Veterani a raccolta

di Ellery
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9. Un goccio di te


Note: La fanfiction partecipa a:
* Cowt9, indetto da Lande di Fandom
* Week 4, Missione 2
* Prompt: Litigare e poi fare pace
* Parole: 1652



***


«Avrei potuto salvarli, se non fosse stato per il tuo stupido ordine!»

«Avevi quasi esaurito il gas, Levi. Non ce l’ avresti fatta a sconfiggere il Titano Femmina e saresti morto anche tu!»

«Niente affatto! So quello che faccio e conosco i miei limiti.»

«No, non li conosci! Pensi di essere invincibile, ma non lo sei.»

«Non credere di potermi dire cosa fare e cosa no, Erwin.»

Il biondo lo fissò scrigno:
«Farai quello che ti dico perché fino a prova contraria sono il tuo comandante.»

«Ruolo che non sai assolutamente ricoprire.»

«Non ti sta bene? Dimettiti, allora»

«D'accordo!»

Levi girò sui tacchi, zoppicando verso la porta dell’ufficio. La chiuse alle proprie spalle, sbattendola sonoramente. Inforcò le vicine scale, scendendo verso il piano inferiore, dove si trovavano gli alloggi degli ufficiali. Ignorò il tentativo di Hanji di bloccarlo per parlargli di chissà quale strano esperimento e così anche i saluti dei cadetti.

Tentennò davanti alla soglia della propria stanza, decidendo di proseguire senza fermarsi e senza concedere alla caviglia slogata neppure un attimo di tregua; la sentiva pulsare, stretta nello stivale di cuoio, ma non gli importava. Aveva un disperato bisogno di the e l’unico posto dove poteva trovarlo a quell’ora tarda era il refettorio. Vi giunse dopo una manciata di minuti e si accomodò a uno dei lunghi
tavolacci di legno consumato, su cui erano posate teiere bollenti e tazze di vari colori. Ne afferrò una verde dal bordo sbeccato, colmandola sino sull’orlo. Soffiò sul vapore, nella speranza di riuscire a raffreddarlo.

Lo sguardo affilato corse involontariamente ai primi quattro posti della tavolata, ormai desolatamente vuoti. Erd, Gunther, Petra e Auruo non sarebbero più tornati. Avrebbe potuto salvarli, se non fosse stato per Erwin e per i suoi stupidi ordini. Avrebbe dovuto ignorarli fare di testa propria. Si passò il dorso della mancina sugli occhi per cancellare una fastidiosa sensazione di bruciore. Pregò che nessuno lo avesse scorto: odiava farsi vedere così debole e ferito, tanto nel fisico quanto nell’animo. Era convinto che davanti al dolore e alla sofferenza, almeno qualcuno dovesse rimanere impassibile e non per insensibilità, ma per offrire agli altri sicurezza e conforto. Si era investito di quel ruolo, senza sapere se fosse davvero alla sua portata, perché quelle rare volte in cui i soldati si aprivano con lui, non riusciva che a dispensare qualche consiglio banale. Si chiudeva poi nei propri alloggi, rimuginando nel silenzio per ore e, quando stava per scoppiare, sgattaiolava da Erwin e si confidava con lui. Più di una volta, il comandante gli aveva suggerito di lasciar perdere: vi erano spalle più robuste delle sue per portare certi  pesi.

Ora, però, che la morte aveva colpito la sua squadra, non sapeva come comportarsi. Aveva provato a parlarne con Erwin, ma era riuscito soltanto a rinfacciargli i piani azzardati e le decisioni sbagliate.
 
Sollevò lo sguardo dalla tazza quando sentì la vicina panca cigolare. Si ritrovò a fissare la zazzera biondo scuro di Mike ed il suo prominente naso.

«Che vuoi?» Lo apostrofò, tornando ad abbassare gli occhi.

«Soltanto scambiare due parole con te»

«Se sei qui a gongolare per la mia disfatta, puoi anche levare le tende.» Si pentì immediatamente di quella affermazione. Mike poteva anche risultare invadente, spaccone e un po’ borioso alle volte, ma non era certamente una persona che gioisce delle tragedie altrui.
«Scusami.» Sussurrò poco dopo «Non intendevo essere scortese.»

«Nessun problema. So come ti senti»

«Non credo proprio. Hai mai perso una intera squadra, tu?»

«No, ma so che significa quando la fiducia in chi ti guida viene meno» frenò qualsiasi sua domanda con un cenno della mano «Vi ho sentito discutere. Erwin non se lo merita, sai?»

«è tutta colpa sua…» ripeté testardo, deciso ad affogare gli ultimi dispiaceri nel the bollente «Mi ha fatto perdere tempo e basta. Se non gli avessi dato retta, li avrei raggiunti in tempo.»

«E saresti morto anche tu.» lo scorse prendere un paio di biscotti da un vicino vassoio e spazzolarli con la rapidità di un lupo famelico «Il tuo livello di gas era addirittura sotto il mio. Come speravi di farcela?»

«Non lo so.» ammise piano, scrollando le spalle «Mi sarei fatto venire in mente qualcosa.»

«Saresti finito masticato dal Gigante Femmina, Levi.»

«Niente affatto.»

Mike sbuffò e si concesse un altro biscotto, prima di alzarsi e picchiargli una leggera pacca su una spalla:
«Continua a crederlo, se vuoi, ma… saresti crepato, se avessi fatto di testa tua. L’ordine di Erwin ti ha salvato il culo, ma sei restio ad ammetterlo per… una curiosa forma d’orgoglio che non ti porterà da nessuna parte. Sai cosa dovresti fare? Andare di sopra e scusarti.»

«Non ci penso nemmeno. Scusarmi… per cosa? Non ho proprio niente da rimproverarmi.» ripeté testardo, mentre il caposquadra Zacharias agitava pigramente una mano nell’aria e si allontanava:

«Se lo dici tu…Hai un modo curioso di mostrare gratitudine, Levi» sbuffò, lasciandolo poi solo a crucciarsi con i suoi pensieri.
 

***
 

Era stato uno sciocco e un ingrato. Come aveva potuto? Aveva scaricato tutta la colpa su Erwin, le cui spalle erano sin troppo cariche di sensi di colpa e del peso dei giudizi sbagliati ed affrettati. Si era comportato esattamente come quegli sciocchi cittadini dei distretti, che li salutavano commossi quando partivano e che li accoglievano, ad ogni ritorno, con insulti ed occhiate scettiche. Il suo livello non era poi così diverso da quei personaggi che tanto disprezzava. Si era limitato a rinfacciare una scelta che aveva condannato quattro vite invece che cinque. La quinta, ovviamente, era la sua. Poteva davvero biasimare il comandante con tanta facilità? No e lo sapeva: non era nemmeno lontanamente all’altezza di Erwin; non era in grado di portare il peso delle colpe, in nessun modo: non riusciva a scrivere lettere di commiato che non suonassero vuote o patetiche; non riusciva a confortare i soldati e l’unica fede che poteva infondere loro non era altro che una propaggine della propria forza sul campo. Da dove nascesse quell’abilità, ovviamente, non lo sapeva: semplicemente, era bravo in ciò che faceva. Non avrebbe saputo spiegarlo altrimenti, così come non avrebbe saputo spiegare il perché si sentisse tanto incline ad obbedire ad ogni ordine di Erwin, anche quando non li condivideva affatto. Non che avesse importanza: in ogni caso, non avrebbe potuto esimersi dal seguirli, a meno di ignorare la gerarchia militare.

Raggiunse l’ufficio del comandante, scivolando al suo interno senza neppure bussare. La porta era socchiusa, come al solito; la richiuse silenziosamente, prima di avvicinarsi alla scrivania; Erwin era concentrato su alcune mappe, dove stava scarabocchiando a matita alcuni appunti.

«Hey.» sussurrò solo, costringendo il biondo a regalargli un briciolo della sua attenzione «Posso parlarti?»

Lo vide muovere un rapido cenno del capo:
«Sei qui per le dimissioni, immagino…»

«Sì.» mormorò, scuotendo poi il capo «Volevo dire, no. Cioè… Non stavo pensando di licenziarmi.»

«In cosa posso esserti utile, allora?» le dita robuste appoggiarono la matita e si intrecciarono sui fogli, mentre lo sguardo azzurro calava su di lui.

Non riuscì a sostenere quella lunga occhiata e le proprie iridi grigie si fissarono al suolo. Scrollò piano le spalle, limitandosi a lasciar scivolare dalle labbra un semplice:
«Mi dispiace.»

«Come?» la voce dell’altro conteneva una sfumatura incredula.

«Hai sentito benissimo!» lo rimbeccò prontamente, con una nota acidula che si spense subito, cedendo il posto alla sincerità «Ho detto che mi dispiace.»

«È raro sentire delle scuse da te.»

«Sì e non avrai altro se non mi fai finire!» dondolò leggermente il viso, prima di tornare a cercare quello altrui. Incrociò nuovamente gli occhi chiari, ora tinti di curiosità e sollievo. «Mi dispiace per poco fa… per quello che ti ho detto. Non lo pensavo davvero. Non credo sia colpa tua, ecco… Forse non è colpa di nessuno.»

«Non lo so, Levi. Ho pensato a quello che mi hai detto e… probabilmente, hai ragione. Non sono tagliato per questo ruolo e se c’è qualcuno che ha colpe in tutto questo, quella persona sono io. In fondo, parte tutto da me: le raccolte fondi, i piani, le tattiche e le spedizioni oltre le mura. Sono tutta farina del mio sacco… mi assumo il rischio della sconfitta come l’illusione di una vittoria che forse non conquisterò mai. Ogni tanto mi chiedo perché lo faccio.» una pausa e una risatina nervosa «E mi rispondo: perché meritiamo qualcosa di più che una vita in una gabbia di menzogne. Perché questo mondo nasconde una profonda verità ed io non mi fermerò finché non l’avrò trovata. Perché dobbiamo sapere, Levi… e non importa quanto questo ci costerà; quanti sacrifici e rinunce dovremo affrontare. Prima o poi, arriveremo in fondo a questa storia. Arriveremo in fondo… tu ed io. Ecco perché non avrei comunque accettato le tue dimissioni.»

«E le mie scuse? Quelle pensi di poterle prendere?»

«Sì, perché sono una cosa insolita. E perché so che non vi erano cattive intenzioni nelle tue parole… solo troppo rimpianto e un peso che, te lo ripeto, non sono le tue spalle a dover portare.» ancora qualche attimo di silenzio. Erwin scrisse qualcosa frettolosamente sulla mappa dispiegata, per poi riprendere «Io mi fido di te. Vorrei che tu facessi lo stesso.»

Levi annuì piano, accostandosi alla scrivania per poter sedere sul pianale, con un piccolo balzello. Accavallò le gambe e poggiò un gomito al ginocchio destro, sfruttandolo per sostenere il viso:
«è stata una lunga e pessima giornata.» ammise infine, scrutando l’altro con la coda dell’occhio «Non volevo litigare con te.»

«Ti ho già perdonato. È stata una pessima giornata per tutti. Un goccio di the?»

«Lo so.» sussurrò, mimando un leggero sorriso. Annuì leggermente a quella proposta, sporgendosi poco dopo verso il compagno. Posò cautamente le labbra sottili sulle familiari ciocche bionde, respirandone il profumo di sapone.

«Un goccio di te…» mormorò piano, quasi temendo di spezzare quei momenti faticosamente ritagliati nell’arco di quella malinconica e frenetica serata «…è esattamente ciò a cui stavo pensando.»
 




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