Il
piano c'era, fortunatamente anche le risorse per metterlo in pratica.
Come ogni fine dell'anno, il trenta dicembre si sarebbe tenuto
all'auditorium della Luthor Corp un'asta per beneficenza e, proprio
come ogni anno, Rhea Gand si sarebbe precipitata per fare qualche
offerta e farsi fotografare e mostrarsi cittadina modello. Quello
sarebbe stato il momento in cui il quadro sarebbe entrato in suo
possesso: vedendolo all'asta, se ciò che aveva detto il
profilo
misterioso era vero, non se lo sarebbe lasciato sfuggire. Fecero
qualche ricerca su internet e capirono molto presto, sfortunatamente,
che il quadro che dovevano ottenere era per forza quello in possesso
di Maxwell Lord: in vendita erano esauriti da tempo e non esistevano
privati che volevano sbarazzarsene; d'altronde, se Rhea lo
desiderava, era qualcosa che non poteva avere in altro modo.
«Andrai
tu a prenderlo», decise Kara guardando sua sorella, che
spalancò
gli occhi.
«Cosa?
Perché io?», si passò una mano fra i
capelli.
«Perché
è te che ama di più».
Alex
ebbe come una specie di déjà-vu e si
accigliò.
Al
fianco di Kara sedute sul suo lettino del campus, Lena si rivolse ad
Alex: «Sei quasi mia sorella, potresti andare da lui con la
scusa
che mi stai aiutando a raccogliere materiale per l'asta. Solitamente
mando fattorini, si aspetterà qualcuno in ogni caso. Vai, ti
giri
intorno e noti il quadro».
«È
un oggetto di valore, non me lo cederà per
un'asta», protestò.
«Beh,
forse…», mormorò Kara e le due la
fissarono: «Ha una specie di
cotta per te, magari se glielo chiedi
gentilmente…».
Alex
assottigliò il suo sguardo, infine sbottò:
«No! Mi rifiuto
categoricamente di partecipare a questa cosa».
Le
ultime parole famose. Se le impresse bene a mente quando si
ritrovò
all'interno dell'ascensore alla Lord Technologies, pronta, o quasi,
per incontrare Maxwell Lord. Odiava essere lì. E odiava quel
piano.
Ma sfortunatamente era l'unico che poteva funzionare e avevano
davvero disperatamente bisogno di quel quadretto. Era il ventisette
dicembre, fuori c'era il nevischio, e lei era all'interno di un
ascensore pregando di non dover di nuovo colpire un uomo polpo.
«Non
ti agitare, tesoro. So che lo sei»,
la dolce voce di Maggie all'orecchio sinistro la fece sorridere,
alzando una mano per sistemare bene l'apparecchietto, poco
più piccolo di un'auricolare.
«Preferirei
dover affrontare un'invasione aliena proprio in questo momento
piuttosto che Maxwell ManoLesta
Lord, credimi», mormorò.
«Porta
pazienza. Ti sono vicina», le ricordò con un
sorriso, anche se non
poteva vederla. Kara le stava alitando sul collo, come se avesse
voluto sfilarle le cuffiette a una sua distrazione.
Appena
aveva saputo del piano e di tutta la storia sul messaggio del profilo
misterioso, Maggie aveva portato a casa, in prestito dalla stazione
di polizia, un kit con microauricolare e ricetrasmittente in modo che
potessero restare in contatto con lei. Alex ne era rimasta talmente
entusiasta che il suo ringraziamento fu un ti
amo
seguito da un abbraccio. Anche lei sapeva bene quanto non amasse
quell'uomo, le aveva raccontato qualcosa del loro unico incontro a
Metropolis, ma sapeva anche quanto era importante che riuscissero ad
avere quel quadro.
«Che
cos'ha detto?», domandò Kara, sporgendosi ancora
un po' su di lei,
come se avesse potuto ascoltare meglio. Maggie le rispose che era
ancora in ascensore e così guardò Lena, seduta
sul lettino di Megan
lì al dormitorio del campus, che le annuì.
«Ecco,
sono arrivata. Augurami buona fortuna»,
la sentì.
Alex
prese un bel respiro e sistemò di nuovo l'auricolare e la
collana
sotto il maglioncino, che conteneva il microfono e l'antenna, quando
vide le porte dell'ascensore aprirsi. Si guardò intorno e
sorpassò
un Alberello di Natale in un angolo per dirigersi verso la scrivania
della segretaria a metri da lì. «Vado a parlare
con la segretaria»,
sussurrò a bocca stretta, «Vedo l'ufficio di Lord,
ha le porte a
vetro. È seduto dietro la scrivania».
«Va
bene», annuì Maggie, guardando Kara al suo fianco
che smaniava per
avere notizie, «Tra poco sentiremo tutto».
«Cosa?
Cosa sentiremo?», la guardò accigliata,
«Io non sento niente,
senti solo tu». Maggie scrollò le spalle mentre
Lena disse di
calmarsi. «Non sono agitata, m-ma Alex deve prendere quel
quadro
cercando di non destare sospetti e Maxwell Lord ha una cotta per lei,
ha cercato di baciarla quando voleva rifiutarlo e presto saranno soli
in un ufficio in un piano di un palazzo dove non c'è
nient'altro».
«L'ufficio
ha le porte a vetro e fuori c'è la segretaria», le
fece sapere
Maggie.
«Lo
so, te l'ho detto io»,
corrugò lo sguardo Alex, avvicinandosi alla scrivania.
«No,
Danvers, parlavo con Kara».
«Cosa?
Cosa ha detto?», Kara le strinse un braccio.
«Che
me l'ha detto lei», scosse la testa.
«Cosa
ti ha detto lei?»,
sussurrò appena Alex con tono imbronciato.
«Ma
no, anche adesso parlavo con Kara».
Kara
le tirò una manica. «Insomma, stai parlando con me
o con Alex?».
Maggie
si scambiò uno sguardo con Lena in cerca di comprensione,
così
mentre lei si portava una mano sulla fronte, decise di abbassare le
cuffie e accendere il vivavoce. «Okay, Danvers, adesso ti
sentiamo
tutte».
Alex
annuì un poco, come se avessero potuto immaginare il gesto,
intanto
che prendeva l'attenzione della segretaria. Le chiese appena se
avesse appuntamento che le porte a vetri si spalancarono e il giovane
uomo prese la loro attenzione, mostrando un sorriso.
«E
poi gira voce che Babbo Natale non esista», esordì
e Alex si sforzò
di sorridere. «Un bel regalo in ritardo è pur
sempre un bel
regalo», la invitò ad accomodarsi con un gesto e
Alex, dall'altra
parte del suo auricolare, sentì le ragazze esprimersi con
versi
divertiti.
«Troppo
audace»,
disse Maggie.
«Cascamorto»,
commentò Lena.
«Se
la sfiora gli spezzo un dito»,
borbottò invece Kara.
Alex
continuò a sorridere con forza ed entrò
nell'ufficio che era ben
illuminato e odorava di menta. Lanciò una rapida occhiata
intorno a
lei, tra scaffali pieni di libri, di titoli e diplomi appesi, delle
piante in vaso, tanto che quando si sedette davanti a lui, aveva
già
scorto il quadretto interessato, affisso accanto ad altri quadri con
su dipinte delle piante.
«Stentavo
a credere alle mie orecchie quando mi hanno chiamato dal pian terreno
per dirmi che una certa Alex Danvers era qui per me».
I
commenti di disapprovazione non si fecero attendere e Alex trattenne
le risa. «N-Non sono qui per una visita di
piacere».
«Lo
so, mi hanno riferito anche questo. E così, quest'anno Lena
Luthor
affida le commissioni alla famiglia. Immagino sia un modo per
rendervi unite», le sorrise, incrociando le dita delle mani,
poggiando le braccia sulla scrivania e osservandola con interesse.
«Diciamo
che è così…». Si
grattò una gamba: il suo sguardo la metteva a
disagio.
Lui
strinse le labbra e all'improvviso abbassò gli occhi,
pensando.
«Voglio chiederle scusa, signorina Danvers. A Metropolis mi
ha
trovato un po'… per
le mie;
altre cose per la testa mi hanno impedito di comportarmi come il
gentiluomo che lei merita di conoscere. Non voglio arrancare scuse,
ma voglio che lei sappia che sono davvero dispiaciuto»,
scrollò le
spalle, «di… aver cercato di rubarle un bacio.
Ammetto di essermi
meritato quel colpo. Bel
colpo,
se posso permettermi», abbozzò una risata.
«Oh,
la mossa delle scuse…»,
borbottò Maggie; ad Alex parve quasi di vederla mentre
inclinava la
testa da un lato. «È
davvero interessato, Danvers. Prova a non farmi ingelosire».
Alex
abbassò gli occhi solo per un attimo, sorridendo, poi
spalancò la
bocca e prese fiato. «Non giriamoci intorno, sono qui solo
per fare
un favore a Lena Luthor e non per… fare amicizia»,
alzò le
sopracciglia e lui annuì, stringendo le labbra.
«Molto
bene. Allora…», si alzò mettendo le
braccia dietro la schiena,
così si alzò anche Alex. «Solitamente,
la giovane Luthor lascia
decidere me cosa donare per l'asta».
«Idiozie»,
sentì chiara la voce di Lena, «Mette
la cosa a suo favore in modo che possa sbarazzarsi di qualche
cianfrusaglia. Ho già parlato con lui, gli ho spiegato che
avevo in
mente un dipinto. È un collezionista, ne ha sempre da
parte».
La
ragazza annuì, voltandosi direttamente verso la parete con i
quadretti. «È un appassionato di piante e fiori,
signor Lord?».
«Lo
sono di qualsiasi cosa che abbia fascino», sorrise,
guardandola
attentamente.
«Uh,
questa è fine»,
commentò Maggie.
«Non
gli basta sentirgli dire di no una volta»,
ruggì Kara, «È
recidivo».
Alex
prese respiro e lui se ne accorse. «Lei cosa ne pensa,
signorina
Danvers?».
«C'è
di meglio», sbottò e gli sorrise a sua volta.
«Lena mi ha riferito
che è un collezionista, che ha sempre dei quadri da
parte».
«Come
ho detto, sono un appassionato di qualsiasi cosa abbia fascino.
È
certo che nessun quadro che posseggo, né che sia mai stato
inventato, possa mai essere bello quanto la creatura che ho davanti
agli occhi».
«Uh,
ew»,
udì le voci di Kara, Maggie, Lena e… quella era
Megan?
«Da
dove sei spuntata fuori?»,
domandò Kara.
«Ragazze,
ho aperto la porta e nessuno mi ha notata. Credevo steste ascoltando
un audiolibro. Ma quella era Alex?».
«Shh.
Alex è con Maxwell Lord in questo momento»,
Maggie tentò di abbassare la voce.
«È
meglio di un audiolibro»,
rispose Megan.
«Shh».
Alex
spalancò gli occhi. Rimase forse per troppo tempo incantata
ad
ascoltare le voci nella sua testa che Max Lord si avvicinò,
cercando
di attirare la sua attenzione. «Sicuramente anche di quelli
che
inventeranno un giorno», aggiunse con soddisfazione,
«Ma non voglio
adularla».
«Non
lo farebbe mai»,
sussurrò Maggie.
«Non
ne è capace»,
concordò Lena.
«Solo
che finora non ha fatto altro»,
brontolò Kara.
«Ragazze,
non sento»,
le rimproverò Megan.
«Mi
chiedeva dei quadri… Non ne ho portati con me, ma se
desidera può
venirli a vedere a casa, così sceglie lei quello che secondo
il suo
gradimento è il migliore per l'asta»,
annuì. «Sono a sua
disposizione».
«Eh
no! Questo è troppo»,
sentì sua sorella agitarsi.
«Ehi,
sto cercando di sentire come finisce»,
bisbigliò Megan.
Alex
deglutì e si portò una mano all'orecchio
sinistro, alla
microauricolare, spegnendola accompagnando un forzato sorriso.
«Mmh,
no, secondo il mio gradimento il migliore per l'asta è tra
quelli
sul muro, ma grazie lo stesso».
«Perdoni
se ci ho provato».
Lui
scrollò le spalle e lei incurvò la testa,
regalandogli uno
sprezzante sorriso. Il tutto mentre, dall'altra parte, si scatenava
il putiferio.
«Oh
cielo, Maxwell Lord ha preso Alex», sbottò Kara,
alzandosi di
scatto dal letto accanto a Maggie. «Deve aver trovato
l'auricolare
e- oh,
non oso pensare cosa le stia facendo adesso. Calmiamoci
tutte», le
guardò una per una, «Devo volare da lei
subito».
«No»,
la fermò Maggie ad un polso, «Torna qui,
sorellina, vedrai che sta
bene».
Lena
annuì, alzandosi e prendendo lei i polsi di Kara per farla
tranquillizzare. «Alex deve aver spento l'auricolare
perché stavamo
facendo confusione. Adesso rilassati, la sentiremo tra poco».
La
fece sedere al suo fianco e la vide lanciare un'occhiata alla
ricetrasmittente.
«Okay.
Ma se non si farà sentire entro cinque minuti,
sarà Maxwell Lord a
sentire me».
Intanto,
in mezzo ai due letti seduta a terra con gambe incrociate, Megan
sospirò. «Ci tenevo a sentire come
finiva… uff».
In
un altro contesto, e se non fosse un marpione tanto spregiudicato,
Alex era convinta che avrebbe potuto apprezzare alcune
caratteristiche di quell'uomo. In fondo non era neanche tanto male,
da qualche parte scorgeva un minimo di simpatia, ma anche al di
là
del suo tanto plateale interesse verso di lei, il suo sesto senso non
la convinceva per niente. «Quello sarebbe
perfetto», indicò il
quadretto in mezzo ad altri, «Mi piace, ha un non so che
di…
speciale». Lo sentì mugugnare.
«Mi
spiace, signorina Danvers, ma quel quadretto è davvero tanto
speciale come crede e non posso darglielo. Non metto in
dubbio»,
rise, «che animerebbe l'asta alla Luthor Corp, ma vede,
è una
vincita di tanto tempo fa, un ricordo, ci sono davvero tanto
affezionato».
«Un
ricordo?», domandò, mostrandosi interessata.
Sperava di convincerlo
a cederglielo con qualche moina, ma quando iniziò a parlare
si rese
conto che quello che aveva da dire poteva essere importante su Rhea
Gand.
«Quella
donna tanto pericolosa, non
lo crede anche lei?»,
guardò il quadro e poi Alex, «mi diede quel
quadretto quando perse
con me una scommessa. Allora ero praticamente un ragazzo, mi
affacciavo al mondo dei grandi in punta di piedi, ero aiutato
dall'esterno
perché mio padre si disinteressava dei miei piccoli successi
e Rhea
Gand, anche se allora suo marito era agli albori della sua carriera
politica e lei era solo una segretaria, era una donna che mi incuteva
un certo timore, come spiegarmi», ridacchiò per
sé e alzò le
sopracciglia, perdendosi nei ricordi. «Già allora
si comportava
come se il mondo dovesse sottostare al suo volere e può
immaginare
che effetto facesse a un ragazzo un po' insicuro com'ero quando i
nostri percorsi, per volere del sindaco e di altre persone influenti,
si incrociavano. L'ho conosciuta così. Lei era tra le
persone che
non credevano in me, che non avrei portato in alto la Lord
Technologies. Posso assicurare che lei non credeva e non crede
tuttora a nessuno, non che fosse personale, però…
feci con lei una
scommessa, una soltanto», strinse i denti e
abbozzò un sorriso,
«che entro tre mesi sarei riuscito a farmi un nome.
Quell'unica
scommessa», s'inumidì le labbra con emozione,
puntando in alto il
dito indice destro. «Quasi allo scadere di quei tre mesi, la
Lord
Technologies e il mio lavoro furono sulla
bocca di tutta National City», sorrise entusiasta.
«Potevo
finalmente competere con le grandi industrie. Vinsi e Rhea Gand mi
diede il quadretto che avevo scelto. Quello», lo
indicò, «Quel
quadretto. Quel quadretto segna il punto di svolta della mia
carriera. Ah,
naturalmente, mi creda, ha provato spesso a farmi un'offerta per
riaverlo, ma una scommessa persa è una scommessa persa».
«Quindi
è uno a cui piace scommettere», lo
guardò con la coda dell'occhio.
Lui
abbassò lo sguardo e sorrise, dando dopo pochi secondi di
attesa di
nuovo a lei la sua completa attenzione. «Mi piace
vincere», la
corresse, aggiungendo: «Ottengo sempre quello che
voglio».
Oh,
ora era certa che se avrebbero voluto quel quadretto, avrebbero
dovuto rubarlo. Come avrebbe fatto a convincerlo a regalarle una cosa
tanto importante per lui? Per un'asta, poi, dove sarebbe tornato in
mano alla sua precedente proprietaria.
«Non
metta su quella faccia, signorina Danvers, o potrei quasi cedere solo
per vederle fare un sorriso».
Alex
spalancò gli occhi: voleva davvero dire che era
corrompibile?
«Accidenti, è che…»,
increspò le labbra e ciondolò un po',
senza esagerare. Il tanto per non sentirsi sporca dentro.
«Non so,
come l'ho visto ho pensato è
perfetto,
che se lo avessi portato alla Luthor Corp, Lena e Lillian…
oh, è
una cosa così sciocca», scosse un poco la testa e
attese una sua
reazione.
«Sono
altre le cose sciocche, se mi permette», non si fece
attendere
troppo. «Mi dica».
Così
Alex si voltò a lui, aggrottando le sopracciglia.
«Ma no, davvero.
Mi rendo conto solo adesso che non ne vale la pena».
«Ma
dai, non si faccia pregare».
«E
va bene», sbuffò. «Il fatto è
che i Luthor stanno diventando
parte della mia famiglia adesso, sono diversi da noi, abituati a un
altro stile di vita e…», lasciò senza
terminare la frase,
scuotendo ancora la testa. «Pensavo di cogliere
quest'occasione per
far vedere ai Luthor che sono all'altezza del loro nome, che posso
essere parte della loro famiglia a tutti gli effetti! Quel quadretto
mi ha ispirato, come dire, come se avesse potuto dare anche a me
un…
un punto di svolta». Lo vide accigliarsi e capì di
aver osato
troppo. Accidenti. Accidenti. Aveva sbagliato. Aveva perso la sua
occasione d'oro?
Quando
rientrò al dormitorio del campus, Kara spostò di
lato Maggie che
stava per andare a salutarla e le saltò addosso. Certo, si
era
calmata quando Alex aveva riattivato l'auricolare e spiegato che
stava tornando da loro, ma era rimasta in stato di ansia perpetua per
tutto il tempo e solo rivederla le aveva fatto tirare un sospiro di
sollievo. Anche tra le sue braccia borbottò qualcosa contro
Maxwell
Lord.
«Allora,
com'è andata?», le chiese Megan, incrociando le
braccia al petto.
Non
sapeva quanto l'amica di sua sorella fosse a conoscenza di tutta
quella storia, ma non indagò, aprì invece la sua
borsa e,
lentamente e con cautela, tirò fuori un fagotto di stracci,
poggiandolo su un lettino. Tolse uno strato e poi l'altro, mostrando
il quadretto. Ce l'aveva fatta.
Tutte
sorrisero e Maggie l'abbracciò e poi la baciò,
stringendola ancora.
«Hai vinto, Danvers. Perché non ti vedo
raggiante?».
«Mh,
non so, forse ho giudicato male Maxwell Lord e quel quadro era
davvero importante per lui».
«Oh,
hai un cuore d'oro», le circondò il viso con le
mani e la baciò,
per poi allontanarsi a vedere il quadro insieme a Kara.
Alex
si tenne in disparte e Lena la raggiunse. «Sei davvero
dispiaciuta
per lui? Hai fatto ciò che dovevi».
Alex
annuì appena, tirando indietro le labbra. «Ssì…»,
si avvicinò a lei, iniziando a bisbigliare: «In
verità quel
bastardo mi ha sottratto un appuntamento». Lena
spalancò gli occhi,
restando immobile, mentre lei continuava: «Come
amici
ha specificato, quando gli ho spiegato, di
nuovo,
di essere felicemente fidanzata. Dovevo accontentarlo se volevo
portare a casa quel quadro».
«Ti
sei sacrificata come un bravo soldato», bofonchiò,
annuendo.
«Ho
fatto la mia parte, Luthor. Ora tocca a te. E dovrò pagare
da sola».
«Già».
Megan
diede un'occhiata al quadro e dopo si avvicinò alle due,
estraendo
un sorriso. «Sì, bello il dipinto, ma io mi
riferivo alla
situazione tra te e Maxwell Lord. Niente baci e abbracci?».
Alex
la degnò appena di un'occhiata.
Se
la prima parte del loro piano si era conclusa con la loro vittoria e
qualche effetto collaterale, la seconda era più lunga ma
molto più
semplice. Mentre Winn coordinava i lavori per l'asta da solo per la
prima volta, telefonando di tanto in tanto Lena per avere da lei
delle dritte, quest'ultima cancellava i dati della microspia che
riportavano al D.A.O.. Era il ventotto dicembre, erano pochi gli
uffici e i laboratori ancora aperti alla Luthor Corp, e la voce di
Kara, in quell'aula dov'erano solo loro due, rimbombava contro le
pareti.
«Non
ha piovuto troppo, anche se all'esterno per una passeggiata ci siamo
rimasti poco… Alla fine ci siamo divertiti»,
parlava di
quell'uscita del ventisei dicembre da almeno venti minuti, con un
sorriso stampato in faccia e gli occhi che brillavano.
«Jeremiah non
ha chiesto a te e Lex di venire perché vi conosce appena, ma
alla
prossima glielo proporrò, così possiamo passare
del tempo assieme e
avrete modo di conoscervi meglio».
«Non
importa», mormorò, attenta al portatile.
«Come?
Non ti va di passare del tempo con me, Alex e Jeremiah?».
Lena
prese respiro e allontanò gli occhi dallo schermo,
voltandosi verso
di lei. «Non è questione che mi vada o no, ma lui
è vostro padre.
Porta fuori voi due perché siete le sue figlie, Lex ed io
siamo di
troppo».
Kara
aggrottò lo sguardo, non del tutto soddisfatta di quella
risposta.
«Ma adesso siete di famiglia, quindi…».
«Non
la sua famiglia», si scambiarono uno sguardo e le propose con
una
mano di passare dalla sua parte e raggiungerla. «Va bene
così, è
un tempo solo per voi».
Kara
le arrivò accanto e si sporse verso di lei che era seduta su
una
sedia a ruote, poggiandole le braccia sulle spalle.
«È solo che…».
«Cosa?».
«Mi
dispiaceva uscire e lasciarti lì…».
«Mia
salvatrice», sussurrò, guardandole le labbra. Kara
si abbassò e
Lena le portò via un bacio, lentamente, dandosi modo di
assaggiarsi,
scoprirsi poco a poco. Tanto prese dal loro momento che non si
accorsero della porta del laboratorio che si apriva:
«Signorina
Luthor, avrei bisogno di- aah!»,
Winn tornò indietro di un passo, spalancando la bocca e
alzando le
braccia e un ginocchio, d'istinto.
Loro
si separarono ma, voltandosi verso la porta, lui non c'era
già più
e quella si chiuse da sola.
Il
loro tempo era finito. Lo sapevano. Avevano deciso che dopo Natale
avrebbero scoperto le carte e fatto coming out: dire alle loro madri
di stare insieme equivaleva a non nascondersi più, essere
libere,
vivere la loro relazione alla luce del sole con chiunque. Con il loro
piano della microspia in casa Gand avevano avuto qualche intoppo, ma
erano ancora di quell'idea. Si sentivano pronte, dopotutto. O quasi.
«Sei
riuscita anche tu a parlargli?», le chiese Lena una volta in
auto
con Ferdinand alla guida, di ritorno verso il campus di Kara. La vide
annuire, ma non sembrava così particolarmente convinta.
«Credo
che per lui sia stato come…», si voltò,
abbozzando appena un
sorriso, «essere un bambino e scoprire papà e
mamma a letto insieme
che si fanno le coccole», annuì ancora e infine
rise.
Anche
Lena sorrise. «Mi è parso un po' sconvolto, in
effetti. Aveva anche
una cotta per te».
«Come?
Winn?».
«Non
dirmi che non te ne sei mai accorta, quel ragazzo è un libro
aperto».
Kara
spalancò gli occhi e la bocca, arrivando a toccarsi il petto
con una
mano. «Tu menti! Non è possibile! Si è
sempre comportato così da
buon amico, con me…».
Lena
le toccò il naso con un dito, ricominciando a ridere.
«Sei la sola
persona al mondo più ingenua di lui».
Si
guardarono e si avvicinarono, ma lanciando un'occhiata al posto di
guida si lasciarono, cercando di tornare serie.
«E
il nostro lavoro…? Hai concluso?»,
domandò Kara.
«Sì.
Domani avverrà l'installazione».
«Ci
siamo quasi».
Si
strinsero le mani e si lasciarono andare quando la macchina si
fermò
davanti al cancello, per andare ognuna per la propria strada.
Entrambe si chiesero come sarebbe cambiata la loro routine quando non
avrebbero più dovuto fingere di non stare insieme. Se Kara
avrebbe
potuto dormire in villa ogni tanto, se Lena si sarebbe sentita un po'
meno sulle spine ogni volta che guardava sua madre ed Eliza insieme.
A quel proposito, se c'era qualcosa che spingeva Lena a fare
retromarcia sulla questione, era proprio sua madre: ogni volta che le
rivolgeva la parola faceva finta di non sentirla, aveva un
temperamento più chiuso anche con la sua futura sposa ed era
troppo
sulle sue, passava perfino più tempo del solito in
dependance, forse
a rivedere le vecchie cose di suo padre. Era decisamente strana ma
normalmente non ci avrebbe dato peso, ora tuttavia sperava che le
tornasse il buon umore molto presto perché avrebbero dovuto
avere
ogni tipo di aiuto possibile per quando avrebbero affrontato
l'argomento con loro.
Il
pomeriggio seguente, Lena tornò in laboratorio con il
quadretto per
lavorare con Winn sull'installazione della microspia ripulita. Era
già chiusa lì dentro dando una nuova occhiata
alla microspia quando
arrivò Kara con delle tazze da viaggio fumanti intorno a un
braccio.
Portò anche una scatola di ciambelle sperando nel perdono,
considerata l'amara sorpresa, del ragazzo.
«Così
potremmo tornare a essere amici senza…»,
agitò le mani, per poi
prenderne una e assaggiarla, «senza imbarazzi,
diciamo».
Lena
la sentì mugugnare un Sono
buone
intanto che si avvicinava a lei. L'avvolse con le sue braccia e
aspettò che ingoiasse. «È un gesto
carino».
«Grazie»,
disse ormai sulle sue labbra, prima di avvicinarsi ancora e baciarla.
Si strinsero e, mentre le mani di Kara l'avvolsero sui fianchi,
quelle di Lena arrivarono ad accarezzarle il contorno del viso, il
collo, insinuandosi fin su all'elastico per capelli, tentandoglielo.
Tanto prese da loro stesse che non si accorsero della porta che si
apriva:
«Signorina
Luthor, sono a sua disposi- aah!»,
Winn tornò di nuovo indietro, alzando le braccia e un
ginocchio,
sparì prima che potessero voltarsi verso la porta.
Lena
contrasse le sopracciglia in disperazione intanto che Kara la
rassicurava che sarebbe andata lei a recuperarlo.
Era
il ventinove dicembre, fuori pioveva a dirotto e all'interno di un
laboratorio alla Luthor Corp, Lena Luthor e Winn Schott Jr.
installavano con minuziosa attenzione una microspia nella struttura
di un quadretto prezioso. Era un lavoro semplice, ma richiedeva
davvero molta cura e un minimo errore poteva compromettere il valore
dell'oggetto, senza contare che la sua vecchia proprietaria avrebbe
notato delle differenze. Non doveva esserci nemmeno un graffio.
Un'ora ed era tutto finito; lasciando riposare il quadro all'interno
del suo fagotto di stracci, loro si erano seduti a mangiare
ciambelle, ripensando al piano. O almeno le ragazze.
«Credo
che mi sia sfuggito il motivo per cui abbiamo messo quella microspia
all'interno di un quadro che venderemo all'asta di domani».
Winn guardò le due, per poi masticare di nuovo.
«Non
l'abbiamo detto», chiosò Lena e lui
annuì, ma non si erano perse
il fatto che fosse un po' deluso.
Come
al solito, Lena si fece venire a prendere da Ferdinand in auto,
portarono Kara al campus e poi l'autista la scortò in villa.
Eliza
stava organizzando il pranzo di Capodanno nella sua casa fuori
National City e di tanto in tanto la sentiva parlare al telefono per
convincere qualche vecchio amico o collega di lavoro a partecipare
alla festa. Immaginava che Lillian si sarebbe sentita un po' a
disagio in un ritrovo intimo informale, ma di certo quel fatto non
giustificava quel suo bizzarro comportamento. Appena tornò a
casa,
udì Eliza al cellulare verso la cucina e lei, sua madre, era
davanti
alla porta della biblioteca con un'espressione contratta in volto.
Appena la vide, il suo essere contraria parve aumentare e Lena la
scorse mettersi una mano sulla fronte e darle le spalle, camminando
via. Anche in quel momento, la ragazza decise di starsi zitta e
andare a farsi un bagno caldo per rilassarsi.
Così,
il tanto atteso giorno dell'asta per beneficenza alla Luthor Corp
arrivò. Era già pomeriggio e Lena
indossò un abito scuro, aperto
sulla schiena e stretto sulle ginocchia, si tirò in alto i
capelli e
ripeté varie volte davanti allo specchio, da diverse
angolazioni, il
discorso che avrebbe aperto l'asta. Era un po' agitata, ammetteva a
se stessa, lo era ogni anno ma quello in special modo lo era un poco
di più per via del loro piano. Sperava davvero che tutto
andasse
come organizzato o non avrebbero avuto pronto un piano B da seguire.
Se anche solo Rhea Gand avesse deciso di non partecipare…
Era come
se Kara le avesse letto nel pensiero, guardando il suo cellulare che
vibrava sulla scrivania che le diceva di accettare una sua chiamata.
«Partecipa
ogni anno», affermò all'apparecchio, rispondendo
ai suoi dubbi e
così, senza che Kara potesse saperlo, anche ai propri.
«Deve
partecipare, vedrai, andrà tutto bene».
Aprì la porta di camera
sua e iniziò a percorrere il corridoio e poi le scale.
Sapeva che le
loro madri erano già uscite e che poteva parlare
liberamente.
«Allora, hai programmi per Capodanno? Pensavo di portarti in
un bel
posto, dove si vedono bene i fuochi d'artificio». Sorrise,
ascoltando la sua risposta. Forse arrossì. «Bene,
sì… è una
buona idea». Il suo sorriso si spense e le mancò
la voce quando
sorprese sua madre ai piedi delle scale che l'aspettava. Era pronta
per uscire, anche lei indossava un vestito, ma non sembrava
intenzionata a farlo nell'immediato. «Ti devo lasciare, ci
vediamo
lì». Chiuse la chiamata e finì di
scendere le scale, ignorando il
suo sguardo fintanto che poteva.
«Era
Kara?», le chiese Lillian con un tono di voce accusatorio.
Capì che
Lena aveva difficoltà a risponderle, probabilmente cercava
di capire
quanto avesse ascoltato della sua telefonata prima di farlo. Infine,
parve volerla affrontare: la vide voltarsi verso di lei e stringere
con nervosismo la borsetta che portava sotto un braccio.
Era
il trenta dicembre, ad appena un'ora e mezza dall'inizio della tanto
attesa asta alla Luthor Corp e Lena e Lillian, ancora in villa,
capirono che era arrivato il momento di parlarne.
«Avevamo
intenzione di dirvelo a giorni, veramente. Stai per dirmi che devo
lasciarla?».
La
donna scosse la testa e incurvò le labbra. «No,
cielo, no. Non devo
dettare ordini, Lena», provò ad avvicinarsi e la
figlia si vide
costretta ad accostarsi al muro. «Capirai da sola quando
è il
momento di farlo. Ma avevo bisogno di togliermi questo sassolino
dalla scarpa».
Si
scambiarono uno sguardo e Lena accennò un sorriso che tutto
era
fuorché divertito, portandosi una mano sulla fronte.
«Questo è
quello che fai sempre: rovini la mia vita, i miei rapporti sociali,
devi mettere bocca a tutto e infilarti nella mia testa
affinché io
faccia ciò che vuoi».
«È
questo che credi che io faccia? Oh, Lena, adulta e con la testa sulle
spalle e ancora non hai capito che non gira tutto intorno a
te».
«Stiamo
parlando della mia relazione con Kara».
«Esattamente:
Kara. Riguarda Kara, non te». Le strinse un polso con forza e
Lena
accennò al dolore, ma la donna non attenuò la
presa, anzi continuò
a dar forza, dando prova della palese angoscia che la tormentava.
«Ti
avevo avvertita di fare attenzione al tuo rapporto con lei, mi pare.
Non ti ha fermata il fatto che foste ormai sorellastre, ti sei
approfittata della sua ingenuità e di quanto foste vicine
per
circuirla e renderla una delle tue… Cosa, Lena, conquiste?
Ti sentivi così sola che non hai resistito?! Ti sei
attaccata al suo
affetto?».
«Smettila,
mi stai facendo male», bisbigliò incurvando le
sopracciglia, ferita
forse più dalle parole che dalla presa di quella donna su di
lei.
«Avevi
un
compito: andare d'accordo con loro. Non ti avrei mai chiesto
nient'altro e ora hai trasformato la nostra famiglia in un campo
minato con segreti, frottole e… ci vai a letto?»,
prese una pausa,
assottigliando gli occhi intanto che lei la fissava senza quasi
battere ciglio, «Oh, ma certo che ci vai a letto».
La lasciò,
allontanandosi ma non troppo, osservandola nel volto che le ricordava
un cane bastonato. «Per giorni ho pensato a cosa dirti e ora
ti
guardo e mi rendo conto che aspettare non ha giovato a nessuno, che
avrei dovuto affrontarti fin da subito».
«Non
è come credi…».
«In
cosa dovrei credere?».
Lena
si tenne il polso dolorante e si inumidì le labbra,
abbassando gli
occhi lucidi solo un attimo, per poi sfidarla ancora, mettendosi
dritta con la schiena. Deglutì. «Io la
amo».
Lillian
la fissò quasi imperscrutabile come se, arrivata a quel
punto della
discussione, si aspettasse di sentirglielo dire. Eppure quelle parole
la colpirono più di quanto credette di fare, anche se solo
per un
attimo in cui dovette anche lei ingurgitare saliva.
«Oh… Allora
dimmi, da figlia a madre, quali sono i programmi per il vostro
futuro? Dove hai intenzione di arrivare con lei? Credi che vi
sposerete, Lena? Ci hai pensato? Perché era questo che
volevi fare
una volta con Jack, non è così?».
«Non
permetterti di mettere Jack in mezzo in questa storia».
«Non
farmi passare per la strega cattiva. Sono arrabbiata, ma al di
là di
questo voglio cercare di farti capire una cosa: volevi sposarlo, lo
amavi e gli hai spezzato il cuore. Lo hai lasciato andare. Capisci
che questo non potrà succedere con Kara. Lei non se ne
andrà, è
della famiglia e dovrà vivere per sempre accanto alla
persona che le
spezzerà il cuore».
La
ragazza prese fiato, contraendo le sopracciglia e spalancando un poco
le braccia. «Stai presupponendo che le spezzerò il
cuore. Con lei è
diverso, con Kara non-», si bloccò in cerca delle
parole, lasciando
che lo sguardo venisse ingoiato dai fini occhi decisi di sua madre.
«È
sempre diverso, Lena», sussurrò e si
avvicinò per cercare ancora
con lei contatto. La figlia si allontanò d'istinto ma lei la
sfiorò
a un braccio, come a volerle lasciare una carezza, quasi pentita di
averla stretta poco prima, ritrovando un collegamento con lei.
«Ma
sei giovane. Alla tua età anch'io mi innamorai ed era
diverso. È
diverso ogni volta. Anche con tuo padre lo era, almeno
all'inizio».
Dopo aver tenuto per poco gli occhi bassi, la riguardò,
ritrovando
il suo sguardo perso nell'ascoltarla. «Sono contraria, ma non
posso
obbligarti a lasciarla adesso… prima che sia troppo tardi e
farle
del male, in modo che possiate salvare ciò che vi lega.
Vorrei solo
che ti ponessi alcune domande sulle tue precedenti relazioni e capire
se vuoi rischiare con lei. Non sei capace di mantenere delle
relazioni serie, Lena… Chiediti solo quanto dovrà
soffrire Kara
affinché tu possa capirlo». All'improvviso si
separò da lei e la
sentì recuperare fiato, come se avesse smesso di respirare
da un
po'. Lillian prese la sua giacca dall'appendiabiti e così la
borsa,
dicendo che rischiavano di fare tardi. Aprì la porta, quando
si
fermò ancora e la osservò. «I Luthor le
hanno già abbastanza
rovinato la vita, non credi?». Tirò la porta che
Lena fermò con
una spinta e con un braccio prese uno dei suoi, tirandola indietro
appena.
«Non…
rivolgermi più la parola», le disse quasi in un
soffio e Lillian,
girando lo sguardo sdegnato, non aggiunse altro, chiudendo la porta
dietro di lei. Lena ci si appoggiò contro e prese fiato
ancora,
ancora, chiudendo gli occhi che iniziavano a pizzicarle e stringendo
i pugni, poi colpendo alle sue spalle, con muto nervoso. Si aspettava
contrarietà da parte sua, ma quel discorso… era
fuori da ogni sua
immaginazione più remota. Era grata, a quel punto, che le
avesse
parlato prima che lei e Kara dicessero di stare insieme a lei ed
Eliza insieme perché non riusciva a pensare a come si
sarebbero
svolte le cose, in quella situazione. E in quel momento, di tempo per
pensarci, non ne aveva davvero: affacciandosi allo specchio si
sistemò il trucco e recuperò le chiavi di una
delle auto in garage,
pronta per l'asta e fare finta che quella discussione non fosse mai
avvenuta.
Ahi!
Capitolo più corto del solito, lo so. Questo perché, in prima stesura, il
capitolo 28 e il 29 erano un unico capitolo, ma c'erano troppe cose
da raccontare e rischiavo di farlo troppo lungo, così ho
tagliato al
discorso di Lillian a Lena e leggerete dell'asta la prossima
settimana!
Cosa
ne pensate? Vi aspettavate il discorsone di Lillian? E le sue
motivazioni per cui non dovrebbero stare insieme? Ma, soprattutto,
cosa farà adesso Lena? Lei e Kara avevano deciso di uscire
allo
scoperto, ma questo potrebbe cambiare tutto.
E
il piano? Alex è riuscita, ahilei barattandolo con un
appuntamento,
ad avere il quadro da Maxwell Lord e Lena ha cancellato i dati del
D.A.O. e inserito la microspia, ora riuscirà Rhea Gand a
comprarlo
all'asta?
E
per ora è tutto, gente! Ci rileggiamo presto con il capitolo
29 che
si intitola Come Orihime sull'altra sponda del fiume,
puntuale
di lunedì :)
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