1.
Jude e il gruppo del venerdì sera
“Quindi
George Peterson sta con Melanie Frayer? Quell’oca ossigenata
e senza cervello della Frayer?”
Audrey annuisce
comprensiva. “Ebbene sì.”
“Questa
è la dimostrazione che Dio non esiste, e se esiste, si fa
gli affari suoi: al mondo non c’è
giustizia,” conclude perentoria una Delia fin troppo
sconvolta, scuotendo il capo.
Io, scorgendo
l’espressione di Matt che non sa se ridere o sbattere la
testa sul tavolo, mi limito a sorridere, ma probabilmente se oggi non
fossi di pessimo umore starei sghignazzando di gusto: la situazione, in
effetti, è piuttosto divertente.
È
venerdì sera e come tutti i venerdì sera siamo
seduti al solito tavolo del solito bar: siamo i soliti cinque
più il ragazzo di Audrey e, ovviamente, stiamo aspettando
che il solito Dave ci porti le solite cose da bere e si sieda con noi.
Definirci abitudinari sarebbe poco.
Delia, Matt, Audrey
con Phil, David, Josh, e io, Jude.
Se te lo stai
chiedendo, sì, sono una ragazza. Immagino che il mio nome ti
abbia tratto in inganno, ma in realtà mi chiamo Judith, come
quell’eroina biblica che per salvare il suo popolo sedusse e
poi tagliò la testa a Oloferne e bla bla bla, esatto. Tutti
però, o quasi tutti, mi chiamano Jude come, per restare in
ambito “paragoni famosi”, Jude Law, o come quello
di Hey Jude
dei Beatles, con la piccola differenza che loro sono individui di sesso
maschile, mentre io femminile, ecco.
Ma non parliamo di me,
odio farlo. I miei amici, quelle sono persone sulle quali vale la pena
spendere due parole.
Audrey, per esempio,
è quella che stasera è arrivata con la notizia
fresca di settimana del fidanzamento ufficiale tra George Peterson e
Melanie Frayer: fare gossip, in effetti, è sempre stato un
suo vezzo, anche se non lo si direbbe mai, visto il temperamento
riservato e schivo che ha.
Conosco Audrey Byrne
dal primo giorno di liceo: all’epoca io ero una ragazzina
timida ma piuttosto tenace e combattiva, la cui migliore amica si era
da poco trasferita in Europa. Durante la prima noiosissima lezione di
biologia, mi trovai seduta accanto a questa bella ragazza dai capelli
neri e liscissimi, dolce ma ironica e piena di spirito.
Aud in fondo
è rimasta uguale ad allora. Ha la pelle olivastra, i capelli
lisci color pece e i tratti indiani ereditati da sua madre, ma gli
occhi sono di uno splendido verde scuro, uguali a quelli di suo padre:
è ancora una delle ragazze più belle che conosco,
ma non sa di esserlo. È modesta all’inverosimile,
Audrey, tanto da sembrare cieca a volte. Di sé non le piace
praticamente niente, nemmeno il nome: dice che si chiama
così solo perché sua madre ha da sempre una
stupida fissazione per Audrey Hepburn, e che vorrebbe un nome meno
“da vip”.
Inoltre è
sensibile e buona con tutti, spesso anche un po’ ingenua,
caratteristiche che, aggiunte al suo bel viso, l’hanno
portata a essere presa in giro più e più volte da
bastardi e approfittatori di vario tipo. Tradotto: ha sempre avuto una
sfortuna tremenda con l’altro sesso, se non che adesso sembra
aver trovato la serenità con Phil, suo attuale ragazzo da
circa otto mesi.
Il difetto del gossip
le è però rimasto, ma, conoscendo sua madre,
sospetto sia più che altro una tara genetica.
“È
ingiusto! George è un gran bel pezzo di ragazzo, meriterebbe
molto di più di Melanie Frayer, quella c’ha solo
le tette, e non sono nemmeno sicura che siano vere! Cioè, vi
ricordate anche voi che a scuola era praticamente piatta, vero? Come
hanno fatto a spuntarle le tette così,
all’improvviso? Oltretutto a me George piaceva già
ai tempi del liceo e quella sgualdrina invece…”
Delia continua
imperterrita la sua filippica contro la Frayer senza accorgersi degli
sguardi ormai esasperati di tutti.
Delia Gray
è fantastica, dico sul serio, anche perché se la
pensassi diversamente non sarei certo sua amica da più di
quattro anni. Solo che a volte è un tantino logorroica, ecco
tutto. Noi le vogliamo bene lo stesso.
Delia è
entrata nelle nostre vite come un uragano: cioè
inaspettatamente e creando un bel po’ di confusione. Si
iscrisse nel nostro liceo a metà del secondo anno, dopo
essersi trasferita con la sua famiglia dalla California, e si
affezionò subito a Audrey, anche se caratterialmente e
fisicamente era il suo esatto opposto.
All’inizio
io ero piuttosto diffidente nei suoi confronti – come sempre
quando conosco una persona nuova – poiché temevo
fosse la solita approfittatrice che tentava di irretire Aud per
diventare popolare a scuola e poi abbandonarla preferendo compagnie
migliori. Non che noi all’epoca fossimo molto popolari, al
contrario; però la mia amica attirava a sé
più di uno sguardo e immaginavo che le attenzioni di Delia
non fossero sincere. Mi sbagliavo e mi dovetti perciò
ricredere: non solo Delia non aveva alcuna velleità di
scalata sociale, ma, al contrario, da allora si è sempre
dimostrata un’amica fedele, oltre che una vera e propria
intrattenitrice nei momenti di necessità.
Ora come ora Deels
è una giovane studentessa del College single e fiera del suo
status. Ha diversi ragazzi con cui si diverte, “a che altro
servono sennò?” (testuali parole)… e
chi può darle torto.
Fisicamente non
è molto alta ed è piuttosto minuta, ma potrebbe
far paura a chiunque con la sua parlantina tagliente e inesauribile, e
con la sua sicurezza sfrontata. Al momento ha i capelli lunghi fin
sopra le spalle, di un rosso piuttosto scuro, colore che cambia spesso,
anche se il suo naturale sarebbe un biondo cenere che io adoro ma che
lei definisce “color topo di fogna”.
E dopo tutta questa
lunghissima descrizione, Delia non ha ancora smesso di inveire. Come
volevasi dimostrare.
“…ed
è una cosa assolutamente assurda. Jude, non sei
d’accordo?”
Eccola là.
Ovvio che mi avrebbe interpellato, sono seduta alla sua destra e ho la
testa tra le nuvole da un po’. Fortunatamente so
più o meno di cosa stiamo parlando.
“Dee, tu non
vuoi neanche impegnarti. È inutile che te la prenda tanto a
cuore.”
“Che
c’entra. Magari George poteva essere l’uomo della
mia vita.”
E ti pareva. Un
tantino melodrammatica, no?
“Gray,
nessun essere umano sano di mente potrebbe sopportarti per una vita
intera, considerato quanto parli.”
Ecco, Matt non
è più riuscito a trattenersi, è
già strano che l’abbia fatto fin’ora.
Vedo gli occhi
nocciola di Delia farsi sottili e fulminare il pazzo suicida che ha
osato parlare, pazzo suicida che per fortuna si trova al lato opposto
del tavolo.
“Qualcuno ti
ha interpellato?”
“Non ne
potevo più di sentirti uggiolare, tesoro.”
La bocca di Dee si
stende in un sorriso sarcastico. “Geloso,
Patterson?”
Anche Matt non se la
cava per niente male col sarcasmo, però. “Oh
sì, da morire!”
“Idiota,”
ribatte la mia amica, contenta di aver finalmente trovato pane per i
suoi denti. “Sei solo invidioso perché
l’unica cosa che avrai mai di simile a George Peterson
è il cognome. Per il resto, lui ti batte dieci a
zero.”
“Ciò
che invidio a quel tipo è che non è costretto a
sopportare te tutti i venerdì sera.”
A Phil scappa una
mezza risata e Audrey gli dà una gomitata, perché
sa che se qualcuno si intromettesse potremmo perderci la parte
più spassosa della serata. Ma Delia e Matt sembrano essere
troppo impegnati nel cercare di incenerirsi a vicenda con lo sguardo
per accorgersene.
In effetti, i teatrini
tra Delia Gray e Matthew Jonathan Patterson sono famosi in quasi tutto
l’universo conosciuto. In realtà quei due non si
odiano tanto quanto vorrebbero far credere: certo, a volte sembra che
stiano per prendersi per i capelli, ma sotto sotto si divertono un
sacco a punzecchiarsi. Per di più ho il sospetto che Matt
abbia davvero un interesse ben celato per Delia e viceversa,
sennò non si spiegherebbe tanta tensione tra loro. Solo che
loro ancora non lo sanno, suppongo. O forse sì?
Tutto è
cominciato, come sempre, a scuola. Non conoscevo ancora Matt, o meglio,
la sua fama da bello e dannato lo precedeva, ma non avevo mai avuto
contatti diretti con lui, quando, una mattina, Dee ci si
avvicinò sbraitando qualcosa tipo: “quel Patterson
è un vero deficiente!” Da lì
cominciarono una serie di insulti più o meno giornalieri tra
i due: Delia era forse l’unica in tutto l’edificio
scolastico che riusciva a tenere testa a Matthew Patterson e per questo
aveva non pochi estimatori, ma anche un bel gruzzolo di nemici.
Finché, un
giorno, Matt si prese la briga di difendere veementemente Dave da quel
cretino patentato con un solo neurone di Pierce Ashton di fronte a
mezza scuola. Così si avvicinò a David e Josh
che, conoscendolo, scoprirono che non era per niente stupido e
superficiale come poteva sembrare a prima vista, e
l’inserirono, per la gioia di Deels, nel nostro gruppo
già collaudato. Matt è stato l’ultimo
acquisto, a parte il più recente Phil che, stando con
Audrey, ha cominciato in questo periodo a uscire con noi.
Matt è
indubbiamente bello, con gli occhi grigi, il capello biondo scuro e la
perenne aria da tenebroso. Potrebbe sembrare un attore hollywoodiano se
non fosse che si veste come un vero studente squattrinato: di famiglia
i soldi non gli mancherebbero, tutt’altro, ma ha sempre
cercato di arrangiarsi perché mal sopporta i suoi; inoltre
quello è proprio il suo stile e, ad essere sinceri, il fatto
di presentarsi in giro con le scarpe mezze sfasciate gli dà
una marcia in più rispetto ai soliti
belli-e-perfettini-figli-di-papà.
“Sì
invece!”
“Ho detto di
no!”
“Sì”
“No” “Sì”
“No” “Sì”
…
“Piccioncini,
basta amoreggiare!”
Per fortuna Dave ha un
tempismo perfetto e arriva un attimo prima che cominci a sgorgare il
sangue, distribuendo da bere a tutti. Il locale in cui ci troviamo,
infatti, è della sua famiglia, per questo siamo qua tutti i
venerdì sera. E anche perché la sera è
chiuso e quindi non c’è nessuno.
Ah, non
l’avevo detto? Il Marie’s,
chiamato così in onore della nonna francese di Dave,
è un bar mattutino, da cappuccino e brioches. Chiude intorno
alle sette e mezza di sera e, ogni venerdì, puntuali
– chi più chi meno; io meno, di solito –
alle ventuno e trenta, noi ci troviamo qui. C’è
una bella pace, ancora per poco in realtà.
David ha fatto un
corso per barman e ha preparato tutto per tenere aperto il locale di
sera gestendolo al posto di suo padre. L’inaugurazione
è prevista tra sole due settimane, quindi oggi è
una delle ultime volte che ci troviamo qui in pace e
tranquillità. Mi fa piacere per Dave, perché ci
tiene davvero a questo progetto, ma un po’ mi
mancherà tutto questo.
“Delia, ecco
la tua birra,” dice il nostro barista. Poi si china sulla
spalla di lei e lo sento sussurrare: “quel Peterson non
dispiace neanche a me,” e darle un buffetto sulla guancia.
Il solito David. Ora
almeno Dee è più soddisfatta: raddrizza la
schiena e lancia un sorrisetto provocatorio a Matt, che raccoglie con
uno sbuffo.
“Ragazzi,
mancano un paio di cose. Vado e torno,” dice Dave
allontanandosi di nuovo verso il bancone. Leggendomi nel pensiero,
aggiunge: “quando torno non voglio vedere sangue in giro,
eh.”
David McPharrell
è moro, coi capelli mossi che gli coprono le orecchie e
parte del collo e degli occhi marroni sorridenti. È un
po’ miope, e di solito porta le lenti a contatto, ma stasera
ha i suoi occhiali da vista.
Inoltre è,
come si sarà capito, gay dichiarato.
È amico di
Josh da quando avevano circa quattordici anni. Si conobbero giocando a
basket assieme, ma poi Dave dovette smettere quando il mondo
scoprì che era gay, perché ad allenamento gli
rendevano la vita un inferno, e Josh lasciò la squadra per
solidarietà.
David lo conosco da
parecchi anni ormai, ma è una di quelle persone che
può stupirti di continuo. A metà del terzo anno
di liceo ci confessò di essere omosessuale e ci chiese se
per noi era un problema. “Figurati,” fu la mia
risposta secca: io avevo già notato che Dave guardava e
commentava i ragazzi con me, ero solo contenta che l’avesse
ammesso anche lui. Josh invece rise a crepapelle, dopodiché
si assicurò che non volesse provarci con lui, infine
scrollò le spalle e disse che era ok.
Un giorno
però quel cretino patentato con un solo neurone di Pierce
Ashton (l’avevo già detto?) ascoltò un
nostro discorso e poco dopo trovò David da solo nel
corridoio e si mise a insultarlo con aggettivi poco carini e piuttosto
omofobi davanti a mezza scuola. Qui entrò in scena Matt, che
non si limitò a difendere Dave a parole, ma si
beccò pure un bel cazzotto in faccia.
Finita la scuola David
ci stupì di nuovo: dopo un anno passato a divertirsi al
college decise che voleva fare il barman, “perché
si rimorchia di più”, dice. Ed eccolo qua: noi
abbiamo appena cominciato il terzo anno di università e
siamo pieni di dubbi fin sopra la testa, lui invece sembra aver trovato
l’aspirazione della sua vita. Beato.
“Ecco il tuo
mojito, bella,” dice Dave prendendo l’ultimo
bicchiere dal vassoio e posandolo di fronte a me.
Mojito? Io non avevo
ordinato mojito. Anzi, non avevo proprio ordinato, perché
sono arrivata un po’ in ritardo con l’autobus.
“Ma…?”
esordisco dubbiosa.
“Niente
lamentele, please,” mi interrompe Dave sedendosi alla mia
destra e schioccandomi un bacio sulla guancia, “ha ordinato
Josh per te.”
Alzo la testa e
osservo con un sopracciglio inarcato il suddetto Joshua Parker, seduto
di fronte a me con un sorriso che gli va da un orecchio
all’altro. Perdo un battito, probabilmente perché
è la prima volta che lo guardo da quando sono arrivata, ma
la mia espressione non cambia.
“Avanti!”
esclama il traditore con una tranquillità quasi snervante.
“A te piace il mojito…”
Con
difficoltà ignoro la sua faccia da cucciolo scodinzolante.
“Parker, avevo detto niente alcolici per me
stasera…” dico, cercando senza successo di
sembrare cattiva.
“Il nostro
amico sta per aprire un locale, dovremmo pur fargli fare un
po’ di pratica con i cocktail…” spiega
innocentemente Josh cercando di sembrare convincente.
Che stupidaggine! Sono
mesi che David lavora per i più importanti pub della
città, non gli serve a un piffero fare dell’altra
pratica.
Vedo Dave alzare un
pollice verso l’altro cretino a mo’ di
ringraziamento e quasi mi scappa da ridere, ma resisto, scuotendo la
testa.
Josh continua.
“Juuude, bevi! Tanto guido io stasera.”
“Bella
garanzia!” sbuffo indicando col mento la birra che ha davanti
mentre, mio malgrado, comincio a sorseggiare il mio mojito.
“È
solo una birretta, su, non mi fa male. Avevo fame quando sono
arrivato,” si scusa il mio amico mostrandomi il toast che sta
mangiando e alzando le spalle con ovvietà, come a dire che
con un toast non si può bere altro che birra.
“Come
vuoi,” gli concedo per chiudere il discorso, tanto so che
alla fine l’ha sempre vinta lui. “Vorrà
dire che la prossima volta se arrivo in ritardo chiamerò Aud
per farmi ordinare. O direttamente il capo McPharrell qui,”
concludo dando una gomitata a David a cui per poco non va di traverso
quello che sta bevendo.
“Perché
non me?”, “E io?” mi chiedono in
contemporanea Dee e Matt.
“Tu,”
spiego indicando Delia, “mi terresti mezz’ora al
telefono e tu,” continuo con Matt, “ti
dimenticheresti dopo cinque minuti tutto quello che ti ho
detto.”
Con questa mia battuta
si scatena il putiferio, ma già lo sapevo. Almeno
l’attenzione non è più su di me, dato
che Dee e Matt hanno ricominciato a insultarsi a vicenda.
“Jude?”
sento Josh che mi chiama e mi volto.
Quasi tutta
l’attenzione non è più su di me: lui mi
guarda sempre, accidenti.
“Tutto
ok?” mi chiede con un sorriso accennato.
“Mmh,”
mugugno annuendo con la testa e fissando un punto imprecisato del
tavolo.
Cazzo, dovevo
immaginarlo. Josh sa sempre quando c’è qualcosa
che non va, lo capisce al volo, maledizione a lui.
“Ah,”
risponde poco convinto. “Perché prima al telefono
mi sei sembrata un po’ strana, giù di morale. Ho
pensato fosse successo qualcosa, per questo ti ho ordinato il
mojito…” spiega guardandomi per carpire
informazioni dal mio viso.
Io cerco di tornare in
me o perlomeno di risultare meno sospetta di prima.
“Tranquillo,
nessun problema,” rispondo un po’ troppo
telegraficamente: infatti Josh non sembra ancora del tutto soddisfatto
del mio scialbo tentativo di bugia.
Lo anticipo io,
stavolta. “Che poi l’alcol non è che
risolve tutti i problemi, scemo!” lo prendo in giro cercando
di sembrare spontanea. “Problemi,” sottolineo,
“che io non ho.”
“Va
bene,” conclude lui, e sorride di nuovo. Quando dice
“va bene” con quel tono, il novantanove virgola
nove percento delle volte significa che non va bene. E che
tornerà all’attacco. Pazienza, ci
penserò dopo, adesso devo distrarmi.
Mi giro verso Delia e
Audrey e mi fingo interessata alla loro conversazione su…
beh, non ha importanza l’argomento, io devo solo annuire ogni
tanto. Intanto mi lascio tranquillizzare dal massaggio rilassante che
Josh sta facendo con le dita sulla mia mano sinistra appoggiata sopra
il tavolo.
Aspetta. Cosa?
Il massaggio che Josh
mi sta…?
Appena realizzo,
sposto la mano di scatto e mi alzo il più velocemente
possibile.
Devo dire qualcosa,
perché sei paia d’occhi insistenti e perplessi mi
stanno guardando.
“Vado…
vado a fare pipì,” biascico spostando la sedia e
indietreggiando.
Mi giro e decido di
dirigermi verso il bagno vicino alla cucina, quello per i dipendenti.
David non mi dice nulla, tanto so che posso usarlo.
Non ho davvero bisogno
di fare la pipì, quindi una volta arrivata in bagno apro il
rubinetto e piazzo le mani sotto l’acqua che scorre. Non so
neanche perché lo faccio, forse c’entra col
massaggio di prima, anche se spero di no.
Cazzo. Il sogno che ho
fatto ieri notte mi ha condizionato non poco, ma in fondo lo sapevo
già prima. Merda.
Chiudo il rubinetto e
mi asciugo le mani, dopodiché mi do un’occhiata
allo specchio. Capelli castani alle spalle mossi e un po’
spettinati, occhi marrone scuro, quasi nero, con delle leggere
occhiaie, trucco quasi inesistente se non un filo di mascara, ed
espressione da cane bastonato. Non ho un bell’aspetto, ma
qualcuno avrei potuto ingannarlo. Non lui però.
Esco dal bagno sapendo
già che fare: vado in cucina, prendo delle chiavi appese a
un chiodo e apro la porta in fondo alla stanza.
Da qui si esce
dall’edificio, ma c’è la parte
più bella di questo posto: un piccolo giardino tranquillo e
abbastanza spoglio che io adoro. È davvero minuscolo e
oltretutto non è nemmeno curato ma, pur essendo in
città, da qui si vedono le stelle meglio. Almeno io voglio
pensarlo, quindi le vedo.
Mi siedo sul gradino
dell’uscio e alzo la testa verso il cielo, strofinandomi con
le mani le braccia coperte solo da una maglietta leggera. Ho lasciato
la giacca dentro e a fine settembre la fresca arietta autunnale
comincia a farsi sentire.
Vorrei non pensarci ma
mi è impossibile.
Cazzo.
Sono innamorata del
mio migliore amico.
Allora...
Eccomi qua!
Questa è la
primissima storia che pubblico, quindi vi domando per cortesia di farmi
sapere cosa ne pensate, anche se il primo capitolo vi ha fatto
decisamente schifo. Sul serio, vorrei saperlo.
Detto ciò,
vi anticipo con gioia che non vi tedierò a lungo: Of all the
people in the world
è una storia senza pretese, che ho cominciato a scrivere per
caso dopo aver sognato l'incipit. So che detta così sembro
pazza - e lo sono - ma l'ho proprio sognata, che vi devo dire. Quindi
non andrà avanti per più di setto o otto capitoli
non troppo lunghi e non troppo impegnativi, che tra l'altro ho
già quasi concluso.
Il titolo è
tratto da una canzone; se qualcuno di voi la conosce, bene,
sennò tutto sarà spiegato più avanti.
Se avete dubbi,
critiche, complimenti, commenti di ogni tipo, sono qui apposta per
leggerli... Attendo riscontri e grazie per l'attenzione!
A
presto.
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