IL
RITO DI AFRODITE
Capitolo
I
"Trucco istantaneo post
trauma"
POV
KITTY
Ero ancora piuttosto
stordita dal lungo viaggio e dalla serie di eventi che aveva animato le
quarantotto ore precedenti. Non avevo nemmeno la forza di lamentarmi,
nonostante ne avessi tutti i diritti.
Insomma, un giorno sei
una tranquilla sedicenne californiana, con la prospettiva di una
brillante carriera da modella curvy e un canale Youtube di successo per
appassionati di makeup, il giorno dopo vieni attaccata da un
uccellaccio dello Stige, scopri di essere figlia di una
divinità greca e sei costretta a lasciare tutto e
trasferirti in uno speciale campo estivo a Long Island.
Non è
esattamente il massimo, no?
Lanciai
un’occhiata interrogativa a Miss Crowley, la mia manager,
mentre la seguivo un po’ barcollante: ci stavamo inerpicando
sul terreno scosceso di una grande collina e non riuscivo a capire come
facesse a tenere il passo, visto il lungo abito nero di gusto
vittoriano e la stampella di ferro che l’aiutava a camminare.
Quando si accorse che
la stavo fissando, si voltò verso di me, aggrottando le
sottili sopracciglia: - Qualcosa non va? Vuoi che ti aiuti a portare la
valigia?
Ruth Crowley era una
donna molto alta, dal fisico allampanato e sottile e la carnagione
chiara; portava i capelli color mogano perennemente raccolti e aveva
lineamenti piuttosto affilati. Non avevo idea di quanti anni avesse,
potevano essere trentacinque come cinquanta, i suoi occhi verdi erano
spesso nascosti dietro le lenti scure degli occhiali a goccia ed ero
piuttosto sicura, in quasi due anni di conoscenza, di non averla mai
vista a capo completamente scoperto. Solitamente indossava foulard o
eccentrici cappelli: quel giorno portava una bombetta scura da
gentleman inglese.
- Oh, io…
no, certo che no, ci mancherebbe!
Un ghigno sarcastico
si dipinse sulle labbra della donna: - Non sono una vecchietta
decrepita, Kitty. Questo affare è soltanto…
– indicò la stampella con un cenno della testa. -
Beh, vedrai. Tra poco ti spiegheremo tutto.
Decisi di non fare
altre domande.
Quando raggiungemmo la
cima, provai una nota di meraviglia di fronte allo scenario che mi si
parava davanti: il famoso Campo Mezzosangue era enorme, molto
più grande e fornito di qualsiasi campo estivo
avessi frequentato. La prima cosa che attirò la mia
attenzione, dopo i pittoreschi edifici disposti a forma di lettera
Omega e il fiume che attraversava la zona, fu la parete di arrampicata,
che mi portò alla mente ricordi piuttosto traumatici. Quando
avevo dieci anni, papà ebbe la brillante idea di provare il
brivido di una lezione gratuita, offerta da un suo vecchio compagno di
scuola, dimenticandosi, non si sa come, che entrambi soffrivamo di
vertigini ed eravamo negati in qualsiasi tipo di sport.
Lo sgradevole ricordo
fu accompagnato da una fitta di nostalgia: avevo salutato
papà all’aeroporto in modo impacciato e
frettoloso, senza potermi abbandonare a uno dei suoi soliti abbracci
calorosi.
Decisi di concentrarmi
su altro: il poligono di tiro con l’arco, l’arena,
il campo da tennis, il profumo delle fragole coltivate…
- Per prima cosa,
faremo una visitina alla Casa Grande, dove ti presenterò
Chirone e il Signor D – annunciò Miss Crowley.
– Poi ti affideremo a una dei tuoi compagni,
perché ti faccia fare il giro del campo e ti spieghi le
regole.
- Perché
non puoi farlo tu? – domandai con una certa tensione. Non ero
mai stata brava a interagire con le persone dal vivo, mi
risultava molto più facile comunicare tramite i video su
Youtube. Non avevo mai scordato le prese in giro a scuola per il mio
fisico formoso, la dislessia e il disturbo dell'attenzione. E sapevo di
non piacere granché nemmeno alle mie compagne modelle…
La mia manager
abbozzò un sorrisetto: - Avrò delle faccende da
sbrigare, che mi terranno impegnata fino a sera. Ma non preoccuparti:
il campo è pieno di ragazzi e ragazze come te. Farai meno
fatica ad ambientarti. E poi, in caso di bisogno, potrai sempre venire
da noi…
- Noi? – ripetei.
– Intendi tu, Chirone e il Signor D, oppure tu e…
il tuo compagno? È qui che abita?
I lineamenti spigolosi
di Ruth Crowley parvero addolcirsi: mi aveva parlato spesso del suo
partner storico, un tale di nome Francis, con cui manteneva una
relazione a distanza per impegni di lavoro.
- Mi hai scoperta. Ora
andiamo. Sei sicura di farcela con la valigia? Non avrai mica portato
tutti i tuoi trucchi da casa, vero?
- Ehm…
Assunsi
un’espressione inequivocabilmente colpevole. La donna
alzò gli occhi al cielo con fare divertito.
- Sei proprio degna
figlia di tua madre.
Pensavo di essere
ormai preparata a tutto, dopo l’attacco
dell’uccello malefico e la rivelazione su mia madre. Eppure,
mi sfuggì lo stesso un grido non appena vidi
l’uomo-cavallo che chiacchierava con un tizio mal vestito e
una specie di strana creatura mezza umana e mezza capra.
Le cose non andarono
meglio quando mi voltai verso Ruth per chiederle spiegazioni: aveva
lasciato cadere la stampella e scalciato via gli stivaletti, rivelando
quelli che avevano tutta l’aria di essere un piede di metallo
e lo zoccolo di un asino.
- Oh, così
va molto meglio! – sospirò, lasciandosi sfuggire
un sorriso di fronte alla mia espressione stupita.
– Mai visto
un’empusa? – scherzò. – E
nemmeno un centauro, un satiro e una divinità?
- Cos…
Prima che avessi il
tempo di replicare, il satiro corse incontro alla mia manager: aveva un
volto bello e radioso, con grandi occhi azzurri, guance piene, una
barba curata e due cornetti che spuntavano tra i ricci biondi. Era un
po’ più basso di Ruth, e indossava una giacca
leggera, color crema, sopra una graziosa camicia azzurra; attraverso
gli abiti si riuscivano a scorgere le forme tondeggianti del suo
fisico.
- Raven! –
esclamò, afferrandole le mani, visibilmente emozionato.
– Non vedevo l’ora che arrivassi, tesoro! E lei
deve essere…
- Raven? – ripetei,
incredula.
La donna, anzi,
l’empusa annuì: - Il mio vero nome è
Raven. Raven Crowley. E lui è il mio compagno, Francis
Aspen.
-Ehm…
Kathleen Page, piacere… – borbottai, stringendo la
mano al satiro, per poi voltarmi verso la rossa. –
Ruth… cioè, Raven, mi hai mentito anche sul tuo
nome?
- Non essere dura con
lei – soggiunse il centauro. – Raven ha fatto tutto
il possibile per proteggerti, in questi due anni. D’ora in
poi, non ci saranno più segreti. Io sono Chirone, il vostro
insegnante. Mentre lui – indicò l’uomo
mal vestito. – È il Signor D, il divino Dioniso,
direttore del campo.
Il dio del vino
abbozzò un grugnito, senza accennare ad alzarsi dalla panca
su cui sedeva: aveva folti ricci neri e un’inguardabile
camicia hawaiana, che suppongo fosse la cosa che mi aveva fatto
strillare di più, pochi istanti prima.
- Dunque –
continuò Chirone. – La nostra giovane semidea
è già stata riconosciuta?
Mi strinsi nelle
spalle, leggermente a disagio: - Ecco… non ufficialmente ma,
da quanto mi ha spiegato Ru-Raven, mia madre sarebbe
Afrodite…
Ebbi a malapena il
tempo di concludere il discorso, che una strana luce rossa
cominciò a brillare sopra la mia testa: alzai lo sguardo,
osservando a occhi sgranati una specie di ologramma a forma di cuore
che roteava sopra di me. Mi sentii pervadere da uno strano calore e,
quando il simbolo luminoso svanì, per poco non strillai
nuovamente.
- Devo…
devo specchiarmi – balbettai, correndo verso una delle
finestre della Casa Grande. La mia bocca si spalancò in una
grande O di stupore: i miei jeans e la maglietta firmata erano stati
sostituiti, come per magia, da un candido abito in stile greco, che
esaltava le mie curve morbide e ben definite; i miei lunghi capelli
biondi, che prima erano raccolti in uno chignon approssimato, ora
scendevano lungo la mia schiena in una vaporosa treccia decorata con
piccoli fiori, molto simile a quella di Rapunzel. Infine, il mio volto
era abbellito dalla più magistrale applicazione di makeup di
tutti i tempi: le sfumature perlacee dell’ombretto
risaltavano l’azzurro degli occhi, mentre le labbra erano
tinte di un intenso color rosso fragola.
Nemmeno affinando la
mia mano, già esperta, per altri dieci anni sarei riuscita a
rendermi più bella di allora.
La voce di Raven
Crowley mi costrinse a voltarmi: - Beh, direi che il problema del
riconoscimento è stato risolto.
Francis Aspen
batté le mani entusiasta, mentre Chirone accennò
un piccolo inchino: - Ave, Kathleen Page, figlia di Afrodite. Vieni, ti
conduco alla tua cabina, dove potrai sistemare il bagaglio,
prima del tour guidato.
Non posso dire di
essere rimasta sorpresa, non appena vidi l’aspetto della
famigerata Cabina Dieci: un’enorme casa delle bambole, simile
a quella con cui giocavo da piccola, circondata da un intenso e
piacevole aroma – Hypnotic Poison? Shalimar? Chanel
N°5? Tutti insieme?
Chirone mi rivolse un
sorriso incoraggiante, mentre alcuni ragazzi e ragazze, dotati di una
bellezza straordinaria, si affacciarono alla soglia, squadrandomi con
fare incuriosito.
Indossavano la stessa
maglietta arancione che avevo visto addosso a tutti i semidei
incontrati durante il tragitto dalla Casa Grande alla mia nuova dimora.
- Lei è la
vostra nuova sorella, Kathleen – annunciò il
centauro, per poi rivolgersi nuovamente a me. – E loro sono i
tuoi fratelli e le tue sorelle. Lei – indicò una
fanciulla dai lineamenti orientali. – è il tuo
capo-cabina, Drew Tanaka. Bene, sistema pure la valigia, io vado a
chiamare la guida.
Replicai con un
borbottio che mescolava in modo indefinito le parole
“okay”, “grazie” e
“arrivederci”, mentre Drew si profuse in un
ossequioso saluto, per poi squadrarmi dall’alto al basso
quando l’insegnante si fu allontanato.
- Kathleen Page,
quindi – disse, in tono poco amichevole.
Annuii, visibilmente a
disagio: - Potete chiamarmi Kitty… cioè, quelli
che mi conoscono mi chiamano così…
– Sei
già stata riconosciuta e benedetta da nostra madre, a quanto
vedo… - continuò, ignorandomi. - Che
strano, non ho mai visto una figlia di Afrodite
così… in carne…
Ah.
L’ennesima persona pronta a far commenti sul mio fisico. Che
novità. Mi domandai quanto ci avrebbero messo tutti gli
altri a iniziare a prendermi in giro.
- Io la trovo
bellissima – commentò una ragazzina con le trecce
bionde. Drew la fulminò con lo sguardo, spingendola a
ritirarsi impaurita dietro uno dei fratelli.
- Ci mancherebbe
altro, Lacy! – sbottò. – Tutti i figli
di Afrodite sono bellissimi, anche quelli in sovrappeso! O quelli che
fanno commenti stupidi, come te! Comunque, non perdiamo tempo: John!
Porta dentro la valigia e fai sistemare la nuova arrivata.
Un ragazzo alto e
atletico, dai capelli castani, obbedì all’istante,
rivolgendomi un sorriso e invitandomi a entrare.
Gli altri membri della
Dieci mi scrutarono a fondo, chi con curiosità, chi con un
mezzo sorriso, chi con fare diffidente. Mi sentii piuttosto a disagio.
Il profumo era
più intenso all’interno della cabina, ma non mi
dava fastidio; le parenti erano tinte di rosa pallido, mentre una calda
luce filtrava attraverso le finestre dagli infissi color panna.
C’erano
diversi letti, disposti ordinatamente e provvisti di un morbido cuscino
e lenzuola azzurre; accanto a ciascun letto c’erano una
cassettiera blu, su cui poggiava un grande specchio a forma di cuore, e
un baule color perla con una targhetta
d’argento.
John mi
assegnò un comodo giaciglio posto sulla parete destra,
proprio sotto una delle finestre: - Ecco qua, Kitty. Benvenuta! Se
vuoi, posso portare il tuo baule alla casa di Efesto, mentre sarai
impegnata con il tour guidato del campo: incideranno il tuo nome sulla
targhetta.
- Ah…
fantastico, grazie.
Gli occhi blu di John
riflettevano una personalità dolce e calorosa. Tutto
l’opposto della nostra simpaticissima capo-cabina.
- Mi auguro ti
comporterai come si deve – disse, piombandomi alle spalle
come un falco. – Dovessi disonorare la Casa di Afrodite, te
la farò pagare cara. Prima di tutto, ricorda che gli effetti
della benedizione non dureranno per sempre: ci aspettiamo continuerai a
curare il tuo aspetto con dedizione. E magari, provare a perdere un
po’ di peso.
Mi morsi la lingua,
rivolgendole un sorriso velenosamente falso: avrei voluto risponderle
per le rime, ma ero appena arrivata e non volevo mettermi subito a
litigare.
- Seconda cosa
– continuò. – Ogni figlio di Afrodite
che si rispetti deve compiere il Rito di Passaggio: è molto
semplice, per dimostrare di essere degna della Cabina Dieci, dovrai
scegliere una persona al di fuori del nostro gruppo, farla innamorare
di te e poi spezzarle il cuore.
- Cosa? – esclamai.
– Ma questo è… crudele! Che senso ha?
Non ho mai fatto una cosa del genere, non penso nemmeno di esserne
capace!
- Finché
non lo farai, non potrai considerarti una di noi –
replicò perentoria la dispotica leader. – Discorso
chiuso. Ora fila fuori, è arrivata la tua guida.
Sospirai, facendo
appello a tutto il mio autocontrollo per non mandarla a quel paese.
Sbirciai un po’ titubante attraverso la soglia della cabina:
a pochi metri dall’ingresso, c’era una ragazza alta
e slanciata, dalla carnagione color caramello.
John mi diede
un’incoraggiante pacca sulla schiena: - Coraggio, anche se
è figlia di Ares, Rani non morde mica!
Obbedii
meccanicamente, raggiungendo la giovane guida con fare timido e
impacciato: - Ehm… ciao.
- Ciao! –
rispose lei con un sorriso. – Io sono Ranya Dandekar, figlia
di Ares. Puoi chiamarmi Rani. Tu sei Kathleen, giusto?
- Sì
– bofonchiai. – Puoi chiamarmi Kitty…
Durante il viaggio in
aereo, Raven mi aveva parlato dei semidei che abitavano il Campo
Mezzosangue: stando alla sua descrizione, i ragazzi di Ares non
brillavano per simpatia e bellezza, eppure, Rani era provvista di un
fascino esotico non indifferente.
I suoi capelli erano
neri, lunghi e lisci, raccolti in una coda alta; gli occhi erano
obliqui e magnetici, uno marrone scuro, l'altro color ambra. Aveva un
sorriso contagioso, illuminato da due file di denti dritti e
bianchissimi.
La muscolatura delle
braccia era ben definita, così come quella delle gambe,
fasciate da pantaloni neri e stretti, tagliati sopra il ginocchio;
portava una collanina con perline colorate al collo, identica a quella
di tutti gli altri ragazzi, e il suo polso sinistro era avvolto da un
braccialetto in pelle nero e con le borchie.
Mi offrì il
braccio, a cui mi aggrappai dopo un attimo di esitazione.
- Ti consiglio di
tenere alti gli orli del vestito – suggerì.
– Sarebbe un peccato se non uscisse illeso dal nostro
giretto.
***
Angolo
dell’Autrice: Lo so. Faccio schifo. Ho un
sacco di storie da aggiornare eppure eccone una nuova. Credo di dovermi
dare una calmata.
Beh,
cercherò di mettermi al lavoro in queste due settimane di
vacanza, giusto per portare avanti le altre long lasciate in sospeso,
inclusa la mia vecchia storia, sempre in questo fandom, che ho
riguardato e mi ha fatto mettere le mani nei capelli per contenuti e
imprecisioni varie (davvero, mi sono chiesta “Ho seriamente
scritto una cosa del genere?”). Che imbarazzo.
Vabbé, farò il possibile perché almeno
gli ultimi capitoli siano decenti.
Inviterei caldamente a
ignorare le storie pubblicate prima del 2015, se non le seguivate
già da prima, sono tutte imbarazzantissime e da revisionare.
Non credo
avrò connessione per queste due settimane, quindi, se
riuscirò a scrivere nuovi capitoli, li
pubblicherò una volta tornata a casa.
Vorrei cogliere
l’occasione per pubblicizzare la mia long prequel su Magnus
Chase, che purtroppo è relegata ancora alla sezione
“Altro”. Ci tengo particolarmente, quindi mi
farebbe piacere venisse seguita da più lettori (senza il
bisogno di recensirla, ci mancherebbe, mi farebbe piacere anche solo
ottenere qualche visualizzazione in più). Il titolo
è "Riley
Jenkins e gli Dèi di Asgard - Il fardello di Sigyn".
E, nonostante non sia
più attiva sul sito da quanto ho visto, vorrei pubblicizzare
anche l’autrice Volleydork, sperando di far cosa
gradita: lei ha scritto una storia su semidei nordici prima che uscisse
la meravigliosa saga di Magnus, e penso che meriti davvero tanto.
Dunque, passiamo alla
storia. Ammetto di essere piuttosto incuriosita dal Rito di Passaggio di Afrodite, ecco perché ho deciso di scrivere qualcosa a riguardo. Ci saranno due POV alternati, i capitoli dovrebbero essere una
decina (come il numero della casa di Afrodite, ops) e non penso saranno
molto lunghi.
Cronologicamente, ci
troviamo a poche settimane dalla conclusione di “The
Last Olympian”: non ho intenzione di far
comparire i personaggi principali della saga, ma darò spazio
ai secondari e, naturalmente, agli OC.
Sì, visto
che non ho dignità, i personaggi di Raven e Francis sono
ispirati a Crowley e Aziraphale di Good Omens. Quei due sono la mia nuova
OTP, quindi capitemi.
Naturalmente,
verrà spiegato come mai un’empusa, creatura non
proprio amichevole e serva di Ecate, sia diventata la custode di una
figlia di Afrodite. O come abbia fatto Kitty a pubblicare video su
Youtube per anni senza attirare trecento mostri.
Per quanto riguarda
Drew Tanaka, non mi è piaciuto per niente come è
stata caratterizzata nei libri, almeno fino a dove ho letto (purtroppo,
la saga di Eroi dell’Olimpo non mi ha presa molto):
l’ho trovata troppo stereotipata e poco realistica, quindi ho
intenzione di darle più spessore e renderla una vera
villain. Almeno ci proverò.
Oltretutto, vorrei
andare oltre gli stereotipi con cui sono bollati i vari figli delle
divinità, quindi aspettatevi di tutto: come ha
già visto Kitty, i figli di Ares non sono tutti scimmioni
rozzi e violenti. Rani è affascinante e gentile, anche se
potrebbe mostrare dei lati oscuri, come chiunque.
Avviso inoltre, che,
come al solito, tratterò coppie di tutti i tipi nella
storia, quindi chiunque sia contrario/contraria a contenuti LGBT
è sconsigliato/sconsigliata di proseguire nella lettura.
Spero non ci siano
incongruenze, che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia si riveli
quantomeno interessante.
Grazie a tutti per
aver letto!
Tinkerbell92
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