A cosplay a little too much realistic

di sadShadow89
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Note dell'Autore 
 

Come si suol dire "chi non muore si rivede", così eccomi qui con un nuovo capitolo (^ _ ^) .... Mi dispiace avvero di averci messo tanto, non starò qui ad annoiarvi col racconto di tutto quello che mi è successo nell'ultimo anno ma per farla breve sono stata un po' (per modo di dire) sotto stress e alla fine questo mi ha anche fatta finire in ospedale. Sinceramente non credevo di riuscire a continuare a scrivere, c'è stato un periodo in cui ho dubitato molto di me stessa e mi sono sinceramente chiesta se ne valesse la pena e se ne fossi realmente capace. Ho incominciato a pensare che a nessuno interessava leggere le mie scemenze e che forse era meglio impiegare il mio tempo in qualcosa di molto più produttivo. Unitile dire che questo non ha aiutato con lo stress. Ora come ora credo di aver trovato un buon equilibrio quindi ho intenzione di portare questa storia fino alla fine, perché scrivere mi rende felice e sono giunta alla conclusione che ne vale la pena anche se ci fosse un unica persona a leggerla. Detto questo: Buona lettura ^_^
 


Warning!!

Questo capitolo contiene contenuti espliciti che potrebbero essere considerati offensivi (oppure no) in base alla sensibilità di chi li legge. Qualsiasi frase da me scritta che si riferisca a violenze fisiche o mentali non vuole in nessun modo promuovere o giustificare tale atto e in ogni caso deve essere interpretata nel contesto della storia. Estrarre specifici stralci o frasi da un testo più ampio potrebbe portare a interpretazioni sbagliate ed ad indurre il lettore a credere che io condivida tali interpretazioni: COSA DEL TUTTO NON VERA.


LINGUAGGI : “comune” ; *elfico* ; ^nanico^ ; [linguaggio dei segni o scritte]; >>moderno << ; “ ̶o̶r̶c̶h̶e̶s̶c̶o̶ / lingua nera ”;

COMUNICAZIONI MENTALI : 'pensieri ' ; 'persona che pensa, follia o maleficio, altro individuo' .

N.B. la persona nella cui testa sta avvenendo la conversazione:

  1. non distingue la differenza tra follia , maleficio e i propri pensieri in quanto la voce gli appare molto simile se non uguale alla sua (a meno che non sia specificato diversamente).

  2. in caso sia un' altro individuo a parlargli la persona si rende conto non sono i suoi pensieri.
     



Un suono sommesso. Il fruscio dell'erba, un ringhio lontano. Un suono sommesso era tutto quello che li avrebbe avvisati del pericolo imminente. Nessuno di loro aveva sentito una dannatissima orda, se pur piccola, di orchi. Thorin era fumante, non solo non si erano accorti del pericolo ma ora stavano usufruendo dell'aiuto di un gruppo di elfi. Certo, quell'aiuto era solo una fortuita conseguenza del pattugliamento da parte degli elfi in quelle terre, ma di certo questo non rendeva il boccone meno amaro da ingoiare per il suo orgoglio nanico. Una volta raccolte le loro cose, si limitarono ad aspettare che gli orecchieapunta finissero di abbattere gli ultimi orchi e si allontanassero sui loro cavalli ridicolmente alti, prima di lasciare il riparo che gli forniva il limitare del bosco. Non era piacevole nascondersi anziché combattere ma gli elfi erano stati irritantemente efficaci nel risolvere la questione.

 

Dopo che la radura fu immersa nel silenzio Thorin si sporse da suo riparo da dietro un albero per controllare la situazione. Continuò a fissare la vastità di quelle terre come se si aspettasse che da un momento all'altro gli elfi tornassero per attaccarli o peggio ancora per schernirli della loro vulnerabilità. Non c'era molto che potessero fare contro un gruppo di orchi tanto grande, anche se avessero voluto combattere si sarebbero ritrovati circondati e sopraffatti in pochissimo tempo. Erano stanchi, alcuni di loro erano feriti, per non contare la presenza di una ragazza completamente inerme. Mentre Thorin continuava a ripetersi tutte queste cose, per alleviare la bruciante umiliazione della loro situazione, Dwalin gli si avvicinò più silenziosamente di quello che avrebbe voluto. “Se continuerai a fissare la radura in quel modo, l'erba prenderà fuoco” gli disse praticamente in un orecchio.

 

Thorin era così preso dai suoi pensieri che nel momento in cui la voce di Dwalin gli risuonò così vicino, il suo corpo agì d'istinto. In un attimo la piccola daga attaccata alla sua cintola era alla gola dell'amico mentre il suo cuore batteva all'impazzata. Il povero nano calvo si ritrovò sbattuto violentemente contro il tronco di un faggio, schiacciato dal peso del corpo del suo re e con una lama alla gola senza nemmeno avere il tempo di capire quello che stava succedendo. Non lo aveva fatto di proposito, anni di battaglie avevano affinato i suoi riflessi, non era colpa sua se il suo corpo aveva reagito in quel modo nel sentirsi preso alla sprovvista. Ci volle qualche istante prima che Thorin si accorgesse che quello che gli stava davanti non era un nemico, che si rendesse conto che non c'era alcun pericolo. A quella vista una sensazione viscida si annidò nel petto del re e anche quando i suoi pensieri tornarono lucidi la lama rimase ferma contro la trachea di Dwalin.

 

Lui sapeva che doveva allentare la presa, che doveva spostare la lama pericolosamente vicina alla giugulare di Dwalin, ma non desiderava affatto farlo. C'era qualcosa di estremamente soddisfacente nel avere quella particolare vita completamente nelle sue mani, nel sapere che sarebbe bastato una piccola rotazione del suo polso per liberarsi di quello 'ostacolo' per sempre. 'Se lui muore, lei sarà tutta tua... Non è così che andrebbe... Nessuno oserebbe negarti ciò che è tuo di diritto... Lei non è mia, Dwalin è un amico... Un amico? Un amico che ben presto affonderà le sue dita tra i suoi morbidi capelli, sulla sua pelle liscia. Un amico che sfiorerà con le sue labbra le parti più delicate e sensibili del suo corpo; le sue labbra rosee, i suoi capezzoli turgidi, la sua... BASTA, perché mi tormenti?... Perché io so cosa sei veramente'. Quella voce, forse il suo subconscio, aveva ragione. Lui desiderava avere la piccola creatura tutta per se, anche se ancora cercava di negarlo a se stesso, ma non era disposto a pagare un prezzo così alto.

 

Prese un respiro profondo e si allontanò dal compagno, ma non prima di avergli schiacciato dolorosamente le spalle contro la corteccia ruvida. Dwalin non sembrava aver capito cosa era successo e restò a fissare sbigottito l'amico per qualche secondo.. “Ci muoviamo subito, raduna gli altri” disse Thorin voltandosi a guardare nuovamente verso la radura. Thorin poteva quasi sentire il suo sguardo perforargli la nuca. Il guerriero si allontanò da lui quasi subito, facendo più rumore dello strettamente necessario. Il re in esilio non sapeva se Dwalin avesse volutamente messo in evidenza il suo allontanarsi, oppure se il nano era semplicemente stato momentaneamente reso goffo dallo stupore o dalla rabbia, non lo sapeva e non gli importava era solo lieto di essere nuovamente solo con i suoi pensieri. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in quello che gli stava accadendo e lui avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per capire di cosa si trattasse e come sbarazzarsene.

 

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Dwalin non aveva idea di cosa fosse appena successo. Certo, avrebbe dovuto stare più attento, non si può sgattaiolare alle spalle di un guerriero esperto come Thorin e aspettarsi una reazione diversa da quella. Quello che non riusciva a capire era il momento di esitazione avuto dall'amico nell'allontanare la lama dal suo collo, era stata solo la sua immaginazione? Forse la stanchezza stava interferendo con la sua capacità giudizio ma per una frazione di secondo Dwalin aveva visto un lampo indescrivibile attraversare gli occhi di Thorin. Per un interminabile istante sembrava che il re in esilio volesse davvero affondare la lama nella sua gola. Ritornato al campo lascio che i suoi dubbi sprofondassero nel profondo della sua mente per occuparsi di questioni più imminenti: Bilbo. La piccola creatura stava li nel bel mezzo dell'accampamento, circondata da nani che silenziosamente si preparavano a rimettersi in marcia.

 

Si vedeva da lontano un miglio quanto si sentisse spaesata e ansiosa, non cercava nemmeno di mascherare le sue emozioni e infondo non ne aveva bisogno. Quando lo vide avvicinarsi gli rivolse nuovamente quello splendido sorriso, così carico di emozioni e aspettative che Dwalin non poté fare a meno che sentirsi fortunato. Per una volta il mondo gli aveva dato l'opportunità di prendersi cura di qualcosa di fragile e delicato e non l'avrebbe sprecata. Avrebbe difeso quel sorriso contro ogni cosa, contro Mahal stesso se fosse stato necessario. Si avvicinò a Bilbo lentamente quasi come se avesse paura di spaventarla e le porse la mano. ^Noi, andare^ le disse sperando che quelle parole le fossero note. Lei chinò leggermente il capo verso destra pensierosa, come un gattino curioso quando osserva qualcosa di nuovo e interessante. Dopo qualche istante riapparve il sorriso e annui contenta afferrando delicatamente la mano che le veniva porta.

 

Guardando verso la radura le preoccupazioni del nano riemersero, non c'era modo di evitare il campo di battaglia. Non sapevano quanto esteso fosse il territorio occupato dai 'residui' dello scontro e la via più breve per Granburrone era attraversare la vallata, aggirarla per evitare la vista di qualche orco morto non era la loro priorità. Sapeva che Thorin li avrebbe condotti senza indugiare per il percorso più breve, infondo era evidente che non vedeva l'ora di liberarsi della fanciulla. Il pensiero di lasciarla (con gli elfi per giunta) gli spezzava il cuore ma era quello che andava fatto. Al momento la sua preoccupazione più grande era quella di portare Bilbo al sicuro e non c'era modo di evitare che la dolce creatura incontrassi qualche orrore; non insieme a loro, non mentre erano impegnati in questa impresa e sicuramente non in un mondo come il loro.

 

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"Proseguiremo come stabilito" annunciò Thorin una volta riunito al resto del gruppo. Ci aveva messo qualche minuto a ricomporsi dopo l'episodio con Dwalin ma ora si sentiva in controllo di se stesso. O almeno si illudeva di esserlo. "I pony potrebbero risentirne, la presenza dei corpi potrebbe renderli irrequieti. Sono bestie da soma non sono addestrati per la battaglia" gli rispose Balin con un tono pensieroso ma accondiscendente. "Andremo a piedi, ci vorrà sempre meno che aggirare la pianura" Thorin si aspettava che ci sarebbero state delle proteste ma non riuscì comunque a nascondere un grugnito scocciato. Nessuno sarebbe stato felice di attraversare un campo disseminato di cadaveri, tanto più se i suddetti corpi appartenesse a degli orchi. “Guideremo i pony da terra, questo dovrebbe evitarci ogni problema. Questo permetterà ai pony con un 'carico' eccessivo di non sfiancarsi prima di raggiungere gli elfi” senza volerlo i suoi occhi cercarono automaticamente la figura di Bilbo.

 

E come previsto lei era li, la sua piccola mano inghiottita da quella di Dwalin. “Avresti dovuto ucciderlo quando ne avevi l'occasione... non succederà... avremo altre occasioni... SILENZIO” con sua grande soddisfazione la voce si zittì. Distolse subito lo sguardo cercando di mascherare la rabbia che stava nuovamente montando. "E la ragazza? Non sarebbe meglio risparmiarle qualche spiacevole incontro?" il tono dell'anziano nano era pacato ma Thorin sapeva che quella domanda nascondeva più di un significato. Thorin sapeva di non essere stato abbastanza discreto nel suo fissare Bilbo. Non poteva farci nulla, non era colpa sua se quella piccola strega lo stava facendo impazzire. “Quello che mi preme è preservare la vita della compagnia, Bilbo compresa, non preservare l'innocenza di una singola ragazza. Qualsiasi cosa vedrà la fuori è un male necessario”. Detto ciò si allontanò da Balin e si diresse verso il suo pony senza notare lo sguardo preoccupato dell'anziano amico.

 

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Ori le aveva spiegato perché stavano continuando a piedi ma era comunque estremamente seccante dover camminare con quei piedoni enormi. Inizialmente era riuscita a tenere il passo con Dwalin in testa al gruppo ma poi la sua goffaggine nel usare il suo nuovo corpo e quelle gambe estremamente corte li avevano portati in coda alla colonna di nani. Dwalin dal canto suo ci aveva provato a farle mantenere la sua andatura, ma dopo uno strattone involontario al suo povero polso martoriato non era riuscita a sopprimere un gemito di dolore mentre delle piccole lacrime le si formavano negli occhi. Il nano le aveva lasciato andare la mano inorridito al pensiero di averle fatto male, scusandosi profusamente l'aveva lasciata a camminare per conto suo limitandosi a camminarle accanto. L'incidente aveva causato un po' di scompiglio e perfino Thorin si era fermato a vedere cosa fosse successo ma con l'aiuto di Ori era riuscita a spiegare l'accaduto e soprattutto a rassicurare Dwalin che sembrava sul punto di auto flagellarsi per il rimorso.

 

Era snervante pensare che tutto intorno a loro ci fossero dei cadaveri, lei non ne aveva ancora visto nessuno nonostante avessero camminato buona parte della mattina ma ciò non sminuiva il fatto che ci fossero. Tutto quello che la rendeva consapevole degli avvenimenti della mattina era uno strano retrogusto dell'aria. Non era un odore disgustoso come ci si potrebbe aspettare, sembrava piuttosto la riminiscenza di ciò che sarebbe dovuto essere. L'aria era colma, pesante come se li vicino ci fosse stato un incendio, riusciva quasi ad assaporare li sapore agrodolce della fuliggine scaturita dalla resina bruciata ma non c'erano segni di fumo o fiamme. Immagini di branchi di orchi intenti a bruciare alberi secolari e a forgiare spade orrende ma mortali le riempirono la testa, erano solo flash veloci e incoerenti ma pur sempre così nitidi. Non si era resa conto di essersi fermata, di essere rimasta indietro, il resto del gruppo si era fermato poco più avanti per riposare.

 

*Miss Baggins?* la voce di ori la destò dai suoi pensieri ma non distolse lo sguardo dalla radura alla sua destra che sembrava la stesse chiamando. *Miss Baggins? Bilbo? Va tutto bene?* all'insistenza del giovane nano Sara si girò a guardarlo e per un attimo provò rimorso per la sua espressione preoccupata. *Si certo, stavo solo guardando la radura. Sembra tutto così diverso dal mondo dal quale provengo* gli rispose cercando di essere il più rassicurante possibile. La verità era che c'era qualcosa che doveva vedere la giù, non sapeva cosa fosse ma il suo cuore le diceva che doveva andare da quella parte. *Ci fermiamo per pranzare. Tra breve sarà pronto ed io, Fili e Kili ci stavamo chiedendo se … se volessi sedere con noi* disse arrossendo ma poi subito dopo sembrò rendersi conto di qualcosa di veramente ovvio e ancora più rosso in viso si affretto a correggersi *Ma se preferisci pranzare con Dwalin... e ovvio che noi non te ne faremmo una colpa... infondo voi... £$%&§ £$%&§*
 

Sara non aveva idea di cosa stesse parlando tanto meno di quello che stesse dicendo in quanto adesso il poveretto stava sbiascicando le parole come se non volesse farsele uscire dalla bocca. *Sarei lieta di sedere con voi* lo interruppe sorridendogli, prima che si potesse staccare la lingua con un morso. *Ma prima devo... io devo...* non sapeva come continuare la frase. 'Andare in una direzione a caso su un campo di battaglia? Non credo che ne sarebbero contenti. Andare dove mi porta il cuore? Hmm, improbabile che conoscano Susanna Tamaro'. *Devo stare qualche minuto da sola* provò a convincerlo ma Ori la stava guardando senza dire nulla con un espressione scettica. *Devo fare … si insomma ...* arrossendo fece finta che le scappasse davvero tanto la pipì. Inizialmente Ori non sembrava aver afferrato il concetto ma poi dopo aver decifrato il suo linguaggio corporeo si accese come una lampadina per l'imbarazzo.

 

*Ma certo ovviamente, avviserò gli altri di non disturbare. Solo ... non ... non allontanarti troppo* detta da chiunque altro questa frase sarebbe potuta passare come un ordine, detta da Ori sembrava più la frase di un bambino che si assicura che la madre non sia troppo lontana in caso di necessità. *Lo so, potrebbero esserci ancora degli orchi la fuori* lo rassicurò cercando di non fargli capire che lo faceva più per il suo bene che per la sua stessa incolumità.*No, molto peggio... c'è un Thorin qui* gli rispose a bassa voce lanciandosi un occhiata alle spalle, quasi come se Thorin potesse apparire dal nulla e tirargli quelle goffe orecchie tonde. Sinceramente non pensava che il timido nano fosse tanto ardito da sfottere il loro leader, nemmeno sotto voce, e questo la fece scoppiare a ridere. Gli altri nani si accorse subito del trambusto ma si rimisero all'opera appena si resero conto che la piccola creatura stava ridendo che non c'era nessun pericolo imminente.

 

Ori la stava osservando indignato, come se dalla sua risata potessero scoprire quello che le aveva detto, ma si accodo a lei quasi subito e questo le fece dimenticare per un momento il suo nuovo obiettivo. *Tranquillo, non ci vorrà molto* lo rassicurò. Qualche momento dopo era sola a guardare le spalle di Ori allontanarsi. Non sapeva cosa le fosse preso ne perché doveva andare, ma non c'era altro modo, qualcosa in quella radura la stava chiamando. C'era una verità che aspettava di essere scoperte, non aveva idea su cosa ma doveva svelarla lei. 'Capirò perché sono qui? Vedrò qualcosa di Bello? Brutto? Forse sono solo pazza. Chi potrebbe mai darmi delle risposte se non Gandalf … ma lui non ha tutte le risposte o forse non può darmele … perché so che c'è qualcuno che mi chiama? No, non mi sta chiamando mi sta implorando... perché?.. Perché?' questi erano i suoi pensieri mentre senza rendersi conto si allontanava sempre di più dalla compagnia.

 

A prima vista non sembrava esserci nulla di strano, tutto era come doveva essere se non per quell'odore nell'aria. Poi incominciarono le macchia sul terreno, i fili d'erba schiacciati, sempre di più man mano che si avvicinava alla sua destinazione. Non aveva capito cosa fosse quella sostanza nera che macchiava la terra la dove l'erba era stata calpestata ma sentiva in cuor suo di non doverla calpestare, poi apparvero i primi segni evidenti del combattimento. Non c'erano corpi ma era evidente che qualcuno si era trascinato ventre a terra per un bel po', fu allora che capì che la scia nera come la pece che stava seguendo era sangue; il sangue di un orco. Quando la realtà la colpì il suo primo impulso fu quello di fuggire ma il suo istinto le diceva che quella creatura non la avrebbe ferita ma avrebbe risposto alle sue domande. 'Sara sei completamente pazza, torna indietro.... Vai avanti …' quella voce nella sua testa la spaventò a morte ma non perché era li ma perché sembrava proprio quella di sua madre anche se non lo era.

 

Si era paralizzata non riusciva più a fare un passo ne indietro ne in avanti. 'Vai avanti ... non ti farà del male ...' la voce era soave, calma, familiare ma allo stesso tempo sconosciuta. 'Sono impazzita completamente, ora sento pure le voci' il pensiero in qualche modo la divertiva e non riusci a trattenere una risatina isterica. In fondo si era già risvegliate nel mondo creato da Tolkien come una versione femminile di Bilbo Baggins, scoprire di essere uscita totalmente di senno era probabilmente la naturale evoluzione della situazione. 'I pazzi lo sanno di essere pazzi? … Non credo che se ne rendano conto, ma tu non sei pazza' per qualche motivo questo la rassicurò abbastanza da rimetterla in moto. 'Dove mi stai portando? ... A vedere l'altra faccia della medaglia … Perché sono qui? … Per correggere un'ingiustizia ... Cosa sono? … La rabbia che perdona, la terra cosparsa di sale dalla quale germoglia la vita … Mi darai mai delle risposte sensate?'

 

Silenzio. La voce non c'era più e lei ne sentiva già la mancanza. Per strano che potesse sembrare, dopo l'incertezza iniziale, avere quella voce in testa l'aveva rassicurata come se fosse normale che fosse li. Ora era sola ma continuò ad avanzare fino a che non lo vide: un orco morente steso sulla schiena col viso rivolto al cielo e gli occhi chiusi. Ora poteva sentirlo l'olezzo della morte che gli stava intorno: della pelle sporca ricoperta di sudore, fuliggine e sangue e dei succhi gastrici che fuoriuscivano dal profondo taglio sul suo ventre. Un odore acre che si mischiava a quello pastoso della terra e della rugiada del mattino, quasi a voler attenuare maldestramente il risultato della battaglia. Un senso di disprezzo la pervase. Perché morire così? Perché passare gli ultimi istanti della propria vita nel fango? Quanto stupidi si può essere per scontrarsi con un nemico forte come gli elfi? Il suo primo pensiero fu che in fondo gli orchi erano creature vili e che meritassero quella fine ma c'era qualcosa di strano, un tassello mancante.

 

Se quello che aveva capito degli orchi era corretto erano creature fatte d'istinto e sopravvivenza, brutali, meschini, egoisti. Perché scontrarsi su un campo aperto con dei nemici molto superiori a loro? Perché non fare un imboscata o evitare lo scontro? Una tristezza immensa le attanagliò il cuore. Più si avvicinava più comprendeva che quello che le stava davanti non era un guerriero ma un burattino, una bestia ammaestrata. Avrebbe dovuto vedere un assassino, un mostro, un incubo in carne e ossa ma tutto quello che vedeva era una vita che si stava spegnendo. Con suo grande stupore si rese conto che quello che sentiva non era l'odore della morte ma di una vita che non era mai cominciata, di tutte le scelte sbagliate di tutte le opportunità mai ricevute. Si avvicinò lentamente, sapeva che non avrebbe dovuto ma lo fece comunque, cercando di restare al sicuro ma di poter vedere il viso di quella creatura.

 

Non era come se lo aspettava, certamente non bello ma nemmeno mostruoso, aveva dei lineamenti più simili a quelli di un elfo di quanto avrebbe creduto. Come i mezzorchi in D&D. Al contrario dell'immagini che le erano apparse in mente questo orco non portava ornamenti, pircing o modificazioni corporee che potessero farlo apparire più spaventoso di quanto in realtà fosse. La creatura che le stava davanti era evidentemente molto giovane, il fatto che non presentasse alcuna cicatrici o mutilazioni ne sul viso ne sul corpo poteva indicare che questa fosse la sua prima battaglia. Incoraggiata dal fatto di non percepire alcun movimento si avvicinò per guardarlo meglio e si accorse che il suo petto si stava muovendo quasi impercettibilmente mentre la creatura cercava di continuare a respirare. Si ritrovò affascinata dalla sua ostinazione a rimanere attaccato alla vita, qualunque altra creatura sarebbe già morta per l'emorragia ma l'orco respirava ancora.

 

Accanto a lui tracciati nella terra vicino alla sua mano c'erano dei segni, avvicinandosi riconobbe le sillabe scritte in un sindarin incerto e deforme ma comunque leggibile. [Maledetto è colui che ama, maledetto è colui che viene amato. Il perdono può nascere dall'odio come il fiore può nascere dal deserto. Solo quando il frutto della violenza farà scorrere lacrime di gioia e queste si tramuteranno in sale che non inaridisce il cuore chi dall'amore è Maledetto amare senza Maledire potrà. Buona fortuna dolce Sara]. L'ultima parte era ovviamente diretta a lei ma come poteva esserlo? Perché un orco le aveva lasciato quel messaggio? Come faceva a sapere che lo avrebbe letto? Tante domande e nessuna risposta. Tanti dubbi che le facevano girare la testa, dandole un senso di nausea e di incertezza che per poco non le levarono la forza di stare in piedi. Non si accorse che l'orco l'aveva vista che aveva allungato il braccio per afferrarla, quando la toccò non poté trattenere il suo urlo spaventato mentre cadeva a terra nel tentativo di allontanarsi da lui.

 

Lo spavento durò solo pochi attimi, non c'era malizia ne volontà di fare del male negli occhi della creatura. Sembrava un uomo che cerca disperatamente di restare a galla mentre la corrente lo trascina sott'acqua più che un predatore o un assassino. La stava supplicando di fare qualcosa ma lei non capiva cosa fosse, finché d'istinto afferro l'artiglio che era proteso verso di lei quasi come se volesse ghermirla e portarla nell'incubo più profondo che ci fosse. Appena il suo palmo delicato venne in contatto con la pelle ruvida e fredda dell'orco si rese conto che questo era tutto quello che quella creatura stava cercando: una mano gentile che lo accompagnasse in questi ultimi momenti. Questo mostro aveva paura di morire da solo, lontano da chiunque lo conoscesse o da qualunque cosa gli fosse nota. Sara si avvicinò di più alla creatura mettendosi in ginocchio accanto a lui e lui le sorrise, un vero sorriso, non un ghigno o una smorfia ma un sorriso dolce e pieno di pace.

 

Come poteva una creatura che doveva essere nata dal male avere quel sorriso? Così innocente, così sereno davanti alla morte. Le lacrime incominciarono quasi subito a colarle sul viso ma lui non smise di sorridere anche se ora il suo volto era triste e pieno di vergogna. Perché vergognarsi delle lacrime di una sconosciuta? Sara non avrebbe potuto spiegarlo in una vita intera, ma sapeva che l'orco si vergognava perché lei stava piangendo. >> Mi dispiace … mi dispiace così tanto … << gli disse prima di cominciare a singhiozzare disperata. Non sapeva perché si stava scusando, non era stata lei ad ucciderlo, non era stata lei a portarlo su quel campo di battaglia ma nonostante tutto si sentiva responsabile. Era la prima volta che vedeva qualcuno morire e si sentiva inutile nel non poter fare nulla per evitarlo. Strizzo gli occhi per sbarazzarsi del più delle lacrime, quanto rivolse lo sguardo verso l'orco anche il suo volto era rigato dalle lacrime una profonda espressione di paura scolpita nei suoi lineamenti.

 

Questo mostro, questo incubo in carne ed ossa, era terrorizzato dalla sua imminente morte ma quel sorriso non aveva ancora abbandonato le sue labbra. Sara non poté fare alto che ricambiare il sorriso e lui per tutta risposta alzò la mano che lei non teneva stretta nelle sue e le indicò la scritta sulla terra. La ragazza si rese conto che era stato lui a scrivere quelle parole e i suoi occhi si dilatarono stupiti, gli orchi non dovrebbero essere in grado di scrivere in elfico. Dopo ave indicato la scritta con un grugnito di dolore ruotò il busto abbastanza da poterle toccare la guancia con un dito e il suo artiglio fu incredibilmente delicato nel sfiorare la sua pelle liscia. L'orco stava respirando pesantemente ed era ovvio che sarebbe morto a breve, quello che Sara non si aspettava era che la creatura sobbalzasse improvvisamente e che fiumi di sangue nero incominciassero a scorrere copiosi dalla sua bocca.

 

Sara non capiva cosa fosse successo, così all'improvviso, così inaspettatamente. Cercò di scuoterlo per fargli riprendere i sensi. Non capì finché non vide cosa aveva provocato le convulsioni nella creatura, un orrendo buco era apparso nel torace dell'orco poco sopra la ferita che lo stava lentamente uccidendo. Dal foro uscivano rivoli di sangue nero che fuoriuscendo direttamente dei polmoni veniva fuori sotto forma di una schiuma che produceva un gorgoglio strano, come se un granchio si fosse annidato nel suo petto e le stesse intimando di allontanarsi. Attonita sollevò lo sguardo per vedere cosa lo avesse colpito e vide Dwalin con in mano una delle sue asce protesa sopra di loro. Lo aveva colpito con la penna posteriore non con la lama e questo aveva creato un buco quasi circolare nel torace dell'orco, era stato così veloce che Sara, distratta dalla scritta, non si era nemmeno accorta di niente.

 

Sara rimase lì a fissare l'ascia che le stava davanti e quasi non riusciva a respirare mentre le lacrime le scendevano a fiumi sulle guance. Abbasso lo sguardo e l'orco continuava a sorriderle come per rassicurarla che sarebbe andato tutto bene ma lei non poteva accettarlo. Quella creatura stava morendo sotto i suoi occhi e lei non poteva fare nulla ed era stato Dwalin ad infliggere il colpo di grazia. Quando l'ultimo barlume di vita abbandonò gli occhi dell'orco e la sua mano divenne un peso morto nelle sue mani Sara l'asciò andare l'artiglio, che le cadde pesantemente in grembo, e protese le mani sul torace devastato della creatura. Fece aleggiare le dita lungo i bordi delle ferite senza mai realmente toccarli mentre continuava a fissare quel volto sorridente, pacifico ma privo di vita. Come si può morire così? Solo pochi istanti prima quella creatura era viva e avrebbe potuto esserlo ancora, avrebbe potuto... avrebbe … avrebbe … e ora era tutto cenere, ora lui era esattamente come lei, solo, in un mondo sconosciuto.

 

Sara si lasciò andare ad un pianto disperato. >> Perché? Perché lo hai fatto? Lui... Lui stava già morendo n.. non c'era bisogno di colpirlo... non mi avrebbe fatto del male... lui... stava sorridendo. PERCHE'?<< non si era resa conto di essersi gettata sul corpo dell'orco, quasi a proteggerlo da ulteriori mutilazioni. Non si era resa conto che nel frattempo erano arrivati gli altri nani. Tutto quello che vedeva era un vittima e un carnefice. Dwalin era un assassino ai suoi occhi. Nella sua disperazione tutti loro erano degli assassini, era un pensiero ipocrita e ingiusto ma era l'unica cosa che riusciva a pensare. Continuò a piangere disperata tenendosi stretta a quel corpo senza vita. Sentiva i suoi vestiti inzupparsi di sangue ma non le importava, lui era come lei adesso e lei avrebbe desiderato che qualcuno piangesse per lei al posto suo. Quando qualcuno cercò di allontanarla dal corpo lei non oppose resistenza ma non smise di piangere.

 

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Non sarebbe mai dovuto venire (non che avesse davvero scelta), non avrebbe mai dovuto lasciare le terre selvagge, il negromante non avrebbe mai dovuto chiamare a raccolta gli orchi. Cosa ci faceva lui la? Perché morire per una causa di cui non gli importava una merda secca? Non aveva le risposte ma una cosa la sapeva: la sua vita era finita. Non che la sua vita fosse mai stata nulla di speciale. Non aveva mai conosciuto altro che dolore e miseria, non era come gli altri orchi. Sua madre era un elfo dei boschi, catturata e torturata per puro svago da un gruppo di orchi ed era morta dandolo alla luce. I suoi aguzzini non si erano nemmeno accorti di averla ingravidata se non quando lui strisciò fuori dal suo corpo uccidendola. Dopo essere sopravvissuto all'iniziale indifferenza del gruppo di maschi, che sperava che quella aberrazione morisse di stenti, il leader lo prese con se e gli insegnò a sopravvivere. Solo a sopravvivere.

 

Di solito l'unione di un orco con un'altra razza non produce prole o perlomeno nulla che sia in grado di sopravvivere oltre i primi mesi di gestazione, sempre che la madre (o il padre in rarissimi casi) sopravviva alla violenza dell'accoppiamento. Non aveva l'aspetto ne di un orco ne di un elfo. Era minuto e aggraziato, dai lineamenti troppo dolci, mai abbastanza feroce. Non aveva l'istinto omicida di suo padre ma nemmeno la compassione associata alla razza di sua madre. Amava cacciare e uccidere le sue prede velocemente e stranamente non le torturava mai, ma non si faceva troppi scrupoli ad uccidere in combattimento. Non tutti gli orchi tendevano a torturare ma la maggior parte ne traeva almeno un minimo di godimento, lui no. Era una via di mezzo, un qualcosa che gli altri orchi non capivano e che quindi disprezzavano. Il suo aspetto lo rendeva anche molto soggetto allo scherno degli altri e più spesso di quanto preferisse ricordare anche ad attenzioni di altro tipo. Aveva perso il conto di quante volte era finito con la faccia schiacciata nel fango e gli occhi chiusi a pianificare di tagliare la gola del bastardo di turno, mentre aspettava che tutto finisse. Quelle erano le volte in cui provava piacere ad uccidere lentamente.

 

Per gli orchi era normale; il più forte mangia di più e sottomette gli altri, il più debole mangia gli scarti e viene sottomesso. Non c'era un'alternativa, se c'era gli orchi non la conoscevano. Nel loro mondo la violenza e la brutalità erano perfettamente normali e accettabili. Lui lo accettava ma non lo capiva e non lo approvava, questo lo rendeva ancora più strano. Conosceva i dettagli del suo concepimento, più di una volta il gruppo di orchi responsabile della sua venuta al mondo (tra i quali suo padre adottivo) si era cimentato in un racconto dettagliato di come avevano picchiato e umiliato, torturato con lame e fuoco, stuprato e sottomesso sua madre finché non aveva supplicato di morire senza mai ottenere un minimo di misericordia. Nessuno si era mai fatto problemi a ripetere quel racconto anche in sua presenza, anzi il fatto che lui fosse li rendeva il racconto ancora più dettagliato solo per il gusto di umiliare quello che per loro era un meticcio inadeguato alla vita nel branco.

 

L'apice della sua sofferenza era arrivato quando aveva incominciato a fare dei sogni strani e a svegliarsi mentre stava disegnando strani simboli su quello che gli era capitato sotto mano nel sonno. L'orco che lo aveva “adottato” lo aveva picchiato così selvaggiamente che non si era svegliato per tre giorni. A quanto pareva sua madre era uno di quei rari elfi col dono della preveggenza, lui ne aveva ereditato le capacità. La povera creatura aveva confessato a suo padre (in uno dei momenti di pausa tra un abuso e l'altro) che un giorno anche suo bambino avrebbe avuto il suo stesso dono e che avrebbe vendicato lei e tutti coloro il cui amore era stato rubato e sostituito con la violenza. Aveva inoltro predetto che la vita del suo bambino era importante (anche se solo un piccolo tassello del tutto) anche per gli orchi, e che se il piccolo fosse sopravvissuto un giorno gli orchi sarebbero stati liberi. Ovviamente l'orco l'aveva derisa dicendole che avrebbe ucciso qualunque elfo fosse venuto a vendicarla ma lei si limitò a dire che il suo bambino non sarebbe morto per mano sua.

 

Non gli era sfuggita l'ironia del fatto che invece di vendicarla lui l'aveva uccisa nascendo. Tutto sommato forse quello era stato il più grande atto di misericordia che avesse mai fatto, era buffo che fosse del tutto involontario. Tutto questo suo padre gli lo aveva confessato mentre lo picchiava, probabilmente era convinto che lo avrebbe ucciso ma non era andata così. Gli aveva detto come, mosso da un raro momento di pietà, aveva deciso di salvarlo sperando comunque che alla fine sarebbe morto. Di come per una volta aveva dato ascolto alle parole di un elfo, che sembravano così reali e minacciose, per poi pentirsene subito dopo. Di quanto lui fosse stato un peso e una delusione in tutti quegli anni, di quante volte avrebbe voluto ucciderlo solo per risparmiargli l'umiliazione della prossima sottomissione o della fame perché non era abbastanza grosso per ottenere abbastanza cibo.

 

Le parole di suo padre erano piene di rabbia ma in esse c'era anche un altra emozione. Lui non capiva e tutto quello a cui poteva pensare era il dolore che gli percorreva il corpo e la confusione che c'era nella sua testa. Ora a distanza di tanti anni e avendo osservato i comportamenti di altre razze sapeva che l'emoziono che aveva percepito nella voce di suo padre era tristezza, stava piangendo mentre lo picchiava a morte. Ora sapeva che fino a quel momento si era limitato ad osservarlo perché non poteva fare niente per proteggerlo senza farlo apparire più debole, più vulnerabile. Un dono come quello non lo si può tenere nascosto, non nel branco e non con il suo aspetto. A modo suo suo padre aveva imparato ad amarlo fin dal primo momento che era venuto al mondo. Una morte misericordiosa da infante, una vita in cui si impara a cavartela da soli ed alla fine una morte da guerriero. Niente più fango, niente più sottomissione. Lui non odiava suo padre e suo padre lo aveva amato nel l'unico modo che conosceva e per questo non lo avrebbe mai biasimato.

 

Dopo aver scoperto di possedere lo stesso dono di sua madre era scappato via dal branco perché se suo padre era stato crudele gli altri lo sarebbe stati anche di più. Era fuggito nelle terre selvagge e aveva vissuto la sua vita cacciando e restando lontano dalle città il più possibile. Finché il necromante non lo aveva costretto a rispondere alla sua chiamata. I sogni continuavano a tormentarlo, il più delle volte erano terribili immagini di battaglie e morte ma a volte vedeva qualcosa di diverso. Alle volte si ritrovava ai piedi di una collina circondata da campi di grano, sulla cima della collina c'era un enorme albero con una chioma folta e verde. Accanto al tronco poteva vedere una bellissima fanciulla dai capelli ricci e così lunghi da raggiungerle il ginocchio, dello stesso biondo intenso del grano maturo che circondava la collina e con dei fiori intrecciati tra le lunghe ciocche dorate. Ogni volta che faceva questo sogno la fanciulla stava cantando una melodia dolce in una lingua sconosciuta (elfico probabilmente) e lo invitava ad avvicinarsi con un gesto della mano. Per quanto ci provasse non riusciva mai a raggiungerla.

 

Oggi non era diverso, o almeno pensava che non lo fosse. Purtroppo la battaglia era stata reale e ora stava morendo per davvero. Non voleva morire, sapeva di non meritare la vita ma non voleva comunque lasciarsela sfuggire. Non così, non nel fango come le decine di volte che qualcuno aveva violato il suo corpo; lui odiava il fango. Per un attimo chiuse gli occhi e la dolce fanciulla riapparve, questa volta anche lui era sotto l'albero e lei gli stava sussurrando qualcosa all'orecchio. Se esisteva un paradiso e se gli orchi potessero averne accesso allora era quello. Lui non era buono, aveva fatto un sacco di cose orrende nella sua vita e sapeva di non meritare la pace ma non poteva fare a meno di desiderarla. Si ritrovò a pregare che quel momento non finisse mai, sapeva che quando la dolce fanciulla avesse finito di sussurrare lui sarebbe tornato a strisciare nel fango. Non aveva paura della morte ma del vuoto che lo attendeva dopo di essa.

 

Quando riapri gli occhi vicino a lui poteva ancora vedere la fanciulla, questa volta era vestita in modo diverso e i suoi capelli erano corti. Ben presto si reso conto che non era la stessa fanciulla e che questo non era uno dei suoi sogni, e il dolore che stava provando lo confermava. Provò ad allungare la mano per afferrare quella bella creatura, solo per controllare che fosse reale, non credeva realmente che l'avrebbe toccata. Ovviamente come era prevedibile lei si spaventò ma subito dopo gli afferrò la mano e si mise accanto a lui. Quella che gli stava davanti era l'innocenza in carne ed ossa, con degli occhi così pieni di misericordia e comprensione che quasi non sentiva più dolore. Non poté fare altro che sorriderle, il solo tocco di quelle mani gentili aveva lavato via la sensazione di tutto il fango che aveva sentito addosso per tutta la sua vita. Era come rinascere. All'improvviso la dolce creatura si mise a piangere e questo sembrò rabbuiare il cielo, come se il cuore del mondo battesse nel suo petto.

 

Era stato lui a farla piangere. Un altra cattiva azione. Un altro motivo per meritare la morte. Si vergognava di se stesso, nulla di nuovo, soprattutto perché nonostante quelle lacrime innocenti non riusciva a smettere di sorridere. Non se ne ere andata. L'aveva spaventata e lei gli aveva preso la mano, la stava facendo piangere e lei non se ne andava. Buffo come un semplice gesto, così piccolo, così apparentemente inutile rappresentasse per lui il momento più felice della sua vita. E al momento stava morendo, il che la diceva lunga su quanti momenti di felicità avesse vissuto. Ora lei gli stava parlando e sembrava disperata, come se gli stesse confessando un crimine terribile. Cosa avrebbe mai potuto fare di così terribile quella dolce creatura? Le lacrime cominciarono a sgorgargli dagli occhi prima che potesse fare nulla per fermarle quando si accorse che lei stava piangendo per lui. Non aveva mai pianto prima in vita sua, ne per tristezza ne per dolore, non credeva di esserne capace e la cosa più strana era che comunque non riusciva a smettere di sorridere.

 

Era strano che ci fosse qualcuno al mondo disposto a sprecare delle lacrime per una creatura come lui, non le meritava ma le desiderava così tanto. Era stato un reietto per tutta la vita e fino a quel momento non avrebbe mai creduto che qualcuno avrebbe fatto qualcosa di così sincero per lui. Fino a quel momento la morte gli era sembrata un alternativa accettabile, perfino gradevole ma ora che sapeva cosa si era perso gli faceva paura. Come se sapesse a cosa stava pensando lei gli sorrise e gli strinse di più la mano, alleviando la sua disperazione. Doveva ringrazia, ma come? Cosa avrebbe potuto offrirle? Improvvisamente si ricordò del sogno e sapeva quello che doveva fare. Le indicò la scritta e osò accarezzarle la guancia, asciugandole una lacrima. La sua pelle era così morbida, così pura che quasi ebbe paura di corromperla col solo tocco delle dita ma invece fu come se da quel tocco si stesse espandendo purezza anche in lui come se lei lo stesse purificando con le sue lacrime.

 

Aveva avvertito l'avvicinarsi del nano e il suo istinto gli diceva che non sarebbe andata a finire bene. Ne ebbe la conferma quando alzando gli occhi vide la massiccia figura aleggiare su di loro, braccia alzate sopra la testa con l'ascia in mano, pronto a sferrare un colpo poderoso. Non sarebbe durato molto e comunque stava già morendo. Non emise un fiato quando l'arma gli sfondò il petto, ormai era troppo stremato anche solo per sentire dolore. Forse era meglio così, in fondo stava solo rimandando l'inevitabile ma continuò a guardare il viso di quell'unico raggio di sole che il mondo gli aveva concesso e continuò a sorridere. 'Che si fotta il mondo, che si fottano gli orchi e tutte le altre razze … questo angelo sta piangendo perché gli importa della mia vita … o morte, che importanza ha?... non ho intenzione di chiedere scusa per questo' e con questo pensiero e l'immagine dell'unico viso che gli avesse mai sorriso si lasciò andare.

 

'Benvenuto nella tua nuova casa' quando quella voce nella sua testa lo svegliò si alzò di scatto a sedere e si ritrovò immerso nel grano maturo. Si alzò e si accorse di essere ai piedi della collina che vedeva nei suoi sogni e sotto l'albero come sempre c'era la fanciulla. 'Benvenuto figlio del bene nato dal male, per i tuoi servigi e le tue sofferenze hai meritato la pace. Io sono Yavanna e per ringraziarti di aver concesso la salvezza ai figli del mio sposo ti accolgo in questo luogo dove potrai vivere libero da dolore e sofferenza' le labbra della fanciulla non si erano mosse ma lui l'aveva sentita parlare. Ma che importanza aveva? Questo luogo lo stava avvolgendo di una calma e una serenità tale da portargli le lacrime agli occhi. Tutta una vita passata a soffrire, ne era valsa la pena. Ma davvero lo meritava? 'Nonostante il tuo retaggio non sei stato dominato dalla malvagità e hai provato compassione e affetto, il solo fatto di esserti fermato a considerare di meritare o meno questo dono ti rende degno di esso. Vai e sii felice' e così fece.





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