Oh,
le brontolava la pancia. Il dolore al petto, però, era
più forte.
Appena si svegliò, sentì subito la sensazione di
un macigno
all'altezza tra la bocca dello stomaco e il petto, aveva la gola
chiusa, un forte mal di testa e le tiravano i muscoli del collo. Ah,
ma quello era per come si era addormentata. Lentamente, aprì
gli
occhi appiccicati dal sonno e iniziò a mettere a fuoco
intorno a
lei: riconobbe la macchina, il sedile, Lena. Non si era nemmeno
accorta che le si era addormentata addosso. Erano crollate, ieri.
Esauste, pensierose, arrabbiate. Kara in special modo. Mise dritto il
collo e si distanziò dal sedile, cercando di allontanare
Lena da sé
e appoggiandola sul sedile a sua volta. La guardò mentre,
dopo un
sospiro, riprese a dormire tranquilla. Non poteva crederci che lei,
proprio lei, le aveva tenuto nascosto qualcosa come quello. Pensava
che più di tutti, sarebbe stata Lena a essere sempre sincera
con
lei, lo avevano promesso; avevano iniziato tutto insieme, dovevano
sempre e solo restare dalla stessa parte. Scavalcò passando
sui
sedili davanti e, ricambiando torva lo sguardo di una donna che nel
parcheggio era appena scesa da una macchina, ricercò il suo
cellulare all'interno del cruscotto, trovando tra gli altri un
messaggio da parte di Alex. Si chiedeva dove fosse finita e
ansimò,
immaginando che fosse preoccupata.
Sono
con Lena, tornerò verso pranzo a National City.
Inviò
e mise il cellulare in tasca dei jeans, sperando che avvertisse anche
Eliza. Non se la sentiva di mandare un messaggio anche a lei. Non se
la sentiva di parlarle, ora come ora. Come avrebbe fatto a farlo
senza accennarle di Lillian? Aprì lo sportello
più vicino e scese
dalla macchina. Poi rientrò, prese delle monete e
tornò a uscire.
Entrò nel localino lì davanti alla spiaggia,
doveva già essere
aperto da qualche ora. Andò in bagno e provò a
lavarsi un po', poi
pagò una ciambella con cui fare colazione; considerando che
avevano
usufruito del loro parcheggio per tutta la notte, sarebbe stato il
minimo. Camminò verso la spiaggia e mangiò
guardando i ragazzi che
si preparavano a surfare, a metri da lei. C'era il vento giusto,
pensò, spostandosi i capelli dal viso. Non voleva essere
arrabbiata
con Lena. Capiva perfettamente perché le aveva tenuto
nascosto una
cosa come quella ed era chiaro di come l'avesse tormentata fino allo
stremo, però… Però non riusciva a
smettere di tremare e a farle
male il petto. I Luthor avevano fatto parte della stessa
organizzazione che aveva ucciso i suoi genitori e, ora, i Luthor
facevano parte della sua famiglia. La donna che aveva sposato la sua
madre adottiva ne aveva fatto parte. La ragazza di cui era innamorata
era una Luthor. E lo sapeva bene, certo, che Lena non aveva colpe, ma
in quel momento non riusciva a non considerarlo. Era tutto
così
sbagliato. Lillian aveva sposato Eliza pur sapendo tutto. Dubitava
che le avesse accennato qualcosa o Eliza gliel'avrebbe detto. Lillian
Luthor non avrebbe mai ammesso la verità. Dannazione.
Sentì nella
testa, un'altra volta, lo scoppio della bomba che li aveva uccisi e
Kara strinse i denti, andandole di traverso la ciambella.
«Kara,
sali in macchina, per favore», le aveva detto Lena ore prima,
nel
parcheggio dell'hotel dove avevano lasciato Clark, Lois e James.
«Dimmi
che stai scherzando? Era questo che dovevi dirmi?». Aveva gli
occhi
sgranati, il cuore che minacciava impazzito di uscirle dal petto, i
muscoli tesi. «A-Aspetta…», aveva
trattenuto il fiato, fissandola
di sbieco, «volevi dirmelo dopo il matrimonio per non fare
che mi
mettessi in mezzo? Pensavi che se l'avessi detto a Eliza, lei
a-avrebbe annullato le nozze?».
Lena
aveva deglutito e abbassato gli occhi, sentendosi in colpa. Era stato
troppo egoista, non rischiare di perdere la sua nuova famiglia? Aveva
stretto la portiera che teneva aperta, solo un momento, per poi
guardarla con gli occhi pregni di lacrime. «Per
favore… sali in
macchina».
Kara
l'aveva guardata immobile fino a prendere una decisione, andandole
incontro e sedendo sul sedile a lato dell'autista. Aveva aspettato
che salisse anche lei e portasse l'auto fuori dal parcheggio per
dirle di portarla lontano, ovunque, in modo che potessero discutere
da sole della cosa. E avevano discusso, oh, praticamente per ore,
prima in macchina, poi sulla spiaggia sedute sulla sabbia fredda
della notte, e infine di nuovo in macchina. Ricordava di aver
gridato, lì sulla spiaggia. Era così nervosa.
Così furiosa. Ma
Lena si sentiva talmente in colpa che Kara non era riuscita a non
prenderle una mano, quando aveva incrociato i suoi occhi. Si era
calmata. Si era sentita tradita, sì, ma Lena… Le
si era spezzato
il cuore a vederla in lacrime dirle che le dispiaceva. Se non altro,
rifletté guardando un surfista cadere in acqua, ora sapeva
perché
la ragazza ci teneva a dirle tutto prima che tornassero eventualmente
insieme. E perché non gliel'avrebbe perdonato. Non poteva
non
ammettere che aveva avuto ragione a pensarlo.
Sentì
qualcuno avvicinarsi e si voltò, trovando la mano destra di
Lena
quasi davanti al naso, con il palmo alzato e sopra una caramella alla
frutta. Ansimò e gliela prese, togliendo la carta e
infilandola in
bocca, riguardando le onde del mare. Lena le si mise a fianco, in
silenzio. Capiva che avrebbe voluto chiederle qualcosa, ma che non
riusciva a parlare: Kara la vide abbassare gli occhi, guardare le
onde, adocchiare lei. O meglio i suoi piedi. «Sì,
ci ho pensato»,
rispose comunque, annuendo senza voltarsi verso di lei.
Lena
annuì un poco, a sua volta. «Avrei voluto essere
più coraggiosa e
dirtelo molto prima», confessò, lasciando basso lo
sguardo.
«Lo
sei stata», disse, tentando un goffo sorriso, spento a breve.
«Sei
stata coraggiosa. A-Avresti potuto non dirmelo mai e, quando lo avrei
scoperto, fare finta di niente, di non saperlo. E sei stata forte
a…
b-beh, sì, a tenertelo dentro. Deve averti fatto male. Non
che io
concordi, ma… sei stata forte. E non sei scappata questa
notte».
«Avrei
potuto?».
Kara
scosse la testa, sospirando.
Lena
si asciugò un occhio, abbozzando un breve sorriso.
«Non dovevi, lo
sai. Dovrei essere io a tirare su il morale a te, e non
viceversa».
«Posso
chiederti una cosa?». La vide annuire e allora Kara si
voltò,
aggrottando la fronte. «Mi accompagneresti da mia zia? Vorrei
sentirmelo dire da lei. Dei Luthor. Voglio sentirlo dalle sue labbra,
m-ma… non voglio farlo da sola».
Lena
le inquadrò la mano sinistra e per un attimo
pensò di
stringergliela, ma non ci riuscì. Si fermò.
«Non devi chiederlo».
Presto
si rimisero in macchina, pronte per tornare a National City.
Rhea
Gand, intanto, camminava sbattendo i tacchi delle scarpe lungo un
corridoio. L'avevano chiamata molto presto quella mattina e si era
subito preparata e chiamato l'ufficio del sindaco e al senato: ci
sarebbe stato il funerale di Lar il pomeriggio dell'indomani,
poiché
finalmente le avevano dato il permesso di far seppellire il corpo.
Appena si affacciò davanti al laboratorio del coroner,
però, si
immobilizzò: cosa faceva lui lì? Era davvero
troppo. Aprì la porta
con una spinta e il coroner la salutò con un tiepido gesto
del capo
e poi di una mano, abbassando la testa e allontanandosi,
intercettando lo sguardo dell'altro. Il signore chiuse la porta
dietro di lui, dicendo che li avrebbe lasciati soli, e Rhea
squadrò
l'altro con odio.
«Dovevo
immaginarlo che avresti convinto la scientifica e il coroner a
concludere in fretta», disse lui, senza neanche muoversi.
«Avresti
dovuto pensarci tu. Questo disinteresse da parte tua, non riesce a
frenarmi dal pensare che in fondo tu nutra il desiderio di arrestarmi
seriamente, Dru».
«Pensavo
volessi sollevarmi dall'incarico e diventare presidente al posto mio.
Lo hai fatto capire molto chiaramente, e ora ti aspetti
protezione?».
«Sei
un pessimo presidente e penso che farei un lavoro migliore,
ciò non
significa che tu non ti debba ancora comportare da tale». Si
avvicinò al corpo sul lettino, coperto da un telo.
Allungò la mano
per tirarlo via, che l'altro la fermò:
«Non
lo farei, fossi in te. Nessuno dovrebbe vedere una persona cara in
quelle condizioni».
Lei
grugnì e alzò il telo, sgranando gli occhi.
Richiuse poco dopo,
trattenendo il fiato. «Che cosa gli hanno
fatto…».
«Che
cosa tu
gli hai fatto, ti correggo», si mise al suo fianco destro.
«L'autopsia è stata invasiva e non poteva essere
diversamente. Tu
lo hai messo su questo lettino, Rhea. Ho letto il referto redatto, a
proposito», esclamò saccente, attirando
un'occhiata. «È stato
sparato a breve distanza. Usciva dalla porta della camera padronale,
lo hai aspettato all'ingresso, coincide con la polvere da sparo
trovata sullo stipite della porta. Non se lo aspettava. Le prove
dicono che è stato colto di sorpresa». La
guardò. «Si fidava di
te».
«Risparmiatela»,
gracidò, girando la faccia.
«Dove
hai messo la pistola, Rhea?».
«Dovrei
dirtelo?».
«Hai
appena detto che dovrei comportarmi da presidente. Se vuoi che ti
protegga, dovrei esserne al corrente».
«Mh,
avendo ben poca fiducia nei riguardi del mio presidente, comunque, mi
avvalgo del diritto di non rispondere», si
allontanò, facendo
qualche passo intorno. «È dove non la potrai
trovare».
«E
tuo figlio? Cos'è successo al tuo ragazzo?».
Rhea
scosse la testa, abbassando gli occhi. «Mi ha abbandonato,
con tutto
quello che ho sempre fatto per lui».
Al
contrario, Zod la alzò, annuendo debolmente.
«È un testimone?».
«Cosa?»,
spalancò gli occhi. «No! Avrei mai potuto fare una
cosa del genere
con lui in casa?».
«E
la domestica?».
«Joyce?
Era fuori». Non lo guardò negli occhi.
Zod
le scoccò un'occhiata. «Sei sicura?».
«Mi
chiedi se sono sicura? Non sono una tua studentessa, smettila di
farmi il terzo grado: se ti dico che non era in casa, allora non era
in casa. Era fuori e, quando è tornata, l'ho istruita su
cosa dire
alla tua marmaglia di piedipiatti: è tutto».
L'uomo
annuì ancora. «Non faranno archiviare il caso,
anche con il via
libera alla sepoltura. Se non troviamo un responsabile in fretta,
subentrerà l'FBI e-», lei lo bloccò:
«E
allora trova qualcuno».
«Tu
pensa ad avere una storia che regga in piedi». Zod si
avvicinò alla
porta e le riservò una lunga occhiata, prima di andarsene.
Rhea non
si fidava di lui ed era certo che gli avesse mentito su qualcosa, che
fosse sul figlio e perché era scomparso, o sulla domestica.
Se
c'erano testimoni, lo avrebbe saputo. L'importante era fare in modo
di chiudere il caso fintanto che era nelle sue mani. Ora come ora, la
priorità era ritrovare Mike Gand, l'unico figlio della
coppia. Era
scomparso da troppe ore e di lui non c'era traccia: i suoi amici non
lo avevano più visto dopo che se n'era andato dal campus
universitario, i parenti nemmeno sapevano che fosse sparito e avevano
appreso la notizia della morte del senatore dalla televisione, la sua
ex ragazza, Kara Danvers, non aveva idee e sembrava sincera. Era
impossibile che si fosse allontanato tanto ed era chiaro che Rhea non
prendeva abbastanza seriamente l'idea che, se non si fosse trovato
alla svelta, sarebbe stato lui il qualcuno a cui avrebbero accollato
l'omicidio. Non c'era segno di scassinatura; le prove dicevano che
l'omicida era già all'interno della casa quando era successo
e
poteva farle modificare, ma perché farlo? Doveva solo fare
presto.
Quella donna aveva agito d'istinto, ma si era scordata che suo marito
era un uomo importante e che non avrebbero semplicemente abbandonato
il caso se non si fosse trovato il responsabile. La presidentessa
degli Stati Uniti lo aveva telefonato per avere informazioni,
spronandolo a sbrigarsi. Tutti gli occhi erano puntati su di loro.
Volevano un colpevole. Non c'era tempo per tergiversare;
semplicemente non c'era.
E
lo sapevano tutti in centrale, Maggie Sawyer inclusa.
Quella
mattina era di pattuglia. Aveva accompagnato Jamie dalla babysitter,
uscendo da casa poco dopo di Alex, scoprendo di essere stata
assegnata a un nuovo partner. Non aveva cercato spiegazioni,
cambiavano non di rado le coppie per creare un ambiente di lavoro
sereno, e non che a lei importasse, solitamente, se non fosse che lui
era uno di quelli che, più di tutti, le parlava alle spalle.
George
era molto amico di Faora Hui, lo sapeva bene. Non per niente, quando
scoprì che erano stati assegnati, le aveva rivolto un'acida
occhiata, quasi fosse colpa sua.
Durante
il tragitto in auto aveva parlato appena, concentrato sulla strada.
Sentiva il suo fiato sul collo. Li contattarono alla radio e lui
rispose; solo in quel momento riuscirono a scambiarsi due parole,
discutendo se passare a destra o dritti e girare più avanti.
«Ci
scommetto che non è nemmeno uscito dal suo
quartiere», brontolò
poco più tardi, mentre Maggie girava a destra come lui aveva
suggerito, evitando di litigare.
«Parli
di Mike Gand?».
«Chi
altri?», sbottò, guardando fuori dal suo lato del
finestrino.
«Pensi
possa essere stato lui?». Gettò l'amo e
aspettò che abboccasse.
George
ridacchiò. «Ma neanche per sogno. Il figlio della
signora Gand non
avrebbe i connotati per fare una cosa del genere».
«Signora
Gand?». Non era tanto il nome con cui l'aveva citata, ma il come:
sembravano quasi in confidenza. «La conosci?».
«La
conosce Faora», rispose più gelido, a un certo
punto. Il sorriso
gli si spense e portò dritto lo sguardo, fissando un punto
vacuo.
«Te la ricordi? Faora? La nostra compagna che la tua
amichetta ha
quasi ammazzato», borbottò, «O te la sei
già scordata?».
Erano
vicini, doveva rallentare. Maggie deglutì. «Faora
ha quasi
ammazzato mia cognata».
«Quella
se l'era cercata», strinse i denti, «Aveva messo in
pericolo la
vita delle persone in stazione, fingendo che ci fosse una
bomba».
«Non
era stata lei», la difese, «Andiamo! Sono queste le
voci che
circolano in centrale? Kara non farebbe mai niente del
genere».
Mentre
lei accostava al marciapiede, lui sghignazzò.
«Quelli della
disciplinare non le hanno fatto un cazzo, non è vero? Alla
tua
amichetta».
«Smettila
di chiamarla così, odio quel termine»,
tirò il freno a mano e gli
riservò un'occhiata. «Alex Danvers è la
mia ragazza, non
un'amichetta». Lo vide ignorarla e aprire lo sportello,
così lo
seguì fuori.
«So
solo che Faora è in coma, che sua madre non riesce
più ad andarla a
trovare, e che voi siete tranquille con la vostra coscienza».
Restò
indietro, verso il cancello dello sfasciacarrozze che avevano
segnalato.
Maggie
prese un bel respiro, aprendo il cancello ed entrando. «Faora
ha
tentato di uccidere Kara e Alex ha sparato per salvarla. Sì,
stiamo
bene con la coscienza». Sentì i passi del suo
nuovo partner
seguirla e poi fermarsi all'improvviso. Sentì caldo alla
base della
testa, come se il sangue le si fosse fermato con lui. Si
voltò
lentamente e trattenne il fiato, quando lo vide puntarle contro la
pistola. «Cosa stai facendo?».
George
alzò le sopracciglia. Voleva ridere, ma non gli
riuscì. «Mi
domandavo cosa accadrebbe se fossi tu quella costretta in un letto
d'ospedale. La tua bambina verrebbe a trovarti con la tua
amichetta?».
Maggie
accostò una mano alla fondina e lo vide accorgersene. Stava
facendo
sul serio? «Metti giù la pistola», disse
soltanto, seria.
Poi,
d'un tratto, lui rise e alzò l'arma, rimettendola
all'interno della
fondina. «Accidenti, ti ho fatto paura? Era uno scherzo,
Sawyer.
Rilassati. Voi affiliati del D.A.O. vi prendete troppo sul
serio».
La sorpassò, cominciando a guardarsi intorno tra le lamiere
e le
auto da rottamare.
Maggie
non riuscì più a stare tranquilla, né
a dargli di nuovo le spalle.
Non sapeva neppure se avesse dovuto o meno indicare il caso al suo
capitano: che anche lui, come Faora, facesse parte
dell'organizzazione? Quanti poliziotti, suoi colleghi, ne facevano
parte? Per un momento aveva temuto che le sparasse davvero, in pieno
giorno e in servizio. Si vergognava di aver avuto paura, decidendo di
non dire nulla ad Alex. Se lui si era spinto a puntarle contro una
pistola, cosa avrebbero fatto gli altri che come lui la prendevano di
mira?
Kara
e Lena tornarono a National City. Si fermarono in un locale per
mangiare qualcosa di veloce per pranzo e, senza parlare di nuovo del
gruppo e della famiglia Luthor, si mobilitarono verso Fort Rozz.
Senza parlare affatto, in effetti. Kara aveva fretta: doveva essere
lì prima che cambiasse idea. E aveva una paura matta. La
tensione la
stava mangiando dall'interno. Si aspettava che prima o poi, davanti a
sua zia, ci sarebbe stata Lena al suo fianco, anche se certo non dopo
quella rivelazione. Non sapeva davvero come prenderla: odiava che le
si mentisse e ultimamente si era accorta che lo avevano fatto fin
troppe persone, eppure se l'unica col motivo più importante
per
nasconderle tutto era lei, era forse l'unica persona da cui si
sarebbe sempre aspettata la verità e la cosa le dava
fastidio. Al di
là del segreto che era una cosa enorme, che era importante
per il
suo passato e il presente, più di tutto le dava fastidio che
non era
riuscita a dirglielo prima. Sì, era davvero convinta che
Lena fosse
stata coraggiosa, per altri versi, e poteva solo immaginare quanto
avesse sofferto nel tenere tutto per sé e perché
la loro relazione
ne aveva subito, ma se nella ragione la comprendeva, qualcosa dentro
di lei si era spezzato e non riusciva a trovare pace. Forse solo sua
zia poteva aiutarla.
«L'ultima
volta che sono stata qui, ero con Lois», disse, abbassando un
poco
gli occhi e camminando avanti e indietro nello stretto corridoio che
anticipava la saletta delle visite, dove i vetri separavano loro
dalle detenute. «Volevo farmi forza, ero quasi sicura di
riuscirci.
Quasi»,
rimarcò e la ragazza le andò vicina, fermando i
suoi passi agitati.
Riuscì a prenderle le mani con le sue e Kara la
lasciò fare,
sentendo un brivido sulla pelle. Lena che la toccava le faceva sempre
un certo effetto, ma quello era stato diverso: invece di essere
piacevole, le provocò fastidio. Voleva contatto, ma non lo
voleva
allo stesso tempo. Avrebbe dovuto sforzarsi con lei, come le
suggeriva la ragione?
«Andrà
tutto bene», le sussurrò in un sorriso.
«È importante; ce la puoi
fare».
Kara
non ne era abbastanza sicura: si sentiva così leggera, alla
sensazione di rottura si aggiunse un terribile mal di stomaco e
brutta voglia che tentava con forza di ignorare. Il cuore le batteva
così poderoso che, chissà, avrebbe volentieri
vomitato quello.
Poteva sopportarlo? Non voleva cedere alla sua testa che le ripeteva
costantemente, e ora più che mai, che non era
così forte come aveva
sempre pensato.
La
guardia le fece accomodare all'interno della saletta e, mano nella
mano, si avvicinarono lentamente ai vetri. Solo un'altra prigioniera,
più lontano, aveva visite. Astra non era ancora seduta, la
vide
passare nel corridoio opposto attraverso le vetrate sbarrate,
accompagnata da due agenti e in manette. Le si strinse lo stomaco e
solo grazie alla mano tenuta con Lena non si tirò indietro.
Si
sedettero tenendosi vicine e, per un attimo, si guardarono.
«Mi
dispiace per quello che ti dirà»,
bisbigliò lei. «Farei qualsiasi
cosa se potessi cambiare il passato».
Con
sguardo stanco, Kara non disse nulla e si rivolse in avanti, a quella
donna. La vide sedersi e, pian piano, mentre si rendeva conto di chi
le stava davanti, sgranare gli occhi. Era lei. Era sua zia Astra,
tanto simile e allo stesso tempo diversa da sua madre. Così
cambiata, con qualche ruga in più; così uguale
che rivederla era
come tornare bambina e ritrovarsi a scuola, quando lei era venuta a
prenderla per portarla via. Lo stomaco le parve rigirarsi su se
stesso. Ma aveva smesso di scappare.
«Kara…»,
mormorò la donna e prese la cornetta, indicandole di fare lo
stesso.
In un attimo, l'altra prigioniera la guardò e all'improvviso
chiamò
per essere portata via, finendo prima la sua visita. Astra
l'adocchiò
appena ma, prima di riguardare sua nipote, si accorse che lei non era
sola, lanciando a Lena uno strano sguardo.
Kara
la fissò: quando era andata a vederla con Lois, sua zia le
era parsa
molto sciupata, ma al contrario ora aveva una carnagione più
vivace,
i capelli appena lavati, un cenno di trucco, perfino. Le cose erano
cambiate tanto in poco tempo e lo trovò un fatto piuttosto
curioso.
Prese la cornetta costringendosi a non tremare, deglutendo e
socchiudendo per un attimo gli occhi. «Zia
Astra…».
«Sì»,
rispose lei con un gran sorriso rigato di lacrime, poggiando la mano
sinistra sul vetro che le separava.
Era
inutile, per quanto si sforzasse, Kara non riuscì a non
commuoversi
e, anche a lei, presto si riempirono di lacrime gli occhi.
Sentì
Lena stringerle la mano vicina e sorriderle, così
ricambiò. Sua zia
era responsabile in parte di ciò che era successo ma, in
quel
momento, il pensiero la sfiorò a stento: era lì
con lei e le voleva
bene.
La
prigioniera veniva portata via in manette alle spalle di Astra
intanto che lei sorrideva di ritrovata gioia. «La mia
Kara… Quanto
sei cresciuta, guardati», le sfuggì un altro
commosso sorriso, «Ti
aspettavo da tanto tempo. Hai letto le mie lettere? Perché
non sei
mai venuta prima? Mi sei mancata così
tanto…».
Kara
abbassò lo sguardo e, con un singhiozzo, si tirò
indietro la
cornetta, sentendo la vicinanza della ragazza. «Non volevo
vederti»,
confessò, ritrovando la voce.
«Capisco».
Anche lei abbassò lo sguardo per un attimo, ma non si perse
d'animo,
troppo felice di rivederla per prendersela. «Mi dispiace non
esserti
potuta stare vicina… Sono la tua famiglia, ma non siamo
potute
stare insieme».
Kara
aggrottò la fronte, tirando su con il naso.
«A-Avresti voluto che
stessimo insieme? Hai tradito i miei genitori». Non doveva
dirle una
cosa del genere. Semplicemente non doveva.
«No,
no, non lo avrei mai-», si fermò e il suo sguardo
planò a Lena al
fianco della nipote, cambiando espressione, diventando più
dura.
Kara
la guardò a sua volta e poi di nuovo sua zia.
«Puoi parlare davanti
a Lena. Puoi fidarti di lei. Io mi fido di lei». La scorse
sorriderle, stringendo più forte le loro mani unite,
poggiate su una
sua coscia.
Astra
non trattenne un altro sorriso, per poi asciugarsi gli occhi con una
manica blu della divisa da carcerata. «Non sai cosa potrei
dirti».
«Oh,
lo so», la fissò, «Lo so
eccome».
«Siete
diventati una famiglia, eh? Si sono sposate, l'ho letto su una
rivista. Ce le passano qui, ogni tanto. Te ne ho parlato in qualche
lettera, ma è chiaro che tu non le abbia lette…
Non volevo che
diventassi la figliastra di quella donna», strinse i denti.
«Lillian?
Facevano parte della stessa organizzazione che li ha uccisi, vero? I
Luthor. E anche tu».
Astra
annuì debolmente, passandosi una mano sulla fronte.
«Non sai bene
cos'è successo in quel periodo, Kara. Lionel ed io avevamo
un piano.
E qualcun altro, ovviamente, persone fidate, dovevano aiutarci ad
aiutarvi. Io ho cercato di salvarli», strinse i denti,
avvicinandosi
di più al vetro. «Lillian Luthor non ne era al
corrente, poi non so
se Lionel glielo abbia detto, ma temevamo che ci avrebbe fermati
perché stavamo agendo per conto nostro, sai…
Lillian è diversa da
com'era Lionel», le sfuggì in un brusio,
«Lui ne era stufo, lei…
era di un'altra opinione. All'inizio, almeno. I giornali raccontano
di una Lillian diversa», ridacchiò e Kara
guardò Lena, senza dirle
nulla. «Quando sono passata a scuola per prenderti era per
proteggerti, Kara! Volevo dissuadere Alura dal condannare un
uomo-».
«Il
commercialista. Zachary Michaels. Lo so», la interruppe e
vide la
zia annuire.
«Dovevo
farlo perché sarebbe stato l'inizio; Michaels aveva mani in
pasta
dappertutto e sapeva troppe cose, troppe. Ma lei non voleva
ascoltarmi…», si intristì ma alla
ragazza quella reazione diede
fastidio. «Per lei era importante, lo vedeva come un punto di
svolta
della sua carriera». Il viso le si rigò di nuovo
di lacrime e
strinse gli occhi. «Ho pianto ogni giorno, Kara. Manca anche
a me».
La
ragazza lasciò la cornetta e la guardò con ira,
trattenendo le
lacrime. Lena le chiese cosa le avesse detto e Kara scosse la testa,
facendole capire che ne avrebbero parlato in un secondo momento.
Così
riprese la cornetta, respirando con affanno. «Non parlarmi di
mia
madre. Non dei miei genitori. Non farlo», la
pregò, cercando di
trattenere la rabbia crescente. «È anche colpa tua
se sono morti».
«No»,
lei arcuò la fronte, scuotendo la testa. «Non
voglio che pensi
questo! Te l'ho detto, ho cercato di salvarli! O almeno salvare te,
la persona più importante che avessi».
«Non
farlo».
Astra
si asciugò di nuovo le lacrime si portò una mano
contro la bocca,
alzando lo sguardo verso un orologio da parete, conscia che non
avevano molto tempo. «Dovevamo portarti al sicuro. Si erano
alzati
molti animi, la paura era divagata, nessuno voleva perdere
ciò che
avevamo costruito e qualcuno…»,
deglutì, «qualcuno propose di
rapirti per ricattare tua madre. Era questa l'idea iniziale».
Vide
la nipote irrigidirsi a quelle parole ma non si fermò, non
c'era
tempo. «Mi sono opposta e qualcun altro con me, siamo andati
ai
voti, ma… non avevamo raggiunto la maggioranza».
«Ai
voti?», domandò, aggrottando la fronte. Si
voltò verso Lena e le
disse subito questa cosa, così entrambe guardarono Astra,
che
annuiva. «Pensavo che fosse strutturata a classi».
Lei
sorrise. «Sai delle classi? Hai fatto i compiti, Kara,
sei… brava.
Sì, sì, abbiamo delle classi,
ma…».
«Abbiamo?».
Le irritava come sua zia si includesse: aveva fatto parte
dell'organizzazione, ma ne parlava come se ne facesse ancora parte
benché la prigione, nonostante questa avesse ucciso una
parte della
sua famiglia.
«Non
tutti i voti hanno la stessa valenza, dipende dalla classe, ecco,
eppure non eravamo comunque riusciti a raggiungere la maggioranza.
Quello dei presidenti vale di più ed entrambi avevano votato
contrari, ma non era stato sufficiente».
«Presidenti?
C'erano dei presidenti?».
«Sì»,
il suo sguardo planò di nuovo verso Lena. «I
Luthor. Lionel e
Lillian erano i presidenti».
Kara
si allontanò di nuovo dalla cornetta e prese fiato a
più riprese,
sentendo la tachicardia, guardando Lena a sua volta. «I tuoi
genitori erano i presidenti». Non aspettò che le
chiedesse di cosa
stesse parlando, né se fosse sicura. «Lillian era
la presidente
dello stesso gruppo di persone che ha portato via da me i miei
genitori e lei ha sposato la mia madre adottiva come se non fosse mai
successo niente», digrignò a denti stretti e,
mentre Lena deglutiva
e cercava di stringere più forte la mano di Kara che si era
fatta a
pugno.
Astra
batté il vetro, in modo da attirare l'attenzione.
«Kara, devi
saperlo: dopo aver perso la votazione, i Luthor si erano ritirati.
Davo a loro la colpa perché da presidenti non erano riusciti
a
fermare ciò che è successo, ma ho saputo che si
erano ritirati dopo
aver perso la votazione. Io mi ero allontanata perché c'era
un
mandato d'arresto a mio nome e Lionel non mi aveva detto niente, ma
loro-».
Kara
cercò di trattenersi dal non urlare e alzò
velocemente la mano che
fino a un attimo prima le stringeva Lena, sbattendola con forza
accanto al vetro. «Se n'erano lavati le mani, quindi? Mi stai
dicendo questo? Dovrebbe farmi sentire meglio o cosa?».
Astra
scosse la testa. «Loro non potevano vincere quella battaglia,
Kara…
Erano pochi quelli ancora fedeli. Qualcun altro aveva giocato con le
loro emozioni, spaventandoli al punto dal decidere di voler vedere
morta la nostra famiglia».
«Rhea
Gand», sussurrò e vide sua zia annuire.
«Stai
lontana da lei, Kara. È sempre stata qualcuno sopra le
righe, ma
aveva visto nella possibilità di colpire un nemico come la
sua
ascesa a presidente. Voi eravate il suo lasciapassare, ma le cose le
sono andate male e, invece di prendere il potere, il gruppo si
è
nascosto».
«Non
è lei la presidente, ora».
«No,
no», scosse la testa, accennando un sorriso, «E non
lo sarà mai.
Te lo prometto».
Kara
si morse un labbro e, pian piano, sciolse il pungo e accostò
la mano
al vetro, mentre Astra avvicinava la sua. «Dimmi
perché, ti prego!
Perché ti sei affiliata a loro invece di combatterli?
Perché hai
tradito così la tua famiglia e il tuo lavoro?».
Astra
trattenne il fiato e piegò le labbra, ferita dalle accuse.
«N-Non
puoi capire… Quando mi sono affacciata al loro mondo,
pensavo di
doverlo combattere. Ma la verità è che, insieme a
loro, potevamo
cambiare questa città. Avevamo in mente di fare tante cose
buone e
altre ne abbiamo fatte».
«Cosa?
Le cose buone si fanno alla luce del sole», la interruppe con
sconcerto, confidando velocemente a Lena cosa le stava dicendo.
«La
burocrazia, Kara, non sta dalla parte dei bisognosi, ma noi
sì».
«Hanno
ucciso i miei genitori e i miei zii».
«No…
Una di loro ne è responsabile, ha plagiato tanti, ma
l'organizzazione è… L'organizzazione è
come un mezzo: ci sono
soldi, contatti, risorse, e se usate a fin di bene possono cambiare
tutto. In meglio. Per questo è nata e per questo mi sono
unita a
loro, vedendo le potenzialità: per fare del bene».
Non
poteva crederci di stare realmente affrontando una discussione di
quel tipo. Kara allontanò la mano del vetro e vide
l'espressione di
sua zia mutare, dispiacendosi. «Ne fai ancora
parte?».
«Trova
le cose buone che abbiamo fatto, Kara. Trovale e capirai di cosa sto
parlando; leggi le mie lettere, se ne hai ancora qualcuna…
Fallo»,
le sorrise con speranza, tra le lacrime. «Quella
donna», si guardò
intorno, attenta a non fare nomi, «è cattiva,
Kara. Ma
l'organizzazione…», abbassò la voce,
«L'organizzazione può
ancora fare tanto».
Lena
la vide riguardare l'orologio appeso sul muro e chiese a Kara di
poter prendere la cornetta. «Devi aiutarmi», le
disse velocemente,
senza convenevoli. «Mio padre voleva smascherarli e qualcuno
lo ha
ucciso».
Astra
sospirò. «Sì, so della sua morte. Mi
è dispiaciuto tanto», si
portò una mano contro la tempia. «Non so chi sia
stato. Sembra un
omicidio strettamente legato a noi, ma la verità
è che non lo so e
non lo sa il nuovo presidente. È stata una sorpresa,
credimi. Ma la
verità è che i Luthor negli anni si sono fatti
molti nemici, cara
ragazza. Prima di Lionel e Lillian, il presidente era tuo nonno.
Potrebbe essere stato chiunque».
Lena
si morse un labbro e lasciò la cornetta; intanto
suonò un
campanello e videro alcune guardie venire verso la loro saletta: il
tempo concesso alle visite era scaduto e Astra batté il
vetro di
nuovo, freneticamente, in modo che Kara prendesse di nuovo la
cornetta dalla sua parte.
«La
mia bellissima nipote…», sorrise, accarezzando il
vetro tra loro
come se potesse realmente arrivare a toccarla. «Non devi
più venire
a trovarmi, Kara. Hai capito?».
Lei
la guardò grave, nonostante tutto. «Zia Astra,
Michaels è morto.
Qualche mese fa, nella sua cella».
Lei
sembrò pensarci e poi sospirare, intanto che le guardie
entravano
per dirle di doversi staccare. «Un danno collaterale,
temo… Ma non
preoccuparti, per me. Io sono al sicuro».
«Da
Zod?», domandò e la donna poggiò di
nuovo la mano sul vetro,
mentre una guardia l'affiancava e le intimava di nuovo di alzarsi.
Lena
si guardò intorno, scorgendo le telecamere: se potevano
registrare
le loro conversazioni, erano nei guai. Soffiò a un orecchio
di Kara
di sbrigarsi.
«Sono
al sicuro», le ripeté Astra, «Presto
saprai qualcosa, leggi le mie
lettere. Leggile, Kara… Ti voglio bene». La guarda
le spostò la
sedia e Kara le poggiò la mano sul vetro. Di nuovo vicine,
un attimo
fugace, e la prigioniera fu fatta scortare fuori di nuovo in manette.
Nonostante tutto, a Kara si spezzò il cuore e Lena si
sentì in
dovere di mettersi di nuovo vicina.
Una
guardia scortò fuori anche loro. Zitte, perse entrambe nei
propri
pensieri finché non uscirono dalla struttura e Kara
ringhiò a denti
stretti: «Mia zia non si rende minimamente conto del
problema. Era
una poliziotta e non si rende conto che nel fare le cose illegalmente
non è fare del bene. A prescindere».
«Il
mondo non è tutto bianco o nero, Kara». Lei la
guardò di straforo
e Lena impallidì. «Non sto giustificando
nessuno».
«Mi
fa così arrabbiare… E Lillian,
accidenti». A un certo punto
scoppiò: scacciò un urlo e colpì un
muro esterno della prigione
con un pugno, spaventando la ragazza al suo fianco. E quella
donna…
Quella donna malvagia aveva ucciso la sua famiglia e aveva tentato di
uccidere lei. «La ucciderò». Si rese
conto con qualche secondo di
ritardo dello sguardo di Lena ancora più pallido del solito
e si
affrettò a correggersi: «No-Non intendevo Lillian.
Ciò che ha
fatto è imperdonabile, ma mi riferisco a Rhea Gand. Non
c'è altra
soluzione, Lena», la guardò con sconforto,
asciugandosi le lacrime.
«Lo devo fare…».
«Kara»,
la chiamò e poi si guardò intorno, scorgendo
alcuni poliziotti che
guardavano nella loro direzione, probabilmente incuriositi dalle
urla. «Non qui. Andiamocene». Le prese un braccio
ma l'altra era
immobile. «Dobbiamo sperare che nessuno abbia
sentito».
«La
farà sempre franca», proseguì
imbambolata, stringendo i pugni e,
poi, aggrottando la fronte. «Perfino mia zia non si rende
conto; e
non basta promettermi che non sarà la presidente di quel
gruppo di
criminali: è già abbastanza pericolosa
così. Ha tentato di
uccidermi, ha ucciso suo marito e… ha ucciso la mia
famiglia, Lena.
Ancora non sappiamo dove sia Mike. Non ho altra scelta se non farla
fuori».
Lena
scosse la testa, incurvando le labbra. «No. No, non lo farai,
Kara».
«Devo
farlo, lo capisci?».
Pianse
di nuovo, ormai incontrollabile, e l'altra la strinse fra le braccia.
Ci riuscì. Era lì, aveva sciolto una barriera da
quando le disse
dei Luthor. Era fra le sue braccia e avrebbe voluto tenerla
così per
sempre.
«Lei
non si darà pace finché non mi avrà
ucciso o ucciso le persone a
cui voglio bene. Non posso permetterglielo».
«Ssh».
Lena la costrinse ad appoggiare la testa sulla sua spalla destra, ma
l'altra si tirò indietro. «Non lo
farai», le disse, guardandola
negli occhi. «Troveremo un altro modo, la incastreremo, te lo
giuro.
Se c'è qualcosa che non puoi permetterti, è che
Rhea ti porti via
anche te stessa. Adesso sei arrabbiata, ma tu non sei così e
non ti
permetterò di diventarlo, hai capito? Non voglio sentire
queste cose
da parte tua, non sono da te».
«E
se non ci fosse altro modo?».
«Ci
sarà. Ci sarà, vedrai. Hai detto che ti fidavi di
me. Fidati di me,
allora. Un modo si trova sempre». Assottigliò i
grandi occhi verdi.
Se un modo non ci sarebbe stato, lo avrebbe creato; avrebbe fatto
qualsiasi cosa, per lei. «Ci penserò io, Kara. Te
lo prometto».
Si
ricordava bene come l'aveva guardata Rhea Gand la prima volta che si
conobbero. L'orgoglio di Mike al suo fianco, lo sguardo perplesso di
Lar e quello curioso e inacidito di lei. Si domandava come aveva
fatto a non accorgersi fin da quel momento che c'era qualcosa che non
andava in quella donna, che non poteva semplicemente odiarla
perché
usciva con suo figlio. E Mike era così preoccupato; voleva
così
disperatamente che loro andassero d'accordo. E lo stesso lei. In quel
periodo, era davvero convinta che fosse Mike Gand l'amore della sua
vita e aveva preso seriamente l'incarico di rendersi simpatica agli
occhi della futura suocera… O almeno prima che Rhea dicesse,
per
l'ennesima volta, quanto Kara non era adatta per Mike. Lui si era
arrabbiato così tanto e avevano litigato. Ricordava di
essersi
sentita in colpa, per essere stata il motivo per cui il suo ragazzo
stava tagliando i rapporti con la sua famiglia. Che ingenua a pensare
che ci fosse stato qualcosa in lei che a quella donna non piacesse.
Rhea aveva fatto uccidere la sua famiglia e avrebbe ucciso anche lei
e Kal se ci fosse stata l'occasione. Accidenti, una parte di lei,
adesso, era ancora convinta che avrebbe dovuto ucciderla lei.
Anticipare quella donna, coglierla di sorpresa e farla sparire. Mike
non gliel'avrebbe perdonato e, di certo, lei stessa sarebbe stata la
prima a non perdonarsi. Stava seriamente pensando di uccidere una
persona, dopotutto? Voleva diventare un mostro anche lei? Undici anni
fa, i suoi genitori la incoraggiavano a diventare un eroe come quelli
dei fumetti che leggeva, perché era la sua ispirazione, e
ora voleva
uccidere qualcuno? Quale eroe lo avrebbe fatto…?
Ma
tutto quel peso addosso… non riusciva a sopportarlo. Si
sforzava,
doveva, non voleva cedere. Anche se conosceva un modo per star
meglio.
Allungò
lo sguardo a Lena che guidava e sospirò piano per non farsi
notare,
ripensando a quando le disse che ci avrebbe pensato lei,
promettendoglielo. Forse per farsi perdonare. Sicuramente
per farsi perdonare. Ma Rhea Gand era un suo problema, non di Lena.
«Oh,
cavolo», esclamò Alex quando, aperta la porta di
casa sua, se le
ritrovò davanti. Acchiappò Kara per una manica e
l'avvicinò a sé
per abbracciarla, facendole capire molto chiaramente quanto si fosse
preoccupata. Dopo le fece entrare, non lasciandosi sfuggire i loro
sguardi abbattuti. «Siete state in prigione? Da
Astra?». Non si era
seduta e sia lei che Kara camminavano a turno davanti a Lena sul
divanetto. Non era stato facile raccontarle tutto, dalla
verità di
Lena alle parole della zia a Fort Rozz: Alex si era passata
più
volte le mani nei capelli, psicologicamente provata. «Quindi
era
vero? Lillian faceva parte dell'organizzazione e ha fatto finta di
niente? Ha sposato nostra madre omettendo tutta questa faccenda?
Oh…»,
allora si sedette, prendendo un bel respiro per darsi una calmata.
«Io non ci posso credere… Non ci voglio
credere, non ha senso! Eliza non ne sa niente, è ovvio
che non ne sa niente».
«Dobbiamo
dirglielo», Kara la guardò.
«La
butterebbe giù», sospirò, rivolgendosi
poi a Lena, aggrottando lo
sguardo. «Da quanto tempo? Da quanto tempo lo sapevi? Da
sempre?
Quando questa estate ci hai chiesto di aiutarti con la morte di tuo
padre-».
«No»,
Lena si tirò indietro, abbassando gli occhi. «Non
ne avevo idea! Se
lo avessi saputo allora, le cose sarebbero andate
diversamente».
«Ce
lo avresti detto subito?».
Alex
glielo chiese senza girarci intorno e Kara la fissò mentre
apriva la
bocca ma non rispondeva. Glielo avrebbe detto subito? Quando ancora
non stavano insieme e stavano imparando a conoscersi, le avrebbe
detto, mentre mostrava loro le cose che aveva raccolto come il suo
certificato di adozione, che sua madre aveva avuto a che fare con le
persone che avevano ucciso la sua famiglia?
«Non…
non lo so», ammise infine, «Le cose sarebbero state
diverse, non so
come mi sarei comportata».
Alex
aprì bocca ancora che Kara la bloccò:
«Va bene, basta. Lena ha già
detto che le dispiace, andiamo avanti, okay? Sappiamo di Lillian, dei
presidenti, di Rhea Gand. Ora non ci serve che agire»,
guardò Lena
per un attimo, «La incastriamo. Troviamo il modo di farla
confessare». La vide annuire e accennare un sorriso,
probabilmente
perché stava accantonando l'idea di uccidere quella donna.
Non lo
avrebbe mai fatto, dopotutto.
Sapere
dei Luthor aveva turbato davvero tanto Alex Danvers. Lavorava a quel
caso da tempo e qualcuno che aveva fatto parte dell'organizzazione le
era stata tanto vicina senza saperlo. Era assurdo che stesse
capitando una cosa del genere. Quale mostro sposerebbe la donna che
aveva adottato una bambina che lei aveva aiutato a rendere orfana? A
non dirle niente. E quale capo avrebbe lasciato che la suddetta donna
sposasse la madre di una sua dipendente senza dire niente?
Ricordò
quando John l'aveva messa in guardia su Rhea perché Kara
stava
frequentando Mike, e su questo si era stato zitto? Come poteva lui
non saperlo? Si chiuse nella sua camera da letto dicendo di dover
fare una telefonata e aspettò di sentirle chiedere cosa
voleva per
sbottare arrabbiata: «Lillian Luthor ne faceva parte e tu non
hai
minimamente pensato che volessi esserne messa al corrente? Come posso
svolgere il mio lavoro, se sono la prima a non sapere le
cose?». Lo
sentì sospirare.
«Abbiamo
seguito i Luthor per anni. Loro sono stati i primi a cui siamo andati
a bussare la porta, ma erano puliti, Alex»,
confidò. «Se
guardi alla storia di questa città, saprai che i Luthor
hanno sempre
svolto un ruolo predominante, sempre. Levi Luthor era conosciuto
all'estero come un grande luminare, negli archivi storici
c'è un
reparto con il loro nome sopra, dannazione, perfino una ragazzina,
anni fa, ha scritto un tema sul lavoro dei Luthor per la
comunità.
La Luthor Corp aiutava diverse associazioni no-profit e, al tempo
stesso, realtà illecite. In passato qualcuno se lo era
lasciato
sfuggire, ma erano rimaste voci non confermate. Avevano molto potere,
tutti li rispettavano, ovviamente li tenevamo d'occhio, non
è tutto
oro ciò che luccica»,
prese una pausa. «Tu
sei giovane, Alex. Non hai vissuto il periodo di quando loro
sembravano avere in mano National City e forse per questo non ti sei
mai chiesta su di loro. Non è più così
da anni, almeno dieci. Le
acque si sono calmate, ma non abbiamo mai smesso di cercare
collegamenti. Ora tu mi stai dicendo di averlo scoperto, ma
c'è una
prova a confermare che Lillian Luthor ne facesse parte?».
Lei
trattenne il fiato e si passò di nuovo una mano sui capelli,
scuotendo la testa. «No», rispose con un brusio,
«No, non ne
abbiamo. La parola di Lex perché glielo ha detto suo padre.
E quella
di Astra, la zia di Kara».
«Un
ragazzo che dice di averglielo detto un uomo che ormai è
morto e
quella di una donna rinchiusa in prigione da anni per aver cospirato
contro gli Stati Uniti insieme a un gruppo di corrotti. Come capirai
da sola, non è granché. Come avrei potuto dirti
che sospettavamo
della donna che stava per sposare tua madre?»,
le domandò, ma non attese risposta. «Non
era necessario metterti in paranoia. Il tuo compito era soltanto
quello di proteggere Kara. Se i Luthor erano corrotti in passato, da
anni sono puliti e dunque non era una nostra
priorità».
«Era
una priorità per me, John… Come farò
adesso a dirlo a mia
madre?».
Lui
ci mise un po' a rispondere. «Parlale
da figlia, non da agente. Lo supererete come famiglia».
Chiusero
la chiamata. Alex strinse il cellulare e fissò il pavimento,
persa
nei suoi pensieri. La faceva facile, pensò. Sua madre si era
appena
sposata con lei, accidenti. Appena sposata. Che strana ironia adesso
che ci pensava: lei e Kara avevano cercato il marcio nella vita di
Lillian Luthor mesi fa e infine, non trovando nulla, avevano finito
per accettarla. Adesso avevano trovato il marcio ma si erano sposate.
Era tardi. Tornò da loro, trovandole separate e in silenzio:
Kara
che in piedi guardava fuori dalla finestra e Lena che si teneva la
fronte, seduta sul divanetto. Disse loro ciò che le aveva
detto John
e la sorella si sforzò per non arrabbiarsi ancora con lui.
«Va
bene, devo parlare con Lillian», disse a un certo punto,
interrompendo un altro silenzio.
«E
cosa vorresti dirle? Vorresti dirle di fronte a nostra madre
perché
non ha fatto abbastanza per salvare i tuoi genitori?»,
domandò
Alex, ancora in piedi, mentre Lena la guardava preoccupata.
«Sì»,
la fissò accartocciando lo sguardo, tesa e triste.
«Sì, se
necessario. Perché non mi ha detto niente! Perché
non ha detto
niente a Eliza, perché l'ha sposata, perché
voleva che la chiamassi
mamma
pur sapendo che fine avesse fatto la mia», gridò e
strinse i denti,
e così i pugni. Non cercò lo sguardo di Lena
neanche per un attimo,
ma sapeva che la guardava. La sentiva. Non voleva vedere il suo
sguardo rotto quanto il suo.
Alex
strinse i denti e il suo viso si raggrinzì, comprendendo il
suo
dolore. Lillian non aveva solo sposato la loro madre: si rendeva
conto in quel momento più che mai in che peso e misura la
donna era
entrata anche a far parte delle loro vite. Avevano imparato ad averla
intorno, ad ascoltarla, ad abbracciarla, a vederla mentre scattava
loro delle foto per il suo account Instagram. Non solo la loro madre,
Lillian aveva tradito tutte loro. Kara le passò accanto per
arrivare
alla porta e Alex la afferrò per un braccio, mentre Lena si
avvicinava alle due sorelle senza aprire bocca. «Non andare,
adesso.
Kara, non adesso».
«E
quando?», gridò. «Adesso è il
momento giusto».
«Non
lo è», le scosse la testa, avvicinandola a
sé, «Non sei lucida.
Aspetta un po' con me».
«Aspettare
cosa? Che mi passi la rabbia?».
«Lo
so, Kara. Lillian ti ha nascosto la verità! Lo ha fatto
Lena», la
guardò per un attimo, che se ne stava in silenzio,
«Lo ha fatto
John! E l'ho fatto io… Sei arrabbiata-».
Kara
si morse un labbro con pazienza e dopo strattonò il braccio.
«Come
non ne hai idea! Ma questo non riguarda te».
«Sì
che riguarda me», s'impuntò Alex, fissandola con
occhi lucidi.
«Ognuno di noi aveva un motivo per fare ciò che ha
fatto. E sono
arrabbiata anch'io con Lillian e posso solo immaginare quanto tu ti
senta tradita perché non è stata solo lei a
farlo! Ti è capitato
tutto insieme: ognuno di noi è responsabile della tua
rabbia. Non
posso parlare per lei, né per Lena o John… Ma a
me dispiace,
Kara», scosse la testa. «Mi dispiace veramente
tanto, sorellina».
Allungò la mano destra verso di lei e Kara la
adocchiò, gonfiando
solo un attimo le guance, per poi spingersi in avanti e
abbracciarla.
«Ehi!
Non ce l'ho con te, va tutto bene», le sussurrò
contro i capelli,
mentre Alex si aggrappava alle sue spalle. «Non ce l'avrei
mai con
te».
Lena
sorrise tiepidamente, tenendosi distante. Kara allungò lo
sguardo
verso di lei, le sorrise e ricambiò, ma sentiva che,
nonostante
questo, nonostante le sia stava vicino con sua zia, nonostante lei
stessa l'abbia abbracciata, le cose tra loro erano diverse. Fino a
ieri la sentiva vicina come mai prima, e ora… Ora si sentiva
di
troppo perfino lì, mentre faceva pace con sua sorella. Lei
era una
Luthor e, fino ad ora, non erano mai sembrati tanto estranei.
Alla
fine, Alex riuscì a convincerla a restare. Appena arrivarono
Maggie
e Jamie, si fecero portare da mangiare da un locale cinese e cenarono
insieme. Parlarono della candidatura annunciata di Rhea Gand e, dopo
che misero la bambina a dormire, di Fort Rozz, l'organizzazione e le
loro classi, del nuovo presidente provando a fare qualche nome e
chiaramente di Lillian. Lena era convinta che fosse Zod il nuovo
presidente e pensarono che Maggie avrebbe avuto da ridire, invece si
stette stranamente in silenzio, più silenziosa perfino di
lei, e non
accennò di nemmeno un episodio avvenuto in centrale. Era
particolarmente strana, in effetti, e Alex disse in privato alle due
che forse si sentiva poco bene. Kara spazzolò più
piatti da sola.
Mangiò con gusto, pur non dimenticando ciò che la
tormentava; non
sarebbe riuscita a chiudere occhio se non avesse prima parlato con
Lillian e Lena lo sapeva: ogni tanto si fermava a scrutarla, mentre
rideva e parlava con determinazione, ma si notava che la sua mente
era spesso altrove. Alex mandò un messaggio a Eliza per
sapere se
erano in villa entrambe e, quando ricevette risposta, le
guardò,
aspettando di sapere da loro cosa volevano fare. Vedendo Maggie tanto
silenziosa e per le sue, non se la sentiva di lasciarla sola e a
malincuore non le avrebbe accompagnate.
«Le
parlerò io comunque», assicurò alle due
ragazze, sull'uscio. «La
chiamo questa notte, sperando mi risponda. È mio dovere.
È già
abbastanza arrabbiata con me per il D.A.O., ma…».
Kara
la salutò con un abbraccio e cominciò ad andare,
ma Lena si fermò.
«Tutti noi avevamo un motivo per nascondere a Kara qualcosa,
è
vero», mormorò, guardando indietro e poi di nuovo
Alex. «Tu credi
che anche Lillian ne avesse uno valido? Sembrava l'avessi inclusa nel
discorso…».
La
guardò negli occhi e Alex li abbassò solo un
attimo, quasi incerta.
«Ssì…»,
soffiò con un filo di voce e le sorrise mestamente.
«Sai, a mente
fredda, penso che sia davvero innamorata di mia madre. La paura di
perdere tutto, può farti fare qualsiasi cosa».
Lena
si allontanò con capo basso, non sapendo come replicare. Perdere
tutto
era stata la paura che l'aveva attanagliata fino a quel momento, ma
Lillian? Era arrivato il momento di guardare in faccia la
verità.
Le
aspettavano, dato il messaggio di Alex. Si erano messe a guardare un
po' di televisione e per poco non si addormentavano vicine, sul
divano in biblioteca. Le aspettavano, sì, ma non si
aspettavano per
niente cosa avrebbero portato con loro quella sera. Seppure Kara non
fosse più arrabbiata come quel tardo pomeriggio quando Alex
l'aveva
bloccata, vedere il volto di Lillian le aveva smosso dentro
l'orribile sensazione provata a Fort Rozz che non aveva ancora
imparato a gestire: sapeva solo di doverlo fare, di doverlo fare per
forza perché non poteva più tirarsi indietro. Le
tornò di nuovo
alla mente lo scoppio che uccise la sua famiglia, il sangue sotto la
nuca di Kal, le notti insonni passate a piangere e i pomeriggi a
guardare le stelle con Alex. E poi la voce di sua zia Astra che le
diceva che i Luthor si erano tirati indietro, che avevano perso la
votazione, che non avrebbero potuto vincere quella battaglia. Era ben
consapevole che era Rhea la responsabile di tutto, ma Lillian sapeva
e non aveva detto niente. Aveva voltato le spalle alla sua famiglia e
ora smaniava per farne parte.
Lei
era colpevole.
Il
volto duro di Kara bastò a far capire a Lillian che era
arrivato il
momento di buttare giù le difese. Le bastò quello
per voltarsi a
cercare quello di Eliza, confuso. E quello di Lena, più teso
e
triste, distante. «Kara…»,
biascicò, cercando di trovare le
parole.
«No,
parlo io», si avvicinò a lei con passo deciso,
mettendo le braccia
incrociate contro il petto. «Quindi è andata
così. Entri a far
parte delle nostre vite e fingi che vada tutto bene, ti fidanzi con
la mia madre adottiva e, dalla prima volta che mi vedi, mi abbracci e
mi dici di poterti chiamare mamma.
Che persona sei, Lillian?», Kara corrucciò lo
sguardo e la vide
deglutire, tornare mezzo passo indietro e abbassare lo sguardo. Forse
non sapeva cosa dire? Dopotutto, perché dire qualcosa? Se
avesse
saputo cosa dire, magari lo avrebbe fatto molto prima.
«Cosa
sta succedendo?», domandò Eliza. Guardò
Lena vicino a lei, Kara e
dopo Lillian. Eppure, da come forte batteva il cuore nel suo petto,
già conosceva la risposta a quella domanda: Jeremiah aveva
ragione.
«Non
poteva andare tutto bene, per una volta?», esclamò
Kara a un
tratto, con voce rotta, cercando di calmarsi da sola, poi,
aggrottando la fronte. «Dovevo solo conoscere la fidanzata di
mia
madre, e non importa quanto trovassi strana la cosa, accidenti, e
nemmeno quanto inizialmente non mi convincessi, ho-ho
accettato che facessi parte della famiglia e ora scopro che tu sapevi
che fine aveva fatto la mia». Sentì di nuovo gli
occhi farsi gonfi.
Oh, no, non voleva piangere. Non adesso. Aveva smesso di piangere.
Sciolse la posizione rigida e strinse i pugni mentre, una Lillian
ferita, rialzava lo sguardo in cerca di quello di Eliza, ma appena i
loro occhi si incrociarono, quest'ultima li abbassò, con
delusione.
«Non hai trovato un
solo momento per dire la verità? Sapevi che erano in
pericolo e te
ne sei lavata le mani?».
Lillian
ingrossò il petto, cercando di restare lucida.
«Non volevo. Non
volevo che lo scoprissi, Kara, mi dispiace molto».
«Ti
dispiace?».
«Fa
parte di un periodo del mio passato che ho cercato di superare.
Volevo-».
«Proteggermi?»,
domandò a denti stretti, stufa di sentirselo dire.
«Proteggere
me stessa», disse con un filo di voce fissando lei, cercando
di non
pensare alla presenza di sua moglie. «Volevo
proteggermi», ribadì
e la sincerità stravolse Kara, poiché non se lo
aspettava. «Non
pretendo che tu capisca il mio punto di vista, Kara. Non lo pretendo
da nessuno. Ho fatto tante cose di cui mi pento e lasciare che la tua
famiglia pagasse la sete di potere di qualcuno che avrei dovuto
fermare è una di quelli. Era una responsabilità
dei Luthor e
abbiamo fallito. Avevo… paura», socchiuse gli
occhi e Kara si
pietrificò: era pronta a sputarle addosso ogni accusa che le
passava
per la testa, ma non ad ascoltare la confessione, né il suo
pentimento. «Sono stata egoista e non posso nasconderlo: mio
marito
è morto cercando di fare la cosa giusta frattanto che me ne
stavo al
sicuro, in cerca di un nuovo inizio». La fissò.
«Innamorarmi della
tua madre adottiva è stata la cosa migliore che potesse
capitarmi
nella vita e», strinse le labbra secche, «avevo
paura di perdere
tutto».
«Tu
non hai idea-», avanzò puntandole contro un dito,
determinata, «Non
hai idea di cosa significhi perdere tutto! Per davvero! E dover
ricominciare daccapo, s-sola al mondo, non ne hai idea»,
aggrottò
la fronte e la fissò truce.
«Hai
ragione», annuì. «Volevo
solo… essere accettata», precisò con
voce rotta. Pur mantenendo uno sguardo duro, si avvicinò a
lei e
spalancò le braccia. Provò ad abbracciarla ma
Kara si tirò
indietro e scosse la testa.
«Non
toccarmi». Non aveva senso. Non aveva senso continuare. La
lasciò e
a nulla valsero le parole di Lena per fermarla: uscì di casa
senza
neppure un giaccone, sbattendo la porta.
La
ragazza guardò Eliza, ma lei non aveva occhi che per Lillian
che era
rimasta immobile, così anche Lena la adocchiò:
non l'aveva mai
vista in quello stato; era abituata a vedere Lillian Luthor scomporsi
per poche cose al mondo, il più delle volte per rabbia, ma
così
rotta
era una cosa decisamente nuova. Come se avesse anche lei un'anima,
dopotutto. La vide restare ferma fin troppo a lungo, poi abbassare lo
sguardo e, lentamente, dare loro le spalle. Lena prese il giaccone di
Kara e il suo, infilandoselo, scambiando uno sguardo con Eliza. Dopo
uscì per raggiungerla.
«Mi
odi anche tu, adesso… non è vero?». Era
ancora voltata, Lillian
temeva di guardarla negli occhi e trovare di nuovo quella delusione.
«Non sono la persona che ti aspettavi».
«No,
ti sbagli», scosse la testa piano, arricciando le labbra.
«Sei
proprio la persona che mi aspettavo. E temevo che questo momento
sarebbe arrivato perché, per qualche strana ragione, dentro
di me ho
sempre covato il dubbio che ne fossi stata coinvolta, Lillian. Ma mi
sono innamorata di te e non volevo accettare che fossi
così…».
«Codarda?».
Eliza
sospirò. «Avrei voluto che me ne parlassi.
È questo che faccio io:
ti aspetto. Aspetto sempre che sia tu a fare il passo in avanti, per
darti il tempo necessario, solo che quando non arriva, allora tendo a
credere che non ci sia nulla di cui parlare e che mi sbagli. Non era
questo il caso», biascicò. «Kara era una
bambina particolare, sai?
Ne ha passate tante. Ha ragione lei». Camminò
verso l'ingresso,
prese anche lei la sua giacca e se la infilò, tornando
indietro solo
per avvertirla. «Le porto con me, a casa. Nell'altra
casa», delineò un breve sorriso,
«È la cosa migliore. Credo che
ci meritiamo tutte una notte per pensare». Non le disse altro
e
uscì, girandosi solo un'altra volta verso di lei, che era
ancora di
spalle.
Lillian
sentì un'auto lasciare il garage e tremò, non
certo per il freddo:
villa Luthor-Danvers era vuota, adesso. Mai stata così
fredda. Era
sola.
Si
stettero zitte in macchina e, una volta arrivate a casa
Danvers-Luthor, Kara si chiuse in camera e stanca disse che andava a
dormire. Era fredda. Lena notava quanto si sforzasse per essere la
Kara di sempre, ma che non lo era. Fingeva con lei. Ma fingere che le
cose andassero bene non lo rendeva vero. Non aveva voglia di andare a
dormire, così restò sul divano in soggiorno con
il laptop acceso
sulle gambe, tenendosi impegnata. Una ragazzina aveva scritto un tema
sui Luthor, aveva detto John Jonzz? Era una cosa piuttosto curiosa,
ma non faticò a trovare la scannerizzazione di un articolo
di
giornale risalente a tredici anni fa. Si trovava nel sito
dell'archivio di National City, fortunatamente non toccato dalla
pazza cancellatura di Indigo. Oh, quello era strano. Quello era
più
che strano, quasi inquietante: I
Luthor: un modello per tutti,
di Indigo Brainer. C'era persino una sua foto: una ragazzina con due
lunghe trecce bionde. Era suo quel tema. Indigo aveva scritto sulla
sua famiglia.
X:
Sono felice di sapere che hai bisogno di me.
Lo
schermo del pc si fece nero e apparve la chat: neanche a farlo
apposta, lei era tornata.
«Ancora
sveglia?».
Lena
si voltò sorpresa, scoprendo Eliza in vestaglia. Le si
avvicinò e
abbassò lo schermo del portatile. Aveva le occhiaie,
poverina, e
un'aria molto tesa che cercava di nascondere. «Mi dispiace
per-».
«Lena»,
la fermò, «Tu non hai nulla di cui
dispiacerti». Dopo le sorrise e
le poggiò una mano su una spalla, cercando di confortarla.
«Tu e
Kara avete litigato di nuovo?», non aspettò che le
rispondesse e
sospirò: «Ah, lo sapevi e non glielo hai detto.
Come avrai ben
notato, cose come questa non giovano alle relazioni
romantiche». Le
sorrise di nuovo e le fece l'occhiolino, intanto che l'altra
spalancava gli occhi e si imporporava sulle gote.
«Sì, so che state
insieme».
«Stavamo»,
la corresse dopo aver preso aria ed Eliza la abbracciò.
«Oh,
va bene, allora devi dirmi tutto».
No,
cose come quelle non giovavano affatto e lo sentiva bene Kara. Non
chiuse occhio, anche se restò a letto per tutta la notte.
Poteva
sopportare che John le avesse tenuto nascosto il suo reale lavoro,
poteva sopportare a fatica che Alex lo avesse fatto, d'altronde era
sua sorella, e avrebbe sopportato prima o poi che anche Lillian le
avesse tenuta nascosta una cosa come quella, seppur dolorosa, ma
Lena… si fidava di Lena. Lo aveva detto anche a sua zia. Non
esisteva persona al mondo a cui avrebbe dato se stessa se non a Lena.
E sebbene la ragione continuasse a suggerirle di perdonarla, di
riprovarci, il suo cuore si era chiuso e il suo corpo rigettava il
contatto con lei. La sentì quando entrò nella
stanza per coricarsi
e, prima di andare a letto, le rimboccò le coperte. Era un
gesto
così dolce, così tanto amorevole, che si
sentì in colpa per averle
dato fastidio. Non voleva arrabbiarsi con lei, ma era arrabbiata. Lo
era eccome.
La
mattina successiva, Lena si svegliò un poco più
tardi del solito e
scoprì con gli occhi impastati dal sonno che il letto di
Kara era
vuoto. Sentì un'improvviso crampo allo stomaco e si
alzò,
continuando a percepire la sgradevole sensazione. Trovò
Eliza in
cucina che faceva colazione: aveva ancora le occhiaie, ma il suo viso
sembrava più sereno. Almeno lei. «Sai
dov'è Kara? Si è svegliata
presto, il suo letto…».
«Ah,
sì, non ha voluto sentire storie: ha preso il primo treno
per
National City. Le ho chiesto di aspettare, ma…»,
corrucciò lo
sguardo e Lena prese fiato a pieni pomoni, sentendo di nuovo il
dolore allo stomaco: sapeva dare un nome a ciò che provava, oh,
certo, era il vuoto che si era creato tra loro. Doloroso e
nero.
Kara
rientrò al campus, diretta nella camera che divideva con
Megan. La
trovò sul letto che leggeva, sbadigliando.
«Non
temere, non è ciò che leggo a farmi venire
sonno», la rassicurò
vedendola rientrare. «È che non ho chiuso occhio.
Non sai l'ultima:
John ha detto che vuole parlarmi. Non sa che effetto fanno queste
parole a una donna».
Kara
deglutì, increspando la fronte. «Ha-Hai idea di
cosa?».
«No.
Spero solo non voglia lasciarmi, è così nervoso
ultimamente…».
Anche
Kara si sdraiò sul letto, con ancora le scarpe ai piedi. Che
volesse
dirle del suo reale lavoro? Oh, che razza di amica era? Era
così
presa da chi le aveva mentito, da non rendersi conto che lei stava
facendo lo stesso con Megan, sapendo di John Jonzz. Non spettava a
lei dirglielo e forse lui era sul procinto di farlo,
però… forse
non sarebbe stata diversa da chi lo aveva fatto con lei.
«Già…».
Qualcuno
bussò alla porta ed entrambe alzarono la testa, perplesse.
Chi
poteva essere a quell'ora?
Kara
si offrì di andare ad aprire. Tutti si aspettava meno che
lui e
spalancò gli occhi e la bocca: giaccone e pesante felpa
scura con
cappuccio sceso sul viso, un accenno di barba, sarebbe comunque
riuscita a riconoscerlo ovunque. Lo tirò dentro e chiuse la
porta,
abbracciandolo di scatto, felice che stesse bene.
«Porca
vacca», esclamò Megan, mettendosi seduta.
«Ehi…»,
soffiò il ragazzo, alzando una mano e scendendosi il
cappuccio. I
suoi occhi erano rossi, il suo corpo tremava e continuava a battere i
denti dal freddo. «P-Posso stare un po' qui?».
Mike
era tornato e Kara sapeva di doverlo tenere nascosto. Se non altro,
il tempo necessario. Tutto il corpo di polizia era ancora incentrato
sulla sua cattura e, anche quella mattina, Maggie Sawyer aveva dovuto
sopportare un collega ostile mentre erano fuori di pattuglia. Aveva
accennato qualcosa della situazione ad Alex, ma le aveva nascosto i
dettagli. Era esausta ma tremendamente felice di sapere che non
avrebbe lavorato il turno dopo pranzo. Così inviò
un messaggio alla
sua ragazza per dirle che stava già tornando a casa e si
diresse
direttamente dalla babysitter per riprendere Jamie. Immaginava
già
la sua faccia felice nel sapere che l'avrebbe portata lei al parco,
quel pomeriggio. Suonò il campanello e attese.
Suonò di nuovo,
faceva tardi.
«Ehi,
Maggie! Come mai qui?».
Le
sorrise incerta e l'altra alzò le sopracciglia, ancora
più confusa.
«Per riprendere mia figlia, ovviamente».
Scrollò le spalle ma
l'altra fece lo stesso, lentamente.
«Non
capisco… La tua collega l'ha presa appena dieci minuti
fa».
Collega?
Una collega l'aveva presa? «Cosa? Dimmi che stai
scherzando… I-Io
non ho dato l'autorizzazione a nessuna collega di-», le
mancò il
fiato, sentendo le gambe farsi pesanti e la testa girarle
vorticosamente. A nulla servirono le scuse della babysitter che le
diceva di aver visto il distintivo e essersi fidata. Una poliziotta
aveva preso Jamie. La sua bambina era in pericolo.
Quanto
sentimento aleggia intorno a questo capitolo, quanto… ah,
è
l'angst.
Benritrovati!
Come vi siete immaginati anche voi, Kara si è arrabbiata,
anche se
non vuole essere arrabbiata, ma è inevitabile, è
qualcosa che ora
l'ha infettata e le dà perfino fastidio un gesto dolce da
parte di
Lena come rimboccarle le coperte. Lena le ha mentito, come vi sareste
sentite al posto suo?
Però
ne hanno parlato a lungo e alla fine lo ha rinfacciato a Lillian,
che… che se la pugnalava, avrebbe sofferto meno. Il segreto
non è
più un segreto e anche Eliza ora sa la verità.
Intanto il profilo misterioso è tornato! Indigo fa di nuovo
capolino nella vita di Lena e quest'ultima scopre che proprio lei,
diversi anni fa, ha scritto un tema sulla famiglia Luthor. Ah, quanto
mi piace intrecciare le cose!
Non dimentichiamoci di Astra! Ha parlato con Kara e un poco con Lena,
dell'organizzazzione, a cui a quanto pare si considera ancora membro, e
sul possibile assassino di Lionel. Ma anche Astra, dice, non sa con
precisione chi possa essere stato non lo sa il nuovo presidente. Chi
sarà il nuovo presidente?
Tutto
questo mentre Maggie… Maggie ha dei problemi con alcuni
colleghi,
problemi che si stanno rivelando piuttosto seri se, ora, una di loro
ha preso Jamie! Cosa accadrà?
Lo
scoprirete nel capitolo 41 perché sì, il prossimo
è uno stand
alone! È uno stand alone che mi è piaciuto molto
scrivere, è
particolare, e ho dovuto inventare parecchio. Mi
dicono dalla
regia che una parte del passato di questo personaggio è
stata
rivelata nella serie in un episodio che non ho visto. Ho usato e tenuto
un nome da questo episodio per un personaggio, e ho cercato di
costruirne un altro secondo le indicazioni che mi hanno fornito dello
stesso nella serie, ma riguardo ai risultati non so dirvi…
Mah,
giudicherete voi. Spero di non aver fatto troppi danni XD
Allora
ci rileggiamo giovedì 28 con il capitolo 40 che si intitola Caro
Diario!
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