L'hotel Infestato

di AlsoSprachVelociraptor
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Era come un miraggio, pallido nella luce tiepida dei radi lampioni fuori dalle finestre e i tuoni che ogni tanto illuminavano il pavimento di pesante legno.

Le sue dita scorrevano sulle corde della vecchia chitarra con delicatezza, con la sua delicatezza, e i suoi lunghi capelli rosso amaranto coprivano il suo viso dal colore inumano.

Il suo viso… l’ultima volta che l’aveva visto, quando l’aveva mozzato con il machete dal resto del corpo, era un tripudio di vermi e di pelle che si stava staccando dall’osso bianco come la luce del sole. 

Doveva farlo, c’era scritto sul libro che le avevano dato delle anziane dell’isola. Doveva farlo, o Jo sarebbe morta come lui. Lo fece anche tra le lacrime e i conati di vomito nel tenere tra le mani un martello ricoperto di cervella marcite e sangue secco e putrefatto.

Gli occhi di Abby si riempirono di lacrime a quel ricordo. Ken era sempre stato bellissimo, ineffabile eppure così palese e scontato da non averlo mai davvero realizzato finché non ebbe più davanti il suo viso, ma quello della figlia che avevano avuto assieme, e assomigliava tremendamente al padre.

-Smettila- ringhiò Abby, appena un sussurro stretto tra i denti. Kenneth non smise, ma alzò lo sguardo, trovandosi contro due occhi tristi, mai blu e mai verdi. Ora sembravano quasi neri.

Aprì le labbra bluastre, ma non uscì nessun suono. Non lesse il suo labiale, non importava cos’aveva da dire.

Non era mai importato.

-Lasciaci in pace. Hai già fatto abbastanza, vattene. Vattene o...-

O? Cosa poteva fare contro a un fantasma?

-Mi hai abbandonata ed ero incinta. Sei stato uno stronzo a morire.-

Era una delle frasi più stupide che fossero mai uscite dalle labbra di Abigail, e si pentì quasi subito di averle pronunciate. Kenneth sembrò sospirare, provando qualche nuovo, antico assolo sulla sua chitarra appena riscoperta.

Lo ricordava provare qualche accordo nello scantinato del padre, in un quartiere di Londra in cui erano cresciuti. Era uno spirito libero, un punketto troppo gentile con una madre annegata nel Tamigi quando era troppo piccolo per ricordarla e un padre troppo impegnato a lavorare. Era la fine degli anni settanta, erano entrambi adolescenti e Ken in un chiodo nero e borchiato e con quella stupida cresta sulla testa era comunque carino. Abby e la loro compagnia si ritrovavano sempre, ogni settimana, e Kenny era sempre sorridente verso di lei ma a Abigail non importava di lui.

Non le era mai importato, a dire il vero. Ma non lo voleva morto…

-Non puoi rimanere qui. Dovresti… che ne so, Andare verso la luce, liberarti.-

Le sue folte sopracciglia diedero cenno di aggrottarsi in dissenso, le note si fecero più dure e pesanti come l’aria attorno ad Abby. 

Provò ancora a parlare, e anche se sentiva solo il suono della chitarra sempre più metallico e freddo, questa volta capì le sue parole.

Lasciala. Questo disse il fantasma. Libera, aggiunse. Lascia Jo libera. Lasciali tutti liberi. Liberati. Vivi. 

Abby gridò dalla rabbia, prendendo la pila elettrica che pendeva dalle sue mani inutilmente e lanciandogliela contro. Trapassò il corpo etereo del fantasma e sbattè contro la parete di legno dietro di lui, aprendosi sul pavimento e causando un gran trambusto.

Le luci si accesero alle sue spalle, il brusio di voci sonnolente che si erano dovute svegliare per il rumore che lei aveva causato.

Si sporse oltre l’angolo, ancora più infuriata di prima, infuriata con sé stessa per essersi lasciata scappare l’occasione di parlare con Kenneth e di chiedergli perchè, come e cosa, infuriata con Kenneth perchè era morto e l’aveva lasciata incinta, da sola, con il suo ex fidanzato combinaguai e due bambini a carico, e infuriata con…

...quel paio di occhi color ghiaccio che la fissavano da oltre il corridoio.

Lloyd Richmond, stupito e assonnato ma fin troppo sveglio per accorgersi che Kenneth era ancora lì, dietro Abby, ad aspettare. Aspettare cosa? Le sue scuse? Non avrebbe avuto scuse da Abigail, perchè lei era nel giusto.

Lloyd si accorse troppo tardi dello sguardo di Abby su di sé, e si richiuse velocemente la porta alle spalle.

-Ab, tutto ok?- chiese Cael, uno dei marinai che avevano affittato una camera per un semestre intero. Lei non gli rispose e, senza voltarsi, tornò nella sua camera.

Dietro di lei non c’era nessuno, ma non gli avrebbe dato nessuna soddisfazione. Non gli avrebbe detto che aveva ragione, non avrebbe… 

Non sapeva cosa doveva fare, ma ne aveva abbastanza.

 




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