Questa oneshot partecipa alla challenge #26promptchallenge indetta dal
gruppo facebook Hurt/Comfort
Italia - Fanfiction & Fanart
#26promptschallenge - prompt 21/26
#FolieADeux
(Disturbo Psicotico Condiviso – Shared Psychotic Disorder)
1.
"Come una danza, ci lasciamo guidare senza sapere dove
l’altro ci porterà."
Descritta per la prima volta da LASEGUE e FALRET nel 1873. è
una sindrome clinica caratterizzata da sintomi psicotici,
principalmente da deliri condivisi da due o più persone che
hanno una relazione vicina ed intima; l’amore può
portare a un superamento delle barriere delle reciproche
identità, che può sconfinare nel patologico,
nella ‘folie à deux’. Nei casi di
suicidi di coppia ritroviamo tale sindrome.
Si tratta di un fenomeno quasi commovente, perché
costituisce l’ultimo tentativo da parte di un individuo,
nell’ambito di una relazione, di non “lasciar
andare l’altro da solo nella sua follia”,
l’ultimo tentativo di salvare la relazione nel momento in cui
uno dei due componenti della coppia perde il contatto con la
realtà.
2. "You know, we made a hell of a team back there."
Due individui, non necessariamente assassini se presi singolarmente,
trovano nell’altro non un complice occasionale, ma un partner
con cui alimentare fantasie sempre più deliranti o violente,
e poi metterle in pratica.
Titolo opera:
Folie à deux
Fandom:
Saint Seiya
Ship:
Saga/Kanon
Parole: 843
Tags:
Warning:
nessuno
*****
Quella notte era più buia delle altre, come se una cappa
avesse spento le stelle e celato agli uomini gli occhi degli
Dèi.
I suoi passi risuonavano nel silenzio opprimente della Terza Casa. Le
fiaccole languivano nel lungo corridoio centrale e al suo passaggio
morivano, una dopo l'altra, lasciando solo un filo nero che appestava
l'aria con l'odore di bruciato e di morte.
Saga! Saga! Non
lasciarmi qui!
Il giovane cavaliere d'oro si girò di scatto a cercare suo
fratello. La sua voce era così chiara e forte, disperata,
come ogni volta che lasciava la baracca dove Kanon aveva vissuto da
solo in tutti quegli anni. Quella notte però, aveva dato la
schiena a suo fratello per l'ultima volta, quando si era lasciato alle
spalle quella prigione che puzzava di pesce putrido e acqua marcia
nella quale lo aveva rinchiuso.
Strinse i pugni e serrò le mascelle, aspettandosi l'attacco
di un nemico. Ne sentiva la presenza a infestare il suo presidio.
Lì però, in quel luogo, c'erano solo ombre e
fantasmi. Ma forse, l'unico nemico era proprio lui.
Le sue mani erano indolenzite, quasi insensibili, dai pugni che aveva
scagliato. Aveva detto addio a suo fratello e poi aveva sfogato la sua
rabbia e la sua frustrazione contro le rocce del promontorio, ma nulla
era riuscito a cancellare il dolore che aveva provato nell'essere stato
costretto a colpire il suo stesso sangue. A punire il suo gemello. Le
sue nocche ancora sanguinavano sotto il metallo delle manopole
dell'armatura.
Perché mi
abbandoni? Non andartene, non voltarmi le spalle!
«Smettila, Kanon, pentiti dei tuoi peccati e implora il
perdono di Atena!» urlò Saga, alle mura millenarie
della sua Casa, che gli rimandavano indietro l'eco delle sue stesse
parole.
Perché lo
neghi, anche tu lo vuoi!
«Taci, ribelle!» inveì di nuovo.
I suoi occhi tremavano nervosi, infiammati di collera per quel fratello
che non voleva piegarsi e riconoscere la grandezza di Atena.
Insieme saremo
invincibili. Non lasciarmi indietro. Saga! Non negarmi la mia occasione!
Si portò le mani alle orecchie, voleva far tacere la voce di
Kanon, ma era lì, a rimbombargli nella testa, a fare presa
nella sua anima.
Era troppo giovane, troppo incompleto, per contrastare e scacciare
quelle tenebre che stavano diventando il suo elemento. Le ombre dei
tradimenti passati che saturavano quella Casa si insinuavano dentro di
lui, pronte a dargli il conforto di cui aveva bisogno per sopportare il
senso di colpa per aver condannato a morte suo fratello.
Saga, non impedirti di
avere quello che ti spetta. Non sprecare la tua vita, le nostre vite,
per servire una dèa debole e incapace. Prendi il controllo
della tua vita.
Il giovane crollò a terra, schiacciato dal peso
dell'armatura.
Gli mancava l'aria.
Si strappò via il bracciale destro, poi quello sinistro. Le
sue mani erano piene di tagli e graffi. Tolse gli spallacci, scoprendo
le spalle strette e ancora troppo deboli per portare il peso del mondo
su di sé. Sganciò il busto davanti da quello
dietro, che caddero insieme con un gran fragore. Il suo petto, nudo e
pallido, era madido di sudore.
Prenditi quello che
è tuo di diritto!
«Smettila! Smettila! Perché mi fai
questo?»
La testa gli scoppiava. Chiuse gli occhi, nascose il viso fra le mani e
si piegò quasi a toccare le lastre di pietra del pavimento
con la fronte. Il suo respiro era pesante.
Se fossi tu a capo del
Santuario non soffriresti così e io sarei al tuo fianco.
«Se fossi io a capo del Santuario...»
La sua anima e il suo cuore erano ancora troppo legati a Kanon,
così complementare e al tempo stesso speculare, da non
sopportare la scelta fatta dall'altro, che aveva condannato entrambi a
separarsi per sempre.
Non aveva mai capito l'odio di suo fratello per il Santuario e i suoi
rappresentanti, almeno fino a quel momento.
Loro non sanno. Loro non
possono capire la nostra grandezza.
«Loro non possono capire...»
Nella sua anima qualcosa si era spezzato e, da quella ferita, come un
varco fra le dimensioni, stava nascendo un nuovo Saga: più
forte, più determinato, ma anche più oscuro.
Il Santuario
sarà nostro. Questa notte.
«Questa notte...»
Il suo respiro si fece più calmo, ma non del tutto regolare.
In lui era ancora in atto un conflitto. Le parole di Kanon erano il
veleno che stava corrodendo la sua devozione in Atena. La sua luce si
stava affievolendo.
Si alzò in piedi e in quel momento cadde la cintura con i
due fiancali. L'armatura dei Gemelli perdeva i pezzi, uno dopo l'altro.
Quando uscì dalla Terza Casa, dell'oro che aveva portato con
orgoglio fino a quel giorno non c'era rimasto più nulla.
L'uomo che era diventato in quella notte non aveva bisogno di armature.
L'uomo che era diventato in quella notte aveva la forza per prendersi
ciò che voleva. E ora lui voleva il Santuario.
L'uomo che era diventato in quella notte non era più solo.
Quella notte era più buia delle altre. Nessuno al Santuario
se ne rese conto, ma lui sì.
Quell'oscurità gli apparteneva e abbracciava ogni cosa.
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