Di Ghiaccio e Tempesta

di _Bri_
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EPILOGO
Per ora Noi la chiameremo Felicità
 
Through the sleepless nights, I cry for you
And wonder who is kissing you
These sleepless nights will break my heart in two

Somehow through the days, I don’t give in
I hide the tears that wait within
But then through sleepless nights I cry again

Why did you go? Why did you go?
Don’t you know? Don’t you know?
I need you

I keep hoping you’ll come back to me
Oh let it be, please let it be
My love, please end these sleepless nights for me

Why did you go? Why did you go?
Don’t you know? Don’t you know?
I need you

I keep hoping you’ll come back to me
Oh let it be, please let it be
My love, please end these sleepless nights for me


Sleepless Nights – Eddie Vedder

 
La battaglia aveva lasciato troppo dolore, che non si sarebbe dissolto con una manciata di giorni. Serviva, ai superstiti, passare molto tempo con se stessi ed i propri cari, con le persone con cui avevano condiviso la gioia di essere sfuggiti alla morte ed il terrore di aver visto le persone amate, crollare sotto i loro occhi.
Serviva tempo.
Tantissimo tempo da spendere per cucire le ferite dell’anima.
Hogwarts era metafora di quell’incurabile dolore, ma anche il simbolo della rinascita seguita alla morte di Tom Riddle (in molti avevano iniziato ad appellarlo così, dopo la sua definitiva sconfitta). Questa rinascita rarissima anzi, unica, la si scorgeva in ogni angolo di quel maestoso castello, tramite le forze dei resistenti che, quasi subito, si erano rimboccati le maniche per rimettere in piedi quel baluardo di speranza. Non volevano polvere e macerie, i maghi e le streghe che avevano lottato per sconfiggere la dittatura: esigevano che la loro Hogwarts tornasse più forte che mai, nel minor tempo possibile. Così ognuno fece la propria piccola parte nonostante la stanchezza.
Poi si tennero i funerali, in quel luogo ripulito e nuovamente accogliente. I cinquanta caduti vennero commemorati e pianti, uno ad uno, dal piccolo Colin Canon, sfuggito alla sua minore età per battersi con coraggio, a Lavanda Brown, spirata sotto il morso di Fenrir Greyback, passando per tutti coloro che erano morti prima della battaglia: si parlò del grande e valoroso Alastor Moody, così come di Dobby “l’elfo libero”. Quando si nominarono Tonks, Remus e Fred, Matilda scoprì il viso che aveva coperto con dei tondi occhiali da sole neri, ben poco utili in realtà al loro scopo; allungò una mano a cercare quella di George, che incontrò prima di quanto si aspettasse, perché egli stesso aveva desiderato allacciarsi alla sua. Insomma, ad Hogwarts, illuminata da un caldo tramonto di Maggio, fecero quello che, per molto tempo, era stato loro vietato: parlare di quanto fosse stato ingiusto tutto quanto, di come fosse sbagliato e di quante persone avevano lottato e ancor peggio, perso la vita, per ricostituire un mondo dove fosse possibile amarsi senza paura, incondizionatamente dal livello di purezza del proprio sangue, dall’essere maghi o babbani. Avevano lottato per il diritto d’amare ed era giusto ricordare chi era morto per quello. Prima di concedere un posto freddo ai corpi senza vita, il fermento non s’era ancora sopito, ma tutti trovarono il loro riposo, nel lasciare il proprio ultimo saluto a queste donne e uomini incredibili, che avevano fatto in modo che altri vivessero.
Mentre si spendevano le ultime parole Matilda si alzò e, con discrezione, si allontanò dal funerale, non prima di aver sussurrato a George che sarebbe presto tornata. Così, con le mani nelle tasche dei suoi pantaloni scuri, dal taglio elegante, la ragazza gettò il passo intorno alla riva del lago che se ne stava lì, placido, ma più splendente che mai. Mentre gli occhi gonfi dal tanto piangere saltavano sull’acqua, ripensò alla stretta della madre e poi a quel nitido quadro di famiglia, che visse da spettatrice: Suo padre e sua madre stretti intorno a Draco, nella Sala Grande. Nessuno sembrò fare caso a loro, o comunque nessuno sentì l’esigenza di mandarli via; d’altronde forse era ormai chiaro ai più che i Malfoy non fossero che a loro volta delle vittime, specialmente perché nessuno aveva visto combattere i tre. Matilda era in piedi alla loro sinistra, chiusa nei pantaloni logori, in quella maglia strappata e macchiata dal proprio sangue e da quello di chissà chi altro; le braccia doloranti, un grande spacco sulla fronte, uno zigomo pulsante di dolore ed i suoi capelli assurdamente ancora gonfi, appiccicati alla faccia. Li guardava curiosa, rintronata, come se non fosse mai appartenuta a quella loro realtà; si sorprese a capire che pensandoli singolarmente, Matilda sentiva di voler loro un gran bene: ricordò suo padre che giocava con lei e la accompagnava a comprare la prima divisa scolastica; Draco che, nel bene e nel male, era sempre stato presente e, a modo suo, aveva cercato di proteggerla. Infine sua madre, sempre fiera, eppure docile e delicata, quando intrecciava i suoi capelli tanto ingestibili.
A modo loro, ognuno aveva avuto un ruolo ben preciso nella sua vita, che l’aveva portata ad essere ciò che era, contribuendo alla sua formazione, seppur spesso per opposizione alle loro volontà. Non riusciva ad odiarli, nessuno di loro, come non riusciva a rinnegarli davvero. Eppure non si unì a loro in quell’abbraccio consolatorio, nonostante sapesse che non aspettavano altro; li guardò, da quel suo angolino di solitudine e si ritrovò, per un breve attimo, a non capire quale fosse il suo posto. Alle sue spalle la famiglia Weasley, riunita a piangere la morte di Fred, ma anche rinvigorita da quella battaglia che li aveva visti vincitori. Al suo fianco la sua famiglia d’origine, da cui aveva con ferma volontà preso le distanze. Stette un po’ lì, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, a ciondolare da un piede all’altro; si mosse solo quando sentì delle braccia vellutate avvolgerla da dietro e, scostando lo sguardo alla sua sinistra, sorrise di cuore nel riconoscere il viso di Hermione, avvolto dai crespi capelli scuri. L’amica sistemò il mento sulla sua spalla, stringendola un po’ più forte
 
-Ora andrà tutto bene- Poche parole, ma più rassicuranti che mai. Trovò quindi la forza di muoversi, stretta all’amica, per lasciarsi il passato alle spalle.
 
Ora guardava il lago, senza pensare a quale fosse davvero il suo posto. L’unica certezza era che avrebbe seguito il suo cuore, che mai aveva sbagliato nel consigliarla.
 
*
 
Erano passati mesi, eppure George si era rifiutato di tornare nell’appartamento che condivideva con il fratello a Diagon Alley. Si erano quindi trasferiti alla Tana, dove Matilda passava le giornate a tentare di far scendere George dal letto; certe volte era più semplice, anche se non passava un giorno che il ragazzo si svegliasse senza gli occhi appiccicati dal pianto. Altre, invece, il ragazzo si rifiutava di uscire dalla camera e, nella maggior parte dei casi, chiedeva a Matilda di rimanere con lui. Succedeva, quindi, che lei lo assecondasse, mentre in altri momenti si arrabbiava moltissimo, a seconda di quanto, il suo dolore, prendeva il possesso della situazione. Ma ogni volta che si metteva ad urlare finiva che George la guardasse sperduto, accigliato, vuoto e allora lei scoppiava a piangere, perché non voleva ferirlo, ma sostenere entrambi era davvero difficile. Altro che tempo, Matilda cominciava a pensare che la situazione non sarebbe migliorata, che la morte di Fred li aveva spaccati in pezzi tanto piccoli che niente al mondo sarebbe stato in grado di rimetterli insieme. Quando la situazione si faceva insopportabile, Matilda prendeva le sue cose e scappava a casa di Andromeda, cercando consolazione nella zia e nel piccolo Teddy, che accudiva con quanto più amore possibile; quel bambino era un balsamo rigenerativo per lo spirito, perché nonostante il suo viso le ricordasse quello dei suoi cari ormai perduti per sempre, le infondeva tanta speranza.
Ma una violenta impotenza la attanagliava quando aveva a che fare con George; da una parte lo aveva capito, che il ragazzo aveva estremo bisogno di averla accanto, dall’altra però sentiva che ogni tentativo di smuoverlo risultava inefficace.
Una mattina Matilda si svegliò, agitata a seguito di uno dei soliti incubi che non le davano tregua: sognava di Fred, di una delle qualsiasi giornate che passavano insieme dopo aver chiuso il negozio; lui era allegro e cucinava per lei e George, chiuso in bagno. Allora lei si avvicinava ai fornelli e sbirciava cosa c’era nella pentola, ma quella era vuota, sempre vuota. Così Fred rideva un po’, posava la bacchetta e la guardava, con un sorriso nostalgico
 
“Non lo posso fare Matt. Non lo ricordi, che sono morto?”
 
Ma lei non ci credeva, non lo voleva accettare. Iniziava a singhiozzare e pretendeva di non svegliarsi, perché se l’avesse fatto allora sarebbe tutto finito, non avrebbe più visto Fred, non avrebbe più mangiato quello che l’amico le cucinava. E poi con il negozio, come avrebbero fatto? Fred allora si incupiva e abbassava la testa; non sapeva risponderle. Lo scuoteva, urlava che glielo doveva! Doveva rimanere lì.
 
E poi spalancò gli occhi e George era già sveglio, a guardarla terrorizzato. Si abbracciarono e piansero insieme, ancora una volta, incapaci di sopportare tutto quel dolore.
 
Ma dopo quell’incubo lì, Matilda decise che era giunto il momento di reagire davvero e non avrebbe accettato un no come risposta. Così si consultò con Ron ed insieme, quella stessa sera, parlarono con George, stretti insieme agli altri Weasley intorno al tavolo della Tana: avrebbe dovuto riaprire il negozio e loro lo avrebbero sostenuto. Inizialmente George, rosso di rabbia e di disperazione si alzò di scatto facendo traballare il tavolo ed iniziò a gridare che non ce la faceva, che faceva troppo male e che, senza Fred, lui non sarebbe riuscito a lavorare ancora. Incredibilmente fu il sostegno di Percy, ad aiutare Matilda; il ragazzo che, da quel due Maggio, non aveva mancato un giorno alla tavola con la famiglia (sebbene vivesse nel suo modesto appartamento al fianco del Ministero), raddrizzò gli occhiali sul naso e parlò con tutta la calma del mondo, davanti agli occhi allibiti di tutti loro, compresi Hermione ed Harry, che stringeva la mano di Ginny al suo fianco
 
-Lascerò il lavoro al Ministero se necessario. Ma tu riaprirai il negozio George, perché Fred avrebbe voluto questo e se lo scotto da pagare sarà lavorare in quel folle negozio senza cultura…lo farò ben volentieri. Sono certo che questo lo renderebbe felice, oltre che fargli fare una bella risata-
 
Ammutoliti, tutti puntarono lo sguardo su George, ancora in piedi con i pugni stretti, che fissava il fratello maggiore con la bocca schiusa.
 
Quello fu l’inizio della lentissima guarigione di George che, in quel giorno di fine Agosto, si trovava a riordinare i Tiri Vispi Weasley con l’aiuto di Matilda, Ron, Ginny, Harry ed Hermione; ma esentò Percy dall’aiutarlo, dicendo che piuttosto si sarebbe tranciato anche l’altro orecchio, pur di non sentirlo ciarlare delle sue stronzate da professore. Quella battuta buttata lì, con un volume della voce molto alto, fece ridere e piangere i presenti.
George iniziava a guarire, almeno un po’.
 
Ma più il tempo passava, più Matilda peggiorava. Ron aveva affiancato George al negozio e anche la ragazza passava le sue giornate con loro, riprendendo in mano l’amministrazione e le questioni burocratiche. Eppure George, ancora emotivamente claudicante, stava pian piano realizzando che non poteva andare avanti così. Mentre Hermione era tornata ad Hogwarts per completare gli studi, Matilda si era sacrificata per stargli accanto. In Novembre, con il negozio ormai riavviato e a pieno regime, George aveva deciso di parlare con la sua ragazza. Così attese la chiusura, salutò Ron e raggiunse Matilda alla cassa
 
-Ti va di venire con me?-
 
La ragazza alzò gli occhi dal grande faldone che stava compilando, con aria molto assorta e tirò una ciocca di capelli dietro l’orecchio
 
-Dove?- pigolò lei
 
George sorrise stanco, chiuse piano il faldone e le prese la mano, portandola al piano superiore. Non avevano più messo piede lì, ma per fortuna, dopo il passaggio funesto dei Mangiamorte, ci avevano pensato Bill e Charlie a riordinarlo un po’. Così tornare nell’appartamento fu un po’ meno traumatico del previsto, nonostante entrambi sentirono subito il medesimo nodo, di nome Fred, a stringere lo stomaco.
Ricacciate indietro le lacrime, George tirò Matilda verso il divano ed i due sedettero, uno di fronte l’altra, rimanendo per un po’ in silenzio. Con difficoltà, George prese la parola, sforzandosi moltissimo di non piangere; non poteva permetterselo, non in quel momento, non mentre stava per prendere una delle decisioni più difficili di tutta la sua vita
 
-Non voglio che continui a stare al negozio-
 
-…?-
 
George si immerse in quegli occhi grandi, di ghiaccio e tempesta, che fissavano i suoi. Doveva farlo, glielo doveva. A lei, che aveva sacrificato il suo stesso dolore per stargli vicino. Ora veniva il suo turno; ora George doveva pensare a Matilda, a quel suo meraviglioso dono. Non poteva più permettersi di essere tanto egoista da impedirle di vivere la sua vita, non dopo tutto quello che anche lei aveva passato. Era vero: lei non aveva perso suo fratello, la sua famiglia d’origine era ancora in piedi e questo, da una parte, quella molto irrazionale, lo faceva arrabbiare, sentimento di cui si vergognava moltissimo perché Matilda non aveva nessuna colpa. Ma George non era fatto per essere egoista e finalmente lo aveva capito. Doveva lasciarla andare, permettere che lei costruisse la propria vita al meglio, lontana da quel legame stretto che la obbligava a stargli accanto, soffrendo in uno spazio che non la autorizzava a crescere, ad emanciparsi, a coltivarsi.
Così affrontò quel dramma di emozioni, con parole chiare e ferme, nonostante non avrebbe mai voluto vederla andare via.
Le spiegò ciò che sentiva essere giusto: Matilda doveva allontanarsi e prendere la sua strada, se non avessero voluto vivere nel rancore dell’obbligo. Per una volta, George era sicuro che non era quello, il posto per lei. Non voleva che lei sopravvivesse. Doveva vivere. E non avrebbe potuto farlo lì.
 
Matilda gridò, tentò la conciliazione, pianse e con lei George singhiozzò di gonfie lacrime.
 
Si abbracciarono, strettissimi, senza volersi lasciare andare.
 
Si baciarono, spezzati per l’ennesima volta dalla consapevolezza che, in fondo, era quella la via da seguire.
 
Coscienti che sarebbero guariti, prima o poi, ma non era il tempo di rimanere vicini.
 
E quelle mani strette, si slacciarono dal loro intrigo per un’ultima volta, senza la certezza di ritrovarsi ancora.
 
Matilda partì qualche giorno dopo, senza preavviso, perché avevano deciso così. Fu l’ultima decisione che presero insieme.
 
Svegliato dalla pioggia che, violenta, si abbatteva sulla finestra, George non ebbe bisogno di voltarsi per rendersi conto che Matilda non era più al suo fianco, in quel lato del letto che lei aveva scelto per entrambi. Trovò, sul cuscino ormai freddo, una piccola volpe di carta che gli fece fermare il cuore per un istante
 
“Ci ritroveremo, più forti che mai”
 
Afferrò quel pezzetto di pergamena che si richiuse al suo comando, mentre le ennesime lacrime bollenti ferivano le guance. Si alzò senza fatica, per riporre la piccola volpe nella sua copia di “Animali Fantastici: dove trovarli”, accanto a quel primo biglietto che la ragazza gli recapitò in un tempo che sembrava lontanissimo; così, con la pioggia ad accompagnare il suo dolore, George iniziò la sua vita senza Matilda, deciso a saldare da sé il proprio cuore.
 
***
 
1 Aprile, 2001
 
Hermione correva forsennata. Le mancava il fiato. Quant’era che non correva così non sapeva dirlo, forse da quella terribile notte che li aveva visti vincitori nella battaglia contro il più mago oscuro di tutti i tempi. Ma questa volta Hermione non correva per scappare da qualcuno che rivendicava la sua testa; questa volta correva per portare un messaggio, che sarebbe stato giusto recapitare quanto prima. Era presto, molto presto, quando un gufo la svegliò beccando la finestra di quella che, ancora per poco, sarebbe stata la sua camera; infatti se tutto fosse andato secondo i suoi piani, nel giro di un paio di mesi avrebbe condiviso una nuova casa (ed una nuova vita) con il suo fidanzato. Proprio da lui stava correndo in quel momento; si era svegliato ancor prima, lui, per frequentare le lezioni che lo avrebbero portato a diventare Auror, ma non si sarebbe risparmiato una bella e ricca colazione, che amava consumare in un localino al fianco dell’edifico di addestramento.
 
Ron aveva la bocca piena di uno dei migliori ciambelloni di zucca della storia, secondo solo a quello di sua madre. Stava ascoltando Harry, al suo fianco e molto più sveglio di lui, chiacchierare con un loro collega, quando una voce adorabile, ma decisamente allarmata, gridò il suo nome
 
-Ron! Per l’amor del cielo, stai sempre a mangiare?!-
 
Hermione quasi gli piombò addosso e se non fosse stata fermata dalle braccia di Harry, probabilmente sarebbe rotolata a terra trascinandosi dietro il povero, affamatissimo Ron
 
-Ma che ci fai qui? Avevi così tanta voglia di vedermi? Miseriaccia Harry, non è adorabile?-
 
Hermione, scarmigliata, con in dosso una tuta consumata dal tempo, teneva la pergamena alzata e guardava accigliata il suo compagno, davanti agli sghignazzi del loro amico Harry
 
-Perché pensi sempre di essere al centro del mondo, eh?!-
 
-Beh, non è così?!-
 
-Oh…lasciamo perdere! Oggi è il compleanno di George e…- ma si bloccò, cogliendo il sorriso amaro sul volto di Ron
 
-Tranquilla, sai che puoi nominare Fred, non è mica morto! Ah già…- la canzonò lui; Hermione non rise affatto in realtà. Ancora doveva imparare a gestire lo humor nero che Ron usava per esorcizzare il dolore per la perdita di suo fratello, ma cogliendo un’occhiata da parte di Harry, che le faceva segno di andare avanti, scosse la testa e continuò
 
-Si ecco. Allora George oggi lavorerà?!-
 
-Veramente no, ha finalmente deciso di uscire un po’. Pare si vedrà con Angelina, nel pomeriggio…non è che ne fosse molto entusiasta, ma credo che gli farà be…-
 
-NO!- gridò Hermione
 
I due amici sussultarono, così fu Harry a parlare
 
-Diamine Hermione, si può sapere che succede? Non ti fa bene agitarti tanto-
 
La ragazza, ancora confusa, passò la pergamena a Ron, che ne lesse il contenuto con Harry. Il sorriso si allargò sul viso dei due, ma poi un’espressione terrorizzata sostituì il sorriso sul volto di Ron che, sgranando gli occhi, tornò a fissare la sua ragazza
 
-Dobbiamo dirglielo! È tornata!-
 
I tre si scambiarono uno sguardo di intesa, prima di annuire. Ron ed Harry disertarono le lezioni della giornata; in fondo c’erano questioni più importanti, da affrontare.
 
*
 
Fermo, davanti allo specchio, George non sapeva bene che cosa fare. Cosa avrebbe dovuto indossare? Ma era un appuntamento, quello? Se solo lo avesse capito, magari avrebbe anche deciso che cosa mettersi.
Se solo Fred fosse stato con lui, sarebbe stato tutto molto più semplice; sicuro avrebbe fatto un paio di battute per smorzare la tensione, gli avrebbe dato dell’idiota, magari, poi avrebbe scelto al posto suo che cosa fargli indossare.
George non sapeva che cosa volesse dire andare ad un appuntamento. Non l’aveva mai fatto, non ne aveva avuto bisogno; prima di lei, non aveva avuto che flirt un po’ audaci, poi tutto era cambiato con una naturalezza disarmante, quando l’aveva conosciuta, o meglio riconosciuta.
Da quando se n’era andata, non aveva mai preso in considerazione l’idea di poter uscire con qualcun’altra, davvero no. Eppure in tanti lo avevano spinto, a distanza di un anno, ad esplorare altre vie, anche solo per distrarsi un po’. Ma a lui non serviva distrarsi, no? Appena ne aveva l’occasione immergeva il naso affilato nelle riviste di Magizoologia, nella speranza di leggere il suo nome menzionato da qualche parte. Un sorriso sincero gli illuminò il volto, quando in un noiosissimo articolo incentrato sulla cura degli Erumpent, vide sbucare una foto di giovani promesse del mestiere: ed eccola lì, la più piccola di tutti, ma con quei capelli assurdamente preponderanti, presa ad arrotolare una manica della camicia. E con il sorriso era arrivato un dolore acutissimo, perché per quanto ritenesse più che giusto che lei fosse lì, ancora non riusciva a digerire la sua assenza.
Così aveva deciso di infrangere la sua regola personale, almeno il giorno del suo ventitreesimo compleanno ed aveva accettato di uscire con la sua amica Angelina. Doveva farlo, doveva almeno provarci.
Un’incessante battere sulla porta dell’appartamento lo fece sobbalzare; purtroppo la guerra aveva lasciato le sue ferite ed il costante stato d’allerta era rappresentazione di una di esse. Corse alla porta, con la bacchetta sfoderata, con solo le mutande a coprirlo. Quando si trovò davanti suo fratello Ron, affiancato da Hermione che perdeva rapidamente il sorriso smagliante scorgendolo seminudo e da Harry, che alzò le mani come reazione spontanea, George sgranò gli occhi
 
-Ma che ci fate voi…-
 
-Zitto e facci entrare!- disse con urgenza Ron
 
-Abbiamo una cosa importante da dirti- si affrettò ad aggiungere Harry
 
-Ma potresti prima vestirti? Ah, comunque buon compleanno!- aggiunse Hermione con una mano a coprire gli occhi
 
George alzò un sopracciglio e soppesò i tre, prima di decidere di farli entrare
 
*
 
Lo sguardo, chino, su un abbondante bicchiere di gin. Nell’aria, una musica delicata, malinconica. Intorno a lui un vociare indistinto di babbani appena usciti dal lavoro. Gli occhi camminarono sul legno consumato di quel piccolo tavolino che accoglieva lui ed il rombare agitato del suo cuore.
 
Poi il campanello appeso alla porta risuonò, contrastando le note del brano che passava alla radio, ma lui non se ne rese nemmeno conto, preso com’era a contare le venature del legno, mentre le unghie torturavano le cuticole.
Ma un fruscio leggero, seguito da un lieve colpo di tosse, lo destarono, costringendo le pupille a risalire su un abito di percalle color vinaccia e ancora più su, a scontrarsi con un decolté lievemente abbronzato, contornato da quel caschetto candido e riccio, che per tante notti aveva sognato. E nel salire ancora, il suo sorriso più spontaneo incrinò il viso, come quelle labbra morbide e rosse su cui si soffermò, prima di incontrare gli occhi di Matilda, che bella così non l’aveva vista mai, ne era certo. Le mani di lei scostarono la sedia, per permettersi di sedersi.
E così, come non fosse passato un solo istante dal loro ultimo saluto, Matilda si rivolse a lui
 
-Buon compleanno, Georgie-
 
-Ben tornata, Lemonsoda-
 
 



 
 
Eccomi, o meglio, eccoci, giunti proprio alla fine. Ho sfiorato le 400 pagine scrivendo di Matilda e del suo incontro con George, quell’anima gemella tanto diversa, eppure fondamentale e complementare. Mai avrei pensato, quel sette Agosto del 2017, di intraprendere e portare a conclusione un percorso del genere. Quando ho iniziato a scrivere “Di Ghiaccio e Tempesta” ero in una fase molto buia della mia vita; avevo poche certezze e molti dubbi e Matilda, per me, è stato un vero e proprio processo di guarigione. È passato il tempo ed io ho continuato a scrivere, riparandomi dalle avversità con lei, con George e Fred, Draco e Narcissa, Daphne, Hermione, Ron e anche il nostro Harry. Nel frattempo Matilda cresceva, appropriandosi della sua vita, mentre la mia vita reale andava avanti, fra alti e bassi. Mentre stendevo i capitoli ho cominciato ad avere i primi riscontri dai lettori, che mi hanno fatto capire che, alla fine, stavo facendo un lavoro abbastanza dignitoso, non proprio da buttare via. Arriva quindi il mio primo ringraziamento: Ringrazio Morella, che è stata con me fin dall’inizio; lei, che mi aveva già supportata in altre storie, è stata una delle prime a credere in Matilda. Assieme a Morella altri timidi lettori si sono aggiunti, come Tenmary, da cui è arrivata la prima recensione; è stato molto emozionante.
 
Poi è arrivato Gennaio e, fra una lettura e l’altra, nella bacheca è spuntata fuori una storia che ha gettato le basi per un rapporto molto speciale. “Agli Antipodi”, una vecchia storia non più online, ma che io porto nel cuore, mi ha permesso di conoscere colei a cui va il mio secondo ringraziamento: AdhoMu ha iniziato a leggere di Matilda ed è stata la seconda persona che ha riposto davvero fiducia in me. Con lei ho fugato dubbi, parlato di Matilda e di George, creato intrecci. Ho ricevuto rassicurazioni quando ne avevo bisogno e sono stata spronata quando ho vacillato. Grazie, non smetterò mai di dirtelo.
 
Febbraio è stato un mese orribile, in cui la mia vita è stata stravolta, totalmente. Così Matilda è stata ancora con me, a supportarmi.
Piano piano ha conquistato la sua dignità e voi me lo avete fatto intendere bene; ho ricevuto delle bellissime recensioni, come da Parsimonius, o da Erika1997, da Hamirai_01 o da Morrigan97; da loro ho ricevuto i pareri più belli, giunti insieme a quelli di alcuni altri che ringrazio, uno ad uno.
 
E mentre la storia era bella che avviata e, in realtà, si apprestava alla conclusione, è arrivata Francy (Inzaghina) che si è presa la briga di recensire capitolo per capitolo, dimostrando quanta cura lei impieghi non solo da scrittrice, bensì anche da lettrice. La ringrazio con tutta me stessa e le mando un forte abbraccio, augurandole tra l’altro un meraviglioso viaggio di nozze.
 
Ancora Mademoiselle Anne, avvicinata alla storia tramite l’interattiva totalmente delirante che ho messo in piedi, mi ha stupita e rassicurata. Altra lettrice estremamente accorta, una delle più puntuali nell’analisi, che ho avuto il piacere di incontrare su questo sito e con cui mi scambio bellissime opinioni.
Poi Pulsatilla, che ha dimostrato di aver studiato il personaggio di Matilda con attenzione, che ne ha colto le sfumature più delicate; grazie davvero.
Così come Em: anche lei ha dimostrato di aver fatto suo questo racconto, che io ho voluto condividere con voi.
 
Un ringraziamento importante va a quella mia sorella non di sangue che ha seguito tutto il processo di scrittura. Lei, amante della saga quanto me, è stata la prima a dirmi che Matilda era all’altezza dei personaggi canon e, sempre lei, ha riso e talvolta pianto, leggendo i capitoli. Ora sta per nascere S., eppure non si è mai esentata dal leggere i miei capitoli. A lei va il mio abbraccio più caldo e proprio ad S. dedico questo epilogo: in un mondo così c’è bisogno di credere nell’amore, ed io sarò al suo fianco, da brava zia, a ricordarglielo sempre.
 
Sicuramente ho dimenticato qualcuno, ma sapete com’è, ora che ho chiuso davvero questa storia mi sento tanto leggera e poco concentrata. Sappiate, comunque che ringrazio ogni singola persona che ha letto Ghiaccio con piacere e che ha compreso Matilda.
 
Lo so che questa storia si chiude con un grande punto interrogativo, infatti aggiungo che, più avanti, pubblicherò una raccolta di os legate a “Di Ghiaccio e Tempesta” che spero leggerete: risolverò dei sospesi ed approfondirò alcuni legami; e al solito mio, cercherò di farvi ridere e commuovere come posso.
 
Ora basta, che sono stata fin troppo sentimentale. Alla prossima “avventura”.
 
Bri




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