Il Sopito

di Jibian
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Io nutro.
Io nutro sempre.

Non so da quanto tempo vada avanti questa storia, ma io lo nutro.
A volte ho dei dubbi su ciò che faccio, ma non posso desistere, io nutro.
Il suo nome è Yvren-kalàr ed io sono il suo fedele servitore.
Oramai le urla degli sventurati viandanti raccolti dai figli del padrone nemmeno tangono più le mie vecchie corde. Ero come loro, solo e spaventato in balia di una magnificenza che non potevo capire.
Però sono stato scelto, io dovevo nutrire.

La prima volta che lo vidi non riuscii a comprenderne la magnificenza, la mia mente non era pronta all’idea che la forma umana, da tanti considerata frutto della mano di un dio, fosse così effimera in confronto a Lui.
Venni salvato mentre percorrevo un sentiero di montagna, mi dilettavo osservando la natura di un mondo così patetico. Urlai e corsi alla vista della prole del Sopito. Un corpo tozzo e nero come il fumo di un incendio furioso sorretto da quattro grosse gambe dotate di zoccoli. Nessuna testa o volto adornava i corpi delle creature ma solo un singolo braccio artigliato posto sulla sommità del tronco. Trascinato come un qualunque tributo venni portato giù nelle profondità dei monti ove l’uomo non metteva piede volontariamente da secoli e dove non avrebbe mai più potuto perché regno di qualcosa che non meritano di vedere. Lì vidi la sagoma della perfezione, un grumo di carne alto più di 20 metri insediato in burrone all’interno della grotta. Sul lato superiore una serie di occhi sbarrati da palpebre sottili adornavano la superfice di ciò che potremmo chiamare volto come una decorazione artificiale. Tentacoli inerti si appoggiavano sulle rocce delle pareti scosse dai sogni che abitano la sua mente. Liquidi violacei colano da diverse cavità sul fondo del pozzo oscuro su cui si trova mentre diversi getti vengono scagliati per la sala a seguito di contrazioni involontarie del corpo di sua eminenza. Infine, aperta come una stella a quattro punte si trovava ciò che mi avrebbe atteso nei secoli a venire, la sua bocca. Venni posto al suo interno scalciante e terrorizzato ma dopo poco la mia mente venne aperta alla verità.
Il signore è stanco, il signore è ferito. Un folle abominio lo ferì eoni addietro.

Il signore merita di più, per questo io lo nutro. Non può masticare, lo farò io per lui.
Mordo un pezzo di carne. Lo mastico. Lo nutro.
Portate altri sacrifici, il padrone ha fame.
Evitate che piangano, il signore ha sonno.
Per questo mastico, per questo nutro.

Io nutro sempre.
Io nutro.




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