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Capitolo
Ventinove: Home sweet home
“Home
a
place where I can go
to
take this off my shoulders
someone
take me home”
~
“Home”, Machine Gun Kelly, Bebe Rexha & X Ambassadors
«Come
siamo vivaci stamattina» sussurrò dolcemente Natasha Romanoff
divertita dal suo stesso figlio, che aveva ben pensato di svegliarli
all'alba. Ora se ne stava fra le morbide lenzuola del letto
matrimoniale, sotto lo sguardo attento di sua madre, agitando le
braccia e le gambe grassocce, emettendo versi eccitati.
«Si
vede che ha preso da noi» ridacchiò Steve uscendo in quel momento
dal bagno asciugandosi distrattamente i capelli; facendo attenzione
prese il piccolo James e gli posò un casto bacio sul capo poi si
prese posto accanto alla compagna.
Natasha
sorrise, non aggiunse nulla e si appoggiò a lui, osservando con
affetto sconfinato James, che li fissava meravigliato. Tutti
pensavano che il bambino avesse nello sguardo una scintilla di
consapevolezza troppo precoce per la sua età. Ma d'altronde James
Samuel Rogers non era un neonato normale, il suo dna modificato prima
o poi si sarebbe manifestato in modo palese.
«Non
avrei mai pensato di poter amare un altro essere umano così
intensamente» mormorò piano senza distogliere lo sguardo lucido dal
figlio.
Steve
si voltò a guardarla, lievemente sorpreso da quella spontanea e
dolce confessione.
«Nemmeno
io» replicò serio. Natasha si sporse a baciarlo, poi accolse James
fra le sue braccia e lui iniziò a giocare con una ciocca di capelli
fulvi, non comprendendo ancora bene la funzione delle sue mani.
Il
capitano si limitò a guardare adorante suo figlio urlare divertito,
nell'imitazione di una risata, mentre Vedova sfiorava delicatamente
il nasino con il suo.
Avevano
vissuto per ben due giorni in quello stato di grazia, occupandosi
esclusivamente di loro e del loro bambino. Avrebbero voluto per farlo
per sempre; ma se speravano di avere quella vita, quel futuro che
avevano appena assaggiato, dovevano prima distruggere, eliminare la
minaccia che gravava sulla loro famiglia.
«E'
ora di tornare alla realtà» bisbigliò Steve; Natasha strinse
impercettibilmente suo figlio a sé, in un istintivo moto di
protezione.
«Lo
so» sospirò, poi sorrise rivolgendosi a James «Gli zii iniziano a
sentire la tua mancanza».
Si
vestirono in silenzio, mentre il bambino – protetto dai cuscini –
se ne stava placido, quasi avvertisse che qualcosa stava mutando.
Natasha
si concesse una lunga occhiata al proprio compagno, gli passò con
amorevolezza una mano fra i capelli biondo scuro, lo baciò sulle
labbra sotto lo sguardo attento di lui; le sue dita callose
accarezzarono impalpabili la bocca piena di lei.
«Signora
Jenkins da quanto è sveglia?» esordì Natasha con James fra le
braccia, osservando incredula l'infermiera, assunta ufficialmente
come loro bambinaia sin dal giorno seguente il risveglio della russa.
Vero era che fosse la balia di James ma la donna pareva aver preso a
cuore l'intera squadra, viziandoli innanzitutto con la sua cucina.
Natasha
circumnavigò il tavolo straripante di piatti dolci e salati pronti
per essere serviti a colazione.
«Parola
mia, bambina, non ho proprio idea di come non siate morti di fame
finora!?» la spia si aprì ad un sorriso.
«Non
deve disturbarsi tanto signora Jenkins» replicò Steve sconvolto da
tanto cibo.
«Quisquilie!»
celiò la donna agitando la mano in aria «Piuttosto come sta questa
creatura?» sorrise osservando da vicino il piccolo Jamie, che nel
mentre era interessatissimo a mettersi in bocca un lembo della
camicia leggera della madre.
«Dorme
poco, ma non ci lamentiamo» disse Steve, cercando disperatamente con
lo sguardo il caffè in mezzo a tutto quel ben di Dio.
«Se
non facciamo impazzire un po' mamma e papà dove sta il
divertimento?» ridacchiò allegra la bambinaia rivolgendosi a James,
che sembrò essere d'accordo con lei.
«Come
procedono le cose qui?» si informò Vedova. Florence assunse un'aria
cospiratoria e si avvicinò a lei;
«Voci
di corridoio confermano un parziale cessate il fuoco da parte
dell'agente Carter nei confronti del povero sergente Barnes»
Natasha si trattenne dal ridere apertamente.
«Capitano
il caffè è su quel ripiano».
Ci
vollero pochi minuti per riunire l'intera squadra, più Pepper, Laura
e i bambini interessatissimi al piccolo Jamie, Jace, Niko con
Alexandra.
Nemmeno
a dirlo Tony, Sam e Clint si erano fin da subito abituati alle
attenzioni materne di Florence Jenkins.
«Miss
Jenkins non dovrebbe viziare così Tony, non è a lui che serve una
bambinaia» disse Pepper osservando male il fidanzato.
Il
miliardario alzò il volto da un piatto strabordante pancakes con
aria innocente, i suoi occhi sembravano dire “Perchè no?”.
Steve
si aprì ad un sorriso indulgente, guardò i suoi compagni uno ad
uno, per una volta rilassati, quasi non esistesse nessuna minaccia
che gravava su di loro. Quanto tempo era passato? Da quanto tempo non
avevano un momento così? Il suo sguardo scivolò dolce sulla figura
di Natasha: seduta sul divano cullava il figlio prima di lasciarlo
alle cure di Miss Jenkins e tornare da loro. A costo della sua vita,
si disse Steve, avrebbero avuto una vita di momenti così.
«Quali
notizie ci siamo persi?» chiese il capitano, una volta che tutti
furono pronti a concentrarsi su ciò che aspettava loro, in un futuro
ormai sempre più vicino.
«Lo
S.H.I.E.L.D. ha scoperto le basi segrete dell'HYDRA, grazie alla
chiavetta lasciata dalla giovane Munroe» esordì Clint prontamente
«Sono quasi certi che in quelle basi producano in serie lo
psychotron. Dovremmo riunirci presto con loro per decidere come
muoversi. Vogliono sicuramente piazzarlo sul mercato, e nessuno è
bravo come Allegra Belgioioso in questo campo»;
«Quella
stronza, ormai è chiaro che è in combutta con Sinthea Schmidt»
borbottò Sharon, scambiandosi un cenno d'intesa con Natasha, il cui
sguardo si accese. Aveva un conto in sospeso con quelle due, e
l'avrebbero pagata cara per aver solo volto lo sguardo al suo
bambino.
«Abbiamo
difficoltà a monitorarli, troppe basi. Anche se al momento sembrano
essersi ritirati, c'è troppa calma» ragionò Bucky.
«A
tal proposito io e la piccola Skye stiamo studiando i movimenti del
Bus. Come faccia a muoversi evitando qualsiasi radar, invisibilità a
parte...» replicò compito Tony sorseggiando il caffè.
Steve
annuì grave, incrociò le braccia al petto e cominciò a ragionare
sulle varie informazioni.
Se
l'HYDRA stava davvero tenendo un basso profilo, allora dovevano
mettersi in moto il prima possibile. Dio solo sapeva cosa stessero
architettando.
“Prima
di te ero solo un pazzo
ora
lascia che ti racconti:
avevo
un'ascia già sgualcita
e
portavo tagli sui polsi
oggi
mi sento benedetto e non trovo niente da aggiungere
Questa
città si affaccia quando ci vedrà giungere
ero
in bilico tra l'essere vittima, essere giudice
era
un brivido che porta la luce dentro le tenebre
e
ti libera da queste catene splendenti, lucide”
~
“Torna a casa”, Måneskin
Era
calata la notte sull'Avengers Tower, quasi tutti si erano ritirati
nelle loro stanze, James Barnes aveva appena lasciato Steve e
Natasha, dopo aver augurato la buonanotte al nipote già addormentato
tra le braccia del papà.
Incredibile
come un bambino cambiasse la prospettiva di un'intera vita; anche se
non era figlio suo Bucky provava un forte senso di protezione nei
suoi confronti, come verso Jace.
Si
piazzò accanto alla porta della stanza di Sharon, come quasi ogni
sera. Era assurdo, lo sapeva bene, finiva ogni notte con
l'addormentarsi sul pavimento e svegliarsi prima che lei lo vedesse.
Le mancava terribilmente, quella era la sua giustificazione, la
realtà dei fatti.
Come
sempre perdeva la cognizione del tempo, forse non erano nemmeno
passate un paio d'ore, quando Bucky, tendendo l'orecchio, sentì
Sharon agitarsi pesantemente nel sonno. Non sapeva che fare, non
voleva che lei si risentisse per aver invaso la sua privacy, non ora
che finalmente aveva ricominciato a rivolgergli la parola. Ma il suo
istinto alla fine ebbe la meglio.
Aprì
la porta con attenzione, anche se al buio riuscì immediatamente a
distinguere la figura della sua ragazza.
«James»
mormorò lei. Il Soldato si bloccò immediatamente, convinto di
averla svegliata.
Si
rese subito conto che l'agente 13 non era affatto sveglia ma era
preda di un incubo, che la stava agitando e la faceva rigirare nel
letto in una vana ricerca di pace.
Ben
addestrato non fu difficile per James esserle accanto senza produrre
il minimo rumore. Si chinò su di lei trattenendo il respiro e con
sconcerto vide una scia di lacrime bagnarle il volto contratto in una
smorfia angosciata.
«James»
ripetè flebilmente, sbuffò e si strinse al cuscino.
Bucky
fece una smorfia triste: era lui la causa del suo dolore; sapeva di
averla ferita andandosene senza una parola, dopo averla quasi
uccisa... Si odiò davvero, ma non poteva cambiare ciò che aveva
fatto e nemmeno l'avrebbe fatto.
Era
difficile da capire per loro, ma lui aveva giurato a se stesso di
proteggerla, di non permettere alla sua natura di ferirla e quando
questo era avvenuto, lui aveva agito nell'unico modo che ormai
conosceva: tornare un fantasma.
Era
ben consapevole di averla distrutta, perché lui stesso aveva
sofferto terribilmente la lontananza.
Forse
sarebbe stato meglio mantenere quella distanza, lasciare che
crescesse, che si rifacesse una vita lontano da lui, ma il solo
pensiero lo fece star male, no lui l'amava e sarebbe rimasto al suo
fianco finché lei glielo avrebbe concesso.
Un
altro lamento lo strappò dai suoi pensieri e la sua mano corse
dolcemente sulla sua fronte aggrottata nella speranza di acquietarla.
Sharon
invece spalancò gli occhi spaventata dall'incubo e inquietata dal
tocco, che a causa dell'agitazione e della stanchezza non aveva
riconosciuto. Reagendo ad un impulso naturale, tipico dei soldati ben
addestrati, scattò verso James credendolo un nemico, estrasse
contemporaneamente il pugnale da sotto il cuscino e lo atterrò
alzando la lama con il respiro affannoso e lo sguardo sgranato.
«Sharon...
sh... sono io» sussurrò Bucky con le mani aperte e tese innocenti
verso di lei.
La
donna lo mise a fuoco, la lama si abbassò di colpo mentre il suo
braccio perse subito forza. Si portò l'altra mano alle labbra;
«Io
credevo... che... che tu...»
«Qualsiasi
cosa fosse ora è passata» mormorò pacato. Quella frase fece
scattare qualcosa in Sharon: ogni resistenza cessò, qualsiasi tipo
di reticenza scomparve, si piegò su di lui e poggiò il capo
nell'incavo tra la spalla e il collo.
«Ti
supplico abbracciami» bisbigliò con voce rotta e James non attese
oltre: accolse quella richiesta come una benedizione e la strinse a
sé con forza.
«Sharon
– strinse i denti come fosse in lotta con se stesso – mi dispiace
tanto amore» disse desolato;
«Lo
so. Lo so. Dispiace anche a me».
Bucky
lasciò che si tranquillizzasse poi la riportò fra le lenzuola,
mettendosi accanto a lei.
«Resti?»
«Sì.
È questo il mio posto».
Sharon
parve finalmente rilassarsi e poggiò il capo sul cuscino, mentre
James fece lo stesso, gli sguardi incatenati e nulla... Restarono
così, in silenzio, l'uno perso e al tempo stesso cullato dallo
sguardo dell'altra, cercando di trovare piccole differenze o nuove
cicatrici nate in quei mesi di distanza. Riscoprirsi, conoscersi
ancora una volta, far rifiorire sentimenti costretti al silenzio.
“Questa
volta” si disse Bucky totalmente stregato da lei “Questa volta
farò le cose per bene”.
Sharon
l'aveva finalmente accettato, l'aveva nuovamente con sé, era al suo
fianco com'era giusto che fosse.
Fu
istinto, sesto senso o semplicemente una sensazione a far fermare la
giovane Alexandra davanti la porta di Sharon, o forse era
semplicemente la mancanza di Bucky sopito contro il muro a braccia e
gambe incrociate a farla insospettire; anche se non sempre restava lì
fino a tarda mattina. Eppure...
Eppure,
facendo estrema attenzione aprì leggermente la porta e sbirciò
dentro: non seppe mai come fece a non scoppiare ad urlare di
felicità.
«Che
stai facendo?»
Alexandra
si voltò di scatto, ma invece di essere sorpresa – riconosceva i
passi di Jace fin troppo nitidamente – lo osservò stizzita e gli
fece cenno di abbassare la voce e di guardare dentro.
Jace,
alzatosi da troppo poco per riuscire a ribattere, fece come richiesto
e i suoi occhi ebbero un guizzo: Sharon e Bucky che riposavano
pacifici, l'una stretta fra le braccia dell'altro.
«Cazzo»
bisbigliò incredulo.
Non
dovettero nemmeno guardarsi, si precipitarono in soggiorno sperando
vivamente di trovare qualcuno.
Le
loro speranze vennero esaudite.
Natasha
era appoggiata ai piedi del divano accarezzando delicatamente il capo
di Steve abbandonato sulle sue gambe, occhi chiusi e il resto del
possente corpo disteso sul soffice tappeto, e il piccolo Jamie
sonnecchiante sul suo petto, stretto in un abbraccio protettivo.
Sull'altro
divano Tony sembrava ancora incapace di formulare un solo pensiero
coerente e la tazza di caffè precaria fra le sue mani; Sam invece
sorrideva in direzione di Natasha.
«E'
successo!» proruppe Sasha con la sua voce alta e cristallina.
Tutti
si voltarono straniti, cerca Jace e Alex non dovevano avere le
espressioni più sane e calme del loro repertorio.
«Sharon
e Bucky hanno finalmente fatto pace» cercò di spiegarsi meglio il
quindicenne.
Natasha
ridacchiò leggera e si scambiò uno sguardo complice con Steve, che
sorrise consapevole che la sua dolce metà ci aveva visto giusto
anche stavolta.
«Non
mi dire!» Sam era decisamente euforico, guardava Tony che
boccheggiante si rivolse ai due ragazzi;
«Momento
momento momento! Da cosa lo supponete?»
«Dal
fatto che stanno dormendo abbracciati?» replicò Sasha con un
sopracciglio alzato.
«Merda»
borbottò il miliardario frugandosi nelle tasche.
«Oh
oh paga vecchio mio!» gongolò Falcon «Aspetta che lo dica a
Clint!».
*
“ 'Cause
there's madness on my brain
so
I gotta make it back, but my home ain't on the map
gotta
follow what I'm feeling to discover where it's at
I
need the memory
…
To
give me the strength to look the devil in the face and make it home
safe”
~
“Home”, Machine Gun Kelly, Bebe Rexha & X Ambassadors
«Nat,
ah sei qui?».
Sharon
entrò nella camera del piccolo James e ci trovò Natasha intenta a
cambiarlo, mentre Miss Jenkins si adoperava per sistemare l'armadio.
«Ok
è definitivamente troppo carino, Steve impazzirà» continuò
guardando la tutina che l'amica aveva appena scelto per il figlio:
una tutina mooolto patriottica a tema bandiera americana.
Vedova
sorrise diabolica;
«Oh
lo so, è proprio per questo che lo facciamo no?» disse in
direzione del bambino, che per risposta si mosse scoordinato.
Lo
prese in braccio e lo baciò sul nasino mentre lo sguardo di Jamie si
accese.
«Ecco
qui Natasha cara il berretto che avevi chiesto.» si intromise
gentilmente Florence aiutando la madre a coprire per bene il capo del
piccolo.
«Molto
bene» replicò la russa accarezzando ancora una volta il figlio e
poi passandolo alle braccia esperte della tata.
«Mamma
torna presto» sussurrò prima di uscire accompagnata da Sharon.
«Andiamo?».
Il
viaggio fino alla struttura dello S.H.I.E.L.D. non fu lungo, anzi fu
piuttosto divertente per Natasha mentre osservava la faccia di Sharon
farsi porpora, dopo averle chiesto se lei e Bucky avessero finalmente
fatto pace a dovere.
«Come
diamine fai a sapere sempre tutto?» celiò la bionda mettendosi una
mano davanti al volto.
«Ho
le mie fonti!».
Dopo
essere entrate si misero d'accordo su come procedere e Natasha entrò
da sola.
La
Winter Soldier stava semidistesa ma ancora legata al letto per
evitare che aggredisse qualcuno o si ferisse, i medici avevano
iniziato subito il trattamento per cercare di contrastare il
condizionamento e quando fosse stata abbastanza stabile avrebbero
ricorso allo psychotron.
Non
appena la soldatessa la vide si animò;
«Dovete
lasciarmi andare!» strepitò stizzita.
La
russa vide che era ancora abbastanza agitata, ma il suo aspetto era
molto più sano rispetto a quando si erano scontrate, l'incarnato era
più roseo, i capelli erano lucidi e meno sfibrati e, le avevano
comunicato i medici (che le fornivano sempre un rapporto giornaliero)
mangiava poco ma regolarmente.
«Perchè?»
ecco ancora una volta Natasha le aveva posto quella domanda e ancora
una volta K si zittì.
La
spia sospirò;
«Ascolta
per l'ennesima volta è vero sei nostra prigioniera, ma non abbiamo
intenzione di trattarti come tale» ci aveva riflettuto a lungo,
voleva essere liberata ma non per tornare tra le fila dell'HYDRA, no,
non era quello l'atteggiamento, al contrario di Niall lei sembrava
molto meno plagiata... Era come se il condizionamento avesse iniziato
a perdere effetto su di lei, come quando James... E le venne
un'illuminazione.
«Devi
tornare da qualcuno vero?» le chiese a bruciapelo.
K
si irrigidì immediatamente, e Natasha capì di aver fatto centro;
«Dovete
lasciarmi subito andare, devo tornare indietro altrimenti...»
«Altrimenti?»
«Non
provare ad entrare nella mia testa, stronza!» la reguardì K
velenosa. Natasha non si fece impressionare, anzi decise che era il
momento per andarci giù pesante.
«Altrimenti
cosa mi fai Ekaterina?».
La
Winter Soldier smise di agitarsi di colpo e guardò Vedova Nera come
fosse un'apparizione divina.
«Come
mi hai chiamato?»
«Il
tuo nome, il tuo vero nome è Ekaterina Mikahailvna Rostova
sei nata a Mosca ed eri una ballerina del Bol'soj, anche piuttosto
brava stando a quanto c'è scritto qui – il tono di Natasha si
smorzò – eri fidanzata con un boss della mafia russa, ti vendette
all'HYDRA per pagare i suoi debiti... Ma non bastò.»
«Katia»
articolò a fatica.
Natasha
capì perfettamente la sua reazione, quel momento in cui perfino la
percezione di te stessa si capovolge, tutto perde senso e ne acquista
un altro ma non è abbastanza perché tu non ti riconosci: leggi di
questa persona e non hai idea di chi sia, ti appare come una persona
distante da te e la senti come una lontana parente che non vedi da
moltissimo tempo che perfino i suoi connotati ti appaiono fumosi e
distorti.
Serviva
una forza di volontà fuori dal comune per riuscire a sopportare
tutto ciò.
«Come
può tutto questo aiutarmi?» mormorò desolata K «Come può
aiutarmi sapere questo?» continuò però con rabbia.
Natasha
però fu ferma, le afferrò con durezza il polso ma senza farle male
e la sua voce uscì chiara ma non severa;
«E'
un punto da cui ripartire, è qualcosa di vero su cui poggiarti, non
puoi pretendere di salvare qualcuno se prima non sai chi sei tu. Non
puoi salvare altri se prima non impari a salvare te stessa».
K
la osservò per la prima volta con reale interesse e quasi
ammirazione.
«K...
Sei davvero tu?» la voce pacata e leggermente tremula la distolse
dalla contemplazione di quella donna e il respiro le si bloccò in
gola.
«N?»
«Sono
Niall, ora. Niente più N per favore» replicò con dolcezza il
ragazzo entrato in quel momento insieme a Sharon.
Niall
ormai era sempre più padrone di se stesso, grazie a Sharon e anche
al dottor Banner e il suo psychotron; si avvicinò alla ragazza e le
accarezzò piano il capo.
«So
che è tutto confuso, so che hai paura e non sai più cosa sia vero e
cosa no. Ma io sono reale, e loro possono aiutarti, Ekaterina per
favore...».
K
a quel punto fu sopraffatta e crollò.
«N-
Niall... D, Didi è rimasta sola con L. Io non posso lasciarla
sola... Devo proteggerla per favore» ribatté fra le lacrime,
cercando di allungarsi verso di lui per quanto le permettessero le
manette.
«D
è il terzo Winter Soldier, giusto?» chiese Sharon e Niall annuì
compito.
Natasha
osservò ancora un attimo la soldatessa disperata, mentre il ragazzo
cercava di consolarla come poteva, poi guardò fra le cartelle che
aveva in grembo e cercò il suo nome.
«Dominil»
disse, poi il suo sguardo accarezzò morbido quello di K.
«Dominil»
ripeté lei un po' più calma.
«Sì.
Aiutaci ad aiutarti e ti prometto che andremo a salvarla».
_____________________________________________________________________Asia's Corner
Buona
Vigilia a voi tutti! Ed eccomi qui a farvi gli auguri di Natale con un
capitolo, che credo farà felici molti di voi, nettamente in
contrasto con l'asprezza e la spietatezza del capitolo scorso, volevo
che questo capitolo fosse più dolce e creasse un momento di
distensione per tutti.
Non mi dilungo molto, perché ho la cena della Vigilia che
attende il mio apporto per essere preparata e messa in tavola. Auguro a
tutti voi buone feste! E colgo l'occasione per ringraziarvi del
sostegno!
Sono sicura che il prossimo capitolo arriverà verso fine gennaio, spero di non metterci troppo, ma abbiate pazienza!
Prometto che cercherò di recuperare con le risposte alle vostre recensioni prima di fine anno (mi metto d'impegno eh!)
Buon Natale, un abbraccio forte
Asia Dreamcatcher
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