-La
morale di questa favola è che il male non si nasconde solo nel
buio.-
La
voce è solo un lieve sussurro e per colpa del ticchettio
insistente dell'orologio devo concentrarmi per riuscire a sentirla.
Mi
sembra di conoscerla, ma...chi è?
È
leggermente profonda, così dolce e gentile , ma mentre
continua a parlare la
voce si
fa più triste e tanto ferita.
-A
volte il male si nasconde vicino a te, dietro sorrisi e falsa
gentilezza di persone a cui tieni.-
Si
ferma per qualche secondo, come se volesse prendere fiato, ed il
ticchettio diventa assordante senza quella bella voce, spero che
riprenda subito a parlare.
-Tieni
sempre gli occhi aperti...-
La
voce è preoccupata...forse lo è per me?
-Amaris.-
Una
voce, mi sembra maschile, sta sussurrando qualcosa, ma non riesco a
sentire.
Sembra
preoccupata, ma non è solo quello…
Paura?
Cosa c'è che fa così tanta paura? Non voglio aprire gli
occhi se c'è qualcosa di spaventoso.
-Spero
di esserci riuscito.-
Ora
la voce è molto vicina e, nonostante tutto, la sento a
malapena, forse non voleva farsi sentire da nessuno.
Questo
leggero calore sulla guancia è...una carezza? È così
calda
e
piacevole.
Ma...perché
la mano trema un po'? Forse è ancora spaventato?
Gli
occhi sono così pesanti, ma devo aprirli e vedere cosa sta
succedendo. Tenere gli occhi chiusi non mi aiuterà a far
scappare via la mia paura, anzi.
All'inizio
non riesco a vedere bene perché ho ancora la vista appannata,
ma strofinando un po' gli occhi riesco a vedere meglio, notando che
seduto sul divano su cui sono stesa c'è un uomo dall'aria
preoccupata ed un po' spaventata.
-Ben
sveglia.-
Cerco
di alzarmi lentamente dal divano mettendomi seduta, ma appena lo
faccio inizio a tremare per l'aria fredda che sento sulla schiena.
-Hai
freddo piccola?-
Sento
un fruscio al mio fianco e subito dopo qualcosa di caldo posarsi
sulla mia schiena. Quando mi volto verso l'uomo noto che ora non ha
più la giacca addosso,
giacca che mi ha posato sulle spalle.
Sento
la mano dell'uomo accarezzarmi dolcemente la testa, cercando di
tranquillizzarmi, ma perché quello più spaventato
sembra lui? Cosa
c’è di tanto spaventoso?
Apre
più volte la bocca, come se volesse dirmi qualcosa, ma poi la
richiude e scuote leggermente la testa.
Anche
se non so chi sia questo signore, non essere sola mi rende più
tranquilla.
La
porta cigola leggermente ed il signore si blocca per qualche secondo,
per poi avvicinarsi un po' di più a me, come se volesse
proteggermi.
Appena
si apre completamente la porta vedo una donna avvicinarsi a noi.
Non
so perché, ma ho voglia di scappare, ma l'unica cosa che
riesco a fare è nascondermi dietro al signore, sbirciando ogni
tanto per tenerla d'occhio.
Ha
un sorriso dolce, ma continua a farmi paura, ma il signore adesso
sembra meno spaventato di prima.
Arrivata
di fronte a me ed al signore, la donna si è abbassata
leggermente verso di me, dandomi un bacio sulla fronte.
-Che
hai piccola?-
La
voce della donna è dolce, così come il bacio di prima,
ma per qualche strana ragione la frase del sogno mi torna in mente e
non riesco a fidarmi troppo.
-Non
dovresti aver paura: sei con la mamma ed il papà adesso.-
Sentendo
la parola mamma sento una strana sensazione, come se ci fosse
qualcosa di sbagliato, di diverso dal solito…
Diverso
dal solito? Perché, come sono le cose di solito?
La
testa mi sta scoppiando, cercando di ricordare qualcosa, qualunque
cosa, ma nulla...nemmeno il mio nome.
-Chi
sono io?-
Sento
gli occhi pizzicare e la vista inizia ad appannarsi, così
strofino leggermente gli occhi, cercando inutilmente
di non piangere. Sento
le lacrime bagnarmi le guance e la bocca, anche se cerco di fermarle
continuano
a scendere.
A
quella frase i due sobbalzano per la sorpresa, ma mentre la
donna...cioè mamma
sembra sollevata, quasi felice, mentre il signore, che dovrebbe
essere papà
è così triste e...sembra che abbia fatto qualcosa di
male.
-Sei
la nostra bambina.-
Perché
sei così felice mentre io non ho ricordi?
-Eleonora.-
Perché
questo nome non mi sembra mio?
*
Due
mesi esatti.
Sono
passati due mesi da quando ho perso la memoria e ci siamo trasferiti.
La
mamma
dice che
mi avrebbe aiutato cambiare aria e di non preoccuparmi troppo della
mia amnesia,
ma è così brutto non ricordare. Ogni
volta che mi sforzo a portare a galla il mio passato non vedo che il
nulla e la testa inizia a girarmi.
Nulla
sembra mio, ma di qualcun altro, nemmeno le parole dolci che la mamma
mi dice o i
teneri
abbracci di papà.
Persino
chiamarli mamma
e papà
mi suona così strano, come se non dovessi chiamarli così.
-Nora
si è fatto tardi: dovresti metterti a letto e dormire. Domani
hai scuola.-
Quasi
cado dalla sedia quando sento mamma
parlare. Non avevo notato che fosse
entrata in camera.
-Ok.-
Quando
mi metto sotto le coperte mamma
mi rimbocca le coperte e mi lascia un bacio sulla fronte, ma, come
ogni sera, ho come l'impressione che manchi qualcosa.
Osservando
la libreria noto il libro di fiabe e favole che papà
mi
ha comprato quando siamo andati tutti e tre in giro per negozi.
Ricordo
di essere rimasta imbambolata
a guardare il bel disegno sulla copertina e il titolo della raccolta
di favole. Non so perché, ma quando l’ho visto ho
sentito, e sento ancora, un forte calore al cuore e non ho potuto che
chiedere di comprarmelo.
-Lascio
la porta aperta, così entra la luce dal corridoio?-
Mamma
apre leggermente la porta e sento il ticchettio dell'orologio a cucù
provenire dall'altra stanza che, non so perché, mi inquieta
parecchio.
-No!-
La
voce mi è uscita più alta di quanto volessi, spero
tanto che mamma non si sia arrabbiata e mi sgridi, ma
detesto il suono di quello stupido orologio e non voglio sentirlo.
La
sua espressione si è fatta accigliata, non capendo la mia
reazione, ed esce dalla stanza lasciando la porta aperta.
I
passi si fanno più lontani, per poi sparire quando sento la
porta della stanza affianco chiudersi.
Non
so perché ogni sera rimane sempre la porta aperta, ma quel
rumoroso ticchettio non riesco proprio a sopportarlo. Meglio chiudere
la porta.
La
stanza appare così tranquilla e sicura al buio, immersa nel
silenzio della sera. Adoro quando posso stare così, senza
poter vedere tutte quelle cose sconosciute, ma quando mi stendo sul
letto sento come se mancasse qualcosa di importante. Non importa
quanto tempo passi, provo sempre quella sensazione.
-Posso
entrare?-
-Si,
ma chiudi la porta.-
Appena
entrato in stanza papà
chiude
la porta alle sue spalle, dato che sa che il suono del cucù mi
da fastidio.
-Come
stai?-
Ogni
giorno papà
me
lo chiede con aria triste e preoccupata, ascoltando sempre con
attenzione la mia risposta.
-Sto
bene, ma è ancora tutto strano.-
Dico
quasi sempre la stessa cosa e papà
sospira
sollevato, per poi guardarmi con lo stesso sguardo di due mesi fa, ma
ora so
come si chiama l’emozione che prova: senso di colpa.
Perché
continui a fissarmi così? Cos’hai fatto di così
cattivo da farti stare così male?
Dopo
avermi accarezzato la testa si avvicina alla libreria, fissando il
libro che ha comprato pochi giorni fa.
-Vuoi
che te ne legga una?-
-Si,
ti prego.-
Ho
davvero tanta voglia di sentirne una e papà
ridacchia
vedendo la mia reazione, ma non riesco a prendermela: è bello
vederlo sorridere grazie a me.
Sentendo
la favola però mi sembra di conoscerla, ma se era la prima
volta che l’ascoltavo, come può essere possibile?
-La
morale è che bisogna tenere sempre gli occhi aperti perché
il male può nascondersi vicino a noi.-
Non
so perché, ma quando ho sentito che la favola era finita ho
sentito il bisogno di dire la morale, come se qualcuno stesse per
chiederlo.
Papà
sembra così pallido adesso, illuminato dalla luce della
lampada sul mio comodino.
-Come
fai a conoscerla?-
Sembra
così spaventato dalla risposta così decido di dire una
bugia, anche perché non so nemmeno io come faccio a
conoscerla.
-Me
l'ha raccontata una mia amica a scuola.-
Sentendo
quella bugia papà
sembra
calmarsi e posa il libro al suo posto per poi augurarmi la buonanotte
ed uscire dalla stanza, mentre io sento le palpebre farsi più
pesanti ed il sonno avvicinarsi.
-Amaris.-
-Perché
mi chiami così?-
-Perché
sei nata a mezzanotte, nella notte più lunga dell'anno,
proprio come me. Sai, il tuo nome significa figlia della luna,
la
signora della notte.-
-Chi
sei?-
-Non
ti ricordi più di me?-
Perché
questa voce mi sembra così familiare e dolce, ma sconosciuta?
Perché ho come l'impressione sia l'unica cosa ad appartenermi?
-Meglio
così. Senza ricordi sei al sicuro, piccola mia.-
*
Le
due piccole porticine dell'orologio si aprono, facendo uscire il
piccolo cucù che inizia a cantare.
È
da anni che quell'orologio riesce a svegliarmi tutte le notti, o
almeno mi sveglia da quattro anni a questa parte.
Per
lo meno oggi posso girare indisturbata per casa, dato che mamma
e
papà
sono
usciti per un appuntamento.
Sulla
scrivania c'è ancora un foglio con soli tre nomi scritti
sopra: davvero un albero genealogico sterile.
Inizialmente
non mi importava tanto questo compito di scuola, ma le risposte
evasive dei miei non fanno che insospettirmi e l'unico luogo dove
potrei trovare le risposte che cerco è lo studio di mia madre.
Di
fronte alla porta della stanza sento una strana sensazione di
angoscia.
-Non
farlo Amaris.-
Quella
voce...perché la sento da sveglia? No, non è il momento
di pensarci, probabilmente è solo la mia fervida
immaginazione..
Quando
abbasso la maniglia la luce si spense a causa di un blackout che ha
colpito probabilmente tutto il quartiere, dato che la luce dei
lampioni all'esterno non illuminano più il corridoio, e la
porta stranamente non si apre, come se qualcuno la tenesse chiusa
dall'altro lato.
Forse
è solo una mia strana idea e, molto probabilmente, è
solo colpa del vento che entra della finestra aperta dello studio a
bloccarla. Non posso spaventarmi per una sciocchezza simile: non sono
più una bambina che si impressiona per le sue stupide fantasie
infantili.
-Fermati.-
È
la prima volta che sento quella voce tanto preoccupata e la cosa mi
spaventa, ma quando i lampioni all'esterno si riaccesero, illuminando
nuovamente il corridoio, la porta dello studio si aprì.
Coincidenze,
solo coincidenze.
Mamma
ha rimasto le luci tutte accese, meglio non spegnerle altrimenti
potrebbe scoprire che sono entrata qui senza permesso.
Non
dovrei metterci troppo a trovare ciò che mi serve, dato che
qui regna l'ordine assoluto ed ogni documento è nel suo
raccoglitore, messi in ordine nella libreria, ma...cos'è quel
libro sulla scrivania?
No,
non è un libro, ma un album di mie foto da piccola, ma non
l'avevo mai visto prima di adesso: i miei hanno detto che le avevano
perse tutte durante un trasloco. Perché?
Sfogliando
l’album noto che in quasi tutte le foto sono o sola o con la
mamma, ma sembra così diversa nelle foto, più dolce e
sorridente.
Ma
dov'è
papà?
Perché non c'è in nessuna foto?
Sull'ultima
pagina c'è scritto "alla
mia gioia più grande, Amaris".
Cosa
sta succedendo? Sta diventando tutto troppo strano. Meglio chiudere
quest'album, controllare solo i certificati di nascita e poi uscire
subito da qui.
I
certificati di nascita sono qui ed ecco i nomi dei nonni, ma il mio
certificato non c'è.
Perché?
Meglio
posare questi documenti e uscire. Forse hanno solo messo altrove il
mio e poi non ne ho nemmeno bisogno.
Sulla
libreria, dove c'era il raccoglitore, vedo una foto.
Strano
posto dove metterla, si è riempita di polvere, che schifo.
Pulendo
la foto vedo che ci siamo io e la mamma che mi tiene in braccio sulla
sinistra, a destra c'è papà
ed
al centro....mamma!
All'improvviso
nella mia mente dei ricordi si fecero strada, accompagnate da
sensazioni ed emozioni ormai dimenticate.
-Perché
se l'incidente l'hai causato tu io sono diventata sterile mentre tu,
una lurida troia, hai una figlia? Perché?!-
La
mamma
impugna un paio di forbici puntate al petto della mamma, della mia
vera
mamma
Vederle
entrambe, una di fronte all'altra, da quasi l'impressione di guardare
una persona riflessa in uno specchio, se solo non fosse per lo
sguardo crudele e glaciale della mamma.
-Ti
prego, fa di me ciò che vuoi sorellina, lo merito, ma non far
del male ad Amaris.-
Le
forbici affondano nel petto di mia mamma seguendo il tempo dettato
dal fastidioso ticchettio del cucù presente nella stanza.
Improvvisamente
la
mamma,
con le mani sporche e viscide, si avvicina stringendo saldamente le
forbici.
Papà
cerca
di bloccare la
mamma
sussurrandole una
semplice frase.
-Se
la lasci in vita potrai avere la figlia che tanto desideravi, che
tanto desideravamo.-
Un
medaglione dondola lentamente davanti ai miei occhi.
-Piccola,
guarda attentamente il ciondolo e ricorda: tutto questo non è
mai successo. Tu non ricordi niente-
La
corrente salta di nuovo e io rimango completamente al buio, mentre mi
rendo conto di essere caduta a terra.
-Scappa
piccola.-
Il
suono della porta d'ingresso mi fa risvegliare dalla trans. Io non
dovrei essere qui, devo uscire, ma le gambe non vogliono collaborare.
Sento
i loro passi sempre più chiaramente: si stanno avvicinando,
non posso più scappare. Non voglio che lei mi trovi
qui, in questa stanza, ed inizi a sospettare che ho scoperto
qualcosa, ma cosa faccio?
La
finestra chiusa, la porta socchiusa, la libreria, le tende e...la
scrivania! Non è granché come nascondiglio, ma è
l’unico posto dove posso nascondermi, così afferro la
foto e mi nascondo.
-Perché
la porta è aperta?-
La
voce di quella donna, ancora fuori dallo studio, mi fa accapponare la
pelle: mi sembra ancora di sentirla stridula e glaciale come quella
notte, l'odore del suo costosissimo profumo floreale sostituito dalla
puzza del sangue.
-Calmati
cara, l'avrai dimenticata.-
Quell’uomo
cerca di tranquillizzarla con voce poco ferma e spero vivamente che
creda alle sue parole, ma se non ha convinto me il suo tono di voce
incerto dubito che abbia convinto lei.
-Io
non la dimentico mai aperta. Sarà stata Eleonora.-
Dannazione,
mi ha scoperto! Se solo avessi chiuso la porta prima di nascondermi
non l’avrei insospettita e, dopo qualche minuto, sarei potuta
sgattaiolare via.
Sento
la porta sbattere contro la libreria vicino ad essa. Se non mi fossi
subito morsa le labbra avrei sicuramente urlato per la paura.
Non
devo far rumore, non devo far sentire il mio respiro pesante. Premo
con forza le mani sulla mia bocca per non far uscire nemmeno un fiato
mentre sento i miei occhi pizzicare.
Il
cuore mi batte talmente forte da sentire ogni singolo battito
rimbombarmi nelle orecchie, ma nonostante questo riesco a sentire
ogni minimo suono: il respiro leggermente agitato di lei, i suoi
passi decisi che si avvicinano sempre di più alla scrivania.
Ho
i muscoli talmente tesi da farmi male e quando la vedo avvicinarsi
alla scrivania non riesco a non schiacciarmi alla parete opposta,
come se servisse a qualcosa. Mi sembra di essere nascosta qui sotto
da ore, il tempo sembra non passare più.
Fortunatamente
il buio e le pareti laterali della scrivania mi hanno aiutato a
nascondermi, altrimenti mi avrebbero scoperto all’istante.
La
vedo prendere una chiave dalla tasca ed aprire un cassetto della
scrivania e, dopo aver frugato un po’, la sento tirar fuori
qualcosa e vedo quell’uomo fare un passo per allontanarsi da
lei.
-Cosa
vuoi fare con quelle forbici?- dice quell’uomo leggermente
spaventato e, mentre lei si volta lentamente, continua a parlare,
sconvolto. -Perché le hai conservate?-
Lo
sento deglutire per poi sentire nuovamente i suoi passi avvicinarsi
ed una parte di me teme che possa vedermi.
-Non
vorrai farle del male? Lei è la nostra amata figlia, ricordi?-
Nonostante
la situazione e la paura di prima, sembra molto più deciso e
dalla sua voce sembra che voglia davvero proteggermi.
-Devo
farlo, è tutta colpa sua se non posso avere una figlia.-
Il
suo tono di voce mi fa gelare il sangue, identica a come l’avevo
sentita quel fatidico giorno, quando ha ucciso mamma e mi ha
rubato la mia identità.
-Cosa
stai dicendo? Lei non ha fatto nulla amore.-
La
voce gli trema un po’ e cerca ancora di tranquillizzarla.
Probabilmente persino lui è terrorizzato da ciò che sta
succedendo, ma nonostante ciò fa scorrere le sue mani sulle
braccia di quella donna, per poi poggiare la mano tremante su quella
armata della donna.
-Adesso
posa la forbice ed andiamo a dormire, okay?-
Quando
cerca di toglierle delicatamente le forbici dalle mani, lei ha uno
scatto e cerca di allontanarlo bruscamente, mentre lui le teneva
saldamente il polso, cercando ancora di disarmarla.
Diverse
volte urtano la scrivania ed io cerco di farmi sempre più
piccola, cercando di non farmi sentire o che mi colpiscano per
sbaglio, scoprendo il mio nascondiglio.
Sono
terrorizzata e confusa: non so che fare e riesco soltanto a chiudere
gli occhi sperando che sia tutto un incubo, di risvegliarmi nel mio
letto con il fastidioso ticchettio di quel maledetto cucù.
-Lei
continua a perseguitarmi usando Nora, vive dentro di lei.- urla
quella donna con voce stridula. -Se non la uccido mi porterà
via tutto.-
Perché
sta succedendo tutto questo? Mi mordo la guancia per trattenere i
singhiozzi causati dal pianto. Ho troppa paura.
Improvvisamente
sente uno strano suono viscido ed un respiro strozzato, spingendomi a
spalancare nuovamente gli occhi.
Gocce
di sangue cadono sul pavimento mentre dei lamenti si fanno più
forti, per poi sentire lo stesso suono che sentii ripetutamente anni
fa: quello delle forbici strappato fuori dalla ferita.
Vedo
cascare il corpo di quell’uomo, mentre alle piccole macchie di
sangue si aggiungono tante altre gocce, formando una pozza rossa
sotto di lui che continua ad allargarsi a causa della ferita che ha
all’addome, nonostante provasse a diminuire la perdita di
sangue premendo sulla sua ferita.
Quando
appoggia la guancia sul pavimento lo vedo sgranare gli occhi,
scoprendo il mio nascondiglio e vedo i suoi occhi farsi lucidi mentre
mi lancia uno sguardo carico di sensi di colpa.
Nonostante
avesse pugnalato suo marito, lei scavalca il corpo di quell’uomo
come fosse spazzatura, per poi uscire dallo studio, chiamandomi
Eleonora con estrema dolcezza, in netto contrasto con la sua follia e
la sua voglia di uccidermi.
-Scusami.-
mi dice papà con voce flebile e le lacrime agli occhi, per poi
deglutire e continuare a parlare. -Ti prego scappa via da qui e non
voltarti.-
Non
me lo faccio ripetere due volte e, anche se mi dispiace, lascio papà
dietro di me ed avvicinandomi all’uscio della porta sbircio nel
corridoio dove si trova quella donna, vedendola entrare in camera
mia, in direzione opposta all’uscita.
Questa
è la mia occasione!
Inizio
a correre verso l’ingresso più velocemente possibile e
prendo velocemente le chiavi di casa, facendo però cadere a
terra un soprammobile, il quale si frantumò causando un enorme
frastuono. È impossibile che non lo abbia sentito, devo
sbrigarmi ad aprire quella maledetta porta.
Sento
delle sirene in lontananza mentre inserisco la chiave nella
serratura, probabilmente qualcuno ha sentito le urla provenire da
qui.
-Eleonora!-
Urla
mentre la sento avvicinarsi, facendosi sempre più vicina, per
mia fortuna però la serratura finalmente scatta, ma appena
provo ad aprire la porta una mano mi afferra i capelli tirandomi
all’indietro mentre cerco inutilmente di liberarmi.
-Avrei
dovuto farlo tempo fa.-
Mi
sussurra dolcemente all’orecchio, per poi sentire quella
forbice conficcarsi nella schiena e le forze venirmi meno, mentre
sento qualcuno spalancare la porta di casa, ma ormai c’è
soltanto il mio amato buio a coprirmi gli occhi.
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