IX Capitolo
Di nuovo Tom rimase ad aspettare che gli occhi si abituassero un po’
all’oscurità. Grazie anche alla luce di un lampione che filtrava dalle
persiane riuscì a mettere a fuoco la diposizione dei mobili nella
stanza e avanzò senza inconvenienti fino alla scrivania.
Nonostante le raccomandazioni della ragazza del corridoio, la prima
cosa che fece fu sedersi alla scrivania di Collins, per controllare i
cassetti.
Accese la lampada da tavolo verde che stava sul ripiano della scrivania
e la tenne in mano mentre frugava tra le carte e il contenuto dei
cassetti. Il primo conteneva solo fogli bianchi, qualche penna e una
scatola di sigari cubani. Un classico.
Il mobile bar, a forma di mappamondo antico, era accanto alla poltrona.
Tom immaginò Collins seduto al suo posto a sorseggiare del porto con un
sigaro tra le labbra. Lo immaginava, chissà perché, alto, corpulento e
completamente calvo, con sopracciglia folte e cespugliose, l’ideale per
lanciare sguardi minacciosi.
Forse avrebbe fatto meglio a chiedere a Kuntz una descrizione, o
qualche informazione in più: sarebbe risultato più credibile quando lo
avesse chiamato per dirgli che Collins si trovava effettivamente al
club ‘Lions’.
Sospirò, irritato da quella mancanza (ma di certo non sarebbe stato
l’ultimo errore della sua carriera; probabilmente neanche l’ultimo
della nottata) e continuò la sua ispezione.
Sperava di trovare i negativi delle foto con cui quella gente aveva
ricattato James. Non era assolutamente certo che fossero proprio nello
studio di Collins al ‘Lions’. Potevano anche essere in una delle sue
svariate case, ma il tipo del container aveva detto che era lì che
Collins concludeva gli affari, quindi era quanto meno possibile che vi
conservasse tutte le carte necessarie. In fin dei conti, meglio che i
documenti compromettenti se ne stessero al club, piuttosto che in casa
sua.
Il secondo cassetto conteneva degli atti di proprietà immobiliari di
vario genere.
Tom scommise con se stesso che Kuntz avrebbe certo apprezzato l’idea di
dargli un’occhiata.
L’ultimo cassetto conteneva un libriccino di pelle.
Tom si stupì. Avrebbe pensato che Collins fosse molto più furbo: tenere
un’agenda, con nomi, numeri e indirizzi? Non era affatto prudente,
anche se l’agenda in questione pareva cifrata.
Tom ne scorse le pagine, solo per assicurarsi che non contenesse i
negativi che stava cercando. Niente.
Scrutò il resto della stanza, dirigendo il fascio di luce della lampada
da tavolo in ogni anfratto, evitando con cura la porta e le finestre.
Un mobile di cristallo con sopra un vaso di fiori. Un tavolino da caffè
con un paio di poltrone più piccole di quella della scrivania. Due
enormi librerie gemelle sistemate ai lati di un imponente quadro con
una scena di caccia nella campagna inglese.
Tom si avvicinò al quadro, posando la lampada per avere le mani libere.
Afferrò la cornice del quadro e lo staccò dalla parete, adagiandolo a
terra con attenzione. Apparve alla vista una piccola cassaforte
incassata nel muro.
Tom rimase a fissarla, domandandosi cosa fare adesso.
La combinazione per aprirla poteva essere scritta sul libretto in cuoio
che aveva trovato nella scrivania, ma non aveva certo il tempo di
mettersi a decifrare il codice. Collins la sapeva di certo a memoria.
Doveva trattarsi di un numero impossibile da dimenticare o comunque
facile da ritrovare.
Molti proprietari di casseforti usavano la loro data di nascita,
rendendo sostanzialmente inutile l’impiego della cassaforte stessa: un
ladro professionista si sarebbe certamente informato sulle date di
nascita di tutti gli occupanti della casa che voleva ripulire. Collins
era certamente più furbo di così. E anche se non lo fosse stato, Tom
non era un ladro professionista e non si era informato su un bel
niente, in quella storia. Andava avanti a casaccio, come un
principiante molto fortunato.
C’era da dire che aveva anche avuto poco tempo e che la ricerca di
informazioni non era il suo forte. Se avesse deciso di trovarsi un
altro partner, avrebbe cercato qualcuno che fosse un genio con queste
cose, come lo era Butch.
Studiò la libreria, mentre pensava al da farsi. Teso l’orecchio verso
il corridoio, sentendo un rumore di passi, ma nessuno aprì la porta
dello studio.
Tornò a concentrarsi sui titoli dei volumi rilegati in pelle, in cerca
di ispirazione.
E la trovò: uno dei libri aveva un titolo a caratteri molto sgargianti.
Lepanto1571. Poteva essere? Non era l’unico libro che avesse una data
nel titolo, ma la sua posizione, all’altezza degli occhi, primo della
sua fila, facevano ben sperare a Tom. Fece girare la combinazione con
le dita un po’ contratte dalla suspense, sperando ad ogni clic di
riuscire ad aprire la dannata cassaforte.
Le alternative erano fosche: se non fosse riuscito a recuperare i
negativi e avesse chiamato Kuntz, gli stessi sarebbero finiti in mano
della polizia e il coinvolgimento di James sarebbe saltato fuori, non
appena un esperto avesse forzato la serratura. D’altro canto, mentire a
Kuntz e dirgli che non era riuscito a trovare Collins lo avrebbe
lasciato al punto di partenza: il gangster avrebbe avuto ancora i mezzi
per ricattare James e Tom non avrebbe potuto provare che la
responsabilità era del tenente colonnello Sterling, senza poter
chiedere a Kuntz i tabulati telefonici del rifugio di Collins.
Quindi, la dannata cassaforte doveva aprirsi. Doveva.
Si concentrò talmente intensamente su questo pensiero che quando lo
sportello della cassaforte scattò in avanti con un rumore sordo, Tom
rimase a fissarlo per due secondi buoni, prima di rendersi conto di che
cosa era successo. Gli venne quasi da ridere, ma si trattenne.
Aprì lo sportello e ispezionò il contenuto della cassetta di sicurezza:
contanti, altri documenti, una pistola e…i negativi.
“Sì!” esultò sottovoce Tom, stringendo il pugno.
Li prese e li studiò controluce con la lampada da tavolo. Sì, non c’era
dubbio: erano le foto che incastravano James. Li infilò nella tasca
interna del cappotto, insieme alle loro versioni sviluppate, poi
accostò lo sportello della cassaforte, senza chiuderlo. Avrebbe
lasciato la via spianata per la polizia.
Riappese il quadro al suo posto e riportò la lampada sulla scrivania.
Cercò di risistemarla esattamente come l’aveva trovata, come aveva già
fatto precedentemente con il contenuto dei cassetti che aveva frugato.
Infine spense la luce e attraversò la stanza in fretta: ormai conosceva
a memoria la disposizione dei mobili. Raggiunse la porta senza
incidenti.
Ascoltò e osservò dalla serratura prima di uscire nel corridoio e
attraversarlo alla massima velocità che riusciva raggiungere senza
produrre alcun rumore di passi. Una porta si spalancò, ma lui era ormai
sulle scale, che scese tenendosi basso.
Era passato inosservato. Il piano terra era deserto ormai. Anche dalla
cucina non proveniva più alcun suono.
Tom si diresse verso la porta dello scantinato, ma quando prese la
maniglia si accorse che qualcuno aveva provveduto a chiudere a chiave.
Forse i camerieri, prima di andare via.
Tom imprecò e si inginocchiò a terra, frugandosi rapidamente nelle
tasche, in cerca del coltellino svizzero. Scelse la lama più sottile e
la infilò tra la porta e lo stipite, cercando di spingere all’indietro
la serratura.
Ci riuscì dopo tre tentativi.
Era in qualche modo riuscito a non scalfire più di tanto lo stipite, ma
era molto facile che qualcuno si accorgesse che la porta era stata
aperta, anche se non aveva rotto la serratura. A una prima occhiata si
poteva pensare che fosse solo scattata male, ma ad un esame più attento
il tentativo di forzarla sarebbe stato evidente. Gli uomini di Kuntz se
ne sarebbero accorti.
Tom si domandò se sarebbe stato un problema. Forse no. In fin dei
conti, Kuntz non si aspettava davvero che lui si limitasse a un
appostamento, per trovare Collins.
Il tenete doveva sapere che trovare qualcuno solo standosene seduti in
macchina a fumare e a bere caffè caldo è certamente possibile, ma
richiede un sacco di tempo, che loro non avevano. E d’altra parte,
Kuntz era così ansioso di acciuffare Collins che avrebbe chiuso un
occhio sui metodi di Tom, no? A bene vedere, quelle scalfitture sulla
serratura del seminterrato potevano essere lì da sempre. E comunque, la
polizia statale non collaborava con nessun investigatore privato. Come
avevano saputo del nascondiglio di Collins? La denuncia anonima di un
privato cittadino spinto da un doveroso senso civico.
Tom si ripeté queste giustificazioni nella testa, mentre attraversava
lo scantinato e riapriva la finestrella a bocca di lupo che dava sul
vicolo.
Si issò fuori facendo una fatica tremenda. Quando la fondina gli si
impigliò contro il legno dell’intelaiatura della finestra, temette
seriamente di stare per spararsi da solo in una gamba. Riuscì a
liberarsi, alla fine, e si alzò in piedi in mezzo al vicolo.
Aveva il respiro accelerato e si sentiva coperto di sudore, che gli si
gelò subito addosso.
‘Un vicolo ventoso a fine novembre non è posto per me,’ si disse, prima
di scivolare nell’ombra per raggiungere la vecchia Olds.
Una volta in macchina, valutò la situazione: ridotto in quello stato
non poteva semplicemente entrare in un negozio aperto ventiquattr’ore
su ventiquattro e chiedere di usare il telefono. Aveva davvero un
aspetto spaventoso. C’era il rischio che suscitasse reazioni
indesiderate nei commessi, e inoltre qualcuno si sarebbe potuto
ricordare di lui. Preferiva rimanere il più possibile anonimo, in
quella fase delle indagini.
Il suo quartiere non era così lontano e lui aveva comunque bisogno di
tornare a casa. Un bisogno quasi fisico di sentire lo schienale della
sua poltrona avvolgerlo, per sentirsi di nuovo sicuro, dopo quella
folle nottata. Avrebbe chiamato Kuntz da lì. Ormai il tenente doveva
essere rientrato in centrale a preparare i rapporti della nottata, e le
copie per Tom, si sperava. Inoltre, aveva ancora un favore da chiedere
a Kuntz, ed era meglio farlo il prima possibile.
Mise in moto e si diresse a casa.
Erano quasi le quattro quando abbandonò la macchina sul marciapiede
proprio davanti all’ufficio. Non aveva la forza di portarla al
parcheggio e poi fare il tragitto da lì al suo palazzo a piedi. Che gli
facessero pure una multa.
Entrò nell’atrio e dovette svegliare il portiere notturno.
L’uomo, Morty, risvegliato bruscamente e spaventato dalle condizioni
della faccia dell’investigatore, cominciò a tempestarlo di domande, ma
Tom lo ignorò completamente. Prese le chiavi e lo ringraziò, prima di
girarsi e salire all’attico.
Si lanciò sul telefono e chiamò la stazione di polizia.
“Il tenente Kuntz. Per favore. Gli dica che è molto urgente,” annunciò
al centralinista.
Non dovette attendere a lungo: Kuntz doveva essere in attesa spasmodica
di fianco all’apparecchio telefonico.
“Sei tu, Ludlow?” gli chiese, sollevando il ricevitore.
“Io. Avete finito, al magazzino?”
“Mancano le ultime formalità. Dovrai venire domattina a firmare una
deposizione, lo sai. Cos’hai per me?” chiese con impazienza.
“Sono stato in un club, sulla ventesima. Il ‘Lions’, lo conosci? A
quanto pare, il nostro amico è di casa, lì. Intendo letteralmente, di
casa. Pare che abbia un appartamento al primo piano, nell’edificio
sopra il ristorante.”
“Ed è ancora lì?” chiese Kuntz.
A Tom parve di vederlo chinarsi di più verso il telefono, di sentirlo
stringere la presa sul ricevitore.
“Beh, non l’ho visto personalmente, ma i suoi dicevano che era andato a
dormire e che era meglio non svegliarlo. A quanto pare, odia essere
svegliato.”
Sentì Kuntz ghignare: “Oh, ma davvero? Ha ragione, il sonno è sacro. Ma
magari dipende dal modo, in cui lo si sveglia.”
“Lo farete con dolcezza, mi auguro.”
“Stanne certo: la bella addormentata si risveglierà convinta di sognare
ancora,” rise Kuntz.
Allontanò il telefono e gridò una serie di ordini concisi.
“Hai abbastanza uomini?” gli chiese Tom.
Non che si stesse offrendo volontario: lui aveva ancora parecchio da
fare, quella notte.
“Ho recuperato qualcuno, sì. C’è molta gente?”
“Non lo so, di preciso. Direi una decina di uomini.”
Forse anche meno, ma meglio essere più preparati che troppo spensierati.
“Bene. Bel lavoro. Ora dobbiamo andare.”
“Prima,” lo bloccò Tom, “ho una richiesta: puoi avere i tabulati
telefonici del ‘Lions’?”
“Perché?”
“Per provare il coinvolgimento di una persona nell’affare dei militari.
Puoi richiederli alla compagnia telefonica? Quanto ci vorrà?”
“Posso chiederli come elementi di indagine, ma solo dopo l’arresto di
Collins. E ancora non ce l’ho nel sacco,” rispose Kuntz.
“Potresti richiederli domattina, allora.”
“E va bene. Ci vorrà qualche giorno, però. Non potrai presentarli
davanti alla tua commissione militare.”
Tom sospirò: se l’era aspettato.
“Non fa niente. Integrerò le prove quando le avrò. Siamo d’accordo?”
“D’accordo. Buona notte, principessa. Grazie dell’aiuto.”
“Buon lavoro,” rispose Tom, senza offendersi.
Si abbandonò contro lo schienale della sua poltrona, sospirando. Era
esausto. Aveva ancora un milione di cose da fare, ma prima di tutto si
sarebbe fatto una bella doccia, decise. E poi un caffè. Se lo meritava.
Ci ripensò: c’era una cosa che non poteva rimandare.
Di malavoglia, ma con celerità, ora che il pensiero l’aveva sfiorato,
andò nell’atrio a recuperare il portaombrelli di ferro battuto. Dovette
cercarlo brevemente, poi lo trovò nascosto dietro alla porta, accanto
ai vasi delle felci, in cui prima o poi avrebbe ripiantato qualcosa.
Portò il portaombrelli nel suo ufficio dopo averlo svuotato (conficcò
il triste e solitario ombrello che c’era dentro nella terra delle
felci) e ci buttò dentro i negativi e le foto che Collins e i suoi
avevano usato per ricattare James. Scorse di nuovo le foto, ricordando
quanto James le trovasse ripugnanti, per via del senso di colpa,
probabilmente. Le lasciò cadere sul fondo del portaombrelli, poi si
frugò le tasche in cerca dei fiammiferi. Ne approfittò per accendersi
una sigaretta.
Gettò il fiammifero su foto e negativi e si assicurò che bruciassero
completamente.
‘Tutto a posto, amico’, pensò tra sé e sé.
Cercò di far arrivare il pensiero telepaticamente a James, per
rassicurarlo. Fantasticò di riuscire a raggiungerlo, nel sonno, e di
permettergli di dormire senza pensieri.
Ma dubitava che fosse possibile: James era troppo su di giri e
sconvolto per dormire. Tuttavia, non poteva perdere tempo a
telefonargli, se voleva essere sicuro di riuscire a sistemare tutte le
carte entro la mattina successiva, prima di andare alla stazione di
polizia a firmare la sua deposizione.
E poi, accidenti, aveva necessità di dormire qualche minuto, se solo ci
fosse riuscito, prima di rendersi effettivamente conto di tutto quello
che era successo quella notte. C’era mancato davvero poco che morisse,
in quel magazzino, cazzo. Né la visita al club ‘Lions’ era stata una
rilassante passeggiata priva di eventi e di rischi.
Tom scosse la testa, per allontanare quel pensiero.
Si alzò d’impeto dalla scrivania, prese il portaombrelli, che conteneva
ormai solo delle ceneri fumanti e lo portò nella stanza sul retro. Lo
accostò al lavandino e vi fece scorrere un po’ d’acqua dentro, lavando
via ogni prova dell’incontro peccaminoso di James e quel tizio,
chiunque fosse.
Poi si spogliò, gettando vestiti alla rinfusa per terra, mentre andava
nella stanza da bagno e apriva l’acqua calda. Lasciò a terra camicia,
pantaloni e biancheria (le scarpe erano rimaste accanto al lavandino,
con il portaombrelli; la giacca e la cravatta si erano perse nel
tragitto) e quando il getto d’acqua fu bollente, quasi ustionante, si
buttò nella doccia, cercando goffamente di non bagnare la fasciatura al
naso mentre si sfregava il viso con le mani umide.
Rimase con le mani appoggiate alle piastrelle fredde, mentre l’acqua
gli scivolava lungo la schiena, sciogliendo i muscoli contratti e
doloranti.
Da quanto era in tensione? Dal primo pomeriggio, probabilmente.
Gemette, appoggiando la fronte alle piastrelle, tra le mani. Il fresco
ero un sollievo per il suo naso.
Uscì dalla doccia quando l’acqua cominciò a diventare più fredda. Una
volta rivestito si sentì meglio e più in forze.
Si preparò il caffè che si era promesso, una tazza enorme e strapiena e
alla fine dovette decidersi a sedersi alla scrivania, dopo aver
ripescato dal suo archivio tutto quello che aveva scritto su quella
faccenda, a partire dall’incontro con Maria Butler, fino ai risultati
che l’agenzia immobiliare gli aveva passato. Ne fece un riassunto,
mettendo in evidenza i punti principali della storia, poi cominciò a
scrivere tutto quello che era successo dal momento in cui uscito di
casa per andare a cercare il magazzino dov’erano nascoste le armi.
Quella parte sarebbe stata integrata con i rapporti della polizia,
gentilmente forniti dal tenente Kuntz.
Kuntz aveva detto che li avrebbe fatti arrivare al suo ufficio, oppure
alla Pantera Blu. Se Winnie avesse ricevuto un plico per lui glielo
avrebbe portato la mattina dopo all’alba, era già successo. Sarebbe
potuto passare lui stesso a prenderlo, per evitarle problemi. Rifletté
che sapendo cosa c’era nei rapporti avrebbe potuto trattare quella
parte diversamente, nel suo resoconto.
Guardò l’ora: anche se era tardi, per Winnie non era poi così grave.
Con tutta probabilità era ancora sveglia.
E se non lo era, pazienza, si disse Tom, prendendo il telefono. Aveva
preso un sacco di botte, era molto stanco e non era in vena di fare
favori agli amici, almeno per un bel po’.
Chiamò direttamente a casa, certo che il locale fosse chiuso da un
pezzo.
Winnie rispose al secondo squillo: “Pronto?”
“Sono Tom.”
“Tom! Meno male, sei tornato. Ho provato a chiamarti, meno di un’ora
fa, ma non c’eri. È passato un poliziotto, un certo tenente Kuntz, a
lasciarti dei fogli,” gli disse la donna.
“Sì, lo so, mi aveva avvertito, ma me lo sono dimenticato,” le rispose
Tom.
Era felice di sentire l’amica, tutto sommato.
E così Kuntz era passato di persona. Beh, chi fa da sé fa per tre,
soprattutto se hai il sospetto che alcuni dei tuoi uomini siano sulla
lista paga dei cattivi, si disse l’investigatore.
“Stai bene? Quell’uomo ha detto che saresti passato, e quando non ti ho
visto mi sono preoccupata. Poi quando non hai risposto al telefono sono
quasi morta di paura! Si può sapere cos’è successo?” continuò Winnie,
in tono concitato.
“Sì, sto bene, tesoro, grazie. È stata una serata movimentata, tutto
qui. Ti racconterò tutto un’altra volta, ma ho bisogno di quei fogli
subito. Posso passare?” domandò Tom, contorcendosi sulla poltrona per
cercare con lo sguardo i suoi vestiti.
Ah, già, il suo soprabito era da buttare.
“Sì, certo, ti aspetto. Vieni subito?”
“Il tempo di trovare un cappotto e sono lì, ho la macchina. Solo, non
ti spaventare, quando mi vedrai,” la avvertì Tom.
“Oh dio, tesoro! Hai detto che stavi bene!” lo rimproverò Winnie, con
voce ansiosa.
Tom rise: “Sto bene, sono solo un po’ conciato. Arrivo.”
Si vestì e riportò il portaombrelli nell’ingresso. Il portiere parve
molto sorpreso di vederlo scendere di nuovo, ma non disse nulla.
Tom salì in macchina e parcheggiò, sempre completamente a caso, giusto
sotto il palazzo di Winnie.
La donna lo salutò da una finestra.
Tom salì le scale, ricordando la sua precedente visita. Sembrava
passato un secolo. Ma gli sembrava passato un secolo anche dalla
colazione di quella mattina, quindi forse la stanchezza lo faceva
straparlare.
Winnie gli aprì la porta prima che bussasse.
“Oh, cavolo! Solo un po’ conciato, hai detto? Chi ti ha rotto il naso?
Non sarà stato quel poliziotto: mi hanno raccontato che è venuto alla
tavola calda, oggi…” esordì Winnie, mentre si faceva da parte per
lasciarlo entrare.
Tom fece cenno di no: “Non è stato lui. Diciamo che in parte è colpa
sua, ma non è stato lui. Mi ha chiesto aiuto per un caso.”
“Hai collaborato a un caso della polizia?”
“Veramente sarebbe più giusto dire il contrario,” la corresse Tom.
“Siediti, avanti,” fece Winnie.
Tom guardò con rammarico il divano. Quasi gli salirono le lacrime agli
occhi.
“Non sai quanto mi piacerebbe, ma mi servono quei fogli e devo subito
mettermi al lavoro, Winnie. Non posso proprio fermarmi. Non oso
fermarmi prima di aver finito, ho paura di addormentarmi. Almeno in
ufficio, se cadessi addormentato sulla scrivania il naso mi
sveglierebbe all’istante.”
Winnie annuì, comprensiva, e gli porse il plico di rapporti consegnato
da Kuntz in persona. Studiò con occhio critico il suo naso ammaccato e
poi si offrì di dargli una borsa del ghiaccio.
Tom accettò, non avendo idea di quanto ghiaccio ci fosse ancora nel
mobile bar.
Tornò in ufficio e si mise a leggere i rapporti.
Verso il fondo, si sentì mancare il fiato per un istante, poi si sentì
la faccia diventare tutta rossa.
C’era un proiettile di troppo!
Gli uomini di Kuntz avevano diligentemente raccolto tutti colpi esplosi
all’interno del magazzino e avevano reso conto, approssimativamente, di
quando e da chi erano stati esplosi.
Chi aveva redatto così in fretta quelle pagine non se ne era reso
conto, né poteva rendersene conto qualcuno che non lo sapesse, ma i
conti non tornavano: c’era un proiettile in più, rispetto alle pistole
che erano state trovate sulla scena.
Il proiettile con cui James aveva ucciso Smitty, salvando la vita a
Tom.
Come aveva potuto non pensarci? Certo, aveva pensato che le
ricostruzioni balistiche sarebbero state complicate (difatti, si
basavano principalmente sulla versione che Tom aveva dato), ma aveva
completamente rimosso il fatto che le colt M1911 a sparare erano state
sei, e non cinque.
Poteva essere un problema? Dal rapporto non era percepibile, quella
mancanza. Ma Kuntz, quello era più furbo del diavolo, e già gli aveva
fatto domande sulla colluttazione con Smitty. Non c’era modo di sapere
se aveva notato la discrepanza. A meno che non glielo dicesse
apertamente la mattina successiva, al momento di firmare la
deposizione.
Tom respirò a fondo, cercando di calmarsi. Ci avrebbe pensato quando
fosse stato faccia a faccia con Kuntz, inutile lambiccarsi il cervello
adesso.
Forse in quel momento Kuntz stava leggendo a Marcus Collins i suoi
diritti, e la cosa poteva soddisfarlo al punto di fargli dimenticare
qualche piccola incongruenza. In fin dei conti, non esiste un caso
senza incongruenze o punti oscuri. In quella faccenda ce n’era un ben
più grande: che fine aveva fatto il camion militare sottratto durante
l’assalto, che Andy Butler era stato assoldato per guidare? Forse
l’unico che poteva fornire una riposta era il tenente colonnello
Sterling, oppure Collins.
Tom continuò a leggere e a redigere il suo resoconto. Allegò le
fotografie scattate nell’appartamento di Andy Butler e quelle allegate
all’autopsia. Gli uomini di Kuntz avevano anche scattato delle foto del
magazzino, e degli uomini che Tom aveva ucciso.
Mise da parte quelle ultime: sarebbero finite nel suo archivio.
Finalmente terminò.
Quasi incredulo, timoroso di aver dimenticato qualcosa di importante,
Tom rilesse tutto da capo, ma ormai non riusciva più a mettere a fuoco
le parole.
Lasciò tutto in vista e andò a letto, mettendo la sveglia per le sette
e mezza, appena due ore dopo, in modo da aver qualche minuto per
rivedere il tutto prima di andare alla stazione di polizia. Chissà che
con un po’ di riposo non gli venisse in mente qualche spiegazione
plausibile per giustificare quel dannato proiettile di troppo.
Quando aprì gli occhi, Tom si sentiva meglio.
Certo, era sempre a pezzi, ben lontano dal sentirsi completamente
riposato, ma si sentiva lucido e il naso gli faceva meno male (era
probabilmente merito delle pasticche che l’infermiera gli aveva
lasciato). Gli sembrava anche di riuscire a respirare meglio.
Uscì per la colazione, nell’aria fredda di fine novembre. La sua
macchina era ancora parcheggiata davanti al palazzo. Sul parabrezza
campeggiava già una multa.
Tom se ne fregò e andò a mangiare alla tavola calda.
Il posto non era affollato e quindi dovette ripetere che non gli era
successo niente di grave solo tre o quattro volte.
Dopo aver divorato una quantità imbarazzante di uova e salsiccia, Tom
partì per la stazione di polizia.
La stazione era in fermento: un nugolo di giornalisti si accalcavano
nell’atrio, parlando ad alta voce, chiedendo aggiornamenti, scattando
foto delle scale che portavano alle stanze degli interrogatori e agli
uffici.
In quella confusione, Tom riuscì a spiegare a un agente che il tenente
Kuntz lo aspettava per firmare una deposizione; l’uomo era stato
avvertito, o comunque non aveva nessuna intenzione di irritare il
tenete Kuntz, l’eroe della nottata, che aveva sgominato la banda di
Marcus Collins, e sventato il loro tentato traffico d’armi.
Tom si mostrò doverosamente impressionato.
Giunti davanti all’ufficio di Kuntz, Tom ne vide uscire il sergente
Bayles, con l’aria molto indaffarata. Lo salutò.
L’uomo alzò lo sguardo su di lui.
“Detective Ludlow. Ieri sera non ho avuto occasione di dirglielo, ma
complimenti per aver trovato quel magazzino,” gli disse in tono
formale. “Collins verrà, tra le altre cose, incriminato come il
mandante dell’omicidio Butler. Dovrebbe avvertire la signorina Butler.”
“La contatterò sicuramente, sergente. Ma forse sarebbe meglio se fosse
un poliziotto, a darle la notizia. In fin dei conti sarete voi a
ricercare le prove per sostenere l’accusa. Non ho niente in contrario
se le date voi la buona notizia,” gli rispose Tom.
Maria aveva promesso di avvertirlo quando avesse organizzato il
funerale del padre. Che il sergente Bayles approfittasse pure di questa
occasione per parlare con la sua bella.
Bayles rispose con un cenno del capo e sparì nei corridoi.
Tom entrò nell’ufficio di Kuntz senza bussare.
“L’eroe della nottata? Ma davvero?” gli chiese, con un ghigno.
Kuntz sollevò gli occhi da una pila di scartoffie: “Così dicono. Ma non
mi ha certo evitato la maledetta burocrazia. Vieni avanti, Ludlow.
Firma e facciamola finita.” Si mise a frugare tra i fogli sparsi sul
suo tavolo. Ne trovò alcuni intestati e li passò a Tom: “Scrivi.
Puntuale, preciso e chiaro. Tutto quanto. Se ti viene in mente perché
ci sono più colpi che pistole, fammi sapere anche quello.”
“Più colpi che pistole?” chiese Tom, prendendo tempo.
‘Dannato bastardo col colpo d’occhio.’
“Già. Abbiamo ritrovato diciannove bossoli, su una potenza di fuoco
totale di venticinque colpi. Cinque pistole: quattro colt e la tua. Il
primo che hai steso ha sparato solo due volte, gli altri due avevano
ancora due colpi a testa. Dovrebbero esserci diciotto bossoli.” Kuntz
lo fissò, le labbra sottili e contratte. “Me lo spieghi?”
“Hai davvero avuto tempo di preoccuparti di questa roba?” chiese Tom,
imprecando mentalmente.
Possibile che fossero riusciti a ritrovare tutti i bossoli? In quel
labirinto di container e casse?
Aggrottò la fronte, fingendo di cercare una spiegazione.
“Non lo so, Abel,” rispose, con voce esitante. “Ma quando me ne sono
andato ieri sera, mi ha colpito una cosa: tu avevi messo un uomo di
guardia alla porta da cui io ero entrato. Mi sono domandato perché non
lo avessero fatto anche loro. E ora che mi dici che forse c’era una
pistola in più, mi viene da pensare che ci fosse un uomo in più, di
guardia alla porta. Forse si era allontanato un attimo, proprio quando
io sono entrato, e quando ha sentito sparare è tornato e ha sparato
anche lui.”
“Ma ha visto che le cose si erano messe male, ed è scappato,” finì per
lui Kuntz, sempre tenendogli gli occhi piantati in faccia. “Potrebbe
anche darsi. In effetti, non ho tempo di preoccuparmi di questa roba,
come hai detto tu. Su, scrivi.”
Tom sospirò di sollievo.
Dopo aver passato la notte a rivedere tutto, non pensava di metterci
poi troppo tempo a scrivere quella deposizione. Si sedette di fronte
Kuntz, facendosi un po’ di spazio.
“Che cazzo fai?” gli domandò l’altro.
“Scrivo la deposizione.”
“Non ho nessuna intenzione di dividere con te il mio ufficio. Sparisci.”
“Ma fuori è una bolgia! Dove dovrei andare?”
“Non mi interessa. Tra poco porteranno qui Collins per il primo
interrogatorio. Non ho tempo di tenere d’occhio te,” fece Kuntz,
tornando a dedicare tutta la sua attenzione ai suoi incartamenti.
“Sei davvero un bastardo. E io che pensavo si potesse seppellire
l’ascia di guerra.”
Tom si alzò.
“Nella conferenza pensavo di citarti come un prezioso collaboratore. E
di farti avere un adeguato compenso da parte della polizia statale,”
gli disse Kuntz, senza alzare la testa, con tono indifferente.
“Sarà meglio! E ricordati i tabulati telefonici,” rispose Tom, piccato,
sbattendo la porta.
Scese nei sotterranei, fino all’ufficio del dottor Thompson.
Il medico legale parve molto più felice di vederlo.
“Non ho problemi a prestarle metà della mia scrivania, detective. Ma a
patto che lei mi racconti tutta la storia,” gli disse con un sorriso.
“Pensavo non volesse saperne niente,” gli rispose Tom, sorridendo a sua
volta.
“Oh, be’, ora che è tutto finito, non c’è niente di male, no? E ho il
sospetto che quello che scriveranno sui giornali sarà leggermente
diverso dalla realtà.”
Tom dovette ammettere che era vero: “Ma le dirò tutto un’altra volta, a
cena, dottore. Ho un appuntamento in mattinata e non posso rischiare di
fare tardi.”
Scrisse la sua deposizione e la firmò. Dato che Kuntz non era lì a
controllarla, se la sarebbe fatta andare bene.
La affidò al dottor Thompson, perché la facesse avere al tenente, poi
lasciò la stazione di polizia, non senza sollievo, e si mise in
macchina alla volta del palazzo del governatore, dove si sarebbe svolto
l’incontro con la commissione d’inchiesta per il caso dell’assalto al
convoglio militare.
Per entrare, Tom dovette mostrare il tesserino e aspettare che qualcuno
controllasse se il suo nome era su una lista. James lo aveva segnato, e
lui poté passare.
Un soldato semplice lo scortò fino al secondo piano, dove la
commissione aveva stabilito il proprio quartier generale. Erano quasi
le undici.
In cima alla scalinata di marmo che avevano appena salito si apriva un
piccolo salone che faceva da anticamera alla sala udienze. Due soldati
in alta uniforme stavano ai lati della porta. In disparte, vicino a una
finestra che affacciava sul suntuoso giardino, stava James, con la
schiena dritta, alto e solido come sempre.
Tom lo chiamò: “Maggiore Biggs.”
L’amico si girò e quando lo riconobbe Tom poté leggere il sollievo sul
suo volto.
Gli fece immensamente piacere. Si ritrovò a pensare che ne era valsa la
pena.
Si avvicinò a sua volta alla finestra, allontanandosi dalle orecchie
indiscrete dei soldati.
“Che succede? Hanno già cominciato?” gli chiese.
“La commissione è riunita da quasi un’ora. Io sono convocato per
mezzogiorno. Dio, Tom, non posso credere che tu sia qui.”
“Non potrai credere neanche al resto. Kuntz ha arrestato Collins, e
tutti i suoi. Lo ha pizzicato nel suo club. Le cose che ci
preoccupavano,” disse, guardandolo fisso negli occhi, “non sono più un
problema.”
James si lasciò scappare un ansito e poi rise brevemente: “Oh, Dio,
grazie, Tom. Grazie. Non so cosa avrei fatto…”
Gli strinse la mano.
Tom sorrise, poi gli porse il dossier che aveva preparato nel corso
della nottata: “Qui c’è tutto. Dal coinvolgimento di Butler
nell’assalto, al suo assassinio, alla responsabilità di Collins, al
fatto che aveva davvero un informatore, che sarà individuato non appena
avremo i tabulati telefonici del suo rifugio. Due o tre giorni. Sarà
sufficiente, per toglierti dalla griglia?”
James prese il fascicolo: “Sì, credo proprio di sì.” Scosse la testa,
incredulo. “Tom, io…”
Tom diede un’occhiata furtiva ai due uomini ai lati della porta, poi
rivolse a James un ghigno: “Pretendo che tu ti sdebiti. Stasera, da me.
Lasciamo perdere la cena.”
James rise apertamente, questa volta: “Sarà un piacere.”
“Devo andare. Ho bisogno di dormire, non sai quanto.”
“Dovrai essere in forze, stasera,” gli rispose James. “Davvero, Tom,
grazie, per aver sistemato questo casino.”
Tom gli rivolse ancora un cenno del capo, poi si girò e se ne andò.
Si meritava un buon pranzo e una sigaretta, pensò, sedendosi in
macchina.
Note:
Ed eccoci alla fine! Grazie a chiunque sia arrivato fin qui. Un grazie
particolare a blackjessamine, per aver recensito tutti i capitoli
*abbraccio*
Ci sono cose di questa storia che ancora non mi convincono e che non so
se sistemerò mai, ma tutto sommato sono felice di non averla
abbandonata a languire per sempre nel mio computer.
A presto, spero!
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