Il viaggio è trascorso
in silenzio. La mano di Clint è rimasta stretta in quella di Natasha
(i guanti ancora umidi di pioggia, gli abiti che hanno gocciolato
sul sedile), ma il suo sguardo si è incastrato al riflesso sul
finestrino del jet, cercando negli orli sfocati del paesaggio
un'allucinazione: il volto di Laura e le risate dei ragazzi.
L'ha guardato vagare
per i corridoi del quartier generale – un cane sciolto senza più
padrone, nè famiglia. Dietro di lui impronte bagnate, che al mattino
sarebbero svanite.
Cinque anni fa aveva
avuto paura fosse successo anche a lui: scomparso come un'impronta
ormai asciutta.
La propria stanza si
trova a una porta di distanza.
Entra con un passo.
Chiude gli occhi. Sorride. Alle sue spalle arriva il fresco odore di
pioggia giapponese e lo spazio accanto a lei, che fino a quel
momento è rimasto vuoto, si riempie di nuovo di Clint.
Di parole non ne hanno
bisogno. Basta il contatto delle loro mani che si ritrovano anche
nel buio. Si incrociano, si incastrano e nella carezza callosa dei
polpastrelli, Clint le chiede di restare con lui. Nessuno conosce i
segni che la solitudine ti lascia addosso meglio di Natasha; si
imprimono dietro agli occhi e ti guardano, ti ascoltano
dormire, ti svegliano nel mezzo della notte e fanno la conta di
quello che hai perso o non hai mai avuto. Clint aveva tutto e ha
perso tutto. Ha lasciato anche il proprio arco, infilzato in un
parco ai piedi di un bersaglio colpito da sua figlia cinque anni
prima.
Natasha annuisce, si
muove verso il letto e lo trascina con sé.
L'uomo la segue per
imitazione – per troppo tempo sono stati solo lui e la sua katana e
quando Natasha siede al bordo del materasso, Clint deve ricalibrare
i movimenti, riprendere misure che facciano rientrare anche lei nel
proprio spazio vitale. Ma nel momento in cui le torna vicino, i
muscoli hanno già ricordato cosa fare: si volta a occhi chiusi e
poggia la fronte alla sua.
Il respiro di Natasha è
leggero, ha la consistenza di una parola non pronunciata. Gli
solletica la punta del naso e si deposita tra le labbra, come un
bacio mai scambiato, rimasto sospeso nel tempo ad attendere un
momento che non è mai stato quello giusto tra loro.
Clint le raccoglie la nuca nel palmo e piega la testa. Natasha non
ha bisogno di istruzioni per capire cosa voglia, è la stessa cosa
che vuole lei: un po' di pace. Non il silenzio tormentato che Thanos
ha impacchettato per il mondo, quella non è pace, quella è
impotenza, consapevolezza, è la resa dopo il lancio di una moneta da
cui è uscito croce.
La pace la trovano ora,
fugace e fragile, mentre Natasha si sdraia e Clint le poggia la
testa al seno. I suoi vestiti aprono aloni umidi sul suo corpo e tra
le lenzuola, ma non sarà un po' d'acqua a lavare via il sangue di
cui entrambi sono macchiati.
Natasha gli avvolge la
nuca tra le braccia, gli passa una mano tra i capelli e gli preme
l'indice sul lato rasato, per seguire il piccolo solco di una
vecchia cicatrice.
Clint si riabitua pian
piano alla sua presenza. Le accarezza i fianchi, le ruba calore e,
con l'orecchio premuto al suo petto, le ruba anche battiti di cuore.
Sono anni che non ne sente uno vivo, perfino il proprio ha
smesso di battere per iniziare a perdere sabbia, come una clessidra
a cui abbiano tolto il fondo. Ha aspettato che si consumasse, ma
Natasha è arrivata prima, pronta a salvarlo un'altra volta.
Di cosa sia significato
tutto quello per lei può solo immaginarlo, ma il dolore lo ha
reso egoista, lo ha svuotato, lo ha riempito di naftalina e ha
impermeabilizzato il suo interesse. Di cosa sia significato per lei
non glielo chiede e non vuole sapere. Quello che vuole è una cura
per entrambi, un momento per tornare a sentire qualcosa che non sia
il sangue drenato dal suo cuore o gli echi di un mondo
all’improvviso divenuto troppo vasto. Qualcuno che lo conosca
abbastanza da sapere in che ordine risistemare quell'accozzaglia di
pezzi che gli sono rimasti e in cui non si riconosce più.
Si stringe a Natasha,
si seppellisce nel suo abbraccio, in un profumo dolce che gli
ricorda Budapest e che, al contempo, è completamente diverso, come i
propri ricordi di quei giorni.
Nessuno dei due dorme
quella notte; ad occhi chiusi si ricaricano dell'esistenza l'uno
dell'altra e quando l'alba grattugiata dalla tenda ricopre di punti
dorati l'intreccio dei loro corpi, Clint parla a voce rauca. «Se
qualcuno doveva riuscirci, non potevi che essere tu.»
«Riuscire a fare cosa?»
Clint alza la testa,
gli abiti che gli si sono ghiacciati addosso. Sorride, avvicina le
labbra a quelle di Natasha e sulla sua bocca appoggia la risposta,
gliel'affida come un segreto e come tale non lo condividerà con
nessun altro.
«A ridarmi speranza.» |