«Accidenti, Ryo!
Quante volte devo ripeterlo? Se metti
troppa acqua, il caffè
sarà una schifezza!»
«Fa’ silenzio!
È il tuo caffè a essere
disgustoso! È per questo che
questo bar ha pochi clienti! Come se
non bastasse già la tua
faccia!»
«Cos’hai detto?
»
Kaori sospirò.
Quando Miki era rimasta incinta, undici
mesi prima, aveva chiesto a lei e a Ryo
se avessero potuto dare una mano a
Umibozu nella gestione del
Cat’s Eye quando
Kasumi non c’era, visto che il
futuro-papà era così
preoccupato per la salute della propria
sposa e del nascituro che le aveva
impedito di fare qualsiasi sforzo, fosse
stato anche prendere in mano una
tazzina di caffè. Ryo aveva
decretato che non avrebbe mai
lavorato a fianco di
quell’energumeno dalla testa
pelata, ma Kaori era riuscita a
convincerlo: visto che non avevano
molti clienti in quell’ultimo
periodo, dovevano pur guadagnare in
qualche modo se volevano mangiare.
Tuttavia, quella collaborazione
si era rivelata impossibile,
poiché i due non facevano altro
che litigare per qualsiasi sciocchezza e
Kaori aveva tirato un sospiro di
sollievo quando Miki aveva dato alla
luce il piccolo Kaito ed era tornata al
lavoro.
In genere, delle
commissioni continuava ad occuparsi
Umibozu, ma visto che quel giorno
c’era l’incontro con i
fornitori, e Falcon li terrorizzava con la
sua sola presenza, Miki era stata
costretta a lasciare il neonato e il bar a
Falcon e ai due sweeper e a
occuparsene di persona.
«Volete fare silenzio? Kaito
sta dormendo, se lo svegliate
sarà peggio per voi!»
tuonò Kaori. Il piccolo aveva
iniziato a piangere appena Miki era
uscita dal locale, ben due ore prima, e
si era addormentato solo da cinque
minuti.
A quelle parole, i due
contendenti smisero di darsi addosso,
anche se continuarono a lanciarsi
occhiatacce. Kaori si afflosciò
su una sedia, sollevata, ma la pace
non era destinata a durare a lungo
perché, appena cadde il
silenzio, Kaito ricominciò a
piangere disperato.
Falcon corse
a prendere in braccio il piccolo per
calmarlo, ma lui continuava a
strepitare anche più di
prima.
«È tutta
colpa tua, Kaori!» la
rimproverò Ryo coprendosi le
orecchie «Se non avessi
strillato, Kaito adesso starebbe ancora
dormendo!»
«Strillare io? Voi stavate
facendo un baccano infernale!
»
«Allora forse
è la tua voce che lo disturba!
»
«Cosa hai
detto?!» Kaori lo sollevò
e stava per scaraventarlo
dall’altro lato del locale,
quando: «Vedo che siete
sempre vispi e pieni di energia!
» commentò ridendo
una voce di donna alle loro spalle.
Entrambi si voltarono verso
l’uscio: «Keiko-san!
»
«Buongiorno a
tutti, spero di non essere arrivata in un
momento poco opportuno» si
scusò lanciando
un’occhiata perplessa al povero
Umibozu che continuava a cullare il
piccolo Kaito senza ottenere alcun
risultato. «L’agente
Nogami mi ha detto che avrei potuto
trovarvi qui e sono passata a
salutarvi».
«Che
bello vederla! Prego, si sieda!»
Kaori lasciò andare la sua
povera vittima lanciandola via e
indicò a Keiko il posto accanto
a sé. «Come sta?
»
«Bene».
E non era una semplice frase
fatta: l’ultima volta che
l’avevano vista, un anno prima,
Keiko aveva appena scoperto di aver
sposato un uomo completamente
diverso da quello che credeva che
fosse e aveva iniziato a rimettere
insieme i cocci di quella che era stata
la sua vecchia vita. Davanti ai loro
occhi, in quel momento si trovava una
persona del tutto nuova: i suoi occhi
scuri splendevano e il suo sorriso,
sempre dolce e gentile, era ancora
più caldo e autentico.
Qualunque cosa avesse fatto in quei
mesi, qualunque traversia avesse
passato, adesso era una donna felice e
appagata.
«Cosa la porta
qui da noi?» domandò
Ryo raggiungendole, dopo essersi
ripreso dalla botta.
Lei gli
lanciò un’occhiata
curiosa, che Ryo non riuscì a
interpretare.
«Volevo
salutarvi prima di partire».
«Si trasferisce?»
chiese Kaori.
«Più
o meno. Sapete, dopo quello che
è successo l’anno
scorso, ho venduto tutto quello che
potevo, tenendo solo una piccola
rendita per me, e ho creato
un’organizzazione benefica che
aiuta i bambini in difficoltà
nelle zone più povere del
pianeta».
«Ma
è una cosa bellissima!
»
«Grazie. In
realtà io sono solo la titolare,
sono Kumiko e Ken a gestirla: adesso
sono in Niger, ma tra qualche giorno li
raggiungerò per presenziare
all’apertura di un ospedale
pediatrico».
«Davvero? E Sagara-san
come sta?»
s’informò Ryo.
«Molto bene. Quando le
spiegai cos’era successo a
Otome-san, non si perse
d’animo e accettò
subito la mia proposta di farmi da
segretaria. Mi disse che non lo faceva
solo per sé, ma anche
perché voleva che Miyuki-san
fosse fiera di lei. Sia lei che Ken hanno
messo anima e corpo in questo
progetto e alla fine hanno scoperto di
avere davvero molto in
comune».
«Vuol
dire che…»
Gli
occhi della donna brillarono mentre
tirava fuori dalla sua borsa una foto
che mise sul bancone. I tre si
avvicinarono per guardare meglio:
l’immagine raffigurava
Moriyama e Kumiko che sorridevano
felici alla macchina fotografica, mentre
tenevano in braccio un bambino di un
paio d’anni.
«Lui
è Marouk, un bambino rimasto
orfano qualche mese fa di cui si stanno
occupando. Appena si sposeranno,
avvieranno le pratiche per
l’adozione».
Kaori
continuò a guardare la foto: la
loro felicità era così
grande che traspariva persino dalla
pellicola. Dopo tutto quello che aveva
passato, Kumiko meritava quella gioia
e Moriyama aveva finalmente trovato
la persona che avrebbe potuto amarlo
e apprezzarlo come meritava. Era
così contenta per loro che gli
occhi le si riempirono di lacrime.
«Ha deciso di trasferirsi
lì, quindi?»
domandò Ryo.
«Oh no. Per quanto ammiri
tantissimo il loro lavoro, non sarei mai
in grado di poter vivere come loro. No,
io… ho deciso di viaggiare e
girare per il mondo. Vedete,»
Keiko abbassò lo sguardo e un
leggero rossore le imporporò
le guance «da piccola avevo una
grande passione. Solo che poi, quando
ho sposato Satoshi, ho dovuto
rinunciarvi per interpretare il ruolo
della moglie di un avvocato di
successo. Ma adesso… adesso
vorrei ritornare a fare quello che
più amo e mi rende felice. E
questo lo devo a voi».
«Non deve dire così:
lei ha fatto tutto da sola, noi abbiamo
solo svolto il nostro lavoro»
minimizzò Kaori, ma lei scosse
la testa, decisa.
«Si
sbaglia. Ecco,» Keiko rimise la
fotografia nella borsa e tirò
fuori un pacchetto che diede alla
giovane «questo è per
voi. Un pensiero per ringraziarvi di
quello che avete fatto per me. Spero
che vi piaccia… e che perdoniate
la mia indiscrezione».
Ryo e Kaori si guardarono senza
capire. Che diavolo significava?
Tuttavia, non ebbero modo di porre
ulteriori domande, perché in
quel momento la porta del locale si
aprì di nuovo e Miki
rientrò carica di buste e
sacchetti.
«Aspetta, ti
aiuto!» Umibozu si
precipitò da sua moglie per
darle una mano e mollò il
piccolo Kaito a Kaori; il bambino,
vedendosi all’improvviso
passato da una persona
all’altra, scoppiò di
nuovo a piangere e la donna dovette
dar fondo a tutto il suo repertorio di
ninna nanne e canzoncine per cercare
di tenerlo buono.
«Kaori-san, un attimo, metto
via queste cose e torno subito!»
si affrettò a rassicurarla
Miki.
«Povero Kai-chan,
così lo spaventerai ancora di
più!» la prese in giro
Ryo.
«Invece di dire
sciocchezze, perché non mi dai
una mano?» strillò.
«Stai scherzando? Io con i
bambini non ci so proprio fare!
»
«Tu vuoi solo
divertirti alle mie spalle!» lo
fulminò lei, ma comunque
tornò a prestare attenzione al
piccolo Kaito.
Keiko
scoppiò a ridere.
«È bello sentirla
ridere» commentò Ryo
guardandola. «In questo anno
è cambiata davvero
molto».
Keiko sorrise
enigmatica. «Non solo io,
però».
«Eh?»
«Un anno fa avrebbe cercato
di saltarmi addosso appena avessi
messo piede nel locale; mentre
adesso, anche se Kaori-san è
impegnata e non può
impugnare il suo martello, non ci ha
provato neanche una volta né
con me né con la donna che
è appena entrata. Anche lei, in
fondo, è cambiato molto. Non
mi meraviglierei se il prossimo
matrimonio di cui sentirò
parlare fosse il vostro».
Ryo non replicò, ma distolse
lo sguardo e si concentrò su
quello che stava facendo la propria
socia: finalmente Kaito si era calmato
e dormiva sereno tra le sue braccia.
Appena
rientrarono, Kaori si accasciò
sul divano, esausta.
«Sono sfinita! Non avrei
pensato che avere a che fare con un
neonato fosse così stancante!
»
«La solita
esagerata! Kai-chan è un
bravissimo bambino!»
Kaori non ebbe neanche la forza di
mandarlo al diavolo, ma si
limitò a chiudere gli occhi e a
ignorarlo. Parlava bene lui, che
passava il tempo a litigare con
Umibozu e a far finta di aiutarlo!
«Se hai fame, prendi
qualcosa dal frigorifero, io non ho la
forza neanche di cucinare!»
«Non sei curiosa di sapere
cosa ci ha portato Keiko-san?»
chiese invece Ryo, sedendosi accanto a
lei con il pacchetto stretto tra le
mani.
Kaori si risollevò e
si sistemò meglio. Era
talmente stanca che se ne era
dimenticata, ma ora che Ryo
gliel’aveva ricordato, la
curiosità si riaccese in lei.
Lo sweeper, intanto, aveva tolto lo
spago che lo chiudeva e stava
liberando il contenuto dalla carta che
lo avvolgeva. All’improvviso, si
fermò a metà del
movimento e rimase a fissare
l’oggetto senza parlare.
Kaori lo guardò
preoccupata: «Ryo, che
c’è? Che
cos’è?»
Senza dire niente, l’uomo le
passò il pacchetto.
Quando vide cosa conteneva, le
mani le tremarono e per poco non lo
fece cadere per terra.
L’oggetto non era più
grande di un foglio A4 e rappresentava
un paesaggio notturno: la luna piena
illuminava a giorno un giardino ricco e
ben tenuto e nella parte centrale del
dipinto, sotto una grande magnolia,
c’erano due persone.
Kaori ci mise pochi secondi a
riconoscere lei e Ryo in quelle due
figure che si baciavano sotto la luna.
Sebbene fossero più piccole
rispetto all’ambiente
circostante, non c’erano dubbi
che fossero loro: ricordava bene la
giacca di Ryo che svolazzava al vento
e il vestito leggero che indossava
quella sera. Se chiudeva gli occhi,
poteva sentire ancora l’aria
fresca della notte, le guance bollenti
per l’imbarazzo di aver
scoperto che Ryo l’aveva
davvero riconosciuta nei panni di
Cenerentola, le mille domande che
avrebbe voluto fargli, ma che, persa in
quel bacio che aveva sognato da tanto,
troppo tempo, erano evaporate come
neve al sole e il desiderio che quel
momento non finisse mai.
Non
sapeva come avesse fatto, ma Keiko
era riuscita a cogliere tutte le emozioni
e le paure che aveva provato in quel
momento e a trasformarle in qualcosa
di tanto straordinario e delicato. I suoi
occhi si riempirono di lacrime.
«Questo è per
voi. Un pensiero per ringraziarvi di
quello che avete fatto per me. Spero
che vi piaccia… e che perdoniate
la mia
indiscrezione».
Adesso capiva che cosa aveva
voluto dire con quelle parole.
«Quindi, la grande passione
di cui parlava Keiko-san
era…»
«...era
la pittura» finì Ryo per
lei. «Immagino che Fukuoka
non apprezzasse questo interesse di
sua moglie e le avesse proibito di
dipingere. Ma, a quanto pare, ha
trovato un soggetto che l’ha di
nuovo ispirata dopo tanto tempo e si
è resa conto che adesso
è libera di poter essere
finalmente se stessa».
«Già». Kaori
gli si accoccolò accanto, gli
occhi ancora fissi su quel piccolo
dipinto così pieno di amore, e
lui le passò un braccio intorno
alla spalle.
Il calore che
emanava il corpo del partner era
così avvolgente che in pochi
minuti la sonnolenza si
impossessò di nuovo di lei. Era
ormai pronta a farsi trascinare dalle
braccia di Morfeo, quando
«Stavo pensando… al
Cat’s Eye non
hanno bisogno di noi nei prossimi
giorni, giusto?» le
domandò Ryo.
«Mh-mh»
mugugnò Kaori che non
riusciva più neanche a tenere
gli occhi aperti.
«...e al
momento non abbiamo
clienti…»
Stavolta,
non si prese neanche la briga di
confermare: erano tre mesi che non
ricevevano incarichi, e Ryo lo sapeva
bene.
«...perciò
non abbiamo
impegni…»
«E quando mai ne abbiamo?
» riuscì a commentare.
Ma perché Ryo non la smetteva
di blaterare cose senza senso? Lei
voleva solo chiudere gli occhi e
dormire.
«Insomma non
ci sarebbero problemi se, non so,
domenica prossima volessimo
sposarci, no?»
«No, non
cre…»
Kaori
saltò su, ormai completamente
sveglia e guardò il proprio
socio. Aveva sentito bene o era nel
mondo dei sogni più di quanto
avesse pensato?
«Che… che hai detto?!
»
Ma Ryo non
batté ciglio alla sua reazione.
«Non ti va?»
«Non ho detto questo!
» Kaori era dello stesso colore
del pomodoro maturo.
«È che… te ne sei
uscito così,
all’improvviso… e…
sono solo sorpresa, ecco».
«Beh, ho pensato che
potremmo organizzarci prima che
Keiko-san parta, così potremo
invitare anche lei… per
ringraziarla per il suo regalo. Abbiamo
anche gli anelli!»
Kaori
gli sorrise raggiante. Non ebbe
bisogno di dire altro: dopo tutti quegli
anni, a loro non servivano parole per
comunicare, bastava solo
un’occhiata per intendersi.
Per questo motivo, quando Ryo, con
un veloce movimento, le tolse di mano
il dipinto per appoggiarlo sul tavolo e
si mise sopra di lei, non le ci volle
molto per comprendere cosa gli
passasse per la testa.
«Ma tu non avevi detto che
avevi fame?» gli chiese
divertita.
«Certo che ce
l’ho. Ma penso di avere qui
davanti a me qualcosa di molto
più appetitoso del cibo!
»
Kaori scoppiò a
ridere e, almeno per quella volta,
l’idea che un mokkori avesse la
precedenza su qualsiasi altra
attività non le dispiacque per
niente.
Fine
Note (folli)
dell’autrice
Prima che che qualcuno si faccia
delle strane idee in proposito: la
domenica successiva il matrimonio
si celebrerà. Non
pensate neanche lontanamente che
questa storia possa collegarsi a
Angel Heart. Ho amato
molto quel manga, davvero; ho pianto
tanto, per la morte di Kaori e anche
dopo ma, anche se all’inizio
è stato veramente difficile
convincersene, per me AH è e
resterà sempre un’AU
che non ha alcun legame con
City Hunter.
Bene,
fatte queste dovute premesse,
torniamo a noi. U_U
Sorpresa! So che di solito posto la domenica, ma per l'epilogo ho voluto fare un'eccezione e postarlo qualche giorno prima.
Io….
non riesco a crescere di aver davvero
messo la parola fine a questa storia:
Ryo me ne ha fatte passare
così tante che ho temuto che
non sarei mai riuscita a terminarla.
T__T Perciò, scusatemi se mi
commuovo da sola! T_T
Ah, nel
caso qualcuno si stia chiedendo
perché ho chiamato il figlio di
Miki e Falcon in questo modo la
risposta è semplice: cercando
un nome che potesse avere qualche
significato interessante, mi sono
ricordata che Umibozu - soprannome
che Ryo ha dato all’amico -
contiene la parola “umi”
che vuol dire, appunto,
“mare” e… proprio
così, anche Kaito contiene il
kanji di “mare” (almeno
da quanto ho potuto appurare). So che
Umi non ama molto quel soprannome,
ma secondo me ormai ci è
affezionato. XD inoltre, ai due genitori
il nome è piaciuto,
perciò l’ho adottato.
Non credo di avere altro da
aggiungere se non un enorme grazie a
tutti coloro che hanno letto fin qui, a
chi mi ha lasciato un commento
(perdonate se non vi nomino tutti, ma
temo di dimenticare qualcuno), a chi,
invece, non si è mai espresso e
persino a chi, anche solo per un
secondo, ha posato gli occhi su questa
fanfiction. Spero che questa storia vi
sia piaciuta almeno la metà di
quanto mi sia divertita io a scriverla.
Come sempre, vi ricordo che critiche,
consigli e pomodori sono sempre ben
accetti! Martelli e konpeito no,
però; quelli sono solo
appannaggio di Kaori, ma credo
proprio che non sentirà alcun
bisogno di usarli oggi: le è
andata piuttosto bene, no?
XD