avvicino al suo corpo, ma questa volta lei è pronta e riesce a parare il mio pugno. Gli insegnamenti appresi durante il periodo di allenamento nella struttura adibita ad alloggio per i tributi prima degli Hunger Games tornano a galla da soli, non serve nemmeno che vada a ripescarli nella memoria, è come se io non avessi mai tentato di reprimerli, come se per tutto questo tempo fossero sempre stati lì, pronti a saltare fuori al momento opportuno. Ogni pugno che sferro, ogni calcio che tiro sono eseguiti in modo perfetto. Il mio volto non si contrae mai di una virgola, sono un automa. Sto per mandare a segno uno dei miei ganci sinistri quando sento una fitta al collo. Istintivamente mi porto una mano al punto dolorante e posso sentire chiaramente la forma di una siringa piantato in esso. La strappo con un gesto di stizza, ma prima che io possa riprendere a sferrare colpi contro la mia avversaria, ciò che mi hanno iniettato, probabilmente un calmante, comincia a fare effetto.





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