Sogno di mezza tratta

di comeluomsetterna
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Il primo treno della mattina arriva in silenzio, facendosi strada tra l'oscurità della notte che ancora non ne vuole sapere di cedere il passo al giorno.
Degli occhi si guardano intorno, cercano speranzosi il bagliore dell'alba.
Non lo trovano.
È ancora troppo presto.
Scrutano il buio con attenzione, come se volessero trovare un qualche presagio della sua imminente fine.
Non trovano niente, nessuna luce, nemmeno la più fioca.
Il sole è ancora troppo lontano.
Il treno invece è ormai arrivato.
Il rumore dei freni riscuote tutti, per un momento. Eppure anche quello sembra più leggero, più gentile. C'è da giurare che sia meno rumoroso del solito.
Poche persone, assonnate e cupe, si avvicinano alle porte.
Salgono.
Qualcuno stringe gli occhi per la luce improvvisa, qualcun altro tiene gli occhi bassi, senza guardarsi troppo intorno. Ciascuno cerca il suo posto, senza pretese, e si siede, con un sospiro.
Inizia una nuova giornata. Mai come in quelle mattine si riesce ad avere il tempo di pensarlo.
"C'è il tempo di fare tutto" viene da pensare, "se il sole ancora non è sorto, si può ancora pensare che non lo farà mai più, che mai più ci sarà il tempo".
Finché il sole non viene a mostrarci le ore, si può ancora sognare.
Due palpebre si abbassano lentamente, poi si chiudono.
Il treno parte.

Un rumore costante, e un tremolio leggero, cullano e ristorano un'anima privata della realtà.
Il ricordo lontano dell'odore di pane appena sfornato, sentito lungo il tragitto fino alla stazione, la riporta lungo una strada.
Il sole è sorto ormai, le macchine e i camion passano avanti e indietro.
Cammina veloce, sa di essere in ritardo. In ritardo per cosa? Non lo sa. Dei ragazzi le passano davanti, parlando tra di loro.
Lei si concede un secondo per guardarsi intorno, poi riporta gli occhi sull'orologio.
Troppo tardi, troppo tardi.
Da lì a poco qualcosa finirà, finirà per lasciare posto a qualcos'altro.
Proprio mentre pensa questo, il minuto sul suo orologio cambia, lascia il posto a quello successivo. Il minuto prima è perso e tutto intorno a lei sembra portarne i segni: il gruppo di ragazzi che le sono passati davanti ormai è arrivato in cima alla strada, il camion bianco, che poco prima le è sfrecciato accanto, è arrivato al magazzino.
Che cosa demoniaca, il tempo.

Continua a camminare, frenetica. Accelera il passo, sa che deve evitare lo scorrere dei minuti, perché la realtà sta fuggendo via.
Un altro minuto passa irrimediabilmente.
Cosa è rimasto dei secondi che sono passati? Tutto è cambiato, ancora una volta.
La realtà finisce esattamente dove comincia, si avvelena del suo stesso nutrimento: il tempo.
Ormai la sua camminata è diventata una corsa, ormai si perde anche lei come si perdono i secondi, non ha più fiato, non ha più respiri.
Finché un suono non fa crollare il marciapiede sotto i suoi piedi. Quello crolla, crolla lei, crollano le sue convinzioni.
Il rumore familiare di una frenata raccoglie tutto.
Il treno si ferma.
Degli occhi si aprono.
Incontrano la propria immagine spaurita, riflessa nel vetro per le luci forti della carrozza.

Ma fuori è ancora buio. Fuori c'è ancora una speranza d'eternità.
Un sorriso tenue nasce: siamo ancora solo a metà tratta.
E, finché non arriverà l'alba, possiamo ancora credere di non avere una meta.





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