Missione di salvataggio

di VenoM_S
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Questa storia partecipa al "COWT" di Lande di Fandom.
Settimana: terza
Missione: M1
Prompt: AU-Angst-Gen
N° parole: 3734
[Prima volta che scrivo nel fandom di Voltron, con prompt multipli che mi mettono in difficoltà... Spero sia almeno piacevole da leggere, l'unica cosa che ho davvero capito dopo aver scritto questa fic è che odio descrivere i combattimenti XD spero possiate apprezzarla nonostante non sia stata propriamente betata... ma il COWT non perdona!]

 
Missione di salvataggio

I lunghi capelli candidi della ragazza brillavano quasi di luce propria sotto il sole mentre si muovevano cullati dalla brezza leggera. Intorno a lei, una piccola folla si stava lentamente radunando seguendo il rintocco della campana posta al centro della piazza principale della città. Dopotutto non era una giornata come le altre, quella, era il primo giorno della spedizione di salvataggio del Principe.
 
Allura aveva dormito poco e male quella notte, distesa sul morbido letto imbottito di piume che le sue gesta di cavaliere le avevano consentito di ottenere, nel tempo, insieme all’imponente casa di pietra e alle terre coltivate. Era stata per la maggior parte del tempo a rimuginare con gli occhi fissi nel buio, cercando di concentrarsi per sviluppare almeno due o tre diverse strategie d’azione a seconda di quello che si sarebbe trovata davanti una volta giunta alla Torre diroccata.
Non si preannunciava un’impresa facile, e non solo per la pressione nel dover riportare a casa sano e salvo il primogenito del Re, ma soprattutto per il terreno impervio su cui il combattimento con la bestia si sarebbe svolto: la Torre si trovava sul fianco di un’alta montagna, sovrastata e circondata solo da liscia roccia e terreno morente.
Aveva optato per una compagnia piccola ma ben assortita, così che tutti potessero avere una certa libertà di movimento e che ognuno di essi risultasse importante ma non decisivo per il combattimento. Dopotutto, Allura non era certo così stupida da credere ciecamente che ognuno di loro sarebbe rientrato in città, anche se lo sperava. Era pronta a cadere lei stessa in battaglia, se questo avesse portato alla liberazione del Principe.
Appena le prime luci dell’alba avevano fatto capolino tra le tende, la ragazza si era alzata dal letto conscia che non sarebbe riuscita a riposare un secondo di più, quindi si era diretta al piano inferiore dove l’aspettavano una lauta colazione e la sua armatura ben pulita.
Mentre addentava la grossa fetta di pane ben riempita di burro e marmellata di more, un messaggero aveva bussato alla porta per annunciare che il Re in persona sarebbe sceso nella piazza centrale per benedire la spedizione, per cui non erano ammessi ritardi.
«Certamente, dopotutto lui non ha bisogno di prepararsi per andare a salvare suo figlio» bofonchiò la ragazza con un gesto di stizza mentre si infilava in bocca il resto del pane, afferrando poi alcune frittelle e due pesche con l’intenzione di mangiarle più tardi lungo la strada. Di certo nessuno le avrebbe impedito di fare una colazione degna di quel nome.
 
Si incamminò poi verso la sala delle armature, per prepararsi da sola, come aveva sempre fatto da quando era diventata cavaliere. Non aveva mai voluto addossare ad altri la responsabilità di un pezzo mal messo, ogni eventuale errore doveva essere soltanto suo. Si tolse la veste da notte per mettersi la camicia ed i pantaloni lunghi, che infilò nei pesanti stivali rinforzati con placche metalliche all’altezza dei polpacci. Sopra la camicia fece scivolare la maglia imbottita che l’avrebbe aiutata ad attutire i colpi subiti per evitare che l’armatura stessa le provocasse spiacevoli contusioni, o peggio. Passò quindi ad allacciare i singoli pezzi della sua armatura, molto diversa da quelle pesanti che la maggior parte dei cavalieri usava indossare, ma perfetta per favorire i suoi movimenti veloci e l’abilità con la spada. Si accomodò due piastre di metallo liscio e spesso sul petto e sulla schiena, legando poi insieme una ad una le piccole cinghie che li avrebbero tenuti ben saldi. Anche le cosce furono avvolte dall’armatura, i cui pezzi lasciavano scoperte le ginocchia così che non le venisse impedito troppo di abbassarsi e schivare di lato. Infine passò ai parabraccia divisi in due sezioni, e ai guanti imbottiti e rinforzati sul dorso e sulle nocche.
Si guardò per qualche istante, specchiandosi nel lucido scudo appeso alla rastrelliera. I grandi occhi azzurri la fissavano di rimando, contornati dalla carnagione scura che li faceva risaltare ancora di più. Si appoggiò una mano sulla guancia, pensierosa, facendola poi scorrere all’indietro per sistemarsi un ciuffo di capelli candidi dietro una delle lunghe orecchie a punta che le conferivano un udito ottimo. Si chiese se fosse davvero quello il suo posto, se davvero era pronta per affrontare qualunque difficoltà, se davvero era pronta anche a morire per salvare un’altra vita.
Mentre la risposta ai suoi dubbi si affacciava chiaramente nei suoi pensieri, prese la lunga spada d’acciaio infilandola nel fodero dietro la sua schiena, lo scudo e l’elmo leggero per poi dirigersi nel cortile esterno dove l’aspettava, già perfettamente preparata per la battaglia, la sua forte giumenta roana. Salita in groppa si diresse al galoppo leggero verso la piazza, dove trovò già radunati quasi tutti i suoi compagni scelti per quella spedizione.
 
Shiro, come sempre, era probabilmente arrivato sul posto da prima di tutti gli altri, la sua lunga lancia era appoggiata contro una delle travi che reggevano la campana mentre con sguardo serio e le braccia incrociate scrutava la folla di persone che si stava radunando intorno a loro. Keith, vicino a lui, stava finendo di affilare le punte delle sue frecce con aria piuttosto corrucciata, dopotutto la sua reazione alla richiesta di Allura era stata all’apparenza contrariata, ed anche in quel momento cercava di non far trasparire nessuna emozione ai compagni, ma la ragazza sapeva che nel profondo imprese come quella erano ciò che lo esaltava di più. In un angolo, leggermente staccata dagli altri due, Pidge era seduta sul terreno a gambe incrociate, con gli occhi chiusi mentre meditava per raccogliere dentro di sé la concentrazione ed il potere magico necessari. Le sue magie protettive sarebbero state estremamente importanti, quindi doveva cercare di accumulare più energia possibile prima della battaglia. Solo Hunk mancava all’appello al momento, probabilmente intento a finire la colazione incurante delle richieste del Re. Quasi come se lo avesse chiamato, dall’angolo più lontano della piazza sbucò la sua grande figura, già immersa nella pesante armatura metallica e con l’immenso scudo rettangolare bel legato dietro la schiena, che si leccava le dita ancora piene di zucchero. La sua difesa elevatissima era ottima per distrarre i nemici attirandoli su di sé, mentre lasciava spazio ai compagni di muoversi ed attaccare intorno a lui.
 
Fu a quel punto, allo scoccare dell’ultimo rintocco della grande campana di ferro, che il Re si fece avanti tra la folla scortato dalle sue guardie personali, fino ad arrivare di fronte ai cinque guerrieri.
«La vita di mio figlio è nelle vostre mani» disse rivolto ad Allura, lo sguardo duro dietro il quale, la ragazza ne era sicura, si riusciva ad intravedere la piccola rottura provocata dalla mancanza del suo primogenito.
«Lo riporteremo a casa, Sire. Costi quel che costi» rispose lei con tutta la convinzione di cui era capace.
«Bene dunque, avete la mia benedizione e dichiaro ufficialmente iniziata la vostra spedizione. Possano la forza ed il coraggio accompagnare i vostri passi» concluse, prima di salutare il suo popolo e tornare ad attraversare la piazza tra le grida di incoraggiamento, dirigendosi di nuovo verso il castello.
Allura lanciò una rapida occhiata ai suoi compagni, che subito raccolsero le loro cose dirigendosi ai rispettivi cavalli. Pochi minuti dopo, avevano già lasciato la piazza e stavano per uscire dai grandi cancelli per inoltrarsi prima nel bosco e poi, una volta superato in circa due giornate di marcia, iniziare la lenta scalata della montagna.
 
Il viaggio era proseguito tranquillamente, senza fermate né rallentamenti. Come previsto, si erano lasciati alle spalle la fitta boscaglia subito dopo mezzogiorno del secondo giorno di cammino, ed ora si stavano concedendo una breve pausa per mangiare qualcosa e far riposare i cavalli prima della parte più dura. Sopra di loro la grande montagna scura si stagliava contro il cielo che andava via via rannuvolandosi. Forse avrebbe piovuto, e questo in qualche modo sarebbe potuto andare a loro vantaggio.
La salita fu più dura del previsto, il sentiero non veniva battuto da anni ormai, ed il terreno si era fatto cedevole e scivoloso, quasi impraticabile per i loro cavalli, che dovettero infatti lasciare su un piccolo slargo poche centinaia di metri dopo. Allura accarezzò leggermente il naso della sua giumenta, poggiando la fronte sul suo lungo e grande muso, respirando per un paio di secondi quell’odore così familiare e desiderando ardentemente di riuscire a compiere la missione, per poterla tornare a prendere.
 
Mentre si apprestavano a coprire la distanza rimanente per raggiugere la Torre, una leggera pioggia iniziò a cadere fitta, coprendo il rumore dei loro passi. Una volta lì, si posizionarono dietro un cumulo di rocce per osservare i dintorni e stabilire un piano d’azione più o meno definitivo: lo spazio a loro disposizione era più ampio di quanto si fossero aspettati, un grande spiazzo di terra liscia puntellato qua e là da grandi massi caduti dalla montagna si trovava di fronte alla loro posizione, mentre sulla destra, costruita contro la montagna, si innalzava la grande Torre di pietra, covo della bestia e prigione del Principe Lance. I blocchi grigi erano ricoperti di muschio, ed in alcuni punti si aprivano grandi buchi a testimonianza delle battaglie che in passato avevano sconvolto quelle terre.
La zona sembrava del tutto deserta, ma d’un tratto Shiro fece segno agli altri, indicando un punto tra le rocce sopra la torre: da una caverna scavata chissà quanto tempo prima usciva la grossa testa di un drago, il lungo muso coperto di scaglie verde scuro lucide come specchi su cui le gocce di pioggia scivolavano come se nemmeno se ne accorgesse. Si stava svogliatamente guardando intorno, il lungo collo si muoveva da una parte all’altra, e sotto di esso ben salde sul bordo della caverna due grosse zampe munite di lunghi artigli neri come la notte erano incrociate una sull’altra. Di certo non sembrava aspettarsi un attacco, e questo era un vantaggio per il gruppo di guerrieri.
Discussero a bassa voce per alcuni minuti, con il tramonto alle porte ed il cielo che si faceva sempre più scuro sopra le loro teste.
Erano pronti.
 
*****
 
Non era proprio in questo modo che Lance aveva immaginato di vivere la sua giovinezza da principe. Si era aspettato comodità, lezioni di scherma noiose, lezioni di strategia di guerra ancora più noiose e grandi feste sfarzose cui partecipavano le più belle ragazze del regno, ma di certo l’unica cosa che non si era mai aspettato era di essere rapito da uno stramaledetto drago per un motivo non ben specificato. Esistevano magie tanto potenti da incantare i draghi per fargli compiere azioni così poco consone alla loro natura di “semplici” accumulatori di tesori? Forse, dopotutto della magia non aveva mai capito granché, ma il motivo di tale azione rimaneva ai suoi occhi del tutto oscuro. Erano ormai due mesi che si trovava in quella torre, e si chiedeva se mai qualcuno lo avrebbe trovato, se mai quel drago sarebbe stato sconfitto, se mai sarebbe uscito da quella situazione. La cosa positiva era che grazie a quel bestione il cibo non mancava, a quanto pare era stato istruito a dovere ed almeno per il momento si stava prodigando a tenerlo in vita lanciandogli ogni tanto carcasse di piccoli animali, e mai come in quei momenti Lance aveva apprezzato gli insegnamenti del padre sulla caccia e la preparazione delle prede. La stanza in cui si trovava era ampia, dotata di un letto piuttosto scomodo e vecchio, di un focolare con accanto un enorme mucchio di legna ed un tavolo spartano al centro, insomma aveva tutto ciò che poteva servire per sopravvivere in maniera lievemente decente.
Aveva pensato diverse volte a come uscire da lì, ma ogni entrata della torre era stata sbarrata con grosse pietre impossibili da spostare per una sola persona dall’interno, e l’unica via d’uscita era rappresentata dalla finestra della sua stanza, un salto di almeno dieci metri che non era di certo intenzionato ad affrontare. Come se non bastasse, ora erano due giorni che quel bestione se ne stava appollaiato sopra la sua testa, in attesa di chissà cosa, lasciandolo senza altro cibo e con lo stomaco che brontolava incessantemente. Forse era giunta l’ora di lasciarlo morire.

Si trascinò svogliatamente alla finestra, a contemplare il morente nulla tormentato dalla pioggia che lo circondava, quando ad un tratto notò qualcosa in lontananza, lì dove lo spiazzo lasciava il passo al sentiero ripido che portava alle pendici della montagna: cinque piccole figure si stavano avvicinando lentamente, spostandosi da una roccia all’altra rapidamente, i passi attutiti dal rumore della pioggia, sfruttando l’oscurità che avanzava per non farsi notare troppo.
Uno di loro si staccò dal gruppo, Lance non poteva vedere distintamente il suo viso né riconoscere gli altri data la lontananza e l’oscurità, ma lo vide portarsi sulla sinistra il più possibile ricominciando poi ad avanzare lentamente. Gli altri quattro, nel frattempo, si erano fermati ad un centinaio di metri da lui, di fronte alla torre in attesa probabilmente del quinto individuo che avrebbe sicuramente dato inizio al combattimento.
Sembravano organizzati nonostante fossero davvero in pochi e Lance si ritrovò a pensare a suo padre, sperando con tutto il cuore che fosse stato lui a mandarli e che fossero in grado di tirarlo fuori da lì, continuando ad osservarli attentamente.

Ormai il guerriero che si era allontanato dagli altri era riuscito ad arrivare a circa cinquanta metri dalla torre, e da quella distanza Lance riuscì a notare distintamente che brandiva un lungo arco bianco su cui era già incoccata una freccia, un particolare che dissipò tutte le sue domande su chi potesse essere. Si trattava sicuramente di Keith, un arciere formidabile di cui nel regno si era iniziato a parlare incessantemente fino a poco prima del suo rapimento.
Il drago sembrava non averlo notato, quindi Keith si sporse leggermente da un lato del grosso masso tendendo la corda dell’arco fino alla guancia, lo sguardo fisso e concentrato sull’animale, trattenendo il respiro così da mantenere ferma la posizione. Dopo alcuni secondi che sembrarono interminabili, scoccò la freccia, che sibilò ad una velocità incredibile verso l’alto, conficcandosi nell’occhio sinistro del drago che lanciò subito un fragoroso ruggito di dolore, scuotendo la testa per cercare di liberarsene. Si girò a quel punto verso Keith, individuandolo con l’altro occhio, e con un movimento incredibilmente agile per il suo corpo enorme saltò giù dalla grotta atterrando esattamente davanti alla torre, facendo sussultare il terreno sotto si lui. Puntò subito il ragazzo che si era ritirato di nuovo dietro la grande roccia e con un secondo ruggito, stavolta probabilmente di collera, si lanciò verso di lui con le fauci aperte, pronto probabilmente a scaricargli addosso il suo alito infuocato.

Fu a quel punto che gli altri quattro uscirono dal loro nascondiglio correndo verso l’animale, ed una di loro si fermò al centro dello spiazzo, le mani posate su un lungo bastone di legno scuro tempestato di strani simboli arcaici che iniziarono a brillare di luce propria, circondato da due pietre rosse che si erano messe a roteare velocemente attorno alla punta mentre la ragazza muoveva le labbra ad occhi chiusi, i fradici capelli castani che fluttuavano sorretti dall’energia magica che si stava sprigionando attorno a lei. Nell’attimo stesso in cui dalla bocca del drago uscì la prima fiammata, una piccola bolla traslucida si materializzò intorno a Keith, che si portò d’istinto le mani al volto nonostante la magia lo schermasse perfettamente da quelle fiamme mortali. L’incantesimo protettivo durò solo pochi secondi, ma furono abbastanza.
Vedendo il suo attacco fallire, il drago si voltò verso i suoi nuovi avversari, senza dimenticare però quello alle sue spalle contro il quale fece roteare la sua lunga coda adornata di spuntoni, abbattendola poi sulla roccia dietro la quale si era nascosto e frantumandola come fosse stata di argilla. Keith rotolò velocemente di lato, evitandola per un soffio, mettendosi poi a correre verso i compagni facendo un giro più largo e mantenendosi a distanza.
Da quella distanza ormai Lance poteva riconoscere tutti gli appartenenti a quel piccolo gruppo scelto, e dentro di sé senti montare la speranza. Shiro, Pidge, Hunk, Keith ed Allura erano quanto di meglio si sarebbe potuto chiedere in combattimento, ed il principe continuò ad osservarli combattere rapito.
Sfruttando la superiorità numerica e l’occhio cieco del drago, Shiro armato della sua lancia si portò sulla sinistra insieme ad Hunk, che lo avrebbe riparato da possibili fiammate dietro di sé, mentre Allura andava a destra insieme a Pidge, con Keith che si manteneva sulle retrovie scoccando altre frecce e puntando visibilmente all’altro occhio dell’animale. Dividersi era stata un’ottima idea, ma non era comunque facile raggiungere i punti vitali del drago ben protetti dalle durissime scaglie, cercando al contempo di schivare gli artigli affilati come rasoi, la grossa coda e le occasionali lingue di fuoco che il drago sprigionava intorno a sé illuminando la zona e lasciando piccoli fuochi accesi qua e là, costringendo il gruppo ad una serie di assalti e ritirate che iniziava a sembrare infinita.

Poi, vedendo un’apertura inaspettata davanti a sé, Shiro si avventò di scatto contro l’animale, tenendo ben salda la lancia tra le mani e riuscendo a conficcargliela con un grido di soddisfazione dietro la zampa sinistra, in uno dei pochi punti in cui la carne era più morbida. Subito iniziò ad uscire il sangue, e l’animale si contorse su sé stesso in preda al dolore.
Ma la gioia per quel colpo magistrale durò meno del previsto, e Shiro che era rimasto fermo più del dovuto vicino al fianco del drago venne afferrato per il braccio destro e tirato su di alcuni metri, mentre la bestia lo fissava con il suo unico occhio giallo ed il ragazzo urlava dal dolore, cercando con l’altra mano di fare pressione sulla mandibola della bestia senza ovviamente alcun successo, mentre rivoletti di sangue iniziavano a scorrergli lungo l’arto. Con un unico e orribile movimento, il drago serrò le mascelle e scaraventò Shiro lontano, amputandogli il braccio con uno strappo deciso e rumoroso, facendolo finire contro una delle grosse rocce che punteggiavano lo spiazzo.
Lance osservò inorridito il possente lancere cadere a terra come un sacco vuoto, svenuto e con il sangue che usciva copioso dalla carne strappata, formando una pozza sempre più larga sotto di lui.
 
*****
 
«Shiro!» urlò Keith correndo verso di lui ed inginocchiandoglisi accanto, togliendosi lo spesso cappuccio inzuppato d’acqua per cercare di arginare in qualche modo la perdita di sangue.
«Allura, devi uccidere quel mostro prima che ci ammazzi tutti, adesso!» disse poi Pidge rivolta alla ragazza, ansante per la fatica, lo sguardo stravolto da quello che aveva appena visto.
Allura decise in pochi secondi cosa avrebbe fatto, e correndo si spostò verso Hunk ed il suo scudo.
In un gesto disperato, con l’armatura sul petto squarciata da una zampata precedente, Allura urlò ad Hunk di alzare il suo enorme scudo sopra la testa tenendolo più saldo che poteva. Il ragazzo la guardò perplesso, ma la determinazione nei suoi occhi lo costrinse ad obbedire. La ragazza corse, velocissima, saltando poi sul piano d’appoggio appena creato e Hunk, capite le sue intenzioni, l’aiutò a saltare ancora di più dandole una poderosa spinta dal basso. 
Il drago, che nel brutale attacco contro Shiro si era alzato in piedi sulle zampe posteriori, con la lancia ancora conficcata nel fianco da cui usciva copioso un getto di sangue nero come la pece che si mescolava in una pozza sul terreno con la pioggia, aprì le fauci un’ultima volta verso Allura, che riuscì per un secondo a scorgere le fiamme che si andavano formando al loro interno. Non riuscì mai a farle uscire, però, perché la ragazza che nel frattempo aveva sollevato la lunga spada sopra la testa, reggendola a due mani, atterrò su di lui conficcandola in profondità nel suo petto, spingendola nella carne del drago fino all’elsa e rimanendovi poi appesa per un secondo prima di cadere rovinosamente a terra. L’animale lanciò un grido stridulo e terrificante, cercando con le zampe anteriori di strapparsi dal petto la spada, che però era troppo piccola e troppo in profondità per muoversi anche solo di un millimetro.
«Allura, via da lì subito!» le gridò Hunk mentre il drago iniziava a barcollare sopra di lei.
La ragazza si riscosse, e corse via proprio mentre l’animale cadeva rovinosamente a terra, esanime.

I tre guerrieri rimasti attorno al drago si fermarono, dapprima increduli. Poi, come se tutta la tensione fosse svanita in un solo istante, Hunk si sedette a terra con un tonfo, un grosso sorriso stampato sul volto mentre accarezzava dolcemente il suo scudo. Allura e Pidge si guardarono, sospirando e spostando poi lo sguardo su quell’immensa creatura distesa davanti a loro.  
«Che diavolo fate lì impalati! Pidge, puoi fare qualcosa?» le urla di Keith riscossero i tre da quel momento di contemplazione, e subito la giovane corse verso i due ragazzi.
«Non per il braccio, purtroppo, non esiste una magia tale da ricomporlo, se non quella oscura che non ho intenzione di praticare, né oggi né mai. Posso fermare l’emorragia però, e questo ci consentirà di riportarlo con noi vivo» sentenziò la ragazza minuta con sguardo serio, dopo aver osservato attentamente la ferita disastrosa. Gli occhi di Keith si rabbuiarono, consapevole del peso che quelle parole avrebbero avuto per la vita di Shiro da ora in avanti, ma non poté fare altro che accettare quella soluzione.
«Occupatevi di Shiro, io e Hunk intanto recuperiamo il principe, non dobbiamo dimenticarci per cosa siamo venuti e per cosa abbiamo combattuto» disse Allura, facendo un cenno del capo al massiccio guerriero di fianco e lei e dirigendosi, poi, alla grande Torre da cui Lance aveva iniziato a muovere le braccia per indicare la sua posizione.
Con non poca fatica riuscirono a liberare uno stretto passaggio fra le rocce cadute, ed il principe fu finalmente salvo.
Si ricongiunsero poi agli altri, aiutando Pidge e Keith a trasportare Shiro, ancora privo di sensi ma vivo e con la spalla strettamente fasciata, lungo la discesa impervia che li avrebbe condotti di nuovo ai loro cavalli e da lì, cavalcando molto più in fretta di quando erano partiti, ai cancelli della città.
L’alba li colse quasi di sorpresa, illuminando la via mentre la pioggia diminuiva sempre di più fino a scomparire.
Allura incrociò di nuovo gli occhi con la sua giumenta, il manto fradicio e fumante per l’acqua che evaporava sul suo corpo caldo, e non poté fare a meno di sorridere appoggiandole ancora una volta la fronte sul muso.
Era tornata, avevano compiuto la loro missione.




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