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di Daleko
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depressióne s. f. – 
in psichiatria, modificazione del tono del sentimento in senso malinconico
(tedio e pessimismo diffuso, distacco dagli abituali interessi,
svalutazione delle proprie capacità psichiche e fisiche, ecc.)
 

 



Il termometro si ostina a segnare un grado al di sotto dello zero. Lo punzecchi, tenendoti l'unghia dell'indice con il polpastrello del pollice e facendola scattare contro il vetro; nonostante il tintinnio, e il vago dolore al dito intirizzito dal freddo, il liquido non sembra variare la sua posizione.
Meno uno, quindi. Hai le ciglia imperlate e i capelli bagnati dalla neve, ma non cerchi riparo dalla silenziosa nevicata che sta dipingendo il paesaggio. Appoggiato come sei, con i gomiti sulla ringhiera e le mani penzoloni nel vuoto, ti senti troppo stanco anche solo per drizzare la schiena. I tuoi occhi scivolano sulla strada sottostante, con le auto distanti quel che sembrano chilometri e solo una vaga foschia a tenerti a galla. Il poetico fascino delle città, pensi pigramente. I palazzi sono così sviluppati che puoi vedere gli uccelli cagare dall'alto.
Le lucine colorate tutt'intorno continuano a reclamare la tua attenzione. Con la stessa vitalità che vorresti avere tu, lampeggiano e cambiano colore per diletto di chissà chi, e per festeggiare chissà cosa. L'inverno è freddo, è smunto e privo di significato, come le restanti stagioni.

Ci sono meno auto, per strada. Mezzanotte è passata da un pezzo, pensi distrattamente. Il traffico ha ceduto il posto a qualche semaforo fisso sul giallo, la luna è nascosta dalle nubi che ricoprono il cielo d'un vago grigiore, e tu non riesci a ricordare perché ti trovi sul balcone senza le tue sigarette, lasciate a marcire sul comodino. Potresti tornare dentro a prenderle, ma per farlo dovresti muoverti e ti senti così stanco, maledizione, così stanco.
Il capo scende ciondoloni sui polsi intrecciati. Un po' tremi, ma ti ostini a non tornare in posizione eretta. Hai un materasso comodo, in camera, dove potresti stenderti e riposare. L'idea ti alletterebbe, forse, se il letto vuoto non fosse freddo come l'aria lì fuori. Ti andrebbe anche solo l'idea di tornare in casa, se solo non avessi paura di riempirti del rumore del frigo.
Se, se, se. Tutta la tua vita costruita intorno ai "se" che ti stringono il petto ogni volta che cedi alla tentazione di non drogarti, di lasciare la tua mente libera. Una forsennata corsa all'indietro, una ricerca della felicità in primordiali ricordi che non sei nemmeno sicuro di aver mai vissuto. Se solo avessi trovato un lavoro diverso. Se solo avessi studiato qualcosa di diverso. Se solo l'avessi sposata. Se solo l'avessi mai davvero amata. Se solo a cinque anni non avessi perso il tuo cane. Se solo non fossi mai nato.
Come uno schiaffo, il pensiero definitivo ti riscuote con un brivido di gelo. Non è quel meno uno, illuminato dalla luce del salotto alle tue spalle, che ti fa tremare come un agnellino appena nato. No, quello che ti scuote le membra è il pensiero viscido e carnivoro che continui a formulare ogni notte prima di andare a dormire, ogni volta che ti rigiri insonne su quel materasso troppo largo, con le lenzuola attorcigliate alle ginocchia sudate. "Se solo non fossi mai nato", ripeti fra te vergognandotene subito dopo. Finalmente rialzi il capo, drizzi la schiena, ti riprometti di fare qualcosa di nuovo per migliorare la tua vita, dal mattino dopo. Magari da lunedì, al massimo fra una settimana. Ti vergogni di nuovo, sai di star mentendo a te stesso. Rifuggi ancora una volta l'idea di essere malato, di avere un problema più serio di un po' di pigrizia e sana malinconia. Non sei malato, è questa dannata aria natalizia, pensi. Ricordi di aver letto da qualche parte che in periodo di festività invernali il tasso di suicidio nazionale triplica. Scacci velocemente quel ricordo dalla mente, inumidendo la bocca arida con un fiocco di neve. Riconosci ancora un pensiero pericoloso quando ne formuli uno, e quello aveva l'aria di un problema troncato sul nascere. Pensare alla morte dovrebbe agitarti, perché non ti agita? Non riesci a sentire il batticuore che ti aspetteresti. Guardi giù, oltre la ringhiera, verso le auto e gli sporadici passanti. Non senti niente, niente. Neanche questo riesce a smuoverti in qualche modo.
D'improvviso avverti il peso della giornata, dell'anno quasi terminato, di tutti quelli accumulati sulle spalle, e ti sembra di non avere la forza necessaria per sopportarlo. Il letto pare trovarsi in un altro continente, e di punto in bianco anche solo spegnere la luce in salotto è diventata un'attività troppo impegnativa per il te attuale. Per un momento hai l'impulso di gettarti dalla ringhiera, di scoprire cosa provano gli uccelli a cagare in volo; poi rientri, pensi che probabilmente ti infilerai sotto le coperte con ancora i jeans indosso, e per scendere a compromessi giuri per l'indomani di chiamare almeno tua madre. Forse.
Se solo non ti sentissi così maledettamente stanco.


 
 




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