Orizzonte scarlatto

di Sophie Ondine
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Orizzonte scarlatto

 

Era mia madre quella che adorava il mare. Ricordo che pregava spesso papà di portarci lì, tutti insieme.
Di tempo ne è passato da allora, ma io, nonostante la mia natura di mezzo demone mi abbia fatto il dono della longevità, ho ancora davanti a me il suo viso sorridente, soprattutto quando mio padre l’accontentava in quella sua richiesta.
Sono nato in una famiglia strana, io: padre mezzo-demone e madre da un’altra epoca, che aveva il profumo di un favola nei suoi racconti della buonanotte. Quando ero solo un bambino, non capivo molto di quello che mi stava intorno: non sapevo quanto fossi fortunato, ad avere entrambi i genitori, a vivere in un villaggio pacifico e circondato da persone che mi volevano bene.

Ogni piccola ruga del mio viso di vecchio è il ricordo di quelle persone che ho incontrato durane questo lungo viaggio: lo zio Miroku e la zia Sango, seguiti dalla faccia sorridente di Rin accanto all’austero Sesshomaru, e poi ancora il piccolo Shippo, Kohaku, la vecchia Kaede, il bizzarro Jaken. Tutti loro sulla mia pelle.

Affondo una mano nella candida sabbia e la osservo scivolare tra le dita, così come sono scivolati questi anni, talmente tanti che ormai non so più quanti ne abbia. La storia è andata avanti, ere si sono susseguite e così i loro protagonisti. Io sono stato spettatore involontario al cambiamento del mio paese, ho visto a poco a poco i demoni svanire da questo mondo ed ora che sono vecchio, mi accorgo che mi sto affacciando sull’epoca dalla quale veniva mia madre.
È buffo pensare a quanto mi sembrasse una favola la sua storia, quando invece era la nostra vita ad essere una meravigliosa fiaba, una storia lunga una vita, una ninna nanna dolce e confortante.

I miei occhi stanchi vagano sul panorama che mi si presenta davanti: il mare limpido che si infrange dolcemente sulla battigia.

Mamma aveva l’abitudine di buttarsi in acqua con il suo vestito da miko arrotolato lungo le gambe, sorrideva a papà, che mi teneva in braccio, e poi iniziava a schizzarci con la freschezza di una bambina. Mio padre, dopo qualche minuto di proteste, si univa, incitando anche me, a quella lotta. Io ridevo e battevo le mani.
Era bella la mamma, con i lunghi capelli neri sciolti al vento e che a fine giornata erano ancora umidi. Era bella quando si girava a guardare papà, era bella quando si avvicinava a darmi un bacio.
Appoggio la testa sul freddo scoglio e chiudo gli occhi: sento che la mia esistenza sta volgendo al termine.
La Morte mi sta porgendo la sua mano ossuta ma io non ho paura.

Chiudo gli occhi e l’ultima cosa che vedo è l’ombra delle mani di mia madre e di mio padre intrecciate, le cui sagome si stagliano sull’orizzonte scarlatto della mia infanzia.





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