I
giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo:
vivi!
Cit.
– “Il cuore umano è indistruttibile. Tu
immagini soltanto che si
sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce
il vero colpo. Ma
anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si
può sempre
riprendere” – H. Miller
Cap.
1 – Il passato immerso
nel bacile
di un Pensatoio
La
stanza era in ombra, solo in un punto preciso la tenue luce, che
traspariva dai tendaggi pesanti, accarezzava il pavimento. Regnava un
fosco silenzio, caliginoso e impenetrabile come la spessa nebbia
londinese di fine estate. Non era stata una brillante idea quella di
tornare lì, ma lo doveva a se stesso e a tutto
ciò che di buono e
positivo aveva vissuto tra quelle mura.
— Voglio
le pareti tutte bianche, — aveva cinguettato Ginny mentre
faceva
scorrere un dito lungo il bordo tarlato della finestra, —
mobili
essenziali e il pavimento con mattonelle color pesca. — Harry
l’aveva guardata aggirarsi radiosa per la piccola casa,
soffermarsi
in più punti e gesticolare impaziente assieme al giovane
architetto
fresco di laurea; era stata volontà della ragazza abitare
nel mondo
Babbano, e Harry si era adeguato con gioia. — Tu che dici,
Harry? —
Ginny l’aveva guardato con occhi luminosi, trepidante, tra le
mani
un campionario di tessuti dalle mille sfumature. — Mi rimetto
alla
tua volontà, — le aveva sorriso innamorato.
— Non dimenticarlo,
— aveva risposto seria, — mai.
Se
solo si fosse accorto in tempo della bieca luce che sonnecchiava
inquieta tra le ciglia socchiuse degli occhi di Ginny.
Fece
un altro passo e si fermò al centro della pozza chiara,
voltando le
spalle alla finestra. Chiuse gli occhi e, trattenendo il respiro,
cercò di arginare, come gli aveva insegnato lo Psicomago, il
terrore
che ancora oggi lo assaliva quando serrava le palpebre. — Un
lutto,
di per sé, è facile da superare, — gli
aveva ripetuto
pazientemente il dottor Lethargie Taubheit
fin dalla loro prima seduta. — Ciò che la nostra
mente non accetta
è l’idea di colmare nuovamente ‘il
vuoto’ che si crea
perché ‘i ricordi’
cosiddetti ‘perduti’,
nella nostra testa, diventano un
‘per sempre’, poiché riteniamo
che ‘chi non c’è più’
non possa, per ovvie ragioni, aiutarci a rielaborarli. —
Harry
scosse piano la testa, il fiato diligentemente sotto controllo, le
dita serrate intorno alla propria bacchetta.
— Sei
splendida. — Harry l’aveva baciata sulla punta del
naso e stretta
un po’ più forte, allineandola al proprio corpo
solido mentre
ballavano al centro della stanza con il vestito bianco in pizzo
prezioso illuminato dalla luna. L’aveva spogliata con
esagerata
lentezza, studiando ogni anfratto, ogni piega della sua giovane e
profumata pelle, si era inebriato di ogni ansito, di ogni carezza, di
ogni bacio che si erano scambiati; l’aveva amata con
l’ardore
della passione e la tenerezza dell’inesperienza.
Catturato
dall’onda del proprio orgasmo, aveva strizzato le palpebre
cosicché
non si era accorto delle iridi della moglie diventate luminose come i
bagliori dell’inferno.
La
bacchetta tra le dita si illuminò brevemente e, in un nugolo
di
polvere, le tenebre si squarciarono. Harry attese pazientemente che
il cuore rallentasse la sua corsa, fissando ostinatamente il chiarore
che oltrepassava la cortina delle lunghe ciglia nere. Una volta
riaperto gli occhi, non aveva idea di cosa si sarebbe trovato di
fronte, di cosa quella stanza gli avrebbe restituito, nonostante i
suoi ricordi indossassero le vestigia di tetri incubi,
poiché
nessuno dei suoi vecchi amici gli aveva più parlato da
allora. – O
per lo meno nessuno di quelli che per lungo tempo ho ritenuto la mia
famiglia. – Sospirò amareggiato.
— Tu
credi nel futuro? — Ginny, splendidamente fasciata in un
tubino
nero, stava litigando con la clip di un raffinato girocollo davanti
allo specchio; lo stava osservando quieta, in attesa della sua
risposta. Harry, confuso, si era grattato la cicatrice, in un gesto
così abituale da passare inosservato. — Per un
lungo periodo ho
temuto di non averne uno, — le aveva spiegato incerto,
— ma da
quando ho scoperto di amarti sei stata tu al centro di ogni cosa
—
Harry aveva distolto lo sguardo, arrossendo imbarazzato. —
Perfetto, — la voce contenuta di Ginny era sporcata da una
sfumatura bieca, quasi irrisoria, — allora sarà
più facile del
previsto, — aveva esclamato enigmatica uscendo dalla camera.
Harry,
disorientato, era rimasto impalato per parecchi minuti
nell’atto di
infilarsi la giacca scura della divisa di gala.
Aprì
gli occhi di scatto e sbatté le ciglia più volte
per mettere a
fuoco il muro di fronte. Impietrito, piantò le iride di un
verde
cupo negli occhi fiammeggianti della sua Ginny, rinchiusa in una
cornice rosicchiata dal fuoco.
Quel
quadro era stato l’unico vezzo imposto da Harry nella loro
camera
matrimoniale fin troppo minimalista. Ritraeva la ragazza davanti a un
laghetto, china verso le papere, in un giorno qualsiasi della loro
vita insieme. Non c’era stato un vero motivo per scattare la
foto,
ma Harry aveva sentito il desiderio di far sapere a tutti quanto
quella donna lo stesse rendendo felice.
Ora,
era solo una lastra immobile, il fuoco ne aveva prosciugato tutta la
magia, con il volto della moglie deformato dall’odio che
spiccava
ghignante sulla parete sporca di sangue.
Deglutì
a vuoto.
— Suvvia,
Harry, non sei nemmeno un po’ curioso? — Ginny,
rannicchiata sul
lungo divano bianco, stava sfogliando distrattamente una rivista
Babbana dimenticata da Hermione due settimane prima. — Cloe,
quella
signora attempata che alleva formiche e vende profumi per gatti in
fondo alla strada, mi ha confessato che lo fa spesso per vivacizzare
il proprio matrimonio. — Harry, per nulla interessato, si
muoveva
avanti e indietro per la stanza recitando a mezza voce il discorso
che avrebbe tenuto quella sera alle nuove reclute. — Mi ha
detto, —
aveva continuato leggera, mentre con la coda dell’occhio non
perdeva un solo movimento del marito, — che è
normale, all’inizio,
provare un po’ d’imbarazzo. — Aveva
cercato di rassicurarlo con
voce zuccherosa e suadente: — Non c’è
niente di vergognoso
nell’ammetterlo. — La donna si era allungata
languida arcuando la
schiena e spalancando le cosce snelle; sembrava stesse galleggiando
in una pozza lattea.
Harry,
distratto, si era fermato a un passo dalla finestra, i fogli di
pergamena stretti tra le dita. — Ammettere cosa? —
aveva chiesto
soprappensiero; Ginny era uscita dalla stanza impettita e lui, quella
notte e alcune a seguire, era stato costretto a dormire nella stanza
degli ospiti.
Tutto
attorno a lui era desolazione ed era stato lui
l’involontaria causa di tutto quello; gli si strinse
così forte il
cuore che pensò di percepire distintamente il pianto
disperato della
propria anima. Fece un giro su se stesso e gli occhi accolsero
soltanto distruzione.
Dove
un tempo c’era il letto, su cui aveva dormito e amato la sua
Ginny,
rimanevano tre assi in croce e la sagoma indistinta del materasso;
macchie scure, come schizzi di un artista impazzito, imbrattavano le
pareti un tempo bianche come la luna d’inverno, e la cenere
nera e
pesante era disseminata ovunque.
La
sua mente si rifiutava di riconoscere quel luogo, eppure,
l’abitudine
a viverlo gridava a pieni polmoni che sì, quella stanza era
stata
l’alcova di un amore genuino e puro, finché il morbo,
che stava crescendo all’insaputa di tutti nel corpo di sua
moglie,
ne aveva divorato l’anima.
Si
inginocchiò preda della vertigine ed ebbe un conato: quello
su cui
poggiavano le ginocchia era l’esatto punto in cui Ginny o,
meglio,
la sua versione indemoniata, stava eretta un secondo prima che la sua
magia involontaria l’uccidesse; il sole impietoso delineava
ogni
ruga del pavimento.
Sbatté
forte i pugni in terra e urlò.
— Perché?
— chiese all’aria, forse sperando che il bastardo
che un tempo
dimorava nella sua testa gli desse un segno. — Che tu sia
maledetto! — sibilò furioso, — Che la
mia ira ti possa
raggiungere ovunque tu sia!
Gli
rispose solo il fruscio del silenzio che, imperturbabile, lo
avvolgeva come un guscio.
— Ti
fanno male? — aveva chiesto con fare scientifico Ginny mentre
stringeva, con un colpo calibrato della bacchetta, dei nastri neri ai
polsi e alle caviglie di Harry; il moro, a disagio, aveva bofonchiato
tra i denti mezze parole. — Non è stato poi
così difficile, —
aveva aggiunto la ragazza sorridendo soddisfatta al corpo bloccato
del marito, — vedrai che ci divertiremo. Di certo io
sì! — aveva
puntualizzato sfregandosi maliziosa le mani.
Harry
era sdraiato nudo sul letto matrimoniale, le braccia e le gambe
divaricate in modo quasi osceno, gli occhi spalancati fissi al
soffitto. Non si capacitava di come era riuscito a cacciarsi in
quell’assurda situazione, di quando sua moglie era riuscita a
strappargli il consenso per quella follia. Era sempre stato una
persona semplice, lui, dai gusti modesti e dalle esigenze ancora
più
umili. – Non è di certo colpa mia se il Mondo
Magico mi ha eletto
come “suo eroe”. – A quel pensiero aveva
scosso la testa
sprofondando il capo nel cuscino.
Dalla
stanza attigua sua moglie non aveva smesso un attimo di parlare.
—
...c’è una parola di sicurezza da concordare.
— A Harry si erano
rizzati immediatamente tutti peli: belli e fieri come soldatini
davanti a un plotone d’esecuzione. — Sono
così eccitata, è da
sempre che aspetto questo momento! — Rassegnato al suo
destino,
Harry aveva sentito un brivido freddo esplodergli in testa, nel punto
in cui c’era la cicatrice a forma di saetta, quando Ginny era
apparsa nel suo campo visivo a lato del letto. — Ma che?
— aveva
farfugliato sbigottito, il corpo che reagiva entusiasta al vestitino
succinto e provocante indossato dalla moglie.
Giaceva
a terra, forse da ore, raggomitolato su se stesso come una matassa di
lana grezza, le dita artigliate nei capelli scuri. Gli dolevano i
muscoli, troppo tesi nell’inutile sforzo di non cedere ai
ricordi,
e la testa gli sembrava un pallone malamente gonfiato che galleggiava
a mezza strada verso la pazzia. – Sei stato folle a
tornare qui,
– sembravano accusarlo gli occhi rossi e immobili nella foto.
–
se solo Merlino mi desse un’altra occasione, ti
ridurrei a un
grumo spugnoso di carne.
Harry
rabbrividì. C’era sangue ovunque, quel lontano
giorno, che
sgorgava corposo dalle ferite, come mille foci nel deserto rovente.
In
via del tutto precauzionale, il primo colpo gli era stato inferto
sulla spalla con un flogger.
“Per saggiare la resistenza dei lacci,” aveva
motteggiato la
moglie mentre leccava la punta della sua bacchetta con la lingua, gli
occhi socchiusi in modo seducente. Il secondo era esploso alla base
dello scroto, tra le cosce spalancate di Harry, nel punto
più
sensibile di ogni uomo. Il corpo del moro, seppur trattenuto al
materasso dai lacci, era schizzato verso l’alto inarcandosi
fin
quasi a spezzare la spina dorsale; non era riuscito a emettere alcun
suono, sebbene avesse la bocca spalancata come il becco di un pulcino
affamato; gli occhi due pozzanghere bianche.
— Così
non va, — aveva sibilato Ginny, scuotendo piano la testa,
—
troppo facile. — Con un complicato gesto del polso gli aveva
lanciato addosso un incanto sconosciuto che gli aveva immediatamente
‘sciolto la lingua’,
permettendo ai suoni dentro la sua gola di liberarsi nella stanza.
—
Perfetto! — aveva sorriso compiaciuta, incurante dello
sguardo di
terrore che liquefaceva i lineamenti pallidi del marito.
Da
un fodero allacciato sulla coscia sinistra, aveva estratto uno
stiletto d’argento magico dalla lama particolarmente sottile,
l’aveva fatto roteare tra le dita, mentre i suoi occhi
scorrevano
languidi lungo le forme scolpite di lui. Con un guizzo degno di un
cobra, glielo aveva conficcato nella carne del polpaccio,
così
profondamente, da inchiodare la gamba al legno sotto al materasso:
Harry aveva emesso un solo grido, amplificato
dall’incantesimo.
Vomitò
bile e un filo di bava penzolava irrisorio dalla bocca del moro. Come
allora, Harry tremava tutto, come se il tempo si fosse dissolto e lui
fosse ancora là, sul letto sfatto in balia della lucida
crudeltà
della moglie. Nella sua testa era ancora tutto così nitido:
la furia
granitica di Ginny, per nulla smussata, il dolore così
solido,
tangibile lungo ogni terminazione del corpo, fin dentro le cicatrici
che gli decoravano la carne. Teneva gli occhi spalancati,
impossibilitati a richiudersi perché era troppo orrendo
quello che
il buio celava.
Piangeva,
Harry, come un animale agonizzante, inerme davanti al proprio
carnefice.
— Quante
storie, ‘Sopravvissuto’,
per due miseri taglietti. Dimmi, — l’aveva
canzonato la voce
gelida di Ginny, — dove sono finiti la tua arroganza, il tuo
entourage, la tua vigliacca Fortuna sempre pronta a tirarti
d’impaccio? Dimmi, o eroe, chi sacrificherai per la tua
Salvezza? —
aveva riso sprezzante, dispensando Cruciatus come fossero Cioccorane.
Harry,
immobilizzato su quel letto da giorni, aveva ferite infette
disseminate ovunque sul corpo di un pallore cadaverico, respirava a
fatica attraverso la bocca, mentre l’ennesimo rivolo di
sangue si
era già incrostato alla base del naso. Tutta la sua persona
tremava,
scossa da marosi di dolore e terremoti di terrore, fin dentro
l’anima; non aveva più lacrime, non aveva
più voce, solo
finissima polvere al posto del cuore.
Attraverso
l’occhio sano, l’altro era uno scuro coagulo
informe, non perdeva
di vista la sagoma indistinta di sua moglie, troppo annichilito e
sfinito per accettare la cruda realtà.
Quando
era stato ferito la prima volta, aveva urlato a pieni polmoni la
frase concordata “Lord
Voldemort è
il mio Signore e Padrone”,
sperando così di fermare l’insania che sembrava
aver investito sua
moglie, ma Ginny aveva riso deliziata, fino all’isteria,
mentre i
suoi occhi sprezzanti si indurivano. A quel punto, nella mente di
Harry era esploso l’orrore e la raccapricciante sensazione
che il
Passato fosse finalmente giunto fin lì per richiedere il
proprio
tributo. — Non può essere, — aveva
sussurrato sgomento e
incredulo mentre il folle terrore che l’aveva invaso
banchettava
con la sua mente.
Si
sentiva stremato, la testa doleva e i ricordi gli bombardavano la
coscienza minando la sua precaria stabilità mentale.
Cercò di
alzarsi facendo leva sulle braccia ma quelle cedettero, emotivamente
instabile per reggere il suo peso. Rotolò di fianco e
finì sotto il
quadro; da quella prospettiva Ginny sembrava acquistare una luce
nuova, quasi limpida e serena. Sospirò. Lentamente si mise
una mano
sul cuore, premendo piano finché non
l’avvertì galoppare libero.
Era
tornato in quella casa per combattere i suoi demoni, per affrontare
come un nobile Grifondoro le sue miserie e ripartire da zero con
ciò
che rimaneva di se stesso.
— Avere
il cuore infranto non ti impedirà di amare, — gli
aveva suggerito
lo Psicomago il giorno in cui aveva tentato, per l’ennesima
volta,
di farla finita. — Sono i cocci dell’anima che ti
fanno
sanguinare. Quelli sì che sono infidi, — aveva
incalzato davanti
al suo sguardo dubbioso, — piccole scaglie affilate che ti
penetrano il cervello.
Solo
ora comprendeva quanto avesse ragione: davanti a quel ritratto
tarlato dalle fiamme, capì che non gli riusciva proprio di
condannare la moglie, non adesso che sapeva come erano andate le
cose, non ora che si affacciava timidamente una nuova vita.
— Uccidimi!
— Nelle ultime ore, Harry aveva supplicato la moglie
perché
mettesse fine a quell’agonia. — Ma certo che
morirai, — l’aveva
assicurato incredula, come se il marito non la ritenesse una donna
magnanima, — a tempo debito. — Costretto con la
forza a rimanere
inchiodato al letto, il moro aveva perso da giorni la
sensibilità di
ogni terminazione nervosa e il suo cervello era in preda alle
allucinazioni; una peggiore dell’altra.
Tutt’intorno a lui, c’era
odore di morte, di marcio, di bile, e dei miasmi dei suoi stessi
escrementi.
— Come…
—
Harry si era dovuto fermare per racimolare fiato, la gola che cedeva
al passaggio della
saliva mischiata al
sangue, la mente così
scombinata da impedirgli
di articolare in
modo compiuto.
—
Cosa
sei? —
Infine,
con grande sforzo, era riuscito concentrarsi
e
porle l’unica domanda che
persisteva
vivida nel suo cervello ottenebrato dal dolore.
Ginny, per
nulla turbata dalla curiosità del marito, senza
battere ciglio, si
era girata verso il quadro e aveva sorriso complice alla se stessa
che, come riflessa
in un Avversaspecchio,
mostrava la sua vera natura.
C’era
un che di spaventosamente corrotto nello sguardo che si erano
scambiate,
tanto che
qualcosa
di profondamente
insito
dentro Harry
finalmente si era destato annusando
l’aria guardinga.
Quello
sguardo così arrogante, spietato
e sicuro di sé era certo di averlo già visto
indosso
a qualcuno, un
essere
così spaventoso che l’aveva sepolto sotto cumuli
di altri ricordi
meno
importanti.
Inconsapevolmente,
Harry prese ad accarezzarsi il polso facendo
scivolare
lievemente
il polpastrello
sul marchio lasciatogli dai denti del Basilisco. —
Tom
Orvoloson Riddle, sei
riuscito a devastare la mia esistenza in modi davvero pittoreschi.
—
biascicò
ironico,
mentre una lacrima solitaria luccicava tra le ciglia scure.
Note
dell’autrice: questa storia era nata per
partecipare a un
contest ma poi, come sempre, i personaggi hanno fatto di testa loro e
ne è venuta fuori una long.
Nel
mio immaginario, Harry non può assolutamente vivere tutta la
sua
vita accanto a Ginny. Lui ha un bisogno quasi viscerale di prendersi
cura del proprio compagno. Quindi, siete certi di figurarvi la
Weasley come una piccola principessa indifesa? Io no di certo! Indi
per cui, Draco compare sempre e ovunque, come il prezzemolo.
Buona
lettura e sono graditi i commenti.