Salve a tutti! Finalmente posto anche una long fic, che scrivo
da ormai un anno. Il titolo può essere ingannevole, tutto
perché l'idea per questa storia mi ha attraversato il
cervello mentre ero al cinema a guardare un film (con cui non c'entra
assolutamente nulla! xD) e quando sono tornata a casa mi sono limitata
a far scorrere le dita sulla tastiera. Per ora non so che altro dirvi
se non buona lettura!
Disclaimer: I
personaggi originali di questa storia mi appartengono, mentre gli altri
e le diverse ambientazioni non sono miei. La fic non è stata
scritta a scopo di lucro.
Capitolo 1: Una notte come tante
Il freddo vento di aprile le sferzava le braccia con la sua violenza,
ma per lei era come una leggera brezza. Il suo corpo era ormai abituato
a ricevere colpi ben peggiori di un alito di vento. Inoltre un fuoco
particolare bruciava dentro di lei e nemmeno la neve più
gelida le avrebbe fatto avvertire qualcosa più di un brivido.
Il silenzio regnava sovrano in quella notte senza luna.
Le stelle non si mostravano al suo sguardo, perché oscurate
da uno spesso strato di nubi.
Unica fonte di luce, erano i lampioni del paese. Ma per lei erano
più che sufficienti. Col tempo, i suoi occhi si erano
abituati al buio della notte. Ormai vedeva come se fosse in pieno
giorno.
Il vento cessò e con esso il movimento del suo cappotto. Un
lungo cappotto di stoffa nera senza maniche, provvisto di cappuccio,
con la cerniera che partiva da sotto il collo per arrivare
all’altezza del cavallo dei jeans, anch’essi neri.
Don... don... don...
Il campanile aveva iniziato a muoversi. La mezzanotte era giunta.
L’ora delle streghe e dei fantasmi nelle favole.
L’ora delle ombre dagli occhi gialli e dei loro sinuosi
antagonisti dal corpo bianco-sporco nella sua realtà.
Il braccio destro andò a premere veloce il tasto play
dell’I-Pod nascosto nella tasca dei pantaloni e la prima,
chiara, nota della Nona sinfonia risuonò nel silenzio della
sua mente, mentre gli occhi si aprivano e quelle creature uscivano dal
loro nascondiglio. Un sorriso amaro le segnò il volto celato
e un’unica parola uscì dalle sue labbra.
-Cominciamo.-
Il braccio destro si levò verso l’esterno e nella
mano vi apparve un’arma leggendaria, che in molti mondi era
famosa per aver portato la pace, ma in quel mondo solo lei la conosceva
e la pace… quella non le era ancora stata restituita. Scese
con un leggero balzo dal tetto della chiesa e si gettò tra
le bambole bianche e tra le figure d’ombra, facendone polvere.
Quella notte perlustrò ogni angolo del suo paesino e, visto
e considerato che aveva fatto in fretta, si spinse anche nel paese
vicino. Trovò due squadroni per ciascuna delle due stirpi di
creature, anche loro non avrebbero visto
l’oscurità della notte seguente. La lama di
quell’arma straordinaria, capace sia di portare ordine nel
caos sia caos nell’ordine, distruggeva tutti gli esseri che
si trovavano sulla strada di colei che l’impugnava.
Il suo corpo si muoveva automaticamente, compiendo i passi di una danza
che conosceva alla perfezione, senza seguire necessariamente le note
della sinfonia che risuonavano nelle orecchie, ovattando i suoni
esterni.
L’inizio del quarto movimento la risvegliò. Il
tempo stava per finire.
Si mosse veloce tra i nemici e li colpiva senza esitazione. Verso la
fine della melodia si fermò. Al centro della strada
c’era solo lei.
-Missione compiuta.- disse, voltandosi e preparandosi a balzare sul
tetto di un edificio.
Qualcosa attirò la sua attenzione e la fece desistere.
Uno dei bianchi era comparso. Corpo massiccio, privo di volto. Tra le
lunghe braccia brandiva una strana arma, lunga e
all’apparenza pesante. Non se ne curò e corse
verso di lui senza paura. Più rapida di un fulmine,
più sfuggevole dell’aria, gli passò
accanto e lo superò. Dopo pochi secondi, l’essere
scomparve in una scia di luci bianche.
-Adesso ho finito.- pensò con soddisfazione, saltando di
tetto in tetto per fare ritorno alla sua casa e all’altra
parte della sua vita.
In dieci minuti arrivò davanti alla palazzina di due piani
in cui abitava.
-Buio.-
Pronunciata quella piccola e semplice parola, tutti lampioni si
spensero e lei, con la solita rapidità, prese le chiavi,
aprì il portone, salì le scale e
arrivò davanti alla porta dell’appartamento.
-Luce.-
I lampioni e le lampade che illuminavano il quartiere tornarono ad
accendersi, come se niente fosse accaduto.
Riprese il mazzo di chiavi e estrasse quella per aprire la porta. La
aprì ed entrò, facendosi abbracciare dal calore
che invadeva la casa. Si tolse le scarpe, richiuse a chiave la porta e
salì silenziosamente la scala interna per arrivare in
mansarda, dove si trovavano le camere. La sua stanza era proprio
davanti alle scale, vicino al bagno, poi c’era la stanza dei
suoi genitori e in fondo al corridoio c’era quella di sua
sorella.
Entrò nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle
senza fare rumore, poi si diresse verso il letto, su cui si sedette.
Appoggiò le scarpe per terra, tolse l’I-Pod dalla
tasca e si cambiò.
Messo il pigiama, prese gli indumenti che si era appena tolta, scarpe
comprese, e mise il tutto in una borsa che teneva nel fondo
dell’armadio. Non la usava da quando aveva dieci anni, le
dispiaceva buttarla e aveva fatto bene a non farlo, visto che ora
tornava utile per nascondere le prove della sua seconda vita.
Ebbene sì, nessuno, a parte una persona, sapeva della sua
attività notturna e al momento non era in quella casa.
Nemmeno i suoi genitori sapevano quello che faceva, ma anche se
avessero trovato i suoi vestiti non sarebbe accaduto nulla
perché: primo, suo padre non sapeva nemmeno che vestiti
avesse; secondo, a sua madre avrebbe detto che il cappotto
l’aveva fatto fare per una festa di halloween, per i
pantaloni rotti, avrebbe detto che le andavano ancora e che erano buoni
per stare in casa, per le scarpe che ci era affezionata; terzo, sua
sorella doveva solo azzardarsi a mettere mano al suo armadio senza
permesso altrimenti si sarebbe trovata senza una mano, e lei era in
possesso dell’arma per farlo. Forse quest’ultimo
punto è un po’ esagerato. Lei non avrebbe mai e
poi mai fatto del male alla sua sorellina, perché anche se
era un essere rompiscatole e leggermente lagnoso, le voleva un mondo di
bene.
Finito di sistemare la borsa, prese e si mise a letto.
Don... din...
Il campanile rintoccava l’una e mezza.
Sorrise. Quella sera era tornata prima del previsto, di solito a
quell’ora era ancora in giro a sterminare esseri dalla forma
strana.
Si addormentò tranquilla e iniziò a sognare. I
suoi sogni la portarono a viaggiare tra i suoi ricordi e le fecero
rivivere la notte in cui ricevette quella strana arma a forma di chiave.
Il keyblade.
Piaciuta? Il primo capitolo è il più corto, gli
altri che ho scritto sono molto più lunghi, quindi non
preoccupatevi che di robaccia da leggere ce n'è xD
Commentate numerosi mi raccomando!
See ya!
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