Fandom:
One Piece
Rating: Verde
Personaggi/Pairing: Mugiwara no Ichimi, Portgas D. Ace
Tipologia: Flash-fic
Genere: Slice of Life, Sentimentale
Avvertimenti: Polyship, Modern!AU, menzione di
omofobia
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò
che deriva dalla trama ufficiale
da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono.
Note: Scritta per il compleanno di Monkey D. Rufy (5/5)
A HEART BIG ENOUGH TO LOVE YOU ALL
Quando
Sanji aprì la porta dell'appartamento che
divideva da anni con i suoi amici di sempre, si aspettava di vedere il
brutto
muso di Zoro, arrabbiato perché ci aveva messo troppo a
uscire dalla cucina per
accoglierlo a casa; quello che non si sarebbe mai aspettato di vedere
era il
viso livido di rabbia di Ace.
Sanji
non conosceva bene Ace, sapeva che era il
fratello maggiore di Rufy – quel piccolo, dannato fulmine
iperattivo che si era
rubato il suo cuore e quello di tutti gli altri e che non voleva
lasciarli andare
neppure sotto tortura -, l'iperprotettivo e ossessionato fratello
dell'ultima
aggiunta al loro piccolo cluster.
Certo,
l'aveva incontrato un paio di volte, la prima
quando Ace stesso aveva accompagnato Rufy a casa loro per una cena
informale e
un film, ed era rimasto colpito dal suo sguardo assassino – a
metà tra Hannibal
Lecter e Billy, la marionetta di Saw – che gli aveva
riservato non appena Rufy,
sceso di volata dall'auto, gli si era gettato addosso rischiando di
soffocarlo;
Sanji, che a qualunque richiamo a una possibile famiglia biologica
scappava a
gambe levate imprecando in tutte le lingue che conosceva, aveva provato
una
strana gelosia nel vedere quello sguardo, che identificava come dettato
dalla
preoccupazione e dal desiderio di sapere che una persona a cui si tiene
stia
bene.
L'aveva
incontrato una seconda volta, all'uscita
dall'università, quando lui e Nami erano andati a trovare
Rufy per invitarlo a
venire da loro quella sera, ma già a quel punto i rapporti
si erano distesi al
punto che Ace aveva perfino scambiato due parole con loro, parole che
–
fortunatamente – non erano minacce di morte.
Tuttavia,
trovarselo sulla porta di casa non era
qualcosa che si sarebbe aspettato e già la sua mente era
partita in quarta,
elaborando possibili scenari catastrofici che riguardavano Rufy:
altrimenti perché
Ace si sarebbe scomodato a venire fin lì?
Sanji
lo osservò meglio, notandolo bagnato per la
pioggia e visibilmente ansimante.
Mosso
un passo di lato, gli fece cenno di entrare e,
senza dire una parola, sparì in bagno per procurarsi degli
asciugamani puliti
da offrirgli; una volta radunati, ritornò nell'ampio open
space che formava
parte della zona giorno della loro casa e lo trovò in piedi
davanti alla porta,
chiusa alle sue spalle, ma altrimenti immobile.
«Tieni,
rischi di prenderti un raffreddore
altrimenti. Metto su una tazza di tè intanto.»
«Non
è necessario.»
«Decido
io cos'è necessario e comunque Rufy mi
ucciderebbe se sapesse che non ti ho accolto a dovere.»
«Allora
grazie.»
La
preparazione durò pochissimi minuti, complice
anche l'acqua ancora calda dentro il bollitore, e in breve era di nuovo
nell'open space, con in mano un vassoio che portava due tazze, una
teiera e
alcuni biscotti; Ace si era seduto sul divano e continuava a sfregarsi
i
capelli nel tentativo di asciugarli il più possibile.
Accettò di buon grado la
tazza di Sanji e, seppur tremando – se di freddo o altro
Sanji non riusciva a
capirlo del tutto -, ne buttò giù un sorso cauto.
La
sensazione di calore gli arrivò fino alla punta
dei piedi, rilassandolo un poco.
«Che
è successo, Ace? Non per passare come
maleducato ma è raro vederti qui e sembri sconvolto.
Cos'è Rufy ha dimenticato
a casa il cellulare e non sapevi come raggiungerlo?» forse
era stato un po'
brusco ma Sanji cominciava seriamente a preoccuparsi per la situazione.
«No,
cioè… L'ho sentito poco fa e speravo fosse
già
arrivato qui, mi ha detto che ha chiamato Robin-san… Ah, che
situazione.»
Robin?
«Hai
detto Robin-chan? Ma Robin-chan oggi è…»
«Sì,
è in università mentre Rufy dovrebbe essere al
lavoro. Ma deve essere successo qualcosa e Robin-san ha detto che
sarebbe
uscita prima per andare a prenderlo. Ma visto che ho cercato
più volte di
contattare entrambi senza successo, sono venuto qui di corsa.»
Sanji
non ebbe neppure il tempo di riorganizzare i
propri pensieri che, in quel momento, la porta di casa si
aprì con uno schiocco
della serratura e, nella luce del pianerottolo, apparvero le ombre di
Robin,
più alta, e di Rufy, più minuta e stretta a
quella della donna più anziana.
In
un attimo, Sanji e Ace furono in piedi e davanti
a loro: sotto il loro sguardo preoccupato, Rufy teneva lo sguardo basso
mentre
Robin gli cingeva le spalle con fare protettivo e l'aria assassina di
Mata Hari
in missione.
«Ace-san,
potresti accompagnare Rufy nella stanza di
Zoro e fargli indossare un pigiama pulito? Rufy sa la strada.»
Gettatosi
sul fratello, Ace strinse a sé il più
giovane prima di sparire entrambi nel corridoio buio che portava alle
camere da
letto, lasciando i due amici in mezzo alla stanza a fissarsi,
comunicando
silenziosamente con lo sguardo.
Senza
dire nulla, Robin prese Sanji per il polso con
delicatezza e lo guidò al divano; si sedette per prima,
facendo cenno al biondo
di imitarla subito dopo. Lui obbedì e, con la schiena contro
il bracciolo, la
guardò negli occhi, chiedendole, quasi supplicandola, di
dargli una
spiegazione.
«Rufy-kun
mi ha chiamata.» iniziò lei mentre
intrecciava le mani in grembo: «Sembrava strano, mi ha
chiesto cosa
significasse una certa parola, no, non la ripeterò, non se
riferita a Rufy-kun,
e alla mia richiesta di spiegazioni mi ha chiesto di andare a prenderlo
al
lavoro e portarlo qui, non voleva vedere Ace-san. Da quel poco che sono
riuscita a capire, un suo kohai all'università è
andato a trovarlo al lavoro e
ha visto la nostra foto a Disneyland sul suo cellulare, ha
visto… la foto con
te e Zoro-kun.»
Ora
tutto cominciava ad avere un senso ma ciò non
significava che la rabbia di Sanji diminuisse.
Anzi,
se possibile, era soltanto aumentata.
Dopo
aver tirato fuori dalla tasca il proprio
cellulare, con un vago sorriso a illuminargli il viso nel vedere la
stessa foto
di cui parlava poco prima Robin-chan ammiccargli dallo schermo del
dispositivo –
ricordava la sensazione delle proprie labbra sulla guancia di Rufy e lo
sguardo
di sfida che si era scambiato con Zoro, che gli stava di fronte, a
imitare il
suo stesso gesto sull'altra guancia del ragazzo più giovane.
Una
delle giornate più belle che Sanji avesse mai
vissuto, doveva ammetterlo, insieme senza dover nascondere neppure un
gesto
d'amore tra i numerosi che avevano condiviso tra loro in quella
giornata.
Dopo
aver aperto la finestra di una chat privata di
gruppo, scrisse soltanto «Tornate a casa. Problemi con
Rufy.»
In
pochi secondi, i sei assenti risposero con un
lapidario e univoco «Arriviamo.»
Fu
in quel momento che Ace ritornò, senza Rufy: «Si
è addormentato, mi ha raccontato tutto. E ho una voglia
enorme di spaccare la
faccia a quel bastardo che ha osato chiamare
«checca» il mio fratellino.» disse
lui con voce strozzata e l'espressione di chi desiderava vendetta.
Robin
guardò Sanji, che era impallidito, e scoccò
un'occhiataccia a Ace, il quale tuttavia non ci diede alcun peso,
impegnato
com'era a dare pugni violenti e furibondi al cuscino più
vicino.
«Gli
altri stanno tornando a casa, appena saranno
qui ne parleremo e troveremo una soluzione tutti insieme. Ace-san, noi
abbiamo
a cuore il benessere di Rufy-kun e questo evento non resterà
impunito, è una
promessa.» Robin posò una mano sul polso di Ace
nel tentativo di calmarlo;
tuttavia, questi la respinse, continuando la propria aggressione al
cuscino: «Oh,
ma non la passerà liscia. Nessuno può insultare
Rufy e chiunque lui abbia deciso
sia degno del suo affetto.»
«Pensavo
non ti piacessimo, Ace.»
«Non
ho mai detto nulla di tutto questo, Sanji-san.
Siete meglio di tanti altri, e comunque l'unica cosa che mi preme
è che nessuno
gli faccia del male, per il resto le sue relazioni sono affare suo e di
nessun
altro, e di sicuro non mio.»
A
quelle parole, la tensione nello stomaco di Sanji
si attenuò un poco mentre Robin sorrideva gentile
all'indirizzo di Ace; ben
presto gli altri sarebbero tornati, avrebbero parlato e trovato la
maniera più
adeguata per punire il responsabile.
Ma
prima, Sanji aveva una cosa da fare.
Alzatosi
dal divano, il giovane cuoco si stiracchiò
prima di dirigersi verso la zona notte dell'appartamento:
«Chiamatemi quando
arrivano gli altri, io vado da lui.»
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