Noi, per il resto del mondo. di Happy_Pumpkin (/viewuser.php?uid=56910)
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Quinto Capitolo
Pioppo, dal latino populus;
genericamente traslitterato come popolo.
Da
lì, l’appellativo Piazza del Popolo, in un luogo
dove centinaia e centinaia di secoli addietro sorgeva un bosco di
pioppi.
Sasuke si
ripeteva quelle nozioni appartenute forse a lui, forse a qualcun altro
degli archeologi morti tanto tempo fa – non riusciva a
ricordarlo. Quello che era se stesso, a ben pensarci, non era mai stato
eccessivamente chiaro: la propria identità sconfinava in un
confine labile di ulteriori identità che si andavano a
intersecare.
Strinse i
pugni, per non provare spavento all’idea di perdere se stesso.
Scoprì
che lui e Naruto si erano ritrovati proprio in quel bosco di pioppi,
lambito di tanto in tanto dal vento leggero, capace di smuovere le
foglie verdeggianti e i ciuffi d’erba aggrappati alla terra
odorosa di piogge recenti; c’era un sentiero scavato dal
passaggio umano, segno di chi aveva camminato negli anni lungo lo
stesso percorso, generazione dopo generazione.
Alle loro
spalle, vi era la chiesa di Santa Maria Montesanto, da dove erano
appena usciti. Udì il portone chiudersi con un tonfo
ovattato, ma non si voltò a guardare: davanti a loro vi era
infatti Madara.
Ricordava quei
frammenti del passato ricostruiti virtualmente, quelle cabine
e… Madara era lì, all’epoca del Grande
Terremoto, lo aveva visto. Gli era sembrato persino talmente normale da
non averlo nemmeno considerato.
“Tu
non lavori per l’Archeo Travel –
realizzò all’improvviso, senza quasi rendersene
conto – tu eri lì con me, quel giorno di oltre
duecento anni fa.”
Non richiuse
del tutto la bocca, come dimenticandosene. Ora che ne parlava, che dava
delle datazioni pratiche gli sembrava tutto così concreto:
ogni cosa, ogni dettaglio, ogni memoria confusa, esattamente come
quando aveva parlato dei suoi anni a Naruto.
Ma allora
perché le memorie dei Fondatori gli avevano detto una cosa
simile? Che interesse avevano nel mentire?
Madara non
ebbe aria di scherno cattivo, né compì alcun
gesto di plateale disprezzo. Non si mosse, però
parlò:
“Finalmente
te ne sei ricordato, Sasuke; cos’è successo
realmente. Noi non siamo sempre stati così, programmi
precaricati, coscienze che esistevano nell’illusione di gesti
sempre uguali.
Eravamo esseri
umani, un tempo: per questo ti mancano cose semplici come respirare,
mangiare, fare l’amore – si toccò la
tempia, aggiungendo – è tutto qui dentro, le
nostre memorie sono nel sistema, le nostre identità.
Non credo
fosse previsto inizialmente, eppure quando ci hanno usato per far
rivivere questi posti, per renderli tangibili
nell’immaginario altrui, è stato chiaro che loro
non avrebbero avuto a che fare solo con un blocco
d’informazioni.”
Naruto li
guardò, scuotendo la testa per poi replicare:
“Loro? Ti riferisci
all’Archeo Travel? Perché? Cosa sta succedendo?
– gli puntò un dito contro, esclamando –
Tu hai generato tutti questi virus informatici, compromettendo
centinaia di mondi e ricordi di quello che è il
passato dell’umanità! A che scopo? Si tratta di un
atto sbagliato, sotto ogni punto di vista!”
Sapeva che le
cose non si riducevano a quello, era ovvio, ma nonostante tutto non
poteva accettare che qualcosa decidesse, all’improvviso, di
cancellare i ricordi, la storia, ciò che rimaneva
dell’essere umano. Non era giusto, sarebbe stato come avere
un nuovo gigantesco terremoto in grado di spazzare via i resti di un
popolo già compromesso.
Madara
spostò il suo sguardo su di lui. Cominciò ad
avanzare, passo dopo passo, ripercorrendo il sentiero sterrato. Il
vento soffiò più forte, scuotendogli i capelli.
Naruto provò l’impulso di tirare fuori il fucile e
sparargli, ma non lo fece; Sasuke strinse i pugni e guardò
colui che era stato il proprio compagno di avventure per un anno.
“Naruto
– disse il responsabile dei bug – noi avremmo
dovuto essere morti. Invece oltre cento anni fa l’Archeo
Travel, con i suoi brillanti e geniali Fondatori, una volta realizzato
cosa aveva risvegliato, anziché lasciarci in pace ha deciso
di sfruttare le nostre identità.
Non abbiamo la
concezione del tempo, ci ritroviamo nel tutto e nel niente, con quello
che siamo, la nostra identità appunto che si mischia con
memorie, conoscenze e personalità altrui.
Più
passeranno gli anni, più ci perderemo, in un continuo
infinito che ci rende irrimediabilmente connessi al sistema.
Questo non
è nemmeno vivere, né morire con la
dignità che meritiamo.
Loro,
l’intera l’Archeo Travel lo sa, eppure continua a
tenere in piedi tutta la baracca, perché se ci cancellasse,
finirebbe per rischiare l’annientamento del sistema con i
dati contenuti all’interno.
Per questo
è disposta a torturare la mente di centinaia e centinaia di
persone che non possono morire e che sapranno la datazione di ogni
fottuto laterizio, ma non ricorderanno più nemmeno il loro
nome, in una lenta e logorante deriva di loro stessi in favore di una
memoria collettiva!”
Urlò,
con gli occhi folli, la bocca distorta in un’espressione
carica di rabbia e sofferenza.
Naruto lo
fissò sconvolto, senza battere ciglio, per poi voltarsi
verso Sasuke, il quale si guardò le mani:
“Credevo
di avere almeno uno scopo. Invece, un giorno non saprò
più nemmeno chi sono.”
Il fruscio del
vento tra gli alberi si fece insistente, come un applauso distante. Si
udì un tuono e il cielo sembrò parlare,
oltraggiato.
I tre
sollevarono lo sguardo verso l’alto: c’era una luce
dorata, con delle sfumature di rosso che tendevano
all’arancione. Non era più sera, ma a tratti
nuvole cupe gravide di pioggia si avvicinavano, sospinte dalla mano di
un gigante che faceva il bagno nelle stelle dello spazio infinito.
“Non
c’è tempo. Ci vorrà poco prima che ci
trovino – commentò Madara, per poi tornare a
guardare Naruto – ora devi uccidermi: guadagnerete tempo,
facendo credere ai tre fondatori che mi abbiate eliminato e non stiate
progettando altro. Ma da lì dovrete fare in fretta:
cancellate le nostre memorie e mettete fine a questo circo di gente
morta.”
Ma Naruto
indietreggiò di un passo, sgranando gli occhi, mentre
boccheggiando – anche se non aveva aria vera da inspirare
– guardò Sasuke, il quale lo fissò di
rimando, solo apparentemente inespressivo.
“Non
scherziamo! Non scherziamo proprio! Tu hai creato tutti questi bug, ci
hai portato fino a qui e adesso io dovrei cancellare ogni cosa? I
ricordi dell’umanità, voi e… Sasuke! Io
non posso permettere che lui muoia, troverò un modo
per…”
Il cielo
tuonò, le nuvole crebbero di dimensione.
Madara lo
afferrò per la maglia, avvicinando il volto al suo:
“Ebbene,
egoista testa di cazzo, un modo non c’è! Cosa
credi, che io abbia passato tutto questo tempo da quando ho cominciato
a ricordare a piangere e lamentarmi? No, ho scavato nelle mie memorie e
in quelle altrui attraverso migliaia di dati digitali sepolti nei vari
database e sistemi!
Io ho creato
questi bug affinché tu e altra gente come te li sistemasse:
tutti i dati caricati, le correzioni, vengono salvate nei vostri
sistemi personali, in cloud, in tutti quei pad tanto tecnologici che vi
portate appresso; quando noi verremo cancellati, le informazioni
rimarranno, la storia dell’umanità è al
sicuro.
I bug sono
stati aggressivi ma nessuno ha cercato davvero di uccidervi, eccetto
qui, a Roma.
Perché
in questo luogo la simulazione è più difficile da
gestire, diventa più instabile dato che entra in conflitto
con codici superiori: a Roma, infatti, i Fondatori hanno deciso di
insediarsi. Quando hanno capito che potevano trasporre le loro
coscienze nel sistema, esattamente com’è successo
a noi anni prima, non hanno esitato un istante a farlo, solo in maniera
più studiata di quanto ci sia capitato in quelle dannate
cabine.
Pensa alla
prospettiva: vivere in eterno, circondati dalla cultura e dai mondi che
loro hanno creato.”
Naruto
guardò il cielo: vide le nuvole incombere su di loro, per
schiacciarli, mentre tuoni violenti parevano in grado di far tremare la
terra.
Aprì
la bocca, pronto a difendere le sue idee con determinazione, a credere
che quella possibilità esistesse, che in un qualche mondo
virtuale lui e Sasuke si sarebbero incontrati ancora, non in quella
riproduzione di casa sterile in cui Naruto, vecchio e con acciacchi,
viveva, bensì in un’altra realtà, tra
le piramidi di vetro, le ceramiche di cui non ricordava mai il nome, o
le spiagge di fronte a fondali ricchi di navi mercantili affondate.
Poi,
all’improvviso, con un gesto rapido Sasuke gli prese il
fucile, sfilandoglielo in un movimento talmente imprevedibile che
Naruto non riuscì ad afferrarlo. Per un attimo
rischiò di rimanere sbilanciato, ma si riprese, per guardare
l’archeologo intento a puntare l’arma contro Madara.
Questi
sorrise, un sorriso storto, ma forse il primo sincero che aveva fatto
dal loro bizzarro incontro:
“Tabula
rasa: inserite questa frase nel pad. Poi ci sarà da mettere
un codice di conferma: l’anno in cui Cartagine è
stata distrutta col sale. Si avvierà
l’autodistruzione. Tu, Naruto, ritornerai sul tuo divano, con
la vecchiaia che meriti; anche gli altri umani presenti nel sistema
verranno disconnessi.”
Ma Naruto si
slanciò verso Sasuke, per afferrargli l’arma.
L’archeologo, però, lo anticipò.
“Addio,
Madara.”
Le nuvole
sembrarono precipitare su di loro in caduta libera, gli alberi vennero
piegati dal vento più forte che scompigliò ai tre
i capelli in un movimento selvaggio. Ci fu un tuono, immenso, capace di
squarciare il cielo simile a una pugnalata al cuore, facendolo
esplodere in un ultimo, feroce, battito; poi, violenta, potente, una
scarica di pioggia infradiciò ogni cosa: la terra,
l’erba dalle sfumature di un verde brillante, gli alberi con
le foglie schiacciate dall’impatto della raffica scrosciante
di gocce.
I vestiti, i
capelli, la pelle di quei tre umani frutto di dati digitali erano
altrettanto zuppi, con rivoli d’acqua che scorreva sui loro
corpi immaginari.
Madara si
portò una mano al petto.
Non
fuoriusciva sangue, ma c’era un foro al centro, luminoso, un
sole in una giornata di pioggia: infiniti pixel dorati cominciarono a
fluttuare dalla ferita, disperdendosi lenti nel cielo, nella cascata
d’acqua che sgorgava sulle loro teste.
Sembrò
essere sollevato. Dopo tutti quegli anni; da quando aveva preso
coscienza che c’era altro, al di là di quelle
interazioni con turisti, le passeggiate nelle agorà deserte,
della testa piegata all’indietro per contemplare la
maestosità del tempio di Petra o della schiena curva per
entrare nelle piramidi, dopo aver camminato al Cairo e poi oltre, fino
al deserto plasmato dalla carezza del vento.
“Sta
a voi e alle vostre generazioni riprendere in mano quello che abbiamo
lasciato.”
Esplose, in
migliaia di frammenti.
La pioggia
sembrò più dolce: l’abbraccio
dell’acqua sulla ferita di un bambino, dopo essersi sbucciato
il ginocchio in una brutta caduta.
Sasuke e
Naruto si guardarono. Il primo si portò indietro i capelli
fradici, gettò a terra il fucile e tirò fuori il
pad.
Naruto gli
afferrò il polso. Per un istante l’archeologo
credette che lui si sarebbe opposto, che avrebbero dovuto combattere.
Ma il tester
gli disse semplicemente:
“Lo
farò io, Sasuke. È giusto così.
Solo… – si morse un labbro, per poi chiedergli
– cosa provi, in questo momento? Non hai paura, dopo tutto
questo tempo, dopo quello che abbiamo fatto?”
Sasuke
sembrò confuso:
“Credo
di aver paura, ma… sono allo stesso tempo felice: sarebbe
peggio lasciare ogni cosa com’è. Ho il terrore di
dimenticare chi sono, dopo aver realizzato di non essere solo un
insieme di gesti meccanici, bensì di avere una mia coscienza
più profonda, di essere stato umano, un tempo. Per questo
accetto di sparire, assieme a simulazioni che ci stavano rendendo
schiavi.
Però…
mi mancherà quello che siamo stati e che abbiamo fatto,
assieme.”
Ammise,
diretto, apparentemente senza sfumature d’emozione sul suo
volto un po’ imbronciato e riflessivo.
Naruto
elaborò un sorriso:
“Mancherà
anche a me – si guardò attorno, le nuvole avevano
smesso di scendere, anche se il tempo scorreva e presto i Fondatori
avrebbero capito le loro intenzioni – andiamo a ripararci
sotto quel pioppo. C’è una bella storia anche in
questa piazza. Noi segneremo la nostra, oggi.”
Sasuke
annuì.
Si sedettero
contro il tronco dell’albero che sembrò ripararli
magicamente dalla pioggia, anche se erano ancora bagnati. Naruto
tirò fuori il pad, cercando di nascondere il leggero tremore
alla mano, segno del cuore digitale che batteva troppo veloce,
perché se stesso, il vecchio, patetico, se stesso umano non
voleva perdere Sasuke. Ma non poteva condannarlo, non a finire la sua
esistenza in quel modo.
Digitò
i dati inseriti da Madara, codice di sicurezza compreso. Ricordava la
data relativa a Cartagine, l’aveva visitata assieme a Sasuke.
Eppure, lo lasciò ugualmente pronunciare
quell’insieme di numeri, per bearsi ancora del suo sapere;
per una volta, non gli dette fastidio mancare di superarlo in qualcosa:
fu anzi felice della sua ignoranza.
Partì
un conto alla rovescia.
Quando esso si
attivò, la pioggia all’improvviso si
arrestò; i due videro le gocce bloccarsi a
mezz’aria, simili ad aghi sottili capaci di fendere il cielo,
oppure rocce liquide schiantate sulle foglie, intrappolate in quel
momento di perfezione prima di cadere rovinosamente a terra e sparire,
fin nelle profondità del nucleo.
Naruto prese
la mano a Sasuke, all’improvviso, tenendo il pad
nell’altra. Gliela strinse appena, intrecciando le dita.
L’archeologo
non disse niente. Appoggiò la testa all’albero e i
rispettivi capi furono vicini, l’uno a pochi millimetri
dall’altro, intenti a guardare il bosco immobile davanti a
loro, anche se l’odore di pioggia, di verde e di terra si
elevava nell’aria, impregnando le loro narici di vita.
“Quando
sarai dall’altra parte, nel mondo vero – gli disse
all’improvviso Sasuke – passeggia più
spesso. Abbronzati e ubriacati di sole. Poi costruisci qualcosa:
qualcosa di reale, di concreto, che i giovani del tuo futuro possano
toccare, studiare, guardare e dire ‘qui, secoli fa,
c’è stato un uomo, esattamente come noi, con le
sue paure, i difetti, i desideri. Ci ha lasciato questo, una traccia di
sé, in un mondo che cambia.’
Buon viaggio,
Naruto.”
Entrambi
chiusero gli occhi.
E Naruto
immaginò.
Un momento di
limbo, tra quel mondo e la realtà, nella traslazione dei
dati, delle coscienze, delle memorie cancellate e caricate
digitalmente. La storia dell’umanità era nelle sue
mani, lui era fiero di quel peso.
Se solo loro
due fossero nati nella stessa epoca, in un qualsiasi futuro del mondo,
magari con ancora la Terra intatta, le sue vestigia, la sua storia, i
monumenti, i suppellettili, le tombe e le chiese, sicuramente si
sarebbero incontrati. Era destino, poco da dire, Naruto ne era convinto.
All’università,
magari. Ricordava la fontana d’acqua, dalle forme moderne, di
fronte all’imponente edificio che formava le nuove menti.
Senza computer carichi d’informazioni, ma con docenti, con il
dialogo e il confronto.
Lì
avrebbe incontrato Sasuke, con la sua borsa a tracolla scura, senza
troppi colori, incapace di chiedergli informazioni sull’aula
per il prossimo corso; Naruto avrebbe detto di avere quello stesso
corso, con il pretesto giusto quindi per seguirlo e andare assieme a
una lezione di Metodologia della Ricerca Archeologica. Roba che non
aveva nulla a che fare coi suoi studi d’informatica e
grafica, ma l’avrebbe trovata interessantissima ugualmente e
preso pure qualche appunto.
Tutto questo,
solo per poi chiedere a Sasuke di passargli le sue note e avere
un’ulteriore pretesto di rivederlo: ‘Ti offro un
caffè per ringraziarti, così ti restituisco il
quaderno.’
Si sarebbe
smascherato presto, si sarebbero insultati e poi incontrati ancora,
fuori dall’università, poi… il resto
della vita assieme.
Avrebbero
fatto l’amore, nel loro appartamento, con un divano per tre e
una poltrona, per gli amici con cui si trovavano per giocare ai
videogames, per i tornei di qualche gioco di società, per
bere una birra assieme. Sì, avrebbero fatto
l’amore sul loro letto, sul pavimento, a volte sul divano
– ma questo, ovviamente, gli amici non dovevano saperlo.
Sasuke
guardò Naruto sotto di sé, affondato tra le
lenzuola, con la testa dagli scombinati capelli biondi affondati nel
cuscino. Sentì le sue mani sui suoi fianchi e
contemplò gli occhi azzurri, il modo in cui lo guardavano,
la vita che sprigionava dalle iridi luminose, le gote arrossate per
l’eccitazione, i baci scambiati, la lotta per decidere
stupidamente chi stava sopra e chi sotto.
Non si capiva
mai, in quel frangente, chi vincesse davvero.
Si
sentì artigliare la maglia dall’altro,
avvertì le sue unghie graffiargli appena la pelle quando
questi la strattonò indelicato come al suo solito,
sfilandogliela.
La
gettò a terra: finì su una pila di libri di
archeologia greca, qualche studio su Lisippo e i busti di Alessandro
Magno. Un giorno, rifletté Sasuke mentre si
chinò, a torso nudo, a baciare Naruto, avrebbero dovuto fare
un viaggio in Grecia: vedere il Partenone, scattare qualche foto
dall’acropoli, contemplare il mare. Prima sarebbero passati
però al British Museum, a Londra, accendendo un cero a
Winckelmann che aveva portato tra quelle mura gli altorilievi con i
panneggi più belli di tutto il Partenone, salvandoli
dall’inquinamento, anche se all’epoca non poteva
saperlo.
Naruto gli
slacciò i pantaloni, mentre avvertiva la lingua di Sasuke
lambirgli il lobo dell’orecchio, poi mordicchiarlo appena.
Espirò, leggero, eccitato, quando percepì il suo
respiro sul collo, mentre gli calava la zip in un movimento lento.
Portò
le mani poi sul suo dorso e le fece discendere fino alle natiche,
avvertendo la pelle oltre il tessuto dei boxer. Le strinse, sollevando
di più il busto per cercare ancora le labbra di Sasuke,
sempre, mordendogliele e facendosi mordere; si baciavano e lui lo
denudava, facendo scivolare le mutande per scoprire
l’erezione oltre l’elastico che tendeva
maggiormente la pelle, fino a scoprire la cappella.
Lo
ribaltò sul letto, con ancora le mutande sulle cosce, ma
Sasuke lo trascinò con sé, afferrandolo per la
canotta che l’altro ancora aveva addosso.
“Dove
pensavi di andare?” lo provocò.
“Su
di te, mi sembra ovvio.” Ribatté Naruto, con un
sorriso di sfida.
Gli
sfilò del tutto le mutande che, quella volta, finirono
accanto a una pila di videogiochi, sul mobiletto basso di fianco al
letto; c’era anche la riproduzione di un cavallo di bronzo
con sopra Vittorio Emanuele II, usata come reggilibri.
Inginocchiato,
contemplò per un istante Sasuke, nudo. Gli portò
una mano sul ginocchio e fece per toccargli l’altro, quando
il futuro archeologo sollevò una gamba, in modo da portare
il piede sul torace di Naruto e sospingerlo appena:
“No.
Prima ti spogli, voglio vederti nudo anch’io,
stupido.”
Abbassò
il piede, lentamente, e Naruto lo guardò, sollevando appena
il mento. Sasuke discese, avvertendo lungo il percorso la muscolatura
del torace, il respiro più difficile per
l’eccitazione, poi la linea leggera degli addominali e il
modo in cui il ventre si dilatava per prendere aria.
Con il
tallone, gli sfiorò l’erezione da oltre le mutande
e infilò le dita al di sotto della canotta, percependo con
il piede freddo la pelle bollente dell’altro.
Quest’ultimo sussultò appena e si morse un labbro.
Abbassò
le mani, tirando su l’orlo della maglia per cominciare a
svestirsi, guidato dal piede di Sasuke che risaliva, arrivando fino al
collo, fino a lambire con l’alluce il pomo d’Adamo
dell’altro che si contrasse in una deglutizione eccitata.
Un’ulteriore
parte di vestiario finì tra fumetti di supereroi con
mantelli di un rosso simile a quelli dei porporati romani, ma anche
romanzi d’avventura che parlavano di viaggi in terre
sconosciute, ricordavano personaggi resi vividi grazie alle memorie del
passato tramandate generazione dopo generazione, con la carta, le foto,
le vestigia dell’uomo conservate come un tesoro di famiglia.
Consapevoli di
quel tesoro, Sasuke e Naruto fecero l’amore, su quel letto,
tra i libri, i videogiochi, i testi di studio e i souvenir dei posti
visitati.
C’erano
nicchie vuote, per i nuovi libri e i nuovi ricordi dei viaggi, degli
studi, della vita portata avanti, assieme.
Così
da onorare, per sempre, l’umanità e la sua storia
immensa persino tra le piccole mura di una casa qualsiasi, ogni giorno,
anche se ancora a distanza di anni Naruto non ricordava la differenza
tra una kylix e un aryballos; sapeva che non se lo sarebbe mai
ricordato, perché gli piaceva ascoltare Sasuke parlare di
ciò che amava e immaginare i mondi antichi dipinti dal suono
della sua voce.
Sproloqui
di una zucca
E anche questa storia
è conclusa. Amo Sasuke e Naruto in un contesto Au,
perché riesco a rendere e a percepire in maniera ancora
più forte il senso di rivalità ma anche di
complicità, in un rapporto più sano e
spaventosamente intenso.
Spero che il racconto
vi sia piaciuto. Li ho proprio immaginati, alla fine, fare l'amore nel
loro mondo ideale, tra libri e videogiochi. Sto progettando altre
storie, mi auguro di 'rileggerci' presto. Grazie per essere arrivati
fino a qui e alla prossima <3
Grazie anche al gruppo
fb SasuNaru Fantiction Italia che mi carica e motiva tantissimo :3
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