Gocce di pioggia e lacrime amare

di Darlene_
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Storia scritta per il 12 task challenge
Task 6:
"No, non muoverti, hey. Stai fermo. Ci penso io..."



Fandom: Sherlock






Gocce di pioggia e lacrime amare

 






Le gocce di pioggia si mischiavano alle lacrime, sporcandogli il viso. I vestiti erano ormai tutti umidi e il freddo gli perforava la pelle. Si strinse maggiormente le braccia attorno al torace nella speranza di ottenere un po’ di tepore. 
Avrebbe potuto urlare e in un attimo tutto il corpo studentesco si sarebbe riversato in cortile e qualcuno lo avrebbe aiutato, ma lui, Sherlock Holmes, era troppo orgoglioso per chiedere soccorso. Inoltre non voleva che tutti lo vedessero in quello stato: tremante e scosso, con la divisa inzaccherata dal fango. Per un attimo gli insegnanti avrebbero provato compassione per quel ragazzetto strambo, ma poi la sua storia sarebbe rimbalzata tra le pareti dei corridoi e il suo nome sarebbe stato sulle labbra di chiunque, accompagnato da un sorrisetto sardonico e qualche battuta spietata. 
Così se ne restava solo, mentre il dolore lo stordiva e la gamba pulsava. Aveva provato più volte a rialzarsi, ma continuava a cadere a terra, ormai si era arreso all’eventualità che presto qualcuno lo avrebbe trovato in quello stato.
Il rumore dell’acqua scrosciante fu accompagnato da uno scalpiccio di piedi. Se solo il suo cervello non fosse stato tanto distratto, in un momento avrebbe dedotto che si trattava di suo fratello, eppure in quello stato se ne accorse solo quando Mycroft era già accovacciato accanto a lui. 
“Che cosa ti è successo Sherlock?” Nella sua voce non vi era compassione, ma solo un dispiacere infinito, come se fosse triste all’idea che suo fratello ne avesse combinata una delle sue.
Il minore ingoiò un grumo di saliva e cercò di spiegare: “Ero sulla balaustra, cercavo di stabilire la veridicità della legge di Newton, ma ho perso l’equilibrio e sono caduto.”
Mycroft controllò la gamba e Sherlock sussultò dal dolore. Con modo pratico il maggiore prese un bastone caduto lì accanto e lo usò per steccare l’arto. 
“Perché devi sempre cacciarti in qualche guaio? Questa è la terza scuola in altrettanti mesi, possibile che tu non riesca a startene fermo nemmeno per un istante?” La sua non voleva essere una predica, più un parlottare tra se e sé. 
Il ragazzino scosse le spalle, indifferente. “Mi annoio. I miei compagni sono così stupidi e lenti.” Omise che molto spesso era vittima dei loro scherzi di cattivo gusto. 
Non appena ebbe fermato la gamba, Mycroft si tolse il cappotto, incurante del freddo gelido e vi avvolse il fratello. 
“Accompagnami via di qui, non voglio che tutti mi vedano.” Provò nuovamente ad alzarsi, ma il maggiore lo trattenne a terra.
“No, non muoverti, peggiorerai solo la situazione. Ci penso io.” Così dicendo gli mise le braccia sotto ginocchia e ascelle e lo prese in braccio. Strinse a sé quel corpo sempre più magro. Era raro che i due stessero così vicini, ma in quel momento il calore dei loro corpi li confortava entrambi perché, nonostante tutto, qualsiasi cosa sarebbe successa, Mycroft sarebbe sempre stato al fianco di Sherlock. 











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