Ever in your favor

di iron_spider
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Ever in your favor
 



Capitolo 1: Una lunga fila d’ombre
 
 




Peter Parker sta sognando.

Vede dei volti che ricorda a malapena; lo prendono in braccio, lo fanno girare su se stesso, lo riempiono di baci. Ci sono tracce di colori e luce, matite che grattano sulla carta, e la voce di una donna che dice “prendi loro due”. E poi scompaiono – c’è del grigio e May, e l’eco di grida. Schermi di televisori. Lacrime, capelli scuri. È un eroe, piccolo. È un eroe. La paura gli striscia sulle braccia come ragni. La morte punteggia la sua vita con la precisione di un orologio. Boom, boom, boom, in un technicolor sgargiante e spietato. E lui è il prossimo.

Si è sempre chiesto cosa ne facciano dei corpi…

Si sveglia di soprassalto quando qualcuno lo riscuote.

“Scusa, tesoro,” dice May. Peter batte un paio di volte le palpebre e la mette a fuoco, vede i suoi capelli tirati all'indietro. Lei cerca di non comportarsi in modo anomalo, mai suoi occhi la tradiscono. Si schiarisce la voce, continuando a parlare. “Ma oggi è…” Distoglie lo sguardo, si umetta le labbra. “Devi prepararti.”

Peter si ricorda che giorno è, e il cuore gli batte come il tamburo prima di un’esecuzione. Ma cerca di indossare una maschera, di fingere che vada tutto bene. Non è affatto così, nonostante abbia avuto a che fare con la Mietitura da quando è nato, insieme a Ben e May. Con il terrore che uno di loro venisse portato via. Spedito al macello, a colpo sicuro. Ma Ben non c’è più, lui l’hanno portato via anche se il suo nome non è mai stato pescato da un’urna; e May è finalmente al sicuro. Adesso il nome di Peter è lì dentro, da solo. L’ultimo dei Parker sul patibolo. Non sa come dovrebbe comportarsi. Non sa più cosa sia normale, quando gli Hunger Games incombono all’orizzonte.

Ma deve provarci. Deve provare a far finta che andrà tutto bene, per lei.

“Ho dormito troppo,” dice, sorridendo appena.

Lei annuisce e si raddrizza, incrociando le braccia sul petto. “È strano,” dice. “È il primo anno che non sono nell’urna, ma tu… vorrei poter…”

Le donne non possono comunque offrirsi volontarie per gli uomini, quindi le sue preghiere sono inutili. Come la maggior parte di quelle pronunciate quella notte nel Distretto 12.

“Andrà tutto bene,” dice Peter, alzandosi. Le dà un bacio sulla guancia, sorride di nuovo, cerca di dare vita a quella frase. Andrà tutto bene. Andrà tutto bene. E una parte di lui ci crede, perché che razza di universo strapperebbe via qualcun altro a May Parker? Dopo tutto ciò che ha già perso? Le corroderebbe il cuore fino ad annientarla.

Getta un’occhiata alla foto di lei e Ben sullo scaffale, racchiusa nella cornice dorata che lui aveva trovato al Forno [1]. Distoglie lo sguardo altrettanto rapidamente. A volte è difficile guardarla. È difficile non sentire la sua voce. Era la loro bussola, il fulcro della loro unità. L’ottimista. Lui e May si equilibravano a vicenda, si miglioravano. A volte, Peter crede ancora che lui sia nell’altra stanza. Che possa svoltare l’angolo da un momento all’altro.

“Ti lascio preparare,” dice May, con gli occhi che indugiano qualche istante sul suo volto, come se potesse non rivederlo mai più. Poi si gira ed esce dalla porta, chiudendola delicatamente dietro di lei.

Peter trova i suoi vestiti nell’armadio, quelli che indossava all’ultima Mietitura, quelli che iniziano ad andargli stretti. Ma non hanno i soldi per comprare altra stoffa, né qualunque altra cosa, in effetti, quindi dovrà farseli andare bene. L’ultima volta che hanno avuto l’opportunità di ottenere altri vestiti è stato prima che i Pacificatori cominciassero a inasprire i controlli sui finanziamenti Stark, e Peter si chiede se Tony Stark riuscirà a trovare un modo per aggirare le nuove regole, così da continuare a supportare il Distretto coi suoi soldi. Non lo vedono da un po’, ma è raro vederlo in generale.

Peter si dice che gli parlerà, la prossima volta che lo vedrà di persona. Gli dirà qualcosa. Qualunque cosa.

Si veste, cercando di non pensare troppo, ed esce in salotto. L’aria è stantia e opprimente, più del solito, e probabilmente è così in tutto il Distretto 12, con l’intera popolazione stordita per l’attesa e la paura non poi così nascosta di vedere se i propri nomi saranno nell’urna della Mietitura o meno.

È come sapere che qualcuno ha deciso di ucciderti, ma non ancora.

May è seduta lì, coi resti della colazione ancora sul tavolo, e si alza in piedi rapida non appena lo vede.

“Stai uscendo?” gli chiede, come se fosse un giorno qualunque e non questo giorno.

“Sì,” risponde Peter. “Vado a piedi con Ned. Lo sai che vogliono i ragazzi in prima fila. E stavolta non devi schierarti anche tu, fortunella. Puoi riposarti e goderti lo spettacolo.”

May gli riserva un’occhiataccia.

“Scherzavo,” dice lui. Si avvicina a lei, avvolgendola in un abbraccio. “Lo sai che scherzo. Non ti ho mai vista riposare un giorno in tutta la mia vita.”

Lei ride, ma senza emozione. Lo stringe forte, con le mani che disegnano il profilo delle sue spalle. E lui si concede di preoccuparsi, solo per un momento, mentre lei non può vedere la sua faccia. Chiude gli occhi, si aggrappa a lei e cerca di ancorarsi lì.

“Andrà bene,” le dice. “Ci… ci vediamo lì. Ci vediamo dopo.”

 
§

 
Intravede Ned nei pressi del Forno, esattamente dove non si sarebbe aspettato di trovarlo. Ha qualcosa in mano, e sgrana gli occhi quando lo vede.

“Che stai facendo?” gli chiede Peter.

“Volevo prenderci dei portafortuna,” risponde Ned, agitando il pugno in aria.

Peter attraversa di corsa la strada per raggiungerlo, e si trattiene dal caricarlo in un abbraccio spaccaossa che avrebbe rischiato di mandarlo a gambe all’aria. Hanno affrontato assieme molte Mietiture, dieci anni adesso, e a volte Peter realizza che ha più paura di veder pescare dall’urna il nome di Ned che il proprio.

Ma si ricompone, cerca di comportarsi come se fosse un giorno qualsiasi, e orbita attorno a Ned più vicino di quanto farebbe di solito.

Abbassano entrambi lo sguardo quando Ned apre la mano.

“Ho pensato di prendere Wasp, e tu Iron Man,” rivela.

Sono delle spillette d’acciaio, una per ogni Vincitore del Distretto 12. A Peter non piace molto partecipare alla goliardia generale, considerando che Capitol sta letteralmente torturando e uccidendo delle persone rendendo la loro vita un inferno; ma, in segreto, ha un Vincitore preferito. È stato Tony Stark sin da quando ha memoria. Sa quello che ha fatto Tony, il modo in cui ha manipolato l’arena creando qualcosa che nessuno aveva mai visto prima, né avrebbe visto di nuovo. È stato fortunato a non venire ucciso. Ma è stato… sfortunato per tutto ciò che gli hanno portato via in seguito.

Peter vorrebbe avere la metà del coraggio che ha Tony Stark.

È un eroe. È un eroe.

Prende la spilla di Iron Man con reverenza, e la maschera è quasi identica al poster illegale che ha sotto al letto. Capitol non ama parlare del “lato Iron Man” di Tony, perché li ha umiliati; ma il nomignolo ha preso piede, e la gente non dimentica. Dell’armatura costruita da Tony è rimasta solo qualche immagine, e Peter ci si fionda ogni volta che le vede, avendo cura di tenerle nascoste.

“Il Collezionista le vendeva a metà prezzo,” dice Ned. “Ho pensato che potevamo appuntarle sull’interno del bavero, nascoste, ma… ma noi sapremmo che sono lì.”

Peter gli rivolge un sorriso. “Grazie,” dice. “Sono fantastiche.”

Le indossano rapidamente, guardandosi attorno per assicurarsi che nessuno li osservi. Ned annuisce un paio di volte, dando una pacca sul punto in cui l’ha assicurata.

“Mi sento un po’ più forte, se ho Janet con me,” dice, stentando un sorriso nervoso. “È una grande.”

“Già,” dice Peter, pensando a ciò che anche Janet Van Dyne ha perso.

A volte tutto ciò lo stordisce: tutte quelle morti, quelle uccisioni, l’orrore, e non riesce a respirare. Vorrebbe solo, intensamente, poter fare qualcosa. Poter fermare tutto questo, tranciare quei binari, far saltare tutto in aria. Lui non c’era, all’epoca, ma sa che un tempo il mondo era normale. Senza Capitol, senza gli Hunger Games, senza la paura ad accompagnare ogni loro passo.

“Un giorno dovremmo, non so, provare ad andare laggiù,” dice Ned. “Al Villaggio dei Vincitori, per conoscerli. Non so, potremmo tipo… fingere di dover consegnare qualcosa, una roba del genere. E non dovremmo fare chissà che, solo… conoscerli. Conoscerli, ringraziarli, dire loro che… che ci dispiace.”

Peter si sente stringere la gola e annuisce. “Sì, insomma… sì. Dovremmo farlo.” Incontra gli occhi di Ned. “Dopo questi Hunger Games. Quando loro torneranno lo… lo faremo.” Peter sa che quel piano sfumerà nel nulla. Le cose si fanno solo più difficili per i mentori quando tornano. Il Distretto 12 non ha avuto un Vincitore sin da Tony. Ogni anno, sono costretti a veder morire altre due persone che hanno appena conosciuto. Altre due che non sono riusciti a salvare.

Ma Ned sembra rallegrarsi un poco, e basta questo.

Peter abbassa lo sguardo nel sentire qualcosa che gli struscia contro la gamba.

“Oh, guarda chi c’è,” dice Ned.

Peter sorride tra sé e si accuccia, prende in braccio il gatto rosso e bianco e se lo posa sulla spalla. “Ehi, Goose,” la saluta. “Ehi, piccolina.”

Ned le accarezza la testa, schioccando le labbra per richiamarla.

“Non è il giorno migliore per andarsene in giro negli altri distretti,” osserva Peter. Pensa tra sé che piacere al gatto di un Vincitore sia comunque una bella cosa. Non ha mai incontrato Carol Danvers, ma Goose lo conosce.

Peter incontra gli occhi di Ned mentre culla il gatto su e giù, ascoltandolo fare le fusa. “È un buon segno,” dice. “Goose si fa sempre viva quando sta per succedere qualcosa di bello.”

“Giusto,” dice Ned, annuendo. “L’ultima volta che è stata qui, hanno raddoppiato le razioni per un mese. Capitol che fa il generoso non è… beh, non è la normalità.” Si schiarisce la gola.

“Giusto,” ripete Peter. Dà un bacio sulla testa a Goose. “Giusto, giusto. Staremo bene.”

 
§

 
Non appena entrano nella piazza principale, l’ottimismo di Peter va a farsi benedire mentre osserva tutti coloro che sono eleggibili per la Mietitura allinearsi di fronte al Municipio. È un mare grigio di schiene rigide e mormorii soffusi in attesa che tutto questo finisca.

Il sindaco e qualche esponente di Capitol sono seduti sul palco, e Peter si guarda intorno, cercando di individuare May. Ci sono dei cordoni a separare chi è nominabile per la Mietitura e chi no. La vede in lontananza, vicino alla seconda entrata coi due alberi più alti. Si alza sulle punte e lo saluta, e lui ricambia, cercando di placare l’angoscia che ha nel cuore.

Si volta verso Ned. Lui si dà una rapida pacca sul petto, dove Peter sa che si nasconde la spilla di Wasp. Fa lo stesso sulla propria spilla, e sente il cuore che trema come un uccellino in gabbia.

Sii come Iron Man. Sii forte come Tony Stark.

Tutti ondeggiano sul posto, dando l’impressione di poter cadere a terra al primo colpo di vento, e il sole picchia sulla sua testa. Riesce già a sentire la faccia che scotta, e si scherma gli occhi dal riverbero non appena Justin Hammer fa il suo ingresso sul palco. È l’Accompagnatore del Distretto 12, e probabilmente il peggiore di tutti. Alcuni degli Accompagnatori finiscono con l’interessarsi, si distaccano sempre più dalle loro radici di Capitol, ma Hammer sembra sempre egoista, come se… come se si divertisse. Peter ricorda di averlo sentito pronunciare la frase “qui per fare festa” un paio d’anni fa. Allora si era sentito riempire di rabbia, la stessa che ribolle dentro adesso, appena sotto la superficie.

Il completo viola di Hammer riflette la luce, ed è accecante. Peter sospira, si accosta a Ned così da far toccare le loro braccia, e vorrebbe essere anche accanto a May. Qualcuno allunga un microfono ad Hammer, e si sente il fischio del feedback. Lui fa una smorfia, sorride, agita la mano in aria per salutare, e lo accosta alla bocca.

“Bene,” annuncia. “Diamo inizio allo spettacolo.”

Peter cerca di mantenere la calma. Punta lo sguardo a terra mentre avviano lo stesso maledetto video che proiettano ogni anno, riguardo a una guerra terribile, a quei giochi trionfanti, a un uomo e una donna da ogni Distretto che lottano per essere i migliori. Peter crede che, all’inizio, Capitol volesse che i Tributi si uccidessero da soli tra loro, ma quando hanno realizzato che solo i Distretti a loro più vicini erano inclini a farlo, hanno aumentato la posta in gioco con le arene e con tutto ciò che vi spediscono dentro per far soffrire i Tributi. Sono stati loro a ucciderne la maggior parte, negli ultimi sessant’anni.

Quel video è contraffatto, e Peter non lo guarda nemmeno. Sa che le cose sono andate diversamente da quello che mostrano, sa che nessuno dei Distretti dal 4 al 12 combatte tra di loro: combattono solo per sopravvivere.

Non alza lo sguardo, ma sa che alla fine c’è quella sequenza modificata di Tony. Modificata in modo da far credere che lui abbia ucciso il suo migliore amico, James Rhodes, quando Peter, e tutti gli altri, sanno che Rhodes è stato ucciso da Aldrich Killian. L’unica uccisione di Tony, per vendetta. E poi Rhodes gli è morto tra le braccia.

Ma loro mostrano un coltello tra le mani di Tony, che affonda nel ventre di Rhodes, e Peter non vuole guardare.

Ne ha abbastanza delle loro menzogne.

Il video termina e c’è un applauso stentato, promosso unicamente dai Pacificatori e dalle autorità sul palco, e il cuore di Peter prende a battere più rapido.

Ben non è mai sopravvissuto oltre l’età massima di nomina, perché è morto quando aveva 32 anni. Peter ricorda ciò che sussurrava, quelle poche volte in cui sono stati lì in piedi insieme. Qualunque cosa farai, non essere una pedina nel loro gioco. Sii sempre te stesso, figliolo. A tutti i costi. Che tu sia qui sotto, o là sopra. Sii sempre te stesso.

“Bene, Dodici,” dice Hammer, ancheggiando un poco sul palco. “Sono qui per scegliere il nostro prossimo Vincitore, okay? La nostra dama, il nostro gentiluomo, uno di voi… e questo sarà il nostro anno! Chi sarà il prossimo Tony Stark, eh?”

Peter deglutisce a fatica, scuote la testa. È quasi finita, è quasi finita. Stasera tornerà a casa. Cenerà con May e Ned. Magari per una volta mangeranno addirittura il dolce. Andrà bene. Andrà tutto bene.

“Prima le signore,” annuncia Hammer. Si avvicina alla prima urna di vetro, riempita fino all’orlo di piccole buste ripiegate.

Peter trattiene il respiro, rammentandosi che non deve più preoccuparsi per May. Hammer rimescola le buste nell’urna, ne sceglie una dal centro e la apre con rapidità. La solleva con una mano e parla nel microfono.

“Il nostro tributo femmina per il Distretto 12 è… Michelle Jones.”

I mormorii riprendono, come sempre quando viene chiamato un nome, e Peter sente freddo. Non conosce davvero Michelle, ma dopotutto va a scuola con lei, la vede sempre nei corridoi. È silenziosa, sa che è intelligente perché ha dei voti abbastanza alti da far parlare di sé e… non si merita questo. Nessuno se lo merita, soprattutto chi vive nel Dodici, ma lei… non riesce a immaginarla là dentro. Non riesce a immaginarla… non qui.

La folla si dirada e si apre in due ali alla sua sinistra; Peter si volta a guardarla, in piedi con un cerchio vuoto attorno a lei, dove fino a pochi istanti prima era ammassata la gente. Non nasconde le proprie emozioni e vede la rabbia sul suo volto, nei suoi pugni serrati, e non si guarda intorno, non guarda nessuno, neanche la sua famiglia. Avanza semplicemente tra la folla e percorre la corsia centrale verso il palco.

“Era con me a storia di Panem,” sussurra Ned. “Era… era carina.”

“Lo è ancora,” dice Peter, senza pensare. Osserva la linea rigida delle spalle di lei mentre prende posto accanto ad Hammer, e il suo stomaco fa una capriola.

“Ma ciao, Michelle,” dice Justin, ma lei non lo guarda nemmeno. Scuote appena la testa, col disgusto negli occhi, e Peter pensa che forse, forse hanno una Vincitrice tra le mani.

“Molto bene, allora,” dice Hammer, sollevando le sopracciglia quando non ottiene alcuna risposta dalla folla.

Peter non riesce a respirare. Deglutisce a forza, non guarda Ned, perché se guardasse Ned darebbe di matto.

Hammer si avvicina all’altra urna. Un fischio acuto e prolungato risuona nelle orecchie di Peter: in questo momento si sente sempre come se stesse per svenire, perché si riempie di un tale terrore che il suo intero corpo viene colto da spasmi, e ogni pensiero nella sua testa urla ti prego non io, ti prego non io, ti prego non io.

Ed è per questo che il momento successivo è dieci volte peggio.

Hammer solleva la busta prescelta, socchiudendo gli occhi mentre legge. “E il nostro tributo maschio per il Distretto 12 è… Ned Leeds.”

Gli sembra che l’aria venga risucchiata dallo spazio che li circonda, come se qualcosa di brutale e crudele gli stesse strappando le costole, cavandogli via i polmoni. Non c’è alcun suono, solo un silenzio pesante, di morte. Gli occhi di Peter si colmano all’istante di lacrime e si volta verso Ned, che ha lo shock dipinto sul viso.

Ha passato quasi ogni momento di veglia con Ned da quando si sono conosciuti. Le battute di caccia nella foresta, o almeno quella che loro consideravano caccia, ovvero avvicinarsi abbastanza a un cervo da riuscire a toccarlo. Le lezioni di cucina in cui bruciavano sempre il pane. I fortini nel cortile di Peter. Ned era lì quando avevano perso Ben, a sorreggere Peter quando May non ce l’aveva più fatta. Ned sa tutto di lui e gli vuole bene comunque, e l’idea, la sola… idea di vederselo strappare via, di essere obbligato a guardarlo morire su quegli schermi, gli– gli fa ribollire il sangue.

Ned fa un passo e Peter parla prima che il suo cervello possa formulare una decisione logica.

“Mi offro volontario,” dice, con la voce che risuona anomala ed estranea. “Mi offro volontario come Tributo.”

I suoni tornano a riempire l’aria e la gente riprende a parlare. Peter sente un singhiozzo straziato in sottofondo, che sa appartenere a May.

“No,” dice Ned, afferrandogli le braccia. “No, no, Peter, non puoi, non puoi–”

E poi Peter sente delle mani addosso, che lo strappano via da lui e lo strattonano lungo la corsia principale. Incespica, ma si raddrizza, rivolgendo un ultimo sguardo a Ned mentre lo fanno marciare verso il palco. Guarda in avanti verso i propri piedi, con gli occhi che bruciano e faticano a restare aperti.

La portata di ciò che ha fatto lo colpisce mentre sale le scale, quando si trova di fronte al suo intero Distretto. È stato parte di quel pubblico così tante volte, a fissare due persone che non sarebbero mai più tornate. E adesso è uno di loro. Quel suono riecheggia di nuovo nelle sue orecchie, e vede la bocca di Hammer che si muove senza riuscire a sentire le parole. Vede May tra la folla, e il signor Delmar [2] la sta sostenendo, mantenendola in piedi. Ma il suo volto è deformato dal dolore, ed è stato lui a causarlo… Peter sa che è colpa sua. Quello sguardo.

Ha firmato la propria condanna a morte.

Hammer gli si avvicina, e Peter finalmente si risintonizza, fissandolo stravolto.

“Ti ho chiesto: come ti chiami, ragazzo?” chiede Hammer, e il suo sorriso è più viscido, da vicino.

“Peter,” risponde lui. Deglutisce a fatica, cerca di non guardare May. “Peter Parker.”

“Peter Parker, wow,” dice Hammer. “Il nostro primo volontario nel Dodici. Il nostro primo volontario in assoluto è… è notevole. Tu sei notevole, signor Parker, decisamente… attiri già l’attenzione. Chi è quello là? Chi è per te Ned Leeds?”

Peter intercetta gli occhi di Ned, vede la sofferenza sul suo volto, e sente le lacrime che ricominciano a formarsi. “Uh… è il mio migliore amico,” dice. “È il mio migliore amico.”

“Devi volergli molto bene,” dice Hammer.

“Sì,” gracchia Peter. “Sì, è… è così.”

Ned lo guarda come se fosse già morto. Forse è solo una sua impressione, perché è come lo stanno guardando tutti. Sia lui che Michelle. Ned si dà una pacca sul petto, dove Peter sa che si nasconde la spilla di Wasp, e Peter tocca il punto in cui dove c’è il suo Iron Man.

“Beh, eccoli qua, Dodici,” dice Hammer, allargando le braccia. “I vostri Tributi. Michelle Jones e Peter Parker.”

Peter si rivolge verso Michelle, ma lei non lo guarda. Il silenzio è assordante, come se tutti coloro che conosce, tutti coloro con cui ha vissuto, fossero già in lutto per loro.

Si sente come se stesse precipitando in un abisso profondo, privo d’aria. Il Pacificatore alla sua destra si avvicina, lo afferra per il braccio in una presa salda, e lo sospinge verso la porta dietro di loro. Non ha mai oltrepassato questa porta, ma ha già visto tanti Tributi entrarvi per non tornare mai più a casa.

Il Pacificatore afferra la maniglia, la spalanca con uno strattone, e spintona Peter all’interno.

 
§

 
“Tony. Tony.”

Tony è bloccato da qualche parte tra il sonno e la veglia, e la vodka della notte scorsa impedisce ai ricordi di prendere forma. Ma qualche volta gli sembra di sentire la voce di Pepper, invece di quella di Janet. Gli sembra passato un secolo, dall’ultima volta che l’ha vista. Più tempo di quanto sia effettivamente trascorso. A volte si chiede se sia mai stata reale.

Si gira sul fianco, ripiegando il cuscino dietro la testa. Serra gli occhi. “Non oggi,” dice. “Non oggi, Jan.” Non ora. Non lui. Non più.

Sente i suoi stivali che calpestano il pavimento. “Mi dispiace, ma non è negoziabile, a meno che tu non te la voglia vedere coi Pacificatori.”

Quelle parole lo svegliano, inviano una scarica elettrica attraverso il suo corpo, perché sa cosa vuol dire. Non negoziabile vuol dire che è il giorno della Mietitura. È ubriaco la maggior parte del tempo, ma Janet si preoccupa di fargli tenere il passo con la tabella di marcia.

Le dà le spalle, ma si copre comunque il volto. Se la concede ogni volta, quella fugace ondata di tristezza per coloro che sta per incontrare, per le persone che non sarà in grado di salvare. Non lascia più il Villaggio così spesso, ormai, perché non vuole vedere le loro dannate facce. Non vuole incontrare nessuno di loro, perché alla fine Capitol gliene piazzerà due tra le mani. Due dai quali proverà a tenersi alla larga, due ai quali si affezionerà inevitabilmente, come fa ogni maledetta volta, due che sarà costretto a veder soffrire. Due che dovrà veder morire.

È la croce che deve sopportare, visto che non gli permettono di uccidersi.

“È già successo?” chiede, con voce roca.

“Sì,” risponde Janet.

Si avvicina, si siede sulla sponda del letto, senza toccarlo. “Uh, sono entrambi giovani, stavolta. Michelle Jones, sedici anni, e… Peter Parker, anche lui sedici anni. Lui… si è offerto volontario, Tony. Per il suo migliore amico. È stato… doloroso da guardare. Ha… ha coraggio, potrebbe… potrebbe essere troppo, per te.”

Sa quello che sta cercando di dire. Lascia che me ne occupi io, così non ti spezzerà il cuore. Si prende sempre cura di lui, a dispetto del dolore che prova anche lei, delle sue perdite, e a volte lo fa sentire più stronzo di quanto non sappia già di essere. Tony si schiarisce la gola, cercando di immaginarsi la faccia di Peter. Grandioso. Un altro che rosicchierà via ciò che è rimasto della sua anima.

Ma una parte di lui… una parte di lui pensa di meritarselo.

“Dio, no,” dice. “Io faccio da mentore al maschio, e tu alla femmina. Non sconvolgere il programma, Jan.” Si gira per guardarla. È già vestita di tutto punto. “Mi occupo io di lui.”

Janet sospira, puntando lo sguardo verso la luce che trapela dalla porta. “Va bene,” risponde. Gli dà una pacca sulla coscia. “Datti una mossa. Dobbiamo essere al Municipio.”

“Hai di nuovo scassinato la porta?” chiede lui, osservandola mentre si alza.

“No,” risponde lei. “Hai dimenticato di chiuderla a chiave.”

Tony vede una lunga fila d’ombre nella sua mente, e l’ultima ha appena preso forma.



 
*
 
 


Tradotto da: ever in your favor: a long line of shadows, di iron_spider da _Lightning_



Note al testo:

[1] Forno: il mercato nero del Distretto 12.
[2] Signor Delmar: in Homecoming, è il proprietario del negozio di panini che Peter fa accidentalmente esplodere.


Note della traduttrice:

Cari Lettori,
torno col secondo progetto di traduzione per una storia di iron_spider! Questa volta è una storia un po' più impegnativa, trattandosi di una long ancora in fieri (che dovrebbe concludersi entro 14 capitoli, di cui 6 disponibili in inglese ai link a piè di testo), ma visto quanto mi ha catturata sin dal primo istante, non potevo esimermi dal portarla anche sul fandom italiano. Spero che possa risultare altrettanto gradevole e avvincente anche in traduzione, e vi prego di farmi notare qualsiasi cosa non dovesse tornarvi o suonarvi strana, così da poterla rendere più scorrevole e fruibile ove necessario :)

La traduzione dei termini del romanzo segue quella canonica della pubblicazione italiana. In tutta onestà, non amo né approvo molte di queste scelte di traduzione, ma ho evitato di arrogarmi il diritto di modificarle, mantenendo quindi quelle originali. Riporto le parole dell'autrice dicendo che tutte le discrepanze di terminologia, dettagli o eventi sono volute e spiegate via via col procedere della storia. Quella più evidente nel capitolo è la diversa età di Mietitura, (12-18 anni nel romanzo) specificata in seguito. 
Come nella storia precedentemente tradotta, ho tentato di mantenere intatto lo stile originale dell'autrice, operando solo le interpolazioni strettamente indispensabili per rendere la lettura più gradevole in italiano – la più evidente è la traduzione variabile del "says", che non traduco sempre come un "dice" per questioni di eufonia.

Con questo, chiudo, sperando che abbiate gradito e che vogliate lasciare un commento, che riferirò ovviamente all'autrice originale <3
Grazie alle mie carissime _Atlas_ e Miryel che si sono prese la briga di farmi da beta-reader e si sono sorbite le mie solite fisime <3
Alla prossima (trovate sotto il link alla mia pagina come autrice),

-Light-







 



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